La nonviolenza e' in cammino. 227



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 227 del 13 settembre 2001

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini, solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'
2. la redazione del mensile "Il foglio", sviluppare la cultura di pace
3. Giuliano Pontara, guardiamo all'esempio di Gandhi
4. Peacelink, il nostro dolore
5. Antonio Bruno, la violenza puo' essere combattuta esclusivamente con la
nonviolenza
6. Flavio Lotti, Nicola Giandomenico: per la pace e la riconciliazione tra
tutti i popoli
7. Enrico Chiavacci, un mondo ridotto a mercato
8. Christina G. Rossetti, boccioli e bambini
9. Per studiare la globalizzazione: da Fernanda Pivano a Rocco Pompeo
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: SOLO LA NONVIOLENZA PUO' SALVARE L'UMANITA'
Il dolore, che tutti ci accomuna. Il dolore lacerante e inestinguibile ogni
volta che un essere umano perde la vita.
E la facolta' di pensare, che tutti ci accomuna. La facolta' di unirci,
l'umanita' intera, contro il male e la morte.
Che vi siano al mondo esseri umani resi cosi' disperati e alienati da essere
disposti a uccidere ed essere uccisi: questa e' la logica che presiede a
tutti gli eserciti e a tutti i terrorismi, a tutte le guerre e a tutte le
stragi.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

2. RIFLESSIONE. LA REDAZIONE DEL MENSILE "IL FOGLIO": SVILUPPARE LA CULTURA
DI PACE
[Il mensile "Il foglio" di Torino e' da decenni una delle piu' rilevanti
esperienze della cultura della pace in Italia. Ringraziamo Enrico Peyretti
per averci messo a disposizione questo testo]
Proprio chi, come noi, in nome dei diritti umani, della giustizia e della
nonviolenza positiva, ha condannato in questi anni la politica mondiale
degli Stati Uniti, oggi condanna totalmente e senza alcuna riserva le enormi
stragi terroristiche contro le citta' e il popolo statunitense, al quale
esprimiamo la nostra calda umana solidarieta'.
La violenza diretta che, col pretesto di attaccare un dominio politico ed
economico, compie stragi di esseri umani, e' criminale, e' priva di ogni
possibile giustificabilita', non e' alternativa ma omogenea e funzionale
alla violenza strutturale del dominio.
Il terrorismo omicida e disperato puo' essere indebolito e vinto praticando
una politica che tolga le cause da cui esso trae motivo o pretesto per
simili ingiustissimi atti, e sviluppando la cultura di pace, di nonviolenza,
di eguaglianza di diritti e di giustizia economica tra i popoli.

3. RIFLESSIONE. GIULIANO PONTARA: GUARDIAMO ALL'ESEMPIO DI GANDHI
[Questo intervento di Giuliano Pontara e' apparso nel sito di Unimondo, e ci
e' stato trasmesso da Pasquale Pugliese.
Giuliano Pontara, nato a Cles (Trento) nel 1932, vive e lavora in Svezia dal
1953, docente di filosofia all'Universita' di Stoccolma e alla IUPIP di
Rovereto, e' impegnato nella peace research e nei movimenti nonviolenti; e'
uno dei piu' importanti studiosi di filosofia morale viventi]
Questo agli Stati Uniti d'America e' un attacco al cuore dell'impero: o per
lo meno cosi' sara' visto dalla maggior parte della classe politica
mondiale. Anche la difesa piu' forte della storia umana, dimostra la sua
vulnerabilita'. E' la dimostrazione che non e' possibile difendere un paese
armandosi fino ai denti e che e' inutile promuovere costosissimi progetti di
scudi stellari perche' cosi' si entra nel vicolo sempre piu' chiuso della
violenza.
Ci sara' un'ondata di odio e desiderio di repressione enorme. I movimenti
nonviolenti devono cercare di fare quello che hanno sempre fatto. Questo
continuo processo di escalation della violenza - la violenza della
globalizzazione sostenuta anche militarmente dalle grandi potenze - porta
inevitabilmente alla globalizzazione della violenza, alimenta il terrorismo
internazionale (di stato o meno) che colpisce sempre piu' la popolazione
civile.
Da studioso, non posso che esprimere preoccupazione di fronte ad uno
scenario che potrebbe assumere i connotati di una terza guerra mondiale di
dimensioni terribili. Mai come ora si ripropone urgentissimo il bisogno di
ricorrere agli strumenti della nonviolenza senza lasciarsi prendere dal
desiderio di vendette.
Lo ribadisco: non ci sono altre misure contro i rischi di un'escalation se
non l'intensificarsi di processi di distensione, e mi riferisco anche a
tutti i conflitti locali e a bassa intensita', come quello arabo-israeliano
e le molte guerre che devastano l'Africa.
I movimenti, le ong, le associazioni devono continuare a fare quello che
hanno fatto e stanno facendo, fermi nella loro linea di nonviolenza:
guardiamo all'esempio di Gandhi nei momenti di massima tensione in India.

4. RIFLESSIONE. PEACELINK: IL NOSTRO DOLORE
[Questo intervento e' apparso come editoriale nel sito di Peacelink]
Le stragi che hanno colpito il popolo americano sono qualcosa di orribile e
insensato.
Condanniamo ogni atto di violenza e di morte.
Ci auguriamo che a questo sangue innocente non se ne aggiunga altro, e che
per questioni di orgoglio nazionale non si cerchi un facile capro espiatorio
da consumare sull'altare mediatico.
Quanto e' accaduto va condannato con tutta la fermezza possibile ma non puo'
in ogni caso costuire la premessa per dare mano libera ai professionisti
della vendetta.

5. RIFLESSIONE. ANTONIO BRUNO: LA VIOLENZA PUO' ESSERE COMBATTUTA
ESCLUSIVAMENTE CON LA NONVIOLENZA
[Antonio Bruno, vicepresidente del consiglio comunale di Genova, e'
impegnato da sempre nei movimenti pacifisti e nonviolenti]
La terribile sequenza di attentati che hanno causato migliaia di morti negli
Stati Uniti interpella tutta l'umanita' e, in particolare, il movimento
pacifista che e' impegnato nella costruzione di un mondo diverso da quello
capitalista neoliberista.
Non e' sufficiente la condanna netta della violenza, ovunque venga fatta.
La violenza puo' essere combattuta esclusivamente con la nonviolenza.
Bisogna togliere l'acqua in cui i terroristi prosperano, aumentando la
democrazia, dando dignita' a tutti i popoli.
La spirale violenza-repressione non puo' che portare ad ulteriori lutti e
non risolvera' mai alla radice i problemi che stanno alla base di tanta
distruzione e di tanti lutti.

