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La nonviolenza e' in cammino. 248
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 248
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 4 Oct 2001 11:49:47 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 248 del 4 ottobre 2001 Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini, prepararsi all'azione diretta nonviolenta 2. Giobbe Santabarbara, la marcia Perugia-Assisi e' Aldo Capitini vivente 3. Franco Fortini, l'ora delle basse opere 4. Ileana Malancioiu, sogno 5. Enrico Peyretti, la guerra e' l'antitesi del diritto 6. Giulio Vittorangeli: "Bombardare Kabul" ventidue anni dopo 7. Messaggio finale della conferenza internazionale su "Cristiani e Musulmani in Europa: reponsabilita' e impegno religioso in una societa' pluralista" 8. Luisa Morgantini, non c'e' sicurezza con la produzione di armi 9. Rosemary Lynch, perche'? 10. Anna Maria Merlo intervista Serge Latouche 11. Arci: solidarieta' e sostegno umanitario ai profughi afghani 12. Letture: Giuseppe Cantillo, Introduzione a Jaspers 13. Letture: Assia Djebar, Donne d'Algeri 14. Letture: Hans Jonas, Sull'orlo dell'abisso 15. Benito D'Ippolito, vecchi volantini del tempo della guerra del Golfo 16. Per studiare la globalizzazione: da Alfonso Sastre a Volker Schloendorff 17. La domandina del Criticone 18. La "Carta" del Movimento Nonviolento 19. Per saperne di piu' 1. PROPOSTE. PEPPE SINI: PREPARARSI ALL'AZIONE DIRETTA NONVIOLENTA [L'autore di questo testo ha iniziato un digiuno di condivisione, meditazione e preparazione all'azione diretta nonviolenta contro la guerra] La guerra puo' essere impedita, il terrorismo puo' essere battuto. Il piano dei terroristi di scatenare una conflagrazione mondiale puo' esere sconfitto dalla saggezza dei popoli, dal diritto internazionale, dalla cooperazione tra gli stati, dalla diffusione su tutto il pianeta del rispetto dei diritti umani. Gli esecutori delle stragi dell'11 settembre sono morti insieme alle loro innocenti vittime; i complici e i mandanti occorre scoprirli, processarli e punirli cosi' come prevede la civilta' giuridica: dimostrandone la colpevolezza, sottoponendoli al giudizio di una corte di giustizia, mettendoli in condizioni di non nuocere, condannandoli e punendoli per il crimine commesso. Lo scatenamento di una guerra sarebbe invece il trionfo dei terroristi, la prosecuzione ed espansione della loro scellerata azione stragista, il rendere epidemica la loro iniziativa. * Occorre quindi infliggere la prima decisiva sconfitta ai piani dei terroristi impedendo che alle stragi avvenute ne seguano altre; occorre impedire che la guerra venga scatenata. Occorre poi infliggere la seconda fondamentale sconfitta ai piani dei terroristi, rifiutando loro lo status di soggetto belligerante e perseguendoli per quello che sono: una organizzazione criminale che la comunita' internazionale rappresentata dall'Onu persegue sulla base del diritto, con un'azione giuridicamente fondata e secondo le guarentigie e le procedure previste dalle codificazioni legislative penali. Occorre inoltre infliggere la terza cruciale sconfitta ai piani dei terroristi: privandoli delle loro risorse propagandistiche, strumentali, umane. Ed a tal fine occorre l'estensione dei diritti umani e della comprensione e la solidarieta' tra i popoli come tra le persone; occorre il disarmo e la cooperazione internazionale; occorre una globalizzazione della giustizia economica e della liberta' politica nel mondo. Valgono ancora le parole dell'indimenticabile presidente Pertini: "si svuotino gli arsenali, si riempiano i granai". * A tutte le donne e tutti gli uomini di volonta' buona incombe il dovere di contribuire alla sconfitta dei piani dei terroristi, e la prima cosa da fare e' persuadere i governanti di tutti i paesi del mondo a non scatenare una nuova guerra, ed anzi ad adoperarsi per far cessare quelle in corso. Cosicche' qui e adesso il primo e piu' urgente compito e': - convincere il nostro governo, il nostro parlamento, il nostro capo dello Stato a non entrare in guerra, ed anzi ad adoperarsi per la pace e l'affermazione del diritto; - spiegar loro che la decisione di entrare in guerra costituirebbe una violazione del diritto internazionale e della legalita' costituzionale, violazione che renderebbe dei fuorilegge quanti la commettessero; - chiarir loro che nel caso in cui la guerra venisse scatenata e l'Italia vi venisse tratta e travolta illegalmente, noi cittadini italiani faremo quanto la Costituzione e la morale ci chiedono di compiere: ci opporremo alla guerra e ci batteremo per difendere la legalita' tradita dai governanti. * Affinche' la nostra azione contro la guerra possa essere efficace essa non puo' consistere di proclami e di iniziative meramente simboliche, ma deve farsi concreta, ed e' bene che fin d'ora governo, parlamento e presidente della Repubblica sappiano che essa sara' tale. E precisamente dobbiamo fin d'ora preparare e prepararci alle seguenti tre iniziative: 1. l'azione diretta nonviolenta: eseguita esclusivamente da persone persuase della nonviolenza e preparatesi adeguatamente ad essa, con cui contrastare operativamente la macchina bellica; 2. la disobbedienza civile di massa: con cui negare collaborazione a un potere politico e militare che avesse violato la Costituzione e si fosse reso fuorilegge, e paralizzarne le catene di comando; 3. lo sciopero generale contro la guerra: con cui bloccare le attivita' del paese fino al ripristino della legalita' costituzionale e dell'impegno di pace del nostro paese. Occorre che ci prepariamo tutti. Occorre che ci prepariamo subito. Occorre un impegno di studio, di riflessione, di dialogo, di incontro. Occorre un illimpidimento interiore, una piena consapevolezza della gravita' dell'ora e delle nostre responsabilita'. Occorre la scelta della nonviolenza. 