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Cecenia e Afghanistan: i misteri dietro gli attacchi terroristici
- Subject: Cecenia e Afghanistan: i misteri dietro gli attacchi terroristici
- From: Alessandro Marescotti <a.marescotti at peacelink.it>
- Date: Mon, 24 Sep 2001 17:40:49 +0200
Terrorismo ceceno e terrorismo afghano: gli scomodi retroscena che nessuno ha voglia di raccontare
Come la guerra annunciata dagli USA all'Afganistan anche l'attuale guerra della Russia in Cecenia nasce da attacchi terroristici attribuiti a gruppi di fanatici islamici. Nell'autunno del 1999 attentati dinamitardi squarciarono le città russe e causarono 300 morti. Le indagini puntarono subito sulla pista del "terrorismo islamico". A questo proposito riportiamo qui di seguito una parte del dossier realizzato dal segretario di PeaceLink Carlo Gubitosa dopo la sua missione di pace in Cecenia realizzata a metà dello scorso anno.
In esso si legge: "Un pretesto con cui si e' cercato di legittimare la seconda guerra in Cecenia e' stata la "lotta al terrorismo" intrapresa dalla Russia nell'autunno '99, in seguito alla serie di attentati dinamitardi che ha causato circa 300 vittime nelle citta' di Mosca, Volgodonsk, Vladikavkaz e Buinasks (...) Per quanto riguarda l'ondata di attentati terroristici che ha fatto da preludio alla guerra, allo stato attuale delle cose non ci sono prove che questi attentati siano stati organizzati ad arte per favorire l'ascesa di un potere autoritario. E' un dato di fatto, tuttavia, che Vladimir Putin ha indubbiamente saputo sfruttare a proprio vantaggio lo stato d'animo creato nell'opinione pubblica dalle esplosioni terroristiche, indipendentemente da chi abbia commissionato e progettato queste esplosioni (...) Ho avuto inoltre la possibilita' di esaminare un rapporto interno di una organizzazione non governativa, che evito di nominare per ragioni di sicurezza e di tutela delle fonti, un rapporto nel quale e' scritto testualmente che "ci sono alcune prove circostanziali del coinvolgimento dei servizi segreti russi nell'organizzazione degli attentati terroristici che hanno ucciso piu' di 300 persone". (...) L'improvvisa ascesa della popolarita' di Putin, che si e' posto davanti agli elettori come l'"uomo forte" in grado di mantenere l'unita' della federazione e di reprimere il terrorismo, potrebbe essere proprio la diretta conseguenza della creazione artificiosa di questo "nemico esterno" che ha risvegliato nella popolazione il desiderio di un leader forte in grado di imporre l'ordine e la giustizia con il pugno di ferro".L'attuale appoggio di Putin a Bush puo' essere pertanto interpretato e spiegato alla luce di queste dinamiche. Invito a leggere questo pezzo del dossier che, alla luce dei fatti attuali, appare quanto mai istruttivo anche per comprendere come l'Islam venga strumentalizzato da gruppi di potere per scopi inconfessabili.
A.M. PeaceLink www.peacelink.it DOSSIER CECENIA (ESTRATTO) A partire dalla firma dell'accordo di pace del 1996 gli interessi delle bande armate cecene si scontrano con quelli di Mosca, che vorrebbe affidare il controllo delle attivita' in Cecenia ai propri uomini di fiducia. Man mano che i gruppi militari ceceni diventano sempre piu' potenti, questo conflitto di interessi continua a inasprirsi. Uno dei fattori che ha contribuito all'esplosione della violenza in Cecenia e' proprio questa macroscopica "guerra tra gang" dove la posta in gioco nello scontro tra bande e' il controllo delle attivita' economiche e commerciali di una intera regione geografica. La popolazione civile e' stata solo una pedina sacrificabile di questo scontro, schiacciata in mezzo a sporchi giochi di potere. In questa chiave di lettura i traffici illeciti delle fazioni estremiste dell'esercito ceceno hanno rappresentato un vero e proprio tradimento di quello spirito indipendentista che ha animato molti giovani guerriglieri nella guerra 1994/96, uno spirito strumentalizzato dai capibanda dei gruppi armati per raggiungere obiettivi che non hanno niente a che vedere con la liberta', l'indipendenza e la tutela della popolazione cecena. Questi assassini travestiti da partigiani non si sono fermati nemmeno davanti alla prospettiva di un nuovo e sanguinoso conflitto pur di salvaguardare a tutti i costi i propri interessi. Il protrarsi di una situazione di conflitto armato