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La nonviolenza e' in cammino. 227
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 227
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 13 Sep 2001 10:37:16 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 227 del 13 settembre 2001 Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini, solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' 2. la redazione del mensile "Il foglio", sviluppare la cultura di pace 3. Giuliano Pontara, guardiamo all'esempio di Gandhi 4. Peacelink, il nostro dolore 5. Antonio Bruno, la violenza puo' essere combattuta esclusivamente con la nonviolenza 6. Flavio Lotti, Nicola Giandomenico: per la pace e la riconciliazione tra tutti i popoli 7. Enrico Chiavacci, un mondo ridotto a mercato 8. Christina G. Rossetti, boccioli e bambini 9. Per studiare la globalizzazione: da Fernanda Pivano a Rocco Pompeo 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: SOLO LA NONVIOLENZA PUO' SALVARE L'UMANITA' Il dolore, che tutti ci accomuna. Il dolore lacerante e inestinguibile ogni volta che un essere umano perde la vita. E la facolta' di pensare, che tutti ci accomuna. La facolta' di unirci, l'umanita' intera, contro il male e la morte. Che vi siano al mondo esseri umani resi cosi' disperati e alienati da essere disposti a uccidere ed essere uccisi: questa e' la logica che presiede a tutti gli eserciti e a tutti i terrorismi, a tutte le guerre e a tutte le stragi. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'. 2. RIFLESSIONE. LA REDAZIONE DEL MENSILE "IL FOGLIO": SVILUPPARE LA CULTURA DI PACE [Il mensile "Il foglio" di Torino e' da decenni una delle piu' rilevanti esperienze della cultura della pace in Italia. Ringraziamo Enrico Peyretti per averci messo a disposizione questo testo] Proprio chi, come noi, in nome dei diritti umani, della giustizia e della nonviolenza positiva, ha condannato in questi anni la politica mondiale degli Stati Uniti, oggi condanna totalmente e senza alcuna riserva le enormi stragi terroristiche contro le citta' e il popolo statunitense, al quale esprimiamo la nostra calda umana solidarieta'. La violenza diretta che, col pretesto di attaccare un dominio politico ed economico, compie stragi di esseri umani, e' criminale, e' priva di ogni possibile giustificabilita', non e' alternativa ma omogenea e funzionale alla violenza strutturale del dominio. Il terrorismo omicida e disperato puo' essere indebolito e vinto praticando una politica che tolga le cause da cui esso trae motivo o pretesto per simili ingiustissimi atti, e sviluppando la cultura di pace, di nonviolenza, di eguaglianza di diritti e di giustizia economica tra i popoli. 3. RIFLESSIONE. GIULIANO PONTARA: GUARDIAMO ALL'ESEMPIO DI GANDHI [Questo intervento di Giuliano Pontara e' apparso nel sito di Unimondo, e ci e' stato trasmesso da Pasquale Pugliese. Giuliano Pontara, nato a Cles (Trento) nel 1932, vive e lavora in Svezia dal 1953, docente di filosofia all'Universita' di Stoccolma e alla IUPIP di Rovereto, e' impegnato nella peace research e nei movimenti nonviolenti; e' uno dei piu' importanti studiosi di filosofia morale viventi] Questo agli Stati Uniti d'America e' un attacco al cuore dell'impero: o per lo meno cosi' sara' visto dalla maggior parte della classe politica mondiale. Anche la difesa piu' forte della storia umana, dimostra la sua vulnerabilita'. E' la dimostrazione che non e' possibile difendere un paese armandosi fino ai denti e che e' inutile promuovere costosissimi progetti di scudi stellari perche' cosi' si entra nel vicolo sempre piu' chiuso della violenza. Ci sara' un'ondata di odio e desiderio di repressione enorme. I movimenti nonviolenti devono cercare di fare quello che hanno sempre fatto. Questo continuo processo di escalation della violenza - la violenza della