2. RIFLESSIONE. GIOBBE SANTABARBARA: LA MARCIA PERUGIA-ASSISI E' ALDO CAPITINI VIVENTE [Giobbe Santabarbara esprime il punto di vista del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo] Noi saremo alla Perugia-Assisi. Anche se la piattaforma proposta dalla Tavola della Pace puo' presentare debolezze, reticenze ed ambiguita' per noi inammissibili. Noi saremo alla marcia. In silenzio, senza bandiere, in angoscia per le sorti dell'umanita', ed insieme sereni e persuasi nel continuare in cio' che e' giusto: affermare la dignita' di tutti gli esseri umani, affermare che solo con la pace si costruisce la giustizia, e solo con la giustizia si costruisce la pace. E' gia' accaduto in passato, e piu' volte, che la marcia superasse e sciogliesse e vincesse ogni ambiguita', ogni limite, ogni errore, ogni provocazione. E' gia' accaduto in passato, e piu' volte, che la marcia cambiasse i partecipanti, che entratici ciascuno con le sue bandierine, le sue fisime, le sue furberie, i suoi distinguo, i suoi dubbi, si sono trovati poi tutti trasformati dall'armonia della campagna umbra, dalla visione luminosa della citta' di Francesco, dal comporsi in un medesimo tessuto della policromia e polifonia del popolo della pace in cammino, dal sentirsi in colloquio corale: dall'eredita' feconda di Aldo Capitini, dalla compresenza di Aldo Capitini. Perche' la marcia e' Aldo Capitini vivente, la marcia e' la nonviolenza in cammino. Che sia scritto o meno sui programmi, sui manifesti, sugli schermi televisivi, sulle delibere delle istituzioni, sui volantini e sugli striscioni, la marcia di Aldo Capitini e' la marcia contro tutte le guerre, contro tutti i terrori, contro tutte le violenze: e' la nonviolenza in cammino. Anche se i camminanti non lo sanno finche' non ci si trovano. 3. NITIDE VISIONI. FRANCO FORTINI: L'ORA DELLE BASSE OPERE [Da Franco Fortini, Una volta per sempre, Einaudi] * L'ora delle basse opere E' tutto chiaro ormai, le parole dei libri diventate tutte vere. Tutti gli altri lo sanno. T'hanno detto di fare due passi avanti in mezzo al cortile d'acqua e vento, di lumi gialli prima dell'alba. Vedi cani maestri con grembiali di cuoio scaricare quarti umani per le celle refrigerate e crusca sotto i ganci cromati. Gli scontrini li timbrano alla porta dove a battenti aperti aspetta un camion. Era giorno, i postini sgrondavano gli incerati nelle guardiole. 4. NITIDE VISIONI. ILEANA MALANCIOIU: SOGNO [Da AA. VV. (a cura di Elena Clementelli e Walter Mauro), Il fiore della liberta', Newton Compton, Roma 1993, p. 122. L'autrice e' una poetessa rumena] * Sogno L'intera citta' era piena di morti Erano usciti sulla via principale Con indosso i vestiti di gala Che di rado finche' sei vivo porti. Senza posa passavano giulivi Pareva non comprendessero affatto Ch'erano troppi e non v'era piu' spazio Per quelli di noi ancora vivi. Ci atterriva la lugubre chimera Ma guardavamo attoniti come alla parata Perche' ognuno aveva qualcuno in strada Che non avremmo voluto rinchiuso nel cimitero. 5. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: LA GUERRA E' L'ANTITESI DEL DIRITTO [Enrico Peyretti e' una delle figure piu' prestigiose della cultura della pace. Per contatti: peyretti at tiscalinet.it] La guerra e' "l'antitesi del diritto" (Bobbio, nel suo libro sulla guerra e la pace, dalla prima edizione del 1979 alla quarta del 1997, nonostante alcune sue affermazioni rassegnate al peggio). Secondo ogni diritto, anche il piu' primitivo, la prova della colpa va mostrata anzitutto all'accusato. Per una condanna minimamente decente, l'accusato deve essere convinto di colpa, e il tentativo va fatto comunque, anche se egli non si convince. E la prova delle accuse deve essere valutata da un giudice terzo, indipendente. Farsi giudici in causa propria e' distruzione della civilta'. E' terrorismo. E' violenza primitiva. La condanna senza accusa precisa comunicata all'accusato e pubblicamente provata e' agguato, delitto. La guerra e' tale. Questa guerra e' tale. La guerra e' negazione di ogni giustizia. Fare la guerra per fare giustizia e' fare ingiustizia massima sotto nome di giustizia. Capovolgere i significati e' distruggere l'umanita', la natura razionale. La guerra uccide vite umane e significati, verita', possibilita' di comunicazione umana. La guerra, poiche' consiste nell'inganno e nella negazione del dialogo, e' dunque sempre terroristica, batteriologica (avvelenatrice della comunicazione umana), atomica (disintegrante), sempre ingiusta, invincibilmente ingiusta. Questa guerra e' tale. Solo noi che diciamo questo rispettiamo davvero le vittime del terrorismo, perche' pensiamo e agiamo diversamente dai loro assassini. Solo rifiutando la guerra si rifiuta il terrorismo. Solo sviluppando la giustizia internazionale, quella economica e quella processuale, si potra' sormontare il terrorismo. Bush che fa la guerra-vendetta-inganno conferma le azioni disumane dei terroristi, non vendica ma tradisce le vittime di New York e Washington. Ritorcere e' riprodurre e confermare, stabilire il metodo. Bush ripete il terrorismo. Cosa direbbero di lui i morti delle due torri? La sola differenza e' che ora l'uno fa cio' che l'altro ha fatto a lui. Nessuna vera differenza. Si dira': ma quello e' il colpevole. Appunto: deve giudicare un terzo. Altrimenti quello, o chi per lui, ti fara' immediatamente altrettanto, e avra' la stessa ragione che hai tu, perche' anche lui ti ritiene colpevole. Siete entrambi prigionieri di uno specchio: il vostro assolutismo solitario. L'altro siete voi stessi. Siete nemici di voi stessi. Ma e' possibile essere talmente stupidi? E' la potenza che vi acceca. Posate le armi, la superbia e l'odio, vi si apriranno gli occhi. Vedrete la vita, vostra e altrui. 6. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: "BOMBARDARE KABUL" VENTIDUE ANNI DOPO [Giulio Vittorangeli e' tra le figure piu' nitide della solidarieta' internazionale. Per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it] Anno 1979. 