in Cecenia torna a tutto vantaggio di questi "signori della guerra", che riescono a gestire con piu' facilita' i loro traffici, disponendo di un potere vessatorio che utilizzano a danno delle popolazioni inermi. LA "GUERRA SANTA" DELL'ISLAM IN CECENIA Oltre alla violenza delle bande armate e delle fazioni estremiste dell'esercito, un'altra causa della guerra e' legata al fondamentalismo islamico, una potente benzina che in Cecenia alimenta costantemente il fuoco della violenza. In Cecenia e nel vicino Daghestan sono molte le organizzazioni politiche e i gruppi armati che fanno riferimento all'Islam; il gruppo fondamentalista che negli ultimi anni ha acquisito la piu' grande potenza economica e militare nella zona del Caucaso e' quello degli "wahhabiti", che devono il loro nome alla setta islamica puritana della penisola arabica fondata nel XVIII secolo dal predicatore Mohamad Ibn Abdelwahhab. I wahhabiti del 2000 sono dei gruppi armati che hanno tra i loro leader Shamil Bassaev e Amir Khattab, due capi militari che dietro il loro fondamentalismo religioso nascondono interessi inconfessabili legati ad attivita' illecite. Khattab, dopo un periodo trascorso in Afghanistan, approda in Cecenia negli ultimi mesi della prima guerra, e inizia a reclutare il suo esercito personale di milizie islamiche, che al termine della guerra diventera' una delle fazioni piu' potenti delle forze armate. Bassaev inizia la sua carriera militare nel 1992, quando l'Abkhazia da' il via ad una guerra di indipendenza contro la Georgia. Dopo la guerra diventa addirittura vice-ministro della difesa di Abkhazia, presumibilmente grazie ad una collaborazione con il GRU (Glavnoe Rasvedivatelnoe Upravlenie), il servizio segreto militare russo. I rapporti tra Bassaev e il Gru sono stati ampiamente documentati nella ricostruzione della guerra in Abkhazia fatta nel febbraio 2000 da Piotr Prianishinikov, sul settimanale "Versija". Le "relazioni pericolose" di Bassaev includono anche esponenti di spicco del mondo dell'alta finanza di Mosca, come ad esempio Boris Berezovski, finanziere vicino alla famiglia Eltsin, che ha pubblicamente ammesso di aver elargito dei finanziamenti a Bassaev per le sue attivita'. Bassaev, Khattab e le loro milizie islamiche ricevono fondi dall'Afghanistan, dal Pakistan e da organizzazioni clandestine del medio oriente, ma altri finanziamenti ai gruppi armati wahhabiti arrivano anche da Mosca. Bassaev ha piu' volte invocato la "jihad", la guerra santa islamica, come soluzione definitiva ai problemi della Cecenia e del Caucaso in generale, facendo leva sugli strati piu' deboli della popolazione. Molti giovani ceceni sono stati attratti dalle seduzioni del fondamentalismo islamico e hanno cercato nell'Islam, oltre al loro stipendio di soldati, quell'ordine, quella stabilita' e quella sicurezza che non riuscivano a trovare altrove, senza sapere che i loro stessi comandanti avrebbero contribuito all'esplosione di una nuova guerra, strumentalizzando la loro aspirazione a migliori condizioni di vita e distruggendo il loro sogno di una societa' piu' giusta e pacifica retta dalla "sharia", la legge islamica. Nell'estate del 1999 Bassaev e Khattab danno il via ad una campagna militare in grande stile, un raid sul Daghestan fallimentare, insensato e provocatorio, compiuto all'insaputa e senza il consenso del Presidente Maskhadov. Per incoscienza o per calcolo, le milizie islamiche regalano a Vladimir Putin un ottimo pretesto per stringere ancora una volta il pugno di ferro della Federazione Russa attorno alla Cecenia. E' importante chiarire che le truppe islamiche di Bassaev e Khattab non sono affatto dei gruppi di partigiani che lottano per la liberta' e l'indipendenza dei ceceni. Si tratta invece di una ristretta minoranza all'interno del paese, una minoranza purtroppo molto potente e ben armata, che non rappresenta assolutamente ne' la popolazione della Cecenia ne' l'esercito regolare, che si e' trovato a dover combattere suo malgrado una guerra provocata da altri. L'8 agosto 1999 Bassaev e Khattab, alla testa del loro esercito, invadono la repubblica del Daghestan, cercando di instaurare uno "stato islamico" nei territori di frontiera tra Cecenia e Daghestan, un obiettivo che non ha nulla a che vedere con la tutela della popolazione cecena o con l'affermazione della sua indipendenza, ma che riguarda