globalizzazione sostenuta anche militarmente dalle grandi potenze - porta inevitabilmente alla globalizzazione della violenza, alimenta il terrorismo internazionale (di stato o meno) che colpisce sempre piu' la popolazione civile. Da studioso, non posso che esprimere preoccupazione di fronte ad uno scenario che potrebbe assumere i connotati di una terza guerra mondiale di dimensioni terribili. Mai come ora si ripropone urgentissimo il bisogno di ricorrere agli strumenti della nonviolenza senza lasciarsi prendere dal desiderio di vendette. Lo ribadisco: non ci sono altre misure contro i rischi di un'escalation se non l'intensificarsi di processi di distensione, e mi riferisco anche a tutti i conflitti locali e a bassa intensita', come quello arabo-israeliano e le molte guerre che devastano l'Africa. I movimenti, le ong, le associazioni devono continuare a fare quello che hanno fatto e stanno facendo, fermi nella loro linea di nonviolenza: guardiamo all'esempio di Gandhi nei momenti di massima tensione in India. 4. RIFLESSIONE. PEACELINK: IL NOSTRO DOLORE [Questo intervento e' apparso come editoriale nel sito di Peacelink] Le stragi che hanno colpito il popolo americano sono qualcosa di orribile e insensato. Condanniamo ogni atto di violenza e di morte. Ci auguriamo che a questo sangue innocente non se ne aggiunga altro, e che per questioni di orgoglio nazionale non si cerchi un facile capro espiatorio da consumare sull'altare mediatico. Quanto e' accaduto va condannato con tutta la fermezza possibile ma non puo' in ogni caso costuire la premessa per dare mano libera ai professionisti della vendetta. 5. RIFLESSIONE. ANTONIO BRUNO: LA VIOLENZA PUO' ESSERE COMBATTUTA ESCLUSIVAMENTE CON LA NONVIOLENZA [Antonio Bruno, vicepresidente del consiglio comunale di Genova, e' impegnato da sempre nei movimenti pacifisti e nonviolenti] La terribile sequenza di attentati che hanno causato migliaia di morti negli Stati Uniti interpella tutta l'umanita' e, in particolare, il movimento pacifista che e' impegnato nella costruzione di un mondo diverso da quello capitalista neoliberista. Non e' sufficiente la condanna netta della violenza, ovunque venga fatta. La violenza puo' essere combattuta esclusivamente con la nonviolenza. Bisogna togliere l'acqua in cui i terroristi prosperano, aumentando la democrazia, dando dignita' a tutti i popoli. La spirale violenza-repressione non puo' che portare ad ulteriori lutti e non risolvera' mai alla radice i problemi che stanno alla base di tanta distruzione e di tanti lutti. 6. RIFLESSIONE. FLAVIO LOTTI, NICOLA GIANDOMENICO: PER LA PACE E LA RICONCILIAZIONE TRA TUTTI I POPOLI [Flavio Lotti e padre Nicola Giandomenico sono coordinatori della Tavola della Pace, il network pacifista che promuove la marcia Perugia-Assisi] Di fronte alla tragedia che ieri ha colpito gli Stati Uniti, vogliamo esprimere al popolo americano e alle famiglie di tutte le vittime un forte sentimento di solidarieta'. Con loro condividiamo un profondo dolore, l'angoscia e il senso di smarrimento che sta scuotendo le nostre vite e il mondo intero. Nessuna giustificazione puo' coprire un simile atto di terrorismo condotto contro decine di migliaia di persone innocenti. La condanna deve essere ferma, netta e unanime, cosi' come deve essere la reazione di tutte le donne e gli uomini amanti della pace. Questi terribili attentati terroristici devono farci riflettere. I loro effetti si sono gia' propagati in tutto il mondo e sono destinati a durare a lungo. Facciamo appello al senso di responsabilita' di tutti i capi di Stato e di Governo: non possiamo lasciarci travolgere da una inondazione di odio, sangue e terrore. Dobbiamo evitare di restare intrappolati in un vortice sanguinoso di violenza, guerre e terrorismo su scala mondiale. Non solo l'America, ma il mondo intero sta diventando