19 luglio: trionfa in Nicaragua la rivoluzione sandinista; 27 dicembre: le truppe dell'Unione Sovietica invadono l'Afghanistan, ufficialmente "in soccorso" del governo comunista di quel paese, per far fronte alla "sovversione" interna. Immediatamente viene creato un parallelismo tra questi due avvenimenti, vengono letti ed interpretati in chiave esclusivamente di conflitto, scontro tra Est-Ovest, Usa-Urss. Per cui quando, come Associazione Italia-Nicaragua, chiedevamo solidarieta' per il Nicaragua sandinista, ci veniva risposto (molte volte in maniera strumentale) proponendo la solidarieta' con l'Afghanistan. Ma solo una cosa accomunava queste due realta', ed era il diritto imprescindibile e inalienabile all'autodeterminazione; primo fra tutti autodeterminazione da un potere straniero e poi autodeterminazione a scegliere il proprio modello di sviluppo: politico, economico e sociale. In parole molto semplici, questo voleva dire che non doveva essere Mosca a stabilire il governo di Kabul, cosi' come non poteva essere Washington a stabilire chi doveva governare a Managua. Senza negare quindi che c'era uno scontro Est-Ovest, legato alla guerra fredda, che portava all'espansione e intromissione delle due superpotenze nelle rispettive aree di influenza, in realta' lo scontro determinante era tra Nord e Sud del mondo, e come si diceva allora "l'asse della pace passa per Managua". Credo che questo oggi sia chiaro a tutti. Penso che avevamo ragione noi (come Associazione Italia-Nicaragua) nel cogliere nell'originalita' del progetto del sandinismo l'elemento veramente nuovo e centrale dello scontro allora in atto; perche' al di la' della sacrosanta condanna dell'invasione dell'Armata Rossa, era veramente impensabile riconoscersi nel progetto (se mai c'era) di quel variegato e frammentato universo che erano le formazioni e frazioni dei mujaheddin. Era il Nicaragua che rappresentava la "speranza nuova", era lo schermo privilegiato su cui proiettare l'immagine di ogni sogno di giustizia negato con la violenza. Anno 1989: 15 febbraio, i sovietici si ritirano dall'Afghanistan, a conclusione di una guerra disastrosa contro i guerriglieri mujaheddin durata dieci anni. Anno 1992: crolla sotto l'urto dei guerriglieri il governo filosovietico afghano, ma si scatena (invece della chiusura della guerra di liberazione) una cruenta guerra civile tra le sette opposte fazioni (costituite in base a fattori geografici, tribali e settari) dei mujahidin (sostenuti fino a quel momento dagli Usa, dai loro alleati europei, da Pakistan, Iran e Arabia Saudita) che si contendono il potere. Da questa situazione sorgono i talebani (milizie di studenti islamici formate ed addestrati alle armi in Pakistan). Sono stati gli Usa e l'Urss che, insieme, hanno contribuito a trasformare l'Afghanistan nel paese arretrato e pericoloso che e' diventato. Sono stati notoriamente gli Usa e il Pakistan, con qualche aiuto da parte della Gran Bretagna e di altri, a incoraggiare l'ascesa di gruppi fondamentalisti islamici e il reclutamento panislamico di combattenti, perche' a quel tempo facevano comodo per combattere contro l'Unione Sovietica. Ecco da dove salta fuori Osama bin Laden. Anno 1994: I talebani (studenti islamici... armati di kalashnikov) fanno la loro prima comparsa a Kandahar, la seconda citta' piu' grande dell'Afghanistan. Inizialmente sono accolti con rispetto perche' "portano la pace": il paese e' completamente distrutto, senza economia, senza cibo, non esiste piu' una sola strada asfaltata; il terreno e' disseminato di mine, le fattorie sono state distrutte dai sovietici, ci sono milioni di vittime. In breve i talebani conquistano Kabul e il 90% del paese. Quindi creano un regime estremista-fondamentalista, attraverso la sharia (l'interpretazione della legge religiosa ripresa direttamente dal Corano) imponendo, con il terrore e con la violazione dei diritti umani e civili, le loro leggi alla popolazione stremata da vent'anni di guerra (le vittime sono milioni: morti, handicappati, rifugiati, piu' di 700.000 mila vedove). Le donne vengono cancellate da tutto cio' che vuol dire diritto alla vita, per loro valgono le regole dell'hejab, l'esclusione dalla societa'. Anno 2000: maggio, a Viterbo iniziativa pubblica dal titolo "Io donna dietro il burqa", che e' il nome di un progetto di alfabetizzazione e sanita' per le donne afghane di tutte le eta', che si trovano nei campi profughi in Pakistan: circa 2 milioni di profughi. Su un totale della popolazione di 20 milioni di abitanti, circa 6 milioni sono esuli, rifugiati oltre che in Pakistan anche in Iran, dove peraltro non sono ben visti (i dati naturalmente si riferiscono a prima dei tragici avvenimenti di questi giorni, con nuovi profughi piegati dalla fame e dalla fatica). Gli iraniani che gia' si trovano in condizioni difficili li accusano di essere la causa dell'aumento della disoccupazione (che e' del 17%) oltre che della criminalita'. La solita, purtroppo, guerra tra poveri. Noterete, come analizzando gli scontri di potere, le guerre, le ingiustizie, le poverta', le oppressioni "globali" e "locali", siano le donne che si trovano sempre al centro, vittime privilegiate, le "piu' diseguali". A Viterbo, Orezala Ashraf, portavoce dell'Associazione Hawca per l'assistenza umanitaria alle donne e ai bambini/e dell'Afghanistan (una Ong nata anni fa, con sede a Peshawar, in Pakistan), racconta la drammatica realta' imposta dai talebani soprattutto contro le donne, e i bambini, a cui e' vietato di giocare con gli aquiloni o con gli uccelli in gabbia. Mentre le donne sono costrette a rinunciare, in pratica, alla loro identita', alla loro vita professionale e alla loro immagine: non possono piu' lavorare, non possono piu' andare a scuola e sono rese invisibili dal burqa, il velo che le copre integralmente, con una grata all'altezza degli occhi per vedere malamente dove mettere i piedi. Nell'Afghanistan dei talebani esistono solo maschi, le donne sono ombre che camminano, che non possono nemmeno far udire la loro voce e il rumore dei loro passi. Molte sono fuggite, altre cercano di sopravvivere, altre ancora si suicidano. Quello che colpiva, nella toccante testimonianza di questa ragazza minuta e decisa, era il fatto di trovarsi davanti ad una "testimone"; la testimonianza vivente di persone che pagano un tributo enorme alla lotta contro l'ingiustizia, la poverta', la difesa dei diritti umani. Sono loro i primi e piu' veri protagonisti della costruzione di un nuovo mondo. Noi dobbiamo educarci ed educare anche all'ascolto di questi "testimoni". Se c'e' una cosa, piccola ma importante, che abbiamo compreso nel nostro lavoro come solidarieta' internazionale, e' che le vittime della guerra e del terrore sono uguali. Tutte. Dovunque. I volti sconvolti nel centro di Manhattan sono uguali a quelli che abbiamo conosciuto in Nicaragua ed in Centro America, delle popolazioni vittime della barbarie quotidiana dei squadroni della morte o dei contras. Oggi, anno 2001, temiamo