unicamente le mire espansionistiche e la sete di potere dei fondamentalisti islamici. Dopo un primo tentativo, fallito per l'opposizione della popolazione locale all'invasione islamica, la "guerra santa" riparte a settembre, e anche il secondo tentativo fallisce miseramente. Il primo ottobre le truppe russe entrano in Cecenia per dare il via, con il pretesto della "lotta al terrorismo", ad un folle massacro di civili inermi. LA LOTTA PER L'UNITA' DELLA RUSSIA Un'altra delle partite attualmente in gioco sulla scacchiera del Caucaso e' quella per la repressione delle velleita' separatiste in Cecenia e in altre regioni della Russia. Dopo la disgregazione dell'Unione Sovietica, anche nella Federazione Russa iniziano a manifestarsi i sintomi di una possibile frammentazione, che i vertici del Cremlino stanno cercando di impedire con tutti i mezzi a loro disposizione, in nome dell'unita' della "Grande Russia". Per la Russia perdere il controllo sulla Cecenia non significherebbe solamente rinunciare ad un territorio di grandissima importanza strategica, ma sarebbe anche un pericoloso precedente, un "cattivo esempio" per altre regioni che potrebbero decidere di seguire le orme della Cecenia avviandosi verso il separatismo, l'autonomia e il distacco dalla Federazione. Un taglio netto del cordone ombelicale che lega la Cecenia alla Russia potrebbe scatenare una reazione a catena, alimentando le velleita' separatiste di territori islamici come il Tatarstan, il Bashkortostan e il Daghestan, o di zone buddiste come la Kalmukkia e la Burjatia. La guerra in Cecenia e' stata anche questo: uno straordinario "collante" che ha scongiurato, o piu' probabilmente solo rimandato, il pericolo della disgregazione di una federazione corrosa al suo interno dal malgoverno, dalla corruzione e dalla criminalita'. QUANTO SANGUE COSTA UN LITRO DI BENZINA ? La guerra in Cecenia e' stata anche una guerra per il controllo delle "vie del petrolio" nel Caucaso, una guerra con cui la Russia ha voluto rispondere all'"affronto geopolitico" rappresentato dalla recente costruzione di nuovi oleodotti che consentirebbero dei "percorsi alternativi" per il trasporto del greggio dal mar Caspio al Mediterraneo. Il transito del petrolio e del gas naturale che viaggiano dal Caspio per raggiungere l'Europa e' stato da sempre in mano alle grandi compagnie petrolifere della Russia, grazie al controllo dell'oleodotto che collega Baku, citta' situata in Azerbaigian sulle rive del Caspio, a Novorossijsk, che si affaccia sul mar Nero. Fino a pochi mesi fa questa "pipeline", rimessa in funzione nel novembre 1997 dopo un compromesso con le autorita' cecene, era l'unica via di transito per il petrolio e il gas naturale, e garantiva alla Russia un monopolio di fatto nel settore energetico, che costituisce il 23% delle esportazioni e il 12% del prodotto interno lordo della federazione. Il 17 aprile 1999 l'apertura di un nuovo oleodotto ha modificato radicalmente l'equilibrio geopolitico della zona, creando una nuova via di transito per le risorse energetiche, un percorso che attraversa territori autonomi al di fuori della Federazione, su cui la Russia non ha un controllo diretto. Questa nuova "pipeline", che parte da Baku per raggiungere Supsa, porto della Georgia sulle rive del mar Nero, ha di fatto aperto una prima breccia nel monopolio russo. Oltre ad avere una valenza economica e geopolitica, questa nuova "via del petrolio" ha anche una forte valenza militare, poiche' l'oleodotto Baku-Supsa rientra di fatto nel sistema di sicurezza Nato, grazie ad una alleanza militare regionale tra Georgia, Ucraina, Azerbaigian e Moldavia, i cosiddetti "stati del GUAM", dal nome delle iniziali dei paesi. Questi stati hanno richiesto una stretta cooperazione con la Nato, che ha accolto favorevolmente la proposta di un intervento nella zona per difendere il nuovo oleodotto, dal momento che i paesi dell'alleanza atlantica avrebbero tutto l'interesse ad estromettere la Federazione Russa dal giro di affari legato al transito del petrolio e del gas naturale. L'oleodotto Baku-Supsa non e' l'unica minaccia agli interessi della Russia nel settore energetico. Nel novembre 1999 Turchia, Azerbaigian e Georgia hanno annunciato la firma di un accordo per la costruzione di una "via turca" del petrolio, che in futuro dovrebbe collegare Baku al porto turco di