piu' insicuro. Questo e' il momento in cui tutti i popoli e gli Stati della Terra si devono unire per mettere un freno al disordine internazionale che minaccia tutti e per costruire un nuovo ordine mondiale fondato sul rispetto della vita e sul ripudio della violenza, della guerra e del terrorismo. Per rendere il mondo piu' sicuro e' necessario promuovere piu' cooperazione internazionale a tutti i livelli e in tutti i campi. Nessuno puo' piu' pensare di isolarsi. La pace e la sicurezza sono beni comuni globali indivisibili. Dobbiamo costruire pace e sicurezza per tutti. O non ci sara' per nessuno. All'assunzione di responsabilita' di molte organizzazioni della societa' civile deve corrispondere un nuovo e diverso impegno degli Stati. Nessuno puo' farcela da solo. Abbiamo bisogno di rafforzare subito le Nazioni Unite (unica "casa comune" di tutti i popoli del mondo) e tutte le istituzioni internazionali democratiche dove occorre costruire le risposte alla disperata domanda di sicurezza, di pace e di giustizia che sale da ogni angolo del pianeta. Popoli e governi, societa' civile e istituzioni debbono unirsi nell'indispensabile tentativo di mettere fine a tutti i conflitti e alle grandi violazioni dei diritti umani che continuano ad insanguinare il mondo. Abbiamo bisogno di costruire nuovi ponti e non nuovi muri. Abbiamo bisogno di combattere l'egoismo, il cinismo, l'indifferenza, tutte le forme di razzismo ed esclusione economica e sociale che alimentano la disperazione. Abbiamo bisogno di donne e uomini che riscoprano il senso vero e il primato della politica e si mettano al servizio del bene comune globale. Il nostro e' un appello alla calma, al senso di responsabilita' e all'impegno per la pace. Il futuro e' nelle nostre mani. E' con questo spirito e questa consapevolezza che il prossimo 14 ottobre marceremo in tanti da Perugia ad Assisi contro ogni forma di violenza e terrorismo, per la pace e la riconciliazione tra tutti i popoli. 7. MATERIALI. ENRICO CHIAVACCI: UN MONDO RIDOTTO A MERCATO [La seguente conferenza e' stata tenuta da Enrico Chiavacci a Viterbo il 10 gennaio 1995 nell'ambito di un ciclo di incotnri promosso dagli obiettori di coscienza della Caritas di Viterbo. La trascrizione non e' stata rivista dall'autore (ed ovviamente può contenere degli errori, il lettore è pregato di tenerne conto). Enrico Chiavacci e' docente di teologia morale allo Studio Teologico Fiorentino, e membro della Commissione dei diritti dell'uomo di Pax Christi International. Opere di Enrico Chiavacci: l'opera fondamentale ci sembra la sua Teologia morale, di cui sono sin qui usciti quattro tomi, presso la Cittadella di Assisi; si vedano anche: Proposte morali tra l'antico e il nuovo, Cittadella, Assisi 1973; Invito alla teologia morale, Queriniana, Brescia 1995; e con Massimo Livi Bacci, Etica e riproduzione, Le Lettere, Firenze 1995; una raccolta di saggi, conferenze e interventi sulla pace è Dal dominio alla pace, La Meridiana, Molfetta 1993. Cfr. inoltre Lezioni brevi di etica sociale, Cittadella, Assisi 1999; Lezioni brevi di bioetica, Cittadella, Assisi 2000] L'idea di pace espressa da Gesù agli apostoli il giorno della resurrezione e nelle beatitudini, non era solamente l'assenza di guerra. Il concetto di pace in tutta la Bibbia è lo "shalom", sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento. Esso indica sempre l'ordine voluto da Dio, la percezione della volontà divina, così come traspare da tutta la Scrittura. Si può riassumere il concetto di pace in due punti fondamentali. Il primo, come fine di ogni forma di oppressione, di dominio, di prevaricazione dell'uomo sull'uomo: e questo è il punto fondamentale. Il secondo, come fraternità universale, cioè una convivenza nella solidarietà. Il termine solidarietà oggi ha perso di significato, per questo si preferisce il termine "corresponsabilità": ognuno di noi è qui per gli altri, non prima per sé e quel che avanza per gli altri. Ognuno di noi è chiamato al mondo da Dio per vivere con gli altri e per gli altri. In questo senso si possono cogliere due significati: uno è il dovere morale, impegno contro ogni stato di cose oppressive, il secondo è questa fraternità universale che non conosce frontiere, né di lingua, né di razza, né di religione, tantomeno frontiere politiche create da uomini. In questo senso non esiste il concetto di frontiera, di limite, di voler bene a questi e non a quegli altri: Cristo è morto per tutti. Questa e molte forme dell'oppressione dell'uomo sull'uomo, per i bisogni e le urgenze della solidarietà, dell'esercizio di una vera corresponsabilità, variano però nella storia, perché è la condizione storica concreta a cambiare continuamente. Se oggi siamo arrivati, con gli strumenti tecnici che abbiamo, a certe distribuzioni di potere e di forza è perché siamo giunti ad una situazione del tutto nuova nella storia dell'umanità. L'oppressione dell'uomo sull'uomo oggi ha forme planetarie e strutture planetarie, con forme di oppressione e con relative strutture che coprono tutta la famiglia umana. Quando, ad esempio, uno Stato fa la sua guerra, tutti gli altri Stati sono interconnessi in qualche modo perché facenti parte di un unico sistema. Queste forme, queste strutture oppressive che oggi sono spaventose perché governano l'intera famiglia umana, sono fondamentalmente tre: l'oppressione politico-militare, che si esercita attraverso armi, guerre e stati sovrani che combattono fra di loro; l' oppressione economica; l'oppressione mediale che dagli ultimi venti anni si esercita attraverso i mezzi di comunicazione di massa. Il discorso è complesso, e, soprattutto, bisogna allargarlo oltre i confini italiani perché le strutture hanno dimensioni ormai planetarie, cosicché i problemi italiani, anche se gravissimi, devono essere intesi in un quadro di oppressione planetaria, decisa da pochi centri di potere. Ecco allora che si pone il problema di comprendere quali siano queste forme oppressive e di vedere come si può reagire ed impegnarsi sulla terra per diminuire, ridurre fino ad eliminare questa tragica oppressione. E' vero che "l'economia uccide". Se ci furono 20-30 milioni di morti nella seconda guerra mondiale oggi ci sono 40-50 milioni di morti l'anno solo per stenti, fame e miseria. Per non parlare poi delle centinaia di milioni di persone che negli stenti e nella miseria ci vivono. Questa situazione è emersa negli anni Settanta ed ora è veramente tragica. Solo conoscendo e cercando in qualche modo di spiegare i meccanismi di questo sistema economico che uccide, possiamo poi combatterlo. Soprattutto è necessario conoscere le forme di oppressione dell'uomo sull'uomo nel campo dell'economia che sono fallimento delle idee di pace. Oggi i 4/5 della famiglia umana vivono in povertà e i 2/3 in miseria assoluta. Questa tragica realtà è stata descritta per la prima volta nel famoso Rapporto Brandt realizzato nel 1980 da una commissione paritetica di studiosi, economisti, sia di paesi ricchi che di paesi poveri, presieduta da Willy Brandt. Da allora le condizioni non sono cambiate, nonostante siano passati più di 14 anni. E ancora vale la considerazione che Brandt faceva in quegli anni: l'umanità in realtà non è una sola famiglia umana, ma sono due che vivono in condizioni abissalmente diverse. Mac Namara, che era il Ministro statunitense della Difesa ai tempi della guerra in Vietnam, parlava di questo come di una vera faglia che divide l'umanità in due, con una distanza terribile da una parte all'altra. Fu definito come "Nord" la parte ricca, 1/3 - 1/4 dell'umanità, che è composto dall'Europa, Russia compresa, Stati Uniti e Canada, Giappone, Australia e Nuova Zelanda. Tutto il resto è stato