che la stessa cosa accada alle donne, agli uomini e ai bambini dell'Afghanistan; in una condizione che li rende piu' tragicamente vittime: sono soli, non hanno attestazione di solidarieta' (salvo il lavoro preziosissimo, degli ospedali dell'organizzazione umanitaria "Emergency" - per contatti: via Bagutta 12, 20121 Milano, tel. 0276.001104, www.emergency.it), pagano il costo di una scorretta identificazione con chi ha occupato con la forza il loro paese (vittime innocenti, "danni collaterali", nulla hanno a che fare con il massacro di New York), che non si possono permettere il lusso di manifestazioni pacifiche. "Veniamo al fatto di bombardare l'Afghanistan fino a riportarla indietro all'eta' della pietra. Il problema e' che cio' e' gia' stato fatto. I sovietici hanno avuto cura di farlo. Fare soffrire gli afghani? Stanno gia' soffrendo. Abbattere le loro case? Fatto. Ridurre le scuole a cumuli di macerie? Fatto. Distruggere i loro ospedali? Fatto. Privarli di medicine e assistenza medica? Troppo tardi. Qualcuno ha gia' provveduto. Le nuove bombe non farebbero che rimescolare le macerie. Alla fine perderebbero i talebani? Difficile. Oggi in Afghanistan mangiano solo i talebani, solo loro avrebbero i mezzi per muoversi, fuggirebbero. Forse le bombe colpirebbero qualcuno di quegli orfani mutilati (500mila, secondo dati Onu - ndr -), loro non si muovono in fretta, non hanno neppure le sedie a rotelle. Bombardare Kabul significherebbe fare causa comune con i talebani: violentare la gente che loro hanno violentato per tutto questo tempo" (cosi' lo scrittore afghano residente negliStati Uniti Tamin Ansary). "Noi dobbiamo dire che e' stato il governo degli Stati Uniti che ha sostenuto il dittatore pakistano generale Zia-ul Haq nel creare migliaia di scuole religiose dalle quali sono emersi i germi dei talebani. Allo stesso modo, come e' evidente per tutti, Osama bin Laden e' stato pupillo della Cia. Ma cio' che e' piu' penoso e' che i politici americani non hanno tratto una lezione dalle loro politiche a favore dei fondamentalisti nel nostro paese e stanno ancora continuando ad appoggiare questo o quel gruppo o leader fondamentalista. Secondo noi, ogni tipo di sostegno ai fondamentalisti talebani e jahadies (l'Alleanza del Nord - ndr -) e' attualmente dannoso contro la democrazia, i diritti delle donne e i diritti umani. Mentre noi manifestiamo ancora una volta la nostra solidarieta' e il profondo cordoglio al popolo degli Stati Uniti, crediamo anche che attaccare l'Afghanistan e uccidere la sua gente piu' derelitta e sofferente, non alleviera' in alcun modo il lutto del popolo americano. Speriamo sinceramente che il popolo americano sia in grado di distinguere tra la gente dell'Afghanistan e un pugno di terroristi fondamentalisti" (dal comunicato del 16 settembre di Rawa, l'organizzazione femminista afghana che e' una delle poche entita' che resistono alla dittatura dei talebani). 7. DOCUMENTI. MESSAGGIO FINALE DELLA CONFERENZA INTERNAZIONALE SU "CRISTIANI E MUSULMANI IN EUROPA: RESPONSABILITA' E IMPEGNO RELIGIOSO IN UNA SOCIETA' PLURALISTA" [Ringraziamo Gianni Novelli per averci inviato questo documento approvato all'incontro di Sarajevo del 12-16 settembre 2001. Per contatti: novelli.gianni at tiscalinet.it] La Conferenza delle Chiese Europee (KEK) e il Consiglio delle Conferenze episcopali europee (CCEE) hanno invitato Cristiani e Musulmani impegnati in attivita' interreligiosa ad incontrarsi a Sarajevo, citta' altamente simbolica per gli scambi religiosi e culturali. Nell'attuale nuova fase multireligiosa e multiculturale della storia d'Europa, Musulmani e Cristiani da 26 paesi durante tre giorni si sono scambiati le loro preoccupazioni su tre diversi ambiti: - le sfide che vengono dal vivere insieme in una societa' largamente pluralista e secolarizzata; - la guarigione delle ferite delle memorie storiche dei Cristiani e dei Musulmani cosicche' possano impegnarsi per la giustizia e la pace per tutti; - la condivisione dei valori con i quali le nostre comunita' possono attivamente contribuire a costruire una societa' migliore. Considerando la nostra riunione come un dono di Dio, abbiamo condiviso le nostre convinzioni e le nostre speranze, consapevoli della responsabilita' delle nostre comunita' religiose di dare un contributo alla formazione dell'Europa futura. Insieme vogliamo contribuire a un'identita' dinamica del nostro continente. Fedeli alle nostre ispirazioni religiose ci impegniamo a: - Intraprendere azioni coraggiose a sostegno della vita umana, della liberta', della religione, della proprieta', della dignita' e della giustizia; - Dare a noi e alle nostre comunita' di fede una chiara consapevolezza della nostra comune umanita' che ci rende fratelli e sorelle al di la' delle diverse appartenenze religiose e politiche; - Rifiutare la giustificazione della violenza nel nome della religione. Il nostro impegno per il dialogo ci porta a fare le seguenti raccomandazioni: - Portare i giovani a conoscere e rispettare ciascuno la fede e la comunita' dell'altro attraverso programmi educativi; - Promuovere nelle scuole pubbliche un'educazione interreligiosa che preveda anche corsi interreligiosi; - Sostenere gruppi interreligiosi di laici a livello locale per accrescere la consapevolezza di tutto cio' che ostacola la cooperazione; - Incoraggiare al dialogo e all'incontro interreligioso preti, pastori, teologi, imam e laici, attraverso scambi tra facolta' e seminari cristiani e musulmani; - Fondare e sostenere in ogni paese europeo istituzioni che si propongano di promuovere il dialogo interreligioso al servizio dei valori etici, sociali e politici delle nostre societa'; - Continuare i nostri sforzi per sviluppare la consapevolezza dei nostri comuni valori. Alla luce delle crescenti dimensioni dell'attacco terroristico negli Stati Uniti, sentiamo il bisogno di reiterare il nostro documento approvato in precedenza: "Siamo immensamente colpiti dai tragici massacri a New York e a Washington, ed esprimiamo il nostro profondo dolore e sofferenza per le migliaia di vittime uccise o ferite, e partecipiamo alla sofferenza dei loro familiari ed amici. Unanimemente condanniamo questo atto di violenza, come pure ogni distruzione di vita umana come una violazione della volonta' di Dio e un peccato contro l'umanita'. Riconoscendo il potenziale di violenza che risiede in tutti noi, preghiamo che questo avvenimento privo di senso non provochi una risposta di ritorsione indiscriminata. Nello spirito di questa conferenza ci impegniamo a essere strumenti di dialogo, a contribuire a costruire giustizia e pace, e a lavorare per la riconciliazione nelle nostre societa'". 