Ceyhan, che affaccia direttamente sul Mediterraneo. Anche questo oleodotto sarebbe automaticamente collocato nel sistema di sicurezza della Nato, e i consorzi che presiedono alla sua realizzazione hanno previsto investimenti per 7 miliardi di dollari. L'elenco dei principali finanziatori del progetto comprende, oltre ai governi della Turchia e dell'Azerbaigian, anche Eni, Chevron, Shell e Unocal. Tra le cause del secondo conflitto in Cecenia c'e' anche lo scontro tra gli interessi della Russia e quelli delle potenze occidentali che si sono unite agli stati del GUAM per il controllo del transito del petrolio. In questo scontro la Cecenia e' un territorio di fondamentale importanza strategica, situato su uno degli snodi chiave della linea Baku-Novorossijsk, un punto di passaggio che la Russia non puo' permettersi assolutamente di perdere se vuole restare in gara per la supremazia nel settore energetico. La prima risposta della Russia all'affronto geopolitico rappresentato dai nuovi oleodotti e' stata questa campagna militare che ha sottomesso con la forza un "pezzo di oleodotto" che minacciava di andarsene per conto proprio. Un'altra risposta alle nuove rotte del petrolio che aggirano la Russia a sud sara' probabilmente il completamento di un nuovo oleodotto russo, la cui costruzione e' iniziata nel maggio 1999, che trasportera' fino a Novorossijsk il petrolio estratto in Kazakistan sul lago Tenghiz. UNA GUERRA SU MISURA L'aspetto piu' inquietante di questa guerra e' la possibilita' che l'offensiva scatenata contro la Cecenia sia stata una forma perversa di "campagna elettorale", progettata freddamente a tavolino e costruita sulla pelle di migliaia di civili, per creare attorno a Vladimir Putin, uomo di fiducia di Eltsin, il consenso di cui aveva bisogno per conquistare la presidenza della Federazione. Oltre allo sconfinamento in Daghestan delle milizie islamiche, un altro pretesto con cui si e' cercato di legittimare la seconda guerra in Cecenia e' stata la "lotta al terrorismo" intrapresa dalla Russia nell'autunno '99, in seguito alla serie di attentati dinamitardi che ha causato circa 300 vittime nelle citta' di Mosca, Volgodonsk, Vladikavkaz e Buinasks. E' opinione diffusa che questa serie di attentati, e il conseguente bombardamento della Cecenia, possano far parte di una "strategia della tensione" russa con la quale il clan di Boris Eltsin ha cercato a tutti i costi di conservare il potere. La guerra in Cecenia nata dalla lotta al terrorismo potrebbe essere un conflitto contro un nemico esterno creato ad arte per distogliere l'attenzione da altri gravi problemi che affliggono la federazione: instabilita', assenza di ordine, corruzione. L'improvvisa ascesa della popolarita' di Putin, che si e' posto davanti agli elettori come l'"uomo forte" in grado di mantenere l'unita' della federazione e di reprimere il terrorismo, potrebbe essere proprio la diretta conseguenza della creazione artificiosa di questo "nemico esterno" che ha risvegliato nella popolazione il desiderio di un leader forte in grado di imporre l'ordine e la giustizia con il pugno di ferro. In questo processo anche i mezzi di informazione russi hanno giocato un ruolo fondamentale. La campagna militare contro la Cecenia e' stata accompagnata da una campagna di disinformazione altrettanto massiccia e sistematica, che ha portato alle stelle il consenso verso le "maniere forti" di Putin alimentando l'odio e la paura dei russi nei confronti dei ceceni, dipinti come una popolazione composta unicamente da criminali e terroristi spietati. In un rapporto dell'autunno '99 Amnesty International ha espresso la sua preoccupazione perche' la risposta del governo russo agli attentati dinamitardi "sembra essere una campagna per punire un intero gruppo etnico" "Dite all'Italia che non siamo dei terroristi". Parlando con i profughi ceceni ammassati nei campi dell'Inguscezia ho sentito questa frase molte volte, e ogni volta ho ripetuto che fortunatamente l'equazione "ceceno uguale terrorista" non era ancora radicata nell'opinione pubblica italiana. Purtroppo in Russia questa campagna di criminalizzazione mediatica ha avuto un pieno successo. La protesta contro la seconda guerra in Cecenia e' stata molto piu' debole della protesta contro il primo intervento armato, in occasione del quale una larghissima fetta dell'opinione pubblica aveva