chiamato "Sud" del mondo. Questa distinzione tra Nord e Sud ha quindi un suo terribile fondamento. Nel '92 il Prodotto Interno Lordo - Prodotto Nazionale Lordo (PIL-PNL) pro capite del Nord era intorno ai 20-22 mila dollari l'anno e fino ad oggi non c'è alcuna variazione sostanziale. Per PIL-PNL pro capite si intende tutto quello che viene prodotto in qualunque forma all'interno di uno stato per un anno, espresso in dollari e diviso per gli abitanti. Quindi è mediamente più del salario, perché vi sono compresi servizi, strade, giustizia, esercito e tutto quello che viene in qualche modo prodotto e valutato in dollari. E' un indicatore abbastanza approssimato, ma comunque attendibile. In questo contesto ora non ha molto interesse approfondire la differenza tra PIL e PNL. In America Latina, invece, il Brasile aveva nel '92 un PIL pro capite di 2200 dollari e nel '94 di 2450, cioè esattamente un decimo dei paesi del Nord nonostante il Brasile sia considerato un Paese ricco. In Honduras si abbassa a 850 dollari l'anno. In tutta l'America Latina il maggiore PIL pro capite si trova a Cuba, nonostante la dittatura di Castro. In Africa la situazione è spaventosa: nell'Africa Centrale il PIL pro capite scende addirittura a 100-200 dollari l'anno. Ciò vuol dire che una persona deve vivere con mezzo dollaro al giorno. L'Africa, tranne il Nord e il Sud Africa, è tutta in queste condizioni spaventose. Una situazione analoga si trova in Asia, dove, tranne l' eccezione delle cosiddette "quattro tigri", cioè Hong Kong, Singapore, Sud Corea e Taiwan che hanno una alta produzione, il Bangladesh ha 180-200 dollari, mentre il Pakistan, l'India e la Cina si attestano sui 400 dollari ciascuna, ossia un dollaro al giorno o poco più. Ci sono comunque. Il problema grave, specifico dell'America latina, è la distribuzione della ricchezza, ossia il rapporto tra quanta ne possiede il 20% più povero della popolazione (il "quintile" più povero), e quanta ne possiede il 10% più ricco. In Brasile nel '92 questo rapporto era 2 a 46, ora è 1,4 a 51, cioè aumenta la ricchezza che va nelle mani del 10% più ricco e diminuisce quella che va nelle mani del 20% più povero. Per comprendere meglio: mentre in Europa, e nei Paesi del Nord, il rapporto fra il decimo più ricco e il quintile più povero va da 1 a 4, a 1 a 5, invece nel Sud lo stesso rapporto va da 1 a 20, 1 a 30 all'interno di uno stesso Paese. Utilizziamo il Brasile come esempio perché è un Paese considerato ricco, in cui in questo momento molti corrono ad investire da cui ne risulta una immagine di floridità economica. Il meccanismo è questo, simile in tutta l'America Latina. Il Brasile ha 150 milioni di persone con un PIL di 300-340 miliardi di dollari l'anno, cioè un po' sopra i 2000 dollari l'anno per persona. Ma di questi 300 miliardi di dollari, 150 vanno a 15 milioni di persone, e quegli altri 150 agli altri 135 milioni di persone. Di queste ultime poi il 20%, cioè 30 milioni di persone, vivono con le briciole. Ecco, questa è la florida economia del Brasile: 30 -40 milioni di persone ( all'incirca la popolazione francese) ricche, ma il resto sta sempre peggio. Considerando un altro indicatore socio-economico quale la mortalità nel primo anno di vita per 1000 bambini, ossia i bambini che muoiono nel primo anno di vita su mille nati (senza poi considerare quelli che muoiono anche negli anni successivi), si ha che nel Nord la media è sotto il 10/1000. In tutti i Paesi dell'America Latina (eccetto Cuba, che ha una media simile a quelle europee), la media è invece circa 60/1000. In Africa la mortalità media è circa 150/1000. L'economia uccide? Certo che uccide. Quando poi parliamo di fame nel mondo intendiamo questo: rispetto al minimo valore di calorie necessario per vivere, calcolato dalla FAO, nel Nord c'è sempre una disponibilità sovrabbondante, mentre