6. RIFLESSIONE. FLAVIO LOTTI, NICOLA GIANDOMENICO: PER LA PACE E LA
RICONCILIAZIONE TRA TUTTI I POPOLI
[Flavio Lotti e padre Nicola Giandomenico sono coordinatori della Tavola
della Pace, il network pacifista che promuove la marcia Perugia-Assisi]
Di fronte alla tragedia che ieri ha colpito gli Stati Uniti, vogliamo
esprimere al popolo americano e alle famiglie di tutte le vittime un forte
sentimento di solidarieta'. Con loro condividiamo un profondo dolore,
l'angoscia e il senso di smarrimento che sta scuotendo le nostre vite e il
mondo intero.
Nessuna giustificazione puo' coprire un simile atto di terrorismo condotto
contro decine di migliaia di persone innocenti. La condanna deve essere
ferma, netta e unanime, cosi' come deve essere la reazione di tutte le donne
e gli uomini amanti della pace.
Questi terribili attentati terroristici devono farci riflettere. I loro
effetti si sono gia' propagati in tutto il mondo e sono destinati a durare a
lungo. Facciamo appello al senso di responsabilita' di tutti i capi di Stato
e di Governo: non possiamo lasciarci travolgere da una inondazione di odio,
sangue e terrore. Dobbiamo evitare di restare intrappolati in un vortice
sanguinoso di violenza, guerre e terrorismo su scala mondiale.
Non solo l'America, ma il mondo intero sta diventando piu' insicuro. Questo
e' il momento in cui tutti i popoli e gli Stati della Terra si devono unire
per mettere un freno al disordine internazionale che minaccia tutti e per
costruire un nuovo ordine mondiale fondato sul rispetto della vita e sul
ripudio della violenza, della guerra e del terrorismo.
Per rendere il mondo piu' sicuro e' necessario promuovere piu' cooperazione
internazionale a tutti i livelli e in tutti i campi. Nessuno puo' piu'
pensare di isolarsi. La pace e la sicurezza sono beni comuni globali
indivisibili. Dobbiamo costruire pace e sicurezza per tutti. O non ci sara'
per nessuno. All'assunzione di responsabilita' di molte organizzazioni della
societa' civile deve corrispondere un nuovo e diverso impegno degli Stati.
Nessuno puo' farcela da solo.
Abbiamo bisogno di rafforzare subito le Nazioni Unite (unica "casa comune"
di tutti i popoli del mondo) e tutte le istituzioni internazionali
democratiche dove occorre costruire le risposte alla disperata domanda di
sicurezza, di pace e di giustizia che sale da ogni angolo del pianeta.
Popoli e governi, societa' civile e istituzioni debbono unirsi
nell'indispensabile tentativo di mettere fine a tutti i conflitti e alle
grandi violazioni dei diritti umani che continuano ad insanguinare il mondo.
Abbiamo bisogno di costruire nuovi ponti e non nuovi muri. Abbiamo bisogno
di combattere l'egoismo, il cinismo, l'indifferenza, tutte le forme di
razzismo ed esclusione economica e sociale che alimentano la disperazione.
Abbiamo bisogno di donne e uomini che riscoprano il senso vero e il primato
della politica e si mettano al servizio del bene comune globale.
Il nostro e' un appello alla calma, al senso di responsabilita' e
all'impegno per la pace. Il futuro e' nelle nostre mani. E' con questo
spirito e questa consapevolezza che il prossimo 14 ottobre marceremo in
tanti da Perugia ad Assisi contro ogni forma di violenza e terrorismo, per
la pace e la riconciliazione tra tutti i popoli.