8. RIFLESSIONE. LUISA MORGANTINI: NON C'E' SICUREZZA CON LA PRODUZIONE DI ARMI [Luisa Morgantini, parlamentare europea, e' una delle voci piu' vive del movimento per la pace. Per contatti: lmorgantini at europarl.eu.int] Non c'e' sicurezza con la produzione di armi: la sicurezza e' nella costruzione della giustizia, e occorre ci si decida per la gestione civile dei conflitti. E' di questi giorni la dichiarazione del Presidente del Consiglio sull'aumento delle spese militari. L'aumento delle spese militari italiane nel bilancio dello stato italiano non se lo e' inventato l'attuale governo. Le spese militari, purtroppo, anche nelle finanziarie degli ultimi anni sono state in costante aumento. Lo scorso anno, ancora col governo di centrosinistra, si e' arrivati a superare i 34 mila miliardi, ed e' in previsione una portaerei da quattromila miliardi. La novita' e' senz'altro nella mancanza di qualsiasi pudore nell'assumere, approfittando dello shock generale dovuto al terrore scatenato dagli attacchi negli USA, posizioni apertamente guerriere, nel sostegno senza reticenza al piano militare americano di sviluppo delle guerre stellari, e nella volonta' di arricchire e sviluppare ulteriormente il complesso militar-industriale italiano. La risposta piu' efficace al terrorismo globale non puo' essere l'aumento degli armamenti e delle spese militari in tutto il mondo. L'idea di sicurezza basata sugli strumenti militari non e' stata capace di neutralizzare la crudelta' e l'efficacia dei terroristi. Bisogna cominciare a praticare un nuovo paradigma della sicurezza, finora confinato tra le volontarie e i volontari della pace o gli accademici: un paese sicuro e' quello capace di costruire il dialogo, la cooperazione, la solidarieta' sociale. Per farlo bisogna avere il coraggio di guardare alle contraddizioni e alle disparita' sociali generate da un sistema economico basato sul liberismo; per farlo e' indispensabile rimettere in discussione la produzione e la vendita delle armi e finanziare tutti i possibili strumenti civili di gestione dei conflitti: la cooperazione economica con le popolazioni disastrate e sopratutto con le fasce svantaggiate e piu' colpite, il sostegno alle voci di donne e uomini che nei luoghi del conflitto hanno il coraggio di riconoscere i diritti dell'uno e dell'altro; per farlo e' necessaria la costituzione di contingenti di Caschi Bianchi e Rosa preparati eticamente e competenti all'intervento sul campo, e' indispensabile la formazione alla nonviolenza delle forze dell'ordine, la promozione dei network di donne per la gestione dei conflitti e per lo sviluppo. Quello che il governo ha invece dichiarato e' che si trasferiranno i fondi dalla spesa sociale alla produzione di guerra. La solita vecchia storia. Il nostro presidente Pertini e' ormai morto, non e' piu' qui a ricordare "meno armi, piu' granai" (e anche: piu' lavoro, piu' ospedali, piu' scuole, piu' case); e una grande parte dell'umanita' muore ancora di fame o falciata dalle bombe che noi costruiamo. Allora alle donne e agli uomini che credono che un mondo migliore e' possibile, lancio un appello alla mobilitazione comune perche' nel bilancio dello Stato Italiano non vi sia posto per l'aumento delle spese militari. Gli aumenti di spesa nel bilancio devono essere per il benessere sociale e non per le armi che portano distruzione e morte. 9. RIFLESSIONE. ROSEMARY LYNCH: PERCHE'? [Rosemary Linch, suora francescana di 84 anni, ha animato per venti anni le manifestazioni nonviolente contro gli esperimenti nucleari nel deserto del Nevada. La traduzione italiana e' stata diffusa dal Centro interconfessionale per la pace (per contatti: cipax at romacivica.net)] Noi, cittadini della piu' ricca e piu' potente nazione della terra abbiamo subito un'esperienza che ci ha scioccato, terrorizzato, fino a costringere le nostre ginocchia a piegarsi nella preghiera. Noi siamo giustamente sconvolti per la dimensione della tragedia e del male che e' piombato su di noi. Ma c'e' una domanda fondamentale finora ignorata nel pubblico dibattito: perche'? Perche' New York e Washington? Perche' non Londra, Parigi o Roma? Perche' non Mosca? Le nazioni hanno la memoria lunga. Alcuni aspetti della malaccorta politica estera americana continuano a produrre effetti. Anche se molti episodi si sono sbiaditi nella nostra coscienza nazionale, essi continuano a vivere nella memoria delle nazioni che ne sono state colpite. Anche se non possono minimamente sminuire il male degli attacchi diretti contro gli Stati Uniti l'11 settembre, essi possono aiutarci a comprendere alcune persistenti animosita' e perfino odii diretti contro il paese che amiamo. Non molti anni fa gli Stati Uniti hanno dato sostegno e partecipato alle guerre a bassa intensita' in Centro America, a volte contro i desideri espressi dalla maggioranza dei cittadini degli Stati Uniti e perfino del Congresso. Possiamo aver dimenticato qui lo scandalo Iran-Contras, ma sulle regioni colpite ha lasciato cicatrici ancora aperte. Il Cile ricorda l'assassinio di Allende. La Baia dei Porci, Grenada, Panama, la Libia, il Viet-Nam: tutti episodi che hanno lasciato il segno, che hanno avuto effetti negativi. Abbiamo imparato a metterci in relazione con gli altri popoli in una posizione che non sia di dominio? Il nostro atteggiamento sulla scena del mondo viene visto (a volte giustamente) come un atteggiamento arrogante e non cooperativo. Spesso tardiamo a dare il nostro contributo alle iniziative internazionali. Abbiamo negato la nostra partecipazione a vari progetti dell'Organizzazione Mondiale della Sanita'. Abbiamo respinto il trattato sulla bio-diversita' e quello sulla messa al bando delle mine. In un mondo che necessariamente deve diventare sempre piu' unito, questi atteggiamenti sono obsoleti. Un tempo gli "aiuti all'estero" significavano condivisione di cibo, sementi, attrezzi agricoli, forniture