in tutti i Paesi del Sud (eccetto Cuba dove, per la sua politica economica, nonostante tutto, la gente non muore di fame), e in tutta l'Asia (eccetto l'Indonesia, dove per ragioni climatiche ci possono essere 2 o 3 raccolti l'anno), è sempre sotto il minimo FAO. Se poi si considerano altri problemi quali l'alfabetizzazione, la situazione demografica ed energetica, il quadro diventa sempre più tragico. Questa non è una situazione occasionale: la Bosnia, la Cecenia, la Somalia, cosÏ come gran parte della famiglia umana, vivono questa come situazione normale di vita. Quindi non è una condizione congiunturale, derivante cioè da un terremoto, un'esplosione di un vulcano, una carestia, ma è una situazione strutturale. Questa realtà, quotidiana ormai da decenni e che rimarrà attuale per la maggior parte della famiglia umana per altri decenni, ci dovrebbe commuovere più di tante catastrofi naturali. Questa situazione strutturale, stabile, è il prodotto di un sistema economico planetario, che trova in essa il suo punto di equilibrio. Questo stato di cose fu denunciato nel 1980, 15 anni fa, e da allora niente è stato messo in opera a nessun livello, né governativo, né dall'ONU, per modificare la situazione che è rimasta tale e quale a quella che era 15 anni fa. Anzi, in alcuni casi è peggiorata. E' opportuno spiegare in breve che cose vuol dire economia: essa è sostanzialmente ogni attività umana di qualunque specie che mira a produrre beni di tutti i tipi capaci di servire (di venire incontro) a certi bisogni. I beni economici possono essere ad esempio i servizi sanitari, le agenzie di viaggio, le telecomunicazioni, le poste, le lezioni, i libri, le automobili, le bombe, ecc. Queste produzioni, a differenza di 30 anni fa, avvengono oggi su scala mondiale, cioè i singoli componenti sono prodotti in Paesi diversi e in particolare dove conviene farli, per disponibilità di materie prime o di lavoro qualificato o di manodopera a basso costo. Il sistema produttivo è unico nel mondo intero. Ma c'Ë un altro aspetto del problema: l'aspetto R-D, Research and Development (Ricerca e Sviluppo). Ogni prodotto nuovo ha bisogno di una ricerca di base specializzata, di uno studio, di un disegno, di un prototipo, poi di prove e di sperimentazioni fino a che non si arriva ad una produzione in serie. In genere questi sono processi di anni che richiedono capitali sterminati e che si possono fare a costi estremamente alti solo in pochissimi centri specializzati al mondo, unici posti in cui quindi si può fare la ricerca e lo sviluppo. Ad esempio, l'unica grande centrale dove si possono sperimentare i locomotori prototipi è in Cecoslovacchia, e non ce ne sono altre al mondo. Così è per le medicine come per tutte le altre cose. Ma il problema più grave è il problema finanziario: non si produce nulla senza capitale e i capitali si prendono in banca. Spesso l'istituto finanziario che presta capitali è una banca che a sua volta è una società con dei soldi e degli azionisti. Gli azionisti, in genere, sono poi anche le società finanziarie di grado superiore, di secondo livello, che non producono nulla e non danno soldi a nessun produttore, ma servono solo a controllare le finanziarie che poi danno i soldi agli imprenditori. Quindi le società finanziarie si arricchiscono solo spostando capitali. Mentre un imprenditore arricchisce anche una Banca e produce qualcosa, a questo secondo livello (oltre il quale ce ne è spesso un terzo, un quarto, ecc.) non c'è più nessun interesse a che cosa si produce e come si produce. La finanziaria pura che gestisce solo capitale non è interessata e non vuole nemmeno sapere cosa produce l'impresa o chi finanzia la banca. L'unico interesse di una vera finanziaria di alto livello è di produrre il massimo profitto possibile esclusivamente trasferendo capitali da un tipo di investimento