7. MATERIALI. ENRICO CHIAVACCI: UN MONDO RIDOTTO A MERCATO
[La seguente conferenza e' stata tenuta da Enrico Chiavacci a Viterbo il 10
gennaio 1995 nell'ambito di un ciclo di incotnri promosso dagli obiettori di
coscienza della Caritas di Viterbo. La trascrizione non e' stata rivista
dall'autore (ed ovviamente può contenere degli errori, il lettore è pregato
di tenerne conto).
Enrico Chiavacci e' docente di teologia morale allo Studio Teologico
Fiorentino, e membro della Commissione dei diritti dell'uomo di Pax Christi
International. Opere di Enrico Chiavacci: l'opera fondamentale ci sembra la
sua Teologia morale, di cui sono sin qui usciti quattro tomi, presso la
Cittadella di Assisi; si vedano anche: Proposte morali tra l'antico e il
nuovo, Cittadella, Assisi 1973; Invito alla teologia morale, Queriniana,
Brescia 1995; e con Massimo Livi Bacci, Etica e riproduzione, Le Lettere,
Firenze 1995; una raccolta di saggi, conferenze e interventi sulla pace è
Dal dominio alla pace, La Meridiana, Molfetta 1993. Cfr. inoltre Lezioni
brevi di etica sociale, Cittadella, Assisi 1999; Lezioni brevi di bioetica,
Cittadella, Assisi 2000]
L'idea di pace espressa da Gesù agli apostoli il giorno della resurrezione e
nelle beatitudini, non era solamente l'assenza di guerra. Il concetto di
pace in tutta la Bibbia è lo "shalom", sia nell'Antico che nel Nuovo
Testamento. Esso indica sempre l'ordine voluto da Dio, la percezione della
volontà divina, così come traspare da tutta la Scrittura.
Si può riassumere il concetto di pace in due punti fondamentali. Il primo,
come fine di ogni forma di oppressione, di dominio, di prevaricazione
dell'uomo sull'uomo: e questo è il punto fondamentale. Il secondo, come
fraternità universale, cioè una convivenza nella solidarietà. Il termine
solidarietà oggi ha perso di significato, per questo si preferisce il
termine  "corresponsabilità": ognuno di noi è qui per gli altri, non prima
per sé e quel che avanza per gli altri. Ognuno di noi è chiamato al mondo da
Dio per vivere con gli altri e per gli altri. In questo senso si possono
cogliere due significati: uno è il  dovere morale, impegno contro ogni stato
di cose oppressive, il secondo è questa fraternità universale che non
conosce frontiere, né di lingua, né di razza, né di religione, tantomeno
frontiere politiche create da uomini. In questo senso non esiste il concetto
di frontiera, di limite, di voler bene a questi e non a quegli altri: Cristo
è morto per tutti. Questa e molte forme dell'oppressione dell'uomo
sull'uomo, per i  bisogni e le urgenze della solidarietà, dell'esercizio di
una vera corresponsabilità, variano però nella storia, perché è la
condizione storica concreta a cambiare continuamente. Se oggi siamo
arrivati, con gli strumenti tecnici che abbiamo, a certe distribuzioni di
potere e di forza è perché siamo giunti ad una situazione del tutto nuova
nella storia dell'umanità.
L'oppressione dell'uomo sull'uomo oggi ha forme planetarie e strutture
planetarie, con forme di oppressione e con relative strutture che coprono
tutta la famiglia umana. Quando, ad esempio, uno Stato fa la sua guerra,
tutti gli altri Stati sono interconnessi in qualche modo perché facenti
parte di un unico sistema. Queste forme, queste strutture oppressive che
oggi sono spaventose perché governano l'intera famiglia umana, sono
fondamentalmente tre: l'oppressione politico-militare,  che si esercita
attraverso armi, guerre e stati sovrani che combattono fra di loro; l'
oppressione economica; l'oppressione mediale che dagli ultimi venti anni si
esercita attraverso i mezzi di comunicazione di massa. Il discorso è
complesso, e, soprattutto, bisogna allargarlo oltre i confini italiani
perché le strutture hanno dimensioni ormai planetarie, cosicché i problemi
italiani, anche se gravissimi, devono essere intesi in un quadro di
oppressione planetaria, decisa da pochi centri di potere. Ecco allora che si
pone il problema di comprendere quali siano queste forme oppressive e di
vedere come si può reagire ed impegnarsi sulla terra per diminuire, ridurre
fino ad eliminare questa tragica oppressione.
E' vero che "l'economia uccide". Se ci furono 20-30 milioni di morti nella
seconda guerra mondiale oggi ci sono 40-50 milioni di morti l'anno solo per
stenti, fame e miseria. Per non parlare poi delle centinaia di milioni di
persone che negli stenti e nella miseria ci vivono. Questa situazione è
emersa negli anni Settanta ed ora è veramente tragica. Solo conoscendo e
cercando in qualche modo di spiegare i meccanismi di questo sistema
economico che uccide, possiamo poi combatterlo. Soprattutto è necessario
conoscere le forme di oppressione dell'uomo sull'uomo nel campo
dell'economia che sono fallimento delle idee di pace.
Oggi i 4/5 della famiglia umana vivono in povertà e i 2/3 in miseria
assoluta. Questa tragica realtà è stata descritta per la prima volta nel
famoso Rapporto Brandt realizzato nel 1980 da una commissione paritetica di
studiosi, economisti, sia di paesi ricchi che di paesi poveri, presieduta da
Willy Brandt. Da allora le condizioni non sono cambiate, nonostante siano
passati più di 14 anni. E ancora vale la considerazione che Brandt faceva in
quegli anni: l'umanità in realtà non è una sola famiglia umana, ma sono due
che vivono in condizioni abissalmente diverse.
Mac Namara, che era il Ministro statunitense della Difesa ai tempi della
guerra in Vietnam, parlava di questo come di una vera faglia che divide
l'umanità in due, con una distanza terribile da una parte all'altra. Fu
definito come "Nord" la parte ricca, 1/3 - 1/4 dell'umanità, che è composto
dall'Europa, Russia compresa, Stati Uniti e Canada, Giappone, Australia e
Nuova Zelanda. Tutto il resto è stato chiamato "Sud" del mondo. Questa
distinzione tra Nord e Sud ha quindi un suo terribile fondamento.
Nel '92 il Prodotto Interno Lordo - Prodotto Nazionale Lordo (PIL-PNL)  pro
capite del Nord era intorno ai 20-22 mila dollari l'anno e fino ad oggi non
c'è alcuna variazione sostanziale. Per PIL-PNL pro capite si intende tutto
quello che viene prodotto in qualunque forma all'interno di uno stato per un
anno, espresso in dollari e diviso per gli abitanti. Quindi è mediamente più
del salario, perché vi sono compresi servizi, strade, giustizia, esercito e
tutto quello che viene in qualche modo prodotto e valutato in dollari. E' un
indicatore abbastanza approssimato, ma comunque attendibile. In questo
contesto ora non ha molto interesse approfondire la differenza tra PIL e
PNL.
In America Latina, invece, il Brasile aveva nel '92 un PIL pro capite di