mediche e supporti educativi. Oggi questo termine indica prevalentemente vendite di armi o "aiuti" che vengono spesso usati per rafforzare indegni regimi oppressivi. Questo non ha senso in un mondo che soffre per la fame, per le epidemie di Aids e di altre malattie. Cosa si puo' fare? Come nazione abbiamo milioni di cittadini generosi che lavorano duro. Anche se devoti al nostro paese, siamo tuttavia largamente "spoliticizzati". La maggioranza dei cittadini non vota nemmeno. Le nostre campagne politiche, costose ed estenuanti, allontanano molti che trovano che le riforme promesse non si materializzano. In questi tempi di crisi e di dolore possiamo convenire che e' importante mostrarci come una nazione non solo potente, ma anche forte e saggia. Abbiamo i nostri santi e i nostri profeti. Uno, l'onorevole dott. Martin Luther King, ci consiglio' bene, quando disse: "L'oscurita' non ci puo' far uscire dall'oscurita', soltanto la luce puo' farlo". Egli pago' il prezzo estremo per far venire la luce. Possiamo noi, in qualche maniera, tutti insieme, come nazione, condividere questa saggezza? Possiamo noi, in tutta la nostra giustificata rabbia e nel nostro dolore, fermarci abbastanza a lungo per chiederci questo importante perche'? 10. DOCUMENTAZIONE. ANNA MARIA MERLO INTERVISTA SERGE LATOUCHE [Questa intervista e' apparsa sul quotidiano "Il manifesto" del 3 ottobre. Anna Maria Merlo e' la corrispondente da Parigi del quotidiano; Serge Latouche e' un illustre studioso impegnato nel movimento per la giustizia globale. Varie affermazioni contenute in questa intervista sono discutibili, ed alcune ci trovano in profondo dissenso; ma ci sembra comunque un utile contributo alla riflessione] L' occidente e' stato colpito al cuore con gli attentati dell'11 settembre, ma i tre quarti del mondo reagiscono con indifferenza, se non con soddisfazione. Non sono i "poveri" che hanno organizzato l'attentato di New York, ma non e' questa crescente poverta' che, in un certo senso, ha reso possibili gli avvenimenti, che fa da sfondo a tutto cio' che succede? Ne discutiamo con l'economista Serge Latouche, che nei suoi libri si e' occupato dei rapporti nord-sud nell'ambito della mondializzazione dominata dall'occidente. Serge Latouche: Al momento degli attentati ero a casa e stavo prendendo un te' con mia moglie e una studentessa del Benin, che sta facendo la tesi con me. Mia figlia e' arrivata e ci ha informati di quello che stava succedendo. Sul momento, mi e' sembrato impossibile. Poi abbiamo visto le immagini in tv. Mia moglie ha chiesto alla ragazza come vengono vissuti in Africa dei problemi del genere. E la ragazza ha risposto che gli africani sono completamente al di fuori da tutto cio', che non ci sono quasi giornali e quei pochi sono scritti in lingue che solo una minoranza capisce. Le informazioni arrivano dalla radio, ma la maggioranza e' tagliata fuori. Qui i media dicevano che tutto il mondo era sincronizzato sull'ora americana. Ma questo non e' vero, almeno per l'Africa. Anna Maria Merlo: L'occidente ha reagito in modo compatto, come se fosse preso d'assalto in quanto occidente? S. L.: Questo mi ha colpito in questa tragedia terribile. Immediatamente l'attentato e' stato percepito come un atto contro l'occidente, piu' che contro gli Stati Uniti. Immediatamente, tutti i paesi ricchi hanno fatto blocco dietro gli Stati Uniti. Chirac ha detto: siamo tutti americani. Ma io non mi sento americano. Sarebbe stata un'occasione per l'Europa di segnare la propria differenza, visto che non e' stata l'Europa ad essere attaccata e questo ha un significato. Quando ho scritto il libro sull'"occidentalizzazione del mondo" (L'occidentalisation du monde: essai sur la signification, la portee, et les limites de l'unification planetaire, La Decouverte, 1989) molti mi avevano criticato. Eppure, la solidarieta' di tutto l'occidente, che e' subito scattata, prova che questa occidentalizzazione esiste. Il termine e' stato utilizzato. Bisogna tener presente che il termine "occidente" ha un senso ben preciso per i non-occidentali. La Jihad e' una guerra dichiarata contro l'occidente, contro cio' che significa l'occidentalizzazione del mondo. Di rimbalzo, anche noi ci riconosciamo, siamo uniti come occidente dallo sguardo dell'altro. Non ci siamo interrogati a fondo sul fatto che i terroristi sono giovani sovente con un'elevata istruzione. Abbiamo detto che e' il fanatismo a spingerli. Ma come si spiega questo fanatismo? Con l'accumulazione dell'odio. A. M. M.: E' l'ultraliberismo che, facendo aumentare le differenze economiche e la poverta' nel mondo, e' all'origine di questo odio, che non sembra mai stato cosi' forte come oggi? S. L.: C'e' un'enorme ingiustizia fatta dall'occidente al resto del mondo, sia in politica che in economia. In politica e' flagrante, a cominciare dalla situazione tra Israele e i palestinesi. La situazione palestinese non e' la sola causa, ma si puo' dire che se ci fosse stata la pace in Medioriente questi attentati non avrebbero avuto luogo. C'e' poi l'ingiustizia che riguarda l'Iraq, per esempio, dove centomila morti iracheni sembrano avere lo stesso peso di un morto americano, dove tra cinquecentomila e un milione di bambini sono vittime dell'embargo. Questo e' sentito come un'ingiustizia, anche se non c'e' nessuna ragione per avere simpatia per Saddam Hussein. Tutto cio' alimenta la frustrazione nel mondo arabo-musulmano. E dietro c'e' una piu' profonda ingiustizia economica. Nel sistema dei rapporti economici mondiali le ineguaglianze nord-sud hanno raggiunto proporzioni assolutamente insopportabili. L'ultimo rapporto del Pnud (Programma per lo sviluppo delle Nazioni Unite) sottolinea che il patrimonio dei 15 uomini piu' ricchi al mondo e' eguale al pil dell'Africa sub-sahariana, cioe' di 700-800 milioni di persone. Gli scarti sono enormi, perpetrati e aggravati dalle leggi del mercato e dalla mondializzazione. Si puo' dire che gli attentati sono una risposta, certo perversa, a questa mondializzaazione ingiusta. E succede che un miliardario del sud, sempre che sia Bin Laden il responsabile, possa essere visto come un eroe da parte dei poveri, come uno che infligge una specie di punizione ai ricchi. Brutto sentimento, ma il fatto e' che i paesi del sud vivono l'arroganza