ad un altro solo in cerca del massimo profitto; e non c'è altra logica che questa. Queste sono cose che accadono tutti i giorni a Roma, Zurigo, Milano, nei centri di brokeraggio, cioè dove si fanno le grandi transazioni economiche, dove passano velocissimi tutti i dati di tutti i possibili investimenti nel mondo, dove si sposta in tempo reale capitale da una parte all'altra della Terra, da una banca ad un'altra o da un istituto ad un altro, anche solo per alcune ore. Oggi tutte le banche, o quasi, sono telematizzate e questo significa che i soldi appena depositati possono essere subito dopo investiti da qualche altra parte del mondo. Si può spostare qualche migliaio di miliardi nel giro di 2 o 3 minuti da Hong Kong a Francoforte o a Milano, così come si può decidere di abbattere una valuta. Questi movimenti avvengono poi per decisioni di privati investitori, di grossissime ed enormi concentrazioni di capitali privati, senza che nessun governo possa farci assolutamente nulla, perché non sono controllabili. C'è quindi un enorme flusso di capitali che si sposta attraverso Internet, attraverso reti telematiche, e nessun governo può farci assolutamente niente; e lo stesso flusso di capitali non è d'altra parte affatto interessato a che cosa si farà di quel capitale: non interessa se può servire a produrre armi o produrre medicine, o quali medicine produrre, o a produrre droga, o a produrre beni culturali, ecc.. L'unico interesse è, come detto, mettere i soldi dove si trova il massimo profitto possibile. La realtà tragica con cui dobbiamo fare i conti è questa: la struttura finanziaria non è interessata in alcun modo a cosa si produce, né a sovvenire ai bisogni dei più poveri perché i poveri hanno pochi soldi e quindi, essendoci poco vantaggio economico, in genere non si investe per produrre cose che servono ai poveri. Le società finanziarie cercano solo di massimizzare il profitto e non possono fare altro che questo, non possono fare diversamente, perché altrimenti uscirebbero immediatamente dal giro del mercato e sarebbero perdute. Quindi il concetto di sviluppo che nasce è esclusivamente quantitativo, e non tanto in termini di massimizzazione della produzione, ma di massimizzazione del profitto che viene dal prodotto. Succede quindi che i veri bisogni essenziali dei più poveri non vanno nemmeno sul mercato, non diventano nemmeno domanda di vendita perché i poveri non hanno soldi per comprare e così nessuno produce per i poveri. Per chi si produce quindi, per chi si aumenta la produzione? Per chi ha soldi per pagare. Il mondo intero è ormai governato in questo modo, è un fenomeno planetario. E in questo sistema finanziario non esiste nemmeno un posto preciso dove avviene la regolazione del sistema economico-finanziario mondiale. Prima c'era la borsa di Londra, di New York; oggi no, perché le transazioni si operano attraverso sistemi di comunicazione di massa, attraverso i microchips, attraverso l'informatica e quindi, in realtà, non si sa chi siano i veri detentori del potere economico. Questi operano nel cyberspazio, nello spazio virtuale e non c'è più modo di andare a controllare dove sono, in che Stato sono e quali sono le loro centrali di potere. Così tutte queste concentrazioni di capitale sono spaventose. Non si sa dove siano e non si può individuare chi le gestisce. Una cosa sola è certa: che vengono sempre gestite per massimizzare il profitto ottenuto attraverso il passaggio di capitale da una parte all'altra del mondo. Ci vuole poco a fare una società e non sapere di chi è. Si prendono ad esempio tre persone e si fa una società di comodo in Lussemburgo, davanti ad un notaio. Vi si dà un capitale, si fa un consiglio di amministrazione fatto di tre burattini che non contano niente e la gestione della società si manda alle Bahamas, alle Antille o ad Hong Kong, o dove