2200 dollari e nel '94 di 2450,  cioè esattamente un decimo dei paesi del
Nord nonostante il Brasile sia considerato un Paese ricco. In Honduras si
abbassa a 850 dollari l'anno. In tutta l'America Latina il maggiore PIL  pro
capite si trova a Cuba, nonostante la dittatura di Castro.
In Africa la situazione è spaventosa: nell'Africa Centrale il PIL pro capite
scende addirittura a 100-200 dollari l'anno. Ciò vuol dire che una persona
deve vivere con mezzo dollaro al giorno.
L'Africa, tranne il Nord e il Sud Africa, è tutta in queste condizioni
spaventose. Una situazione analoga si trova in Asia, dove, tranne l'
eccezione delle cosiddette "quattro tigri", cioè Hong Kong, Singapore, Sud
Corea e Taiwan che hanno una alta produzione, il Bangladesh ha 180-200
dollari, mentre il Pakistan, l'India e la Cina si attestano sui 400 dollari
ciascuna, ossia un dollaro al giorno o poco più. Ci sono comunque. Il
problema grave, specifico dell'America latina, è la distribuzione della
ricchezza, ossia il rapporto tra quanta ne possiede il 20% più povero della
popolazione (il "quintile" più povero), e quanta ne possiede il 10% più
ricco. In Brasile nel '92 questo rapporto era 2 a 46, ora è 1,4 a 51, cioè
aumenta la ricchezza che va nelle mani del 10% più ricco e diminuisce quella
che va nelle mani del 20% più povero. Per comprendere meglio: mentre in
Europa, e nei Paesi del Nord, il rapporto fra il decimo più ricco e il
quintile più povero va da 1 a 4, a 1 a 5, invece nel Sud  lo stesso rapporto
va da 1 a 20, 1 a 30 all'interno di uno stesso Paese. Utilizziamo il Brasile
come esempio perché è un Paese considerato ricco, in cui in questo momento
molti corrono ad investire da cui ne risulta una immagine di floridità
economica. Il meccanismo è questo, simile in tutta l'America Latina. Il
Brasile ha 150 milioni di persone con un PIL di 300-340 miliardi di dollari
l'anno, cioè un po' sopra i 2000 dollari l'anno per persona. Ma di questi
300 miliardi di dollari, 150 vanno a 15 milioni di persone, e quegli altri
150 agli altri 135 milioni di persone. Di queste ultime poi il 20%, cioè 30
milioni di persone, vivono con le briciole. Ecco, questa è la florida
economia del Brasile: 30 -40 milioni di persone ( all'incirca la popolazione
francese) ricche, ma il resto sta sempre peggio.
Considerando un altro indicatore socio-economico quale la mortalità nel
primo anno di vita per 1000 bambini, ossia i bambini che muoiono nel primo
anno di vita su mille nati (senza poi considerare quelli che  muoiono anche
negli anni successivi), si ha che nel Nord la media è sotto il 10/1000. In
tutti i Paesi dell'America Latina (eccetto Cuba, che ha una media simile a
quelle europee), la media è invece circa 60/1000. In Africa la mortalità
media è circa 150/1000.
L'economia uccide? Certo che uccide. Quando poi parliamo di fame nel mondo
intendiamo questo: rispetto al minimo valore di calorie necessario per
vivere, calcolato dalla FAO, nel Nord c'è sempre una disponibilità
sovrabbondante, mentre in tutti i Paesi del Sud (eccetto Cuba dove, per la
sua politica economica, nonostante tutto, la gente non muore di fame), e in
tutta l'Asia (eccetto l'Indonesia, dove per ragioni climatiche ci possono
essere 2 o 3 raccolti l'anno), è sempre sotto il minimo FAO. Se poi si
considerano altri problemi quali l'alfabetizzazione, la situazione
demografica ed energetica, il quadro diventa sempre più tragico.
Questa non è una situazione occasionale: la Bosnia, la Cecenia, la Somalia,
cosÏ come gran parte della famiglia umana, vivono questa come situazione
normale di vita. Quindi non è una condizione congiunturale, derivante cioè
da un terremoto, un'esplosione di un vulcano, una carestia, ma è una
situazione strutturale.
Questa realtà, quotidiana ormai da decenni e che rimarrà attuale per la
maggior parte della famiglia umana per altri decenni, ci dovrebbe commuovere
più di tante catastrofi naturali. Questa situazione strutturale, stabile, è
il prodotto di un sistema economico planetario, che trova in essa il suo
punto di equilibrio. Questo stato di cose fu denunciato nel 1980, 15 anni
fa, e da allora niente è stato messo in opera a nessun livello, né
governativo, né dall'ONU, per modificare la situazione che è rimasta tale e
quale a quella che era 15 anni fa. Anzi, in alcuni casi è peggiorata.
E' opportuno spiegare in breve che cose vuol dire economia: essa è
sostanzialmente ogni attività umana di qualunque specie che mira a produrre
beni di tutti i tipi capaci di servire (di venire incontro) a certi bisogni.
I beni economici possono essere ad esempio i servizi sanitari, le agenzie di
viaggio, le telecomunicazioni, le poste, le lezioni, i libri, le automobili,
le bombe, ecc. Queste produzioni, a differenza di 30 anni fa, avvengono oggi
su scala mondiale, cioè i singoli componenti sono prodotti in Paesi diversi
e in particolare dove conviene farli, per disponibilità di materie prime o
di lavoro qualificato o di manodopera a basso costo.
Il sistema produttivo è unico nel mondo intero.
Ma c'Ë un altro aspetto del problema: l'aspetto R-D, Research and
Development  (Ricerca e Sviluppo). Ogni prodotto nuovo ha bisogno di una
ricerca di base specializzata, di uno studio, di un disegno, di un
prototipo, poi di prove e di sperimentazioni fino a che non si arriva ad una
produzione in serie. In genere questi sono processi di anni che richiedono
capitali sterminati e che si possono fare a costi estremamente alti solo in
pochissimi centri specializzati al mondo, unici posti in cui quindi si può
fare la ricerca e lo sviluppo. Ad esempio, l'unica grande centrale dove si
possono sperimentare i locomotori prototipi è in Cecoslovacchia,  e non ce
ne sono altre al mondo. Così è per le medicine come per tutte le altre cose.
Ma il problema più grave è il problema finanziario: non si produce nulla
senza capitale e i capitali si prendono in banca. Spesso l'istituto
finanziario che presta capitali è una banca che a sua volta è una società
con dei soldi e degli azionisti. Gli azionisti, in genere, sono poi anche le
società finanziarie di grado superiore, di secondo livello, che non
producono nulla e non danno soldi a nessun produttore, ma servono solo a
controllare le finanziarie che poi danno i soldi agli imprenditori. Quindi
le società finanziarie si arricchiscono solo spostando capitali. Mentre un
imprenditore arricchisce anche una Banca e produce qualcosa, a questo
secondo livello (oltre il quale ce ne è spesso un terzo, un quarto, ecc.)
non c'è più nessun interesse a che cosa si produce e come si produce. La