degli Stati Uniti e dell'occidente come qualcosa di insopportabile. Un altro grave problema e' la cecita' degli Stati Uniti: a differenza degli europei, l'americano medio ignora il resto del mondo. Non vengono tradotti libri, non vengono mostrati film o programmi tv del resto del mondo, mentre loro invadono il mondo con i loro. Cosi' non possono mai mettersi dal punto di vista dell'altro. A. M. M.: C'e' chi sostiene che una delle conseguenze di questa crisi potrebbe essere un ritorno del ruolo dello stato. Lei lo crede? S. L.: Quello che e' certo e' che non sembra esserci un orientamento verso una diminuzione delle frustrazioni e delle tensioni. E' vero che il sistema del capitalismo mondiale e' in difficolta'. Non e' la prima volta che succede. In questi casi, c'e' la tendenza a rinunciare ad alcuni principi. Eravamo entrati in una fase di ultra-liberismo, di completa deregulation, su pressione statunitense. Ma ora alcuni settori dell'economia statunitense sono in gravi difficolta'. E qui vale la vecchia legge del capitale, in vigore anche quando predomina l'ideologia piu' liberista: privatizzare i profitti e socializzare le perdite. Cioe', la liberalizzazione va bene per gli altri - gli Usa lo hanno gia' dimostrato con i negoziati al Gatt e al Wto - ma loro sono il paese maggiormente protezionista. Per questo ritengo che l'affermazione "ci sara' piu' stato", sia ambigua. Non va intesa certamente nel senso che lo stato tornera' ad essere piu' sociale e piu' umano. Del resto l'appello allo stato arriva ora, perche' venga in aiuto alle imprese in difficolta', ma non e' stato lanciato prima, perche' venisse in aiuto ai 20-30 milioni di persone che negli Usa vivono sotto la soglia della poverta'. In altri termini: l'affermazione "piu' stato" non significa che non continuera' lo smantellamento delle protezione sociale, dei servizi pubblici, ma solo che verranno date decine di miliardi all'aviazione, alle assicurazioni, ecc. I fondi pensione privati ne usciranno rafforzati. Nel ritorno dello stato di cui si parla attualmente non credo che si debba vedere qualcosa di positivo, che va controcorrente. Per gli economisti, e' semplicemente la rinuncia al dogmatismo teorico, ma in nome della difesa degli interessi interni degli Stati Uniti. A. M. M.: La volonta' dichiarata di scovare i soldi del terrorismo, potra' essere il granello di sabbia nell'ingranaggio che frenera' in parte la finanziarizzazione dell'economia? S. L.: Gli Usa riconsiderano la loro posizione almeno su due punti: sui paradisi fiscali, perche' uno dei mezzi per la lotta al terrorismo e' bloccare le fonti finanziarie, cioe' lottare contro determinati circuiti finanziari illegali. Qui, pero', gli Usa sono vittima delle proprie contraddizioni. Succede la stessa cosa nella lotta alla droga, quando cercano di distruggere le fonti, mentre il mercato principale della droga sono gli Usa stessi. E' molto difficile distinguere tra un dollaro pulito e uno sporco. I paradisi fiscali sono strumenti importanti delle multinazionali. Viene gettato molto fumo negli occhi su questo fronte perche' la volonta' di controllare i flussi finanziari criminali finira' con lo scontrarsi con interessi molto grossi. Sono scettico sui risultati, perche' mi sembra che non ci sia nessuna volonta' di bloccare i paradisi fiscali in quanto tali, ma solo certi flussi finanziari illeciti, al momento per esempio quelli di Ben Laden. A. M. M.: Il mondo che conosciamo e' finito, ne esce sconvolto dagli attentati? S. L.: Viviamo in un mondo dove il rischio e' ormai generalizzato. Rischio tecnologico, per esempio, come e' successo a Tolosa con l'esplosione della fabbrica petrolchimica Azf (e secondo Greenpeace avrebbe potuto essere ancora molto peggio). Quello che e' successo a New York mette in luce la fragilita' dei sistemi di protezione ipersofisticati di cui disponiamo, incapaci di impedire a un aereo di linea di schiantarsi contro un grattacielo, mentre gli Usa volevano il sistema anti-missili. Fragilita' architettonica, anche. Fragilita', insomma, della mega-macchina che abbiamo costruito. All'uomo contemporaneo, e la cosa non e' mai stata cosi' forte nella storia come ora, puo' succedere in ogni momento qualcosa di totalmente imprevisto. Il nostro sistema di vita puo' essere rimesso in questione da un secondo all'altro. Abbiamo, insomma, tutto da perdere. E questo fa la forza del sud, dei deboli: loro non hanno nulla da perdere. 11. UN APPELLO. ARCI: SOLIDARIETA' E SOSTEGNO UMANITARIO AI PROFUGHI AFGHANI [Dalla segreteria dell'Arci di Sassari riceviamo e pubblichiamo. Per contatti: segreteria at arcisassari.org] Si sta profilando in Afghanistan una vera e propria catastrofe umanitaria. L'allarme viene lanciato dall'Alto Commissariato per i Rifugiati, che stima che nei prossimi giorni potrebbero arrivare almeno un milione di profughi in Pakistan, 400.000 in Iran e altri 300.000 nelle repubbliche di Uzbekistan, Tajikistan e Turkmenistan. Sempre secondo queste stime, in inverno gli afghani bisognosi di aiuti umanitari potrebbero essere circa 7 milioni e mezzo. Gia' adesso il flusso di chi cerca rifugio fuori dall'Afghanistan e' continuo, e questo esodo avviene in condizioni disastrose, perche' da tempo esiste in quel paese un'emergenza umanitaria. La poverta', le malattie, la carestia, hanno concorso a fare di quel popolo uno dei piu' sofferenti del mondo. Sono negli occhi di tutti le immagini dei servizi realizzati dai pochi operatori e fotoreporter che sono riusciti ad entrare nel paese: bambini che cercano un po' d'acqua scavando nella terra, donne che bruciano lo sterco dei bufali per cuocere i fili d'erba e le radici raccolte. Abbiamo un debito di solidarieta' verso questa popolazione, da troppo tempo privata dei piu' elementari diritti. L'allestimento di campi profughi nei paesi confinanti e l'invio di aiuti umanitari e' diventata una drammatica urgenza. Non c'e' tempo da perdere. C'e' da far fronte a questa emergenza sapendo che le condizioni in cui si andra' a lavorare sono molto difficili. Bisognera' pianificare con cura gli aiuti e attrezzarsi per superare le innumerevoli difficolta', ma in tempi strettissimi. In un mondo che si e' "balcanizzato" dobbiamo avere la stessa forza d'animo e la stessa determinazione di cui abbiamo dato prova nei Balcani, in tutti questi anni, con le nostre azioni di solidarieta'. Lanciamo una campagna di raccolta fondi, attraverso cui ciascuno, per quello che puo', contribuisca con un versamento a rendere meno penosa la sorte dei profughi. Il numero di conto corrente e': 87210001, intestato ad Arci Nuova Associazione, via dei Monti di Pietralata 16, 00157 Roma. Causale "solidaireta' profughi afghani". 