difficilmente può essere controllata dalla centrale europea. La società è così registrata in Lussemburgo, la parte operativa è ad Hong Kong, e in qualche parte, in qualche modestissimo studio notarile di Hong Kong, c'è una carta in cui questi tre burattini dicono che rinunciano a tutti i loro beni ed interessi della società in favore dei veri padroni. Nessuno saprà mai in quale cassetto polveroso di quale stanzetta di quale notaio di Hong Kong o di Nassau è nascosta quella carta. Quindi nessuno saprà chi controlla tutto questo sistema, ed il sistema ovviamente è uno. E questo unico sistema è in un equilibrio che è legato al concetto di mercato. Il mercato è il luogo dove ciascuno cerca di fare gli affari meglio che può. Tradizionalmente nel mercato c'era un'esigenza di chi vendeva le cose e un'esigenza di chi le comprava, ed il punto di incontro di queste due esigenze si chiamava, e si chiama ancora, il punto di equilibrio del mercato. Tutto questo va bene finché il mercato è fra soggetti che hanno mediamente le stesse potenzialità economiche; perché, se uno va sul mercato e può dettare il prezzo, gli equilibri non esistono più per tutti, ma esistono solo per chi decide il prezzo. Tutti si appellano oggi al Neoliberismo, ma quando Adam Smith parlava di mercato libero non parlava del mercato che c'è oggi: parlava del mercato all'interno dell'Inghilterra (non ha mai sognato un mercato di capitali e di merci con l'estero), fra gente che relativamente aveva sì poteri, ma non eccessivi. Il mercato di Smith, teorizzato dal liberismo, è un mercato in cui, per principio, nessuno deve avere tanto potere da poter da solo modificare il prezzo che trova sul mercato. Questa è la definizione di tutti i testi di economia. Quando il mercato è mondiale questo non succede piò perché è chiaro che ci sono tre o quattro centri di potere che hanno la possibilità di determinare da soli il prezzo del mercato. Oggi questo mercato a livello planetario, fra paesi poverissimi e debolissimi e paesi estremamente forti, non ha più senso perché vince sempre ed inevitabilmente il più forte e perde inevitabilmente il più debole. Questa è l'economia di mercato che ci si vuole vendere come mercato libero. Il mercato libero consiste in questo: se un Paese povero ha una monocoltura, il suo prodotto lo compriamo noi, Paesi ricchi, al prezzo che decidiamo noi. E a quel prezzo, qualunque esso sia, il Paese povero deve vendere per forza perché non ha altro per campare. Quando poi con quei pochi dollari presi vuole comprare manufatti da noi (perché nei paesi poveri di manufatti se ne fanno pochi) il prezzo glielo facciamo ancora noi. Cioè i Paesi poveri devono vendere al prezzo che il mercato del Nord impone perché non hanno altrove dove vendere, e devono comprare al prezzo che il mercato del Nord impone. Questo viene chiamato simpaticamente "mercato libero". Consideriamo, come esempio, l'evoluzione dell'industria manifatturiera dal secolo scorso al nostro secolo. A partire dalla metà del secolo scorso il prodotto manifatturiero nei Paesi poveri si è ridotto a zero, e solo ora si sta riprendendo per quei pochi paesi del Pacifico che stanno crescendo rapidissimamente, ma a caro prezzo. Questo significa che la gente di tutti i Paesi poveri, se vuole comprare un manufatto, normalmente lo deve comprare in dollari e per avere i dollari deve vendere, per forza di cose, tutto quello che può produrre da esportare (agricoltura, miniere, ecc.). Siccome gli unici compratori sono i Paesi ricchi, sono questi ultimi a fare sempre il prezzo senza possibilità di trattative. Un controllo di questo indicatore si ha considerando il consumo di energia. Il consumo dell'energia è la condizione per produrre manufatti, perché senza l'energia non si produce nulla. L'energia serve a produrre ed ai trasporti. I maggiori consumatori di energia sono