manifestato la sua disapprovazione verso la guerra. Questo effetto e' dovuto anche e soprattutto all'azione dei mezzi di informazione, a cui e' mancata la capacita' o la volonta' di distinguere tra la popolazione cecena nella sua interezza e una minoranza di gruppi armati e terroristici Per quanto riguarda l'ondata di attentati terroristici che ha fatto da preludio alla guerra, allo stato attuale delle cose non ci sono prove che questi attentati siano stati organizzati ad arte per favoorire l'ascesa di un potere autoritario. E' un dato di fatto, tuttavia, che Vladimir Putin ha indubbiamente saputo sfruttare a proprio vantaggio lo stato d'animo creato nell'opinione pubblica dalle esplosioni terroristiche, indipendentemente da chi abbia commissionato e progettato queste esplosioni. Anche se non si dispone ancora di prove incontrovertibili, esistono tuttavia alcuni elementi degni di essere presi in considerazione per capire meglio il collegamento tra gli atti terroristici dell'autunno '99 e la guerra in Cecenia. Il 29 ottobre '99 David Satter, membro dello Hudson Institute e della Scuola di studi internazionali avanzati della John Hopkins University, in un articolo apparso sul "Washington Times" affermava che "via via che l'investigazione procede, la possibilita' che le esplosioni siano state pianificate da elementi della leadership russa diventa piu' plausibile". A gennaio del 2000 il giornale inglese "The Independent" ha pubblicato inoltre la confessione di Aleksei Galtin, un ufficiale del Gru secondo il quale il servizio segreto militare russo sarebbe coinvolto negli attentati terroristici dell'autunno '99. Un altro indizio inquietante e' contenuto in un articolo di Giulietto Chiesa pubblicato su "la rivista del manifesto" nel numero di maggio 2000. Secondo la ricostruzione fatta da Chiesa tutti gli attentati dinamitardi sarebbero stati effettuati utilizzando exogene, un esplosivo impiegato dalle forze armate russe per la nuova generazione di proiettili d'artiglieria. Gli investigatori hanno affermato che per ogni bomba era stata utilizzata una quantita' di exogene variabile tra i 200 e i 300 chili. Oltre alle quattro esplosioni effettivamente avvenute, le autorita' russe hanno dichiarato di aver scongiurato l'esplosione di altre cinque bombe. Risulta quindi che gli attentatori avrebbero utilizzato almeno 1800 chili di exogene, un esplosivo che in Russia si produce unicamente nella fabbrica di Perm, situata negli Urali. Come abbia fatto un gruppo di terroristi ceceni a trafugare 18 quintali di esplosivo da una fabbrica top secret e a portare tranquillamente in giro per varie citta' della Russia tutto questo esplosivo, rimane tuttora un mistero. Molti esponenti di ONG e organizzazioni umanitarie con cui ho parlato durante il mio soggiorno in Russia e in Cecenia mi hanno confermato la possibilita' che la serie di attentati dell'autunno '99 sia stata una provocazione realizzata da persone estranee alla guerriglia cecena. Ho avuto inoltre la possibilita' di esaminare un rapporto interno di una organizzazione non governativa, che evito di nominare per ragioni di sicurezza e di tutela delle fonti, un rapporto nel quale e' scritto testualmente che "ci sono alcune prove circostanziali del coinvolgimento dei servizi segreti russi nell'organizzazione degli attentati terroristici che hanno ucciso piu' di 300 persone". Questi sospetti, condivisi da numerosi giornalisti e analisti politici, sono diffusi anche tra la gente comune. Commentando questo insieme di indizi che collegano gli attentati dinamitardi ai servizi segreti russi, Giulietto Chiesa ha rilevato che "forse si e' trattato di una coincidenza. Ma se e' stato cosi', si deve dire che e' stata una coincidenza davvero fantastica. Forse non e' stata una coincidenza, e allora bisogna tenersi forte, perche' gente che si spinge fino a questi lidi e' capace di compiere ogni crimine, perfino quelli che l'uomo comune non e' in grado nemmeno di immaginare". Nel frattempo le indagini per individuare i responsabili degli attentati sono a un punto morto. A mesi di distanza dalle esplosioni, non si sa neppure se le autorita' di Perm hanno ritenuto opportuno aprire un'inchiesta nei confronti dei responsabili della fabbrica di exogene. La Russia, intanto, sembra avviata ad un ingresso trionfale
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