12. LETTURE. GIUSEPPE CANTILLO: INTRODUZIONE A JASPERS Giuseppe Cantillo, Introduzione a Jaspers, Laterza, Roma-Bari 2001, pp. 244, lire 18.000. Una preziosa monografia dell'eccellente collana laterziana de "I filosofi". 13. LETTURE. ASSIA DJEBAR: DONNE D'ALGERI Assia Djebar, Donne d'Algeri, Giunti, Firenze 1988, 2000, pp. 192, lire 16.000. Una delle opere piu' note della grande intellettuale femminista. 14. LETTURE. HANS JONAS: SULL'ORLO DELL'ABISSO Hans Jonas, Sull'orlo dell'abisso, Einaudi, Torino 2000, pp. 152, lire 22.000. Dieci conversazioni del grande pensatore del principio responsabilita'. 15. MATERIALI. BENITO D'IPPOLITO: VECCHI VOLANTINI DEL TEMPO DELLA GUERRA DEL GOLFO [I testi che seguono sono estratti da volantini diffusi dieci anni fa. Forse possono ancora essere di qualche interesse e, chissa', di qualche utilita'] Quando verranno le aquile a dirti che e' il momento tu digli di no, che hai ancora da fare che c'e' il caffe' sul gas, il rubinetto da aggiustare che hai promesso a Maria che domani la portavi al cinema. Quando verranno le aquile, tu digli di no. * Qualcuno ancora grida "viva le catene"? qualcuno ancora s'agita a mazzate nel rigagnolo, Crono ancora disquatra, divora, vomita esserini? l'uomo s'arrovescia dunque in scimmia, in drago, in sasso? "Agli uomini che conservano una certa lucidita' e un certo senso dell'onesta', noi diciamo: e' falso che si possa difendere la liberta' qui imponendo la servitu' altrove". Diciamo, anche: che e' falso si possa difendere la liberta' altrove imponendo qui la servitu'. * * Notizie della depressione Dalla televisione parlano gli assassini. Miei cari, io sto bene non fossero questi draghi che nuotano sui muri mi tengono sveglio, un po' m'infastidiscono mi fissano, mi ridono spariscono se entra qualcuno. * Sotto le bombe intelligenti, stupidi uomini tirano le cuoia, vacui guardano il cielo gli occhi dei superstiti. * * Da un tazebao Il dito coltello del padrone trancia il cuore in petto ai contadini col solo crescere dell'unghia. C'e' modo di uccidere senza un sussulto. "Come potrebbe esservi un uomo ricco se non vi fossero migliaia di poveri?" 16. MATERIALI. PER STUDIARE LA GLOBALIZZAZIONE: DA ALFONSO SASTRE A VOLKER SCHLOENDORFF * ALFONSO SASTRE Profilo: intellettuale democratico spagnolo, drammaturgo e scrittore, perseguitato dal regime franchista e più volte imprigionato. Opere di Alfonso Sastre: tra le opere teatrali cfr. almeno Escuadra hacia la muerte e La mordaza, pubblicate in unico volume da Castalia, Madrid 1986; per la produzione critica cfr. La rivoluzione e la critica della cultura, Cappelli, Bologna 1978. * CHAIWAT SATHA-ANAND Profilo: illustre personalita' della nonviolenza, docente universitario a Bangkok, membro del comitato scientifico della International University of People's Institution for Peace (IUPIP). Opere di Chaiwat Satha-Anand: Islam e nonviolenza, EGA, Torino 1997. * FERNANDO SAVATER Profilo: filosofo e saggista, nato a San Sebastián nel 1947, professore di Etica all'Università dei Paesi Baschi. Opere di Fernando Savater: Etica per un figlio, Etica come amor proprio, Il giardino dei dubbi, L'infanzia recuperata, Politica per un figlio, Dizionario filosofico, Cattivi e maledetti, A mia madre, mia prima maestra; tutti editi in Italia da Laterza. * BIANCAMARIA SCARCIA AMORETTI Profilo: studiosa della cultura araba ed islamica. Opere di Biancamaria Scarcia Amoretti: Tolleranza e guerra santa nell'Islam, Sansoni, Firenze. * VANNI SCHEIWILLER Profilo: editore, amico della poesia. E' scomparso nell'ottobre 1999. * CARLO SCHENONE Profilo: e' da molti anni a Genova una delle figure piu' impegnate nella riflessione sulla nonviolenza e nella pratica di essa nei movimenti e nei conflitti sociali, particolarmente attivo nella formazione; con una lunga, ampia e qualificata esperienza sia di impegno politico e sociale di base, sia di rappresentanza nelle istituzioni, sia di intervento meditato e propositivo nelle sedi organizzative e di coordinamento, di dibattito e decisionali, dei movimenti per i diritti. * EDWARD SCHILLEBEECKX Profilo: nato ad Anversa nel 1914, domenicano, teologo; è stato il principale ispiratore del Nuovo catechismo olandese, ha contribuito al Concilio Vaticano II, ha fondato insieme a Karl Rahner la rivista "Concilium". Di formazione tomistico-fenomenologica (fu allievo di De Petter), influenzato dall'esistenzialismo e dal personalismo, si accostò poi alla teologia della speranza e successivamente anche alle teologie della prassi, sviluppando un ulteriore confronto con altri approcci del panorama filosofico contemporaneo, e particolarmente con l'ermeneutica. * LUISA SCHIPPA Profilo: collaboratrice di Aldo Capitini, straordinaria promotrice e testimone della nonviolenza. Opere di Luisa Schippa: segnaliamo almeno il suo importante contributo al volume Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977. * VOLKER SCHLOENDORFF Profilo: regista cinematografico tedesco, nato nel 1939. Aiuto regista di Luis Malle in Zazie dans le métro; di Alain Resnais in L'anno scorso a Marienbad; di Jean-Pierre Melville in Leon Morin prete; autore di film di rigoroso impegno politico. Opere di Volker Schlöndorff: segnaliamo almeno Il caso Katharina Blum, 1975; Il tamburo di latta, 1979; Tutti colpevoli, 1987; Il raconto dell'ancella, 1990; The Ogre. L'orco, 1996. Opere su Volker Schlöndorff: Alberto Cattini, Volker Schlöndorff, Il Castoro Cinema. 17. LA DOMANDINA DEL CRITICONE "Le prove le abbiamo, ma le teniamo segrete". In quale tribunale del mondo si accetterebbe una posizione simile? 18. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 19. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ; per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ; angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 248 del 4 ottobre 2001
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