finanziaria pura che gestisce solo capitale non è interessata e non vuole
nemmeno sapere cosa produce l'impresa o chi finanzia la banca. L'unico
interesse di una vera finanziaria di alto livello è di produrre il massimo
profitto possibile esclusivamente trasferendo capitali da un tipo di
investimento ad un altro solo in cerca del massimo profitto; e non c'è altra
logica che questa.
Queste sono cose che accadono tutti i giorni a Roma, Zurigo, Milano, nei
centri di brokeraggio, cioè dove si fanno le grandi transazioni economiche,
dove passano velocissimi tutti i dati di tutti i possibili investimenti nel
mondo, dove si sposta in tempo reale capitale da una parte all'altra della
Terra, da una banca ad un'altra o da un istituto ad un altro, anche solo per
alcune ore. Oggi tutte le banche, o quasi, sono telematizzate e questo
significa che i soldi appena depositati possono essere subito dopo investiti
da qualche altra parte del mondo. Si può spostare qualche migliaio di
miliardi nel giro di 2 o 3 minuti da Hong Kong a Francoforte o a Milano,
così come si può decidere di abbattere una valuta. Questi movimenti
avvengono poi per decisioni di privati investitori, di grossissime ed enormi
concentrazioni di capitali privati, senza che nessun governo possa farci
assolutamente nulla, perché non sono controllabili.
C'è quindi un enorme flusso di capitali che si sposta attraverso Internet,
attraverso reti telematiche, e nessun governo può farci assolutamente
niente;  e lo stesso flusso di capitali non è d'altra parte affatto
interessato a che cosa si farà di quel capitale: non interessa se può
servire a produrre armi o produrre medicine, o quali medicine produrre, o a
produrre droga, o a produrre beni culturali, ecc.. L'unico interesse è, come
detto, mettere i soldi dove si trova il massimo profitto possibile. La
realtà tragica con cui dobbiamo fare i conti è questa: la struttura
finanziaria non è interessata in alcun modo a cosa si produce, né a
sovvenire ai bisogni dei più poveri perché i poveri hanno pochi soldi e
quindi, essendoci poco vantaggio economico, in genere non si investe per
produrre cose che servono ai poveri. Le società finanziarie cercano solo di
massimizzare il profitto e non possono fare altro che questo, non possono
fare diversamente, perché altrimenti uscirebbero immediatamente dal giro del
mercato e sarebbero perdute. Quindi il concetto di sviluppo che nasce è
esclusivamente quantitativo, e non tanto in termini di massimizzazione della
produzione, ma di massimizzazione del profitto che viene dal prodotto.
Succede quindi che i veri bisogni essenziali dei più poveri non vanno
nemmeno sul mercato, non diventano nemmeno domanda di vendita perché i
poveri non hanno soldi per comprare e così nessuno produce per i poveri. Per
chi si produce quindi, per chi si aumenta la produzione? Per chi ha soldi
per pagare.
Il mondo intero è ormai governato in questo modo, è un fenomeno planetario.
E in questo sistema finanziario non esiste nemmeno un posto preciso dove
avviene la regolazione del sistema economico-finanziario mondiale. Prima
c'era la borsa di Londra, di New York; oggi no, perché le transazioni si
operano attraverso sistemi di comunicazione di massa, attraverso i
microchips, attraverso l'informatica e quindi, in realtà, non si sa chi
siano i veri detentori del potere economico. Questi operano nel cyberspazio,
nello spazio virtuale e non c'è più modo di andare a controllare dove sono,
in che Stato sono e quali sono le loro centrali di potere. Così tutte queste
concentrazioni di capitale sono spaventose. Non si sa dove siano e non si
può individuare chi le gestisce. Una cosa sola è certa: che vengono sempre
gestite per massimizzare il profitto ottenuto attraverso il passaggio di
capitale da una parte all'altra del mondo.
Ci vuole poco a fare una società e non sapere di chi è. Si prendono ad
esempio tre persone e si fa una società di comodo in Lussemburgo, davanti ad
un notaio. Vi si dà un capitale, si fa un consiglio di amministrazione fatto
di tre burattini che non contano niente e la gestione della società si manda
alle Bahamas, alle Antille o ad Hong Kong, o dove difficilmente può essere
controllata dalla centrale europea. La società è così registrata in
Lussemburgo, la parte operativa è ad Hong Kong, e in qualche parte, in
qualche modestissimo studio notarile di Hong Kong, c'è una carta in cui
questi tre burattini dicono che rinunciano a tutti i loro beni ed interessi
della società in favore dei veri padroni. Nessuno saprà mai in quale
cassetto polveroso di quale stanzetta di quale notaio di Hong Kong o di
Nassau è nascosta quella carta. Quindi nessuno saprà chi controlla tutto
questo sistema, ed il sistema ovviamente è uno. E questo unico sistema è in
un equilibrio che è legato al concetto di mercato. Il mercato è il luogo
dove ciascuno cerca di fare gli affari meglio che può.
Tradizionalmente nel mercato c'era un'esigenza di chi vendeva le cose e
un'esigenza di chi le comprava, ed il punto di incontro di queste due
esigenze si chiamava, e si chiama ancora, il punto di equilibrio del
mercato. Tutto questo va bene finché il mercato è fra soggetti che hanno
mediamente le stesse potenzialità economiche; perché, se uno va sul mercato
e può dettare il prezzo, gli equilibri non esistono più per tutti, ma
esistono solo per chi decide il prezzo. Tutti si appellano oggi al
Neoliberismo, ma quando Adam Smith parlava di mercato libero non parlava del
mercato che c'è oggi: parlava del mercato all'interno dell'Inghilterra (non
ha mai sognato un mercato di capitali e di merci con l'estero), fra gente
che relativamente aveva sì poteri, ma non eccessivi.
Il mercato di Smith, teorizzato dal liberismo, è un mercato in cui, per
principio, nessuno deve avere tanto potere da poter da solo modificare il
prezzo che trova sul mercato. Questa è la definizione di tutti i testi di
economia. Quando il mercato è mondiale questo non succede piò perché è
chiaro che ci sono tre o quattro centri di potere che hanno la possibilità
di determinare da soli il prezzo del mercato. Oggi questo mercato a livello
planetario, fra paesi poverissimi e debolissimi e paesi estremamente forti,
non ha più senso perché vince sempre ed inevitabilmente il più forte e perde
inevitabilmente il più debole. Questa è l'economia di mercato che ci si
vuole vendere come mercato libero.
Il mercato libero consiste in questo: se un Paese povero ha una monocoltura,
il suo prodotto lo compriamo noi, Paesi ricchi, al prezzo che decidiamo noi.
E a quel prezzo, qualunque esso sia, il Paese povero deve vendere per forza
perché non ha altro per campare. Quando poi con quei pochi dollari presi
vuole comprare manufatti da noi (perché nei paesi poveri di manufatti se ne
fanno pochi) il prezzo glielo facciamo ancora noi. Cioè i Paesi poveri
devono vendere al prezzo che il mercato del Nord impone perché non hanno
altrove dove vendere, e devono comprare al prezzo che il mercato del Nord
impone. Questo viene chiamato simpaticamente "mercato libero".
Consideriamo, come esempio, l'evoluzione dell'industria manifatturiera dal
secolo scorso al nostro secolo. A partire dalla metà del secolo scorso il
prodotto manifatturiero nei Paesi poveri si è ridotto a zero, e solo ora si
sta riprendendo per quei pochi paesi del Pacifico che stanno crescendo
rapidissimamente, ma a caro prezzo. Questo significa che la gente di tutti i
Paesi poveri, se vuole comprare un manufatto, normalmente lo deve comprare
in dollari e per avere i dollari deve vendere, per forza di cose, tutto
quello che può produrre da esportare (agricoltura, miniere, ecc.). Siccome
gli unici compratori sono i Paesi ricchi, sono questi ultimi a fare sempre
il prezzo senza possibilità di trattative.
Un controllo di questo indicatore si ha considerando il consumo di energia.
Il consumo dell'energia è la condizione per produrre manufatti, perché senza
l'energia non si produce nulla. L'energia serve a produrre ed ai trasporti.
I maggiori consumatori di energia sono gli Stati Uniti, la Germania, il
Giappone, la Francia, l'Italia, l'Inghilterra; poi ci sono Taiwan e Sud
Corea, che fanno parte di quell'eccezione di cui si parlava prima; dopo
questi due si arriva ad un consumo di energia ridicolo (l'energia per
persona è tradotta nella tipica unità di misura di tonnellate di petrolio
equivalenti). Il consumo di energia per persona va dai 7-8 tonnellate
equivalenti negli Stati Uniti, ai 3,5-4,5 in Europa, ai 2,5 in Sud Corea.
Dopo si passa al Cile a circa 1, e poi all'India, Cina, Pakistan, Indonesia
e Brasile attorno a 0,7. Questo è un indicatore importantissimo perché fa
capire subito quale è la condizione del mercato. Questi ultimi Paesi, con
questa disponibilità di energia, non potrebbero produrre nemmeno se
volessero. E siccome la parte di famiglia umana che ha pochissima energia
disponibile costituisce la grande maggioranza dei Paesi del mondo, se si
volesse aumentare anche di poco, di qualche kilowatt a testa, l'energia
disponibile per loro, senza comunque far loro raggiungere i nostri livelli,
si produrrebbe nell'atmosfera un inquinamento d'aria insopportabile che in
vent'anni diventerebbe irrespirabile e ammazzerebbe tutta l'umanità. Tanto
più che il rendimento energetico dei Paesi più poveri e meno alfabetizzati è
molto più basso di quello dei Paesi ricchi, ossia i primi consumano
necessariamente più energia per avere lo stesso risultato, perché se ad
esempio nel Nord si rompe l'iniettore di un diesel normalmente si porta ad
accomodare alla filiale Fiat o Mercedes o altro, mentre nel Sud possono solo
cercare di aggiustarlo con il martello, e non ci riescono. Ci sono fumi
orribili  in tutti i Paesi poveri. Bisognerebbe quindi aumentare di molto
l'energia a disposizione di questa grande maggioranza dell'umanità per avere
un minimo di rendimento energetico in più: e questo è impossibile a farsi e,
se non si vuol morire tutti, bisogna stare cosÏ.
Quando si parla di "fame nel mondo" non si parla quindi solo di un fenomeno
episodico, ma si parla di un fenomeno cui non si rimedia con i pacchi dono,
con i sussidi o con gli aiuti economici. E' proprio un modo di concepire, di
controllare tutta la vita economica nella sua complessità di produzione,
distribuzione, ricerca, scambio, investimenti, ecc., che produce
inevitabilmente queste conseguenze. Questa è la tragedia.
Il guaio è che questo succede anche da noi. Infatti da noi sta aumentando la
disoccupazione, e questo era previsto da dieci anni, perché le nuove
tecnologie servono a diminuire l'occupazione così come gli investimenti, che
in genere non servono ad aumentarla, ma ad investire in macchinari che
permettono di fare con un operaio quello che prima si faceva con cento
operai. Oggi si produce con sistemi a sempre più elevata tecnologia:  gli
operai e i posti più qualificati, cosÏ come i loro guadagni, crescono,
mentre quelli meno qualificati hanno una perdita terribile di guadagno
rispetto a quegli altri, perché valgono poco. Si sta aprendo una forbice non
solo nell'Italia, ma in tutta Europa, tutto il Nord, fra disoccupazione e
sottopagamento di tutti i lavoratori non altamente specializzati, e quei
pochi che invece sono altamente specializzati. Questa forbice creerà, li sta
già creando, guasti sociali anche da noi nel Nord, e non si può cambiare una
situazione così solo con provvedimenti temporanei. Questa stessa situazione
è altamente preoccupante perché tutti i lavoratori "bottom" (la parte bassa
della forbice) sono sostituibili con lavoratori non specializzati presi dai
Paesi poveri, preferibili solo perché prendono salari più bassi.
Consideriamo ad esempio il costo del lavoro dei lavoratori impiegati nel
settore manifatturiero (cioè in tutti i settori fuorché l'agricoltura e le
miniere) e vediamo quali bugie vengono sfacciatamente dette dai nostri
padroni, anche in Italia. Per costo del lavoro intendiamo quello complessivo
per il datore di lavoro, cioè non solo lo stipendio, ma anche i contributi,
le assistenze, le pensioni, ossia inclusi tutti i costi "non salario". In
Germania questo costo è di  25 dollari l'ora, in Italia circa di 15 dollari:
è inutile quindi che si venga a dire di essere competitivi riducendo i
salari, perché l'Italia, dove il padrone paga 15 dollari l'ora, già è più
competitiva della Germania, dove ne paga 25.
Taiwan, Singapore, Sud Corea e Hong Kong, ossia le "quattro tigri" già
accennate, crescono economicamente, hanno grande potenziale economico e sono
oggetto di molti investimenti, ma l'operaio non arriva a percepire che 4-5
dollari l'ora (poi in effetti ne prende di meno perché questo è il costo
complessivo). E' chiaro allora che, per chi investe, conviene produrre là.
In Brasile poi si arriva a 2 dollari l'ora come costo globale per il datore
di lavoro. Questa è la tragedia umana che si sta sviluppando e cresce
continuamente: non conviene pagare i nostri lavoratori non specializzati,
conviene mandare a fare la produzione in Polonia, Thailandia, Cina, India,
Brasile, anche perché poi il costo del trasporto del bene prodotto per unità
è irrisorio. Nel Nord si crea sempre più disoccupazione e salari bassissimi
rispetto a lavoratori altamente qualificati che hanno invece salari
crescenti. E questo è solo uno degli effetti boomerang di questo modello di
sviluppo
La conclusione può essere questa: per i cristiani credenti, portatori di un
Vangelo che ci dice che la giustizia di Dio è sempre la giustizia verso il
povero, il più debole, e che bisogna scegliere tra Dio e ricchezza, i beni
terreni non dovrebbero avere nessun particolare significato, se non quello
di aiutarci a meglio servire il prossimo. L'unico significato dei beni
terreni per un cristiano non può essere che questo: prepararsi, avere gli
strumenti per servire gli altri. Invece oggi si vive in una logica
completamente opposta, per la quale l'aver di più, solo perché è di più, è
un fine in sé. Quando ad esempio si mettono i risparmi in un conto corrente,
in una banca, in buoni del tesoro, in fondi di investimento, si cerca
evidentemente ciò che dà il massimo dell'interesse possibile. Per poi farci
cosa, con questo interesse? Se uno è povero ci si compra da vivere, ma se
uno possiede già ed è abbastanza ricco, allora quello che ha di interesse e
di profitto serve a essere reinvestito per creare altro profitto che servirà
ancora a creare altro profitto, e cosÏ all'infinito. Cioè il sistema è
governato ormai dal valore in sé dell'avere di più, e questo sembra sfuggire
ad ogni prescrizione etica.
Siamo agli opposti del Vangelo che dice "Non si può servire due padroni" e
"Se non siete fedeli ad una ricchezza giusta chi vi darà la ricchezza
vera?". Ricchezza che per i cristiani è solo il Signore ed il suo Regno, un
regno di giustizia, di fraternità, di aiuto reciproco. Noi siamo portatori
di questo Vangelo, ma noi nel mondo cristiano del Nord, e la parte Nord del
mondo è quasi tutta cristiana, in un modo o in un altro, abbiamo lasciato
maturare questa situazione. Questa è una tragedia enorme, è un fallimento
dell'annuncio del Vangelo di cui noi in qualche misura, sia pur piccola,
siamo anche responsabili. La ricchezza per noi non è mai un bene
desiderabile in sé. E' desiderabile solo per poter lavorare meglio, servire
e mettere a disposizione degli altri. Non è il fatto di avere introiti
robusti che è peccato, altrimenti tutti i ricchi andrebbero all'inferno. E'
che bisogna incominciare a investire laddove con certezza si sa che
líinvestimento non sarà in armi, in droga, ecc. Allora ecco che diventa
importante il Commercio Equo e Solidale, le MAG, e tutte queste iniziative
che sono esperienze interessanti anche se ancora piccolissime, bricioline al
confronto.
Questo Vangelo noi dobbiamo portarlo in un mondo in cui tutta la vita umana
in tutti i suoi aspetti è subordinata alla logica economica dominante, alla
logica del mercato, della prevalenza del più forte sul più debole, della
lotta per avere di più a spese degli altri. Oggi l'economia è fine a se
stessa e tutto il resto della convivenza è subordinato a questo fine
dell'economia, quando invece dovrebbe essere esattamente il contrario:
l'economia, l'attività economica non è un fine in sé, perché per l'essere
umano non é un fine in sé l'avere di più, e l'attività economica deve essere
sempre pensata a finalità non economiche. Il che non vuol dire finalità
antieconomiche, ma semplicemente altre finalità: quali l'essere umano, lo
sviluppo degli esseri umani, la cultura, la società, la vita associata, la
salute, che sono poi tutti beni essenziali. Lo sviluppo globale dell'uomo
consiste sì nell'avere beni disponibili, di avere una certa libertà di usare
dei propri soldi, dei propri guadagni, ma certamente i beni essenziali per
un minimo di dignità della persona umana devono essere disponibili. Con
questo sistema non sono disponibili: almeno due terzi della famiglia umana
sulla faccia della terra oggi non ha disponibilità sufficiente di beni
essenziali per il minimo di dignità di un essere umano. La gente delle
favelas o dell'Africa Centrale vive non solo abbrutita totalmente per
l'assoluta mancanza di beni, ma vive senza speranze, perché non ha niente,
non ha nessuna dignità, non sa nemmeno perché è al mondo. E' una cosa
spaventosa.
Questa è la condizione della maggior parte della famiglia umana. Sono
umiliati e offesi, da noi. E' gente senza speranze, senza dignità, senza più
niente. Bisognerebbe andarci qualche volta e, invece di andare in giro per
turismo, ci si potrebbe mettere d'accordo con un gruppo missionario e fare
un viaggio e vedere, viverci in mezzo, allora si capisce la realtà. Basta
andare in un posto e poi sono tutti uguali. Andare alla periferia di
Giacarta è come andare alla periferia di Rio de Janeiro o di Città del
Messico. Questa è la degradazione totale dell'essere umano ridotto a non
avere più nessun orizzonte di fronte a sé, nessuna speranza per i propri
figlioli, nessuna dignità di fronte agli altri.
L'attività economica dovrebbe essere indirizzata, come ha scritto Paolo VI
nella grande enciclica Populorum Progressio, allo sviluppo di tutto l'uomo,
globale, in tutte le sue componenti: questo è il compito enorme. Al numero
77 della Gaudium et Spes  viene descritta la nuova e nobilissima concezione
della pace, che consiste nel rendere più umana la vita di ogni essere umano
ovunque sulla faccia della terra". Questa è l'idea di pace che il Concilio
Vaticano II ci ha dato, e da un Concilio indietro non si torna. Ebbene, la
situazione attuale che noi "sponsorizziamo" con le nostre scelte, a volte
con il nostro stile di vita, con la nostra vastità di impegno sociale,
culturale, politico, tradisce completamente la nostra missione di essere
operatori di pace. E solo chi è operatore di pace, dice il Vangelo, sarà
chiamato figlio di Dio,  cioè colui che veramente segue la logica di suo
Padre. Questo è il figlio di Dio, quello che ragiona come il Padre, e solo
chi è operatore di pace lo è.
Il quadro presentato è dunque un quadro triste, sembra senza speranze, ma
non è vero, ci sono possibilità. Ci sono anche forze, non prevalenti in
questo momento, ma che comunque potranno prevalere prima o poi, ma certo non
succederà se tutti ce ne stiamo fermi a vedere quello che ci succede
attorno. Fermi a vedere la distruzione di speranze umane, di famiglie umane.
Questo impegno è possibile, è finalizzabile solo con scopi precisi quali la
testimonianza di vita personale, l'uso dei propri beni, l'impegno nel
sociale, l'impegno nella cultura, l'impegno nella politica. Non si può far
molto, ma qualcosa si può fare all'interno di uno Stato o di un governo
mettendo sempre al primo posto la preoccupazione per i miseri della terra.
Guai ad uscire da questo binario.

8. RIFLESSIONE. CHRISTINA G. ROSSETTI: BOCCIOLI E BAMBINI
[Questo testo abbiamo estratto da Christina G. Rossetti, Il cielo e'
lontano. Poesie 1847-1881, Rizzoli, Milano 1995, p. 307. La traduzione e' di
Giuliana Scudder.
Christina Rossetti (1830-1894) e' considerata la piu' grande poetessa
inglese dell'Ottocento]

* Boccioli e bambini

Milioni di boccioli nascono e non si schiudono,
levano il capo grazioso, dolce promessa
per fiorire e appassire su un letto arido
senza lasciare frutto.

Teneri e incompiuti. Ma la loro fragilita'
mi ha insegnato una gioia:
nulla e' mai stato bello invano,
mai invano buono.

9. MATERIALI. PER STUDIARE LA GLOBALIZZAZIONE: DA FERNANDA PIVANO A ROCCO
POMPEO

* FERNANDA PIVANO
Profilo: intellettuale italiana impegnata nei movimenti per i diritti
civili, studiosa della cultura americana e personalmente intensamente
partecipe delle più rilevanti esperienze di impegno civile, artistiche,
letterarie e culturali nordamericane novecentesche (e particolarmente di
quelle legate alla cultura ed alla militanza democratica e radicale,
pacifista ed antirazzista, di opposizione e di contestazione, ed agli stili
di vita alternativi). Opere di Fernanda Pivano: oltre a numerose e
giustamente celebri traduzioni (tra cui la classica versione dell'Antologia
di Spoon River, di Edgar Lee Masters, la stupenda raccolta di poesie di
Allen Ginsberg, Jukebox all'idrogeno; la fondamentale antologia Poesia degli
ultimi americani), ha pubblicato tra altri volumi le raccolte di saggi: La
balena bianca e altri miti, 1961; America rosso e nera, 1964; Le belle
ragazze, 1965; L'altra America negli anni Sessanta, 1971; "Pianeta Fresco",
1967; Beat hippie yippie, 1972, Mostri degli anni Venti, 1976, C'era una
volta il beat, 1976, Hemingway, 1985.

* ALESSANDRO PIZZI
Profilo: insegnante, già sindaco di Soriano nel Cimino, impegnato nella
solidarietà, per la pace e i diritti umani, ha preso parte a rilevanti
iniziative nonviolente.

* SYLVIA PLATH
Profilo: poetessa, nata a Boston nel 1932, si uccise nel 1963. Opere di
Sylvia Plath: oltre ai versi, in italiano disponibili nelle raccolte Lady
Lazarus e altre poesie, Mondadori, Milano 1976, 1998; e in Le muse
inquietanti ed altre poesie, Mondadori, Milano 1985; cfr. anche il romanzo
autobiografico La campana di vetro, Mondadori, Milano 1968, 1987. Opere su
Sylvia Plath: è indispensabile leggere la poesia di Robin Morgan, Accusa, in
AA. VV., La poesia femminista, Savelli, Roma 1974. Cfr. anche il volumetto
Sylvia Plath in immagini e parole, Ripostes, Salerno-Roma 1996.

* KARL POLANYI
Profilo: 1896-1964, studiò diritto e filosofia  a Budapest, fu poi a Vienna,
emigrò in Inghilterra e poi negli Stati Uniti. Docente e storico dell'
economia. Opere di Karl Polanyi: La grande trasformazione; Traffici e
mercati negli antichi imperi; Il Dahomey e la tratta degli schiavi; Economie
primitive, arcaiche e moderne; La sussistenza dell'uomo; tutte presso
Einaudi. Opere su Karl Polanyi: Edoardo Grendi, Polanyi, Etas.

* GABRIELLA POLI
Profilo: nata a Torino, impegnata nella Resistenza, giornalista e
scrittrice. Opere di Gabriella Poli: (con Giorgio Calcagno), Echi di una
voce perduta. Incontri, interviste e conversazioni con Primo Levi, Mursia,
Milano 1992.

* LEON POLIAKOV
Profilo: nato a Leningrado nel 1910, vissuto in Francia dal 1920, è
scomparso nel 1997. Prese parte alla Resistenza; successivamente fondò il
"Centro di documentazione ebraica contemporanea", e prese parte come esperto
al processo di Norimberga contro i criminali nazisti. E' stato direttore di
ricerche al CNRS. Tra i massimi storici contemporanei, autore di
fondamentali opere sull'antisemitismo e sul nazismo e lo sterminio degli
ebrei, i suoi lavori costituiscono un fondamentale punto di riferimento per
la cultura democratica. Opere di Léon Poliakov: Storia dell'antisemitismo,
La Nuova Italia, Firenze; Il nazismo e lo sterminio degli ebrei, Einaudi,
Torino.

* SIRIO POLITI
Profilo: prete operaio, impegnato nei movimenti nonviolenti, presidente del
MIR. E' scomparso a Viareggio nel 1988. Opere di Sirio Politi: cfr. almeno
Uno di loro. Pensieri ed esperienze di un prete operaio, Gribaudi, Torino.

* GEORGES POLITZER
Profilo: di origine ungherese (era nato in Transilvania nel 1903), si
trasferisce a Parigi dal 1921; filosofo marxista e militante comunista, è
assassinato dai nazisti nel 1942.

* ROCCO POMPEO
Profilo: impegnato nel Movimento Nonviolento.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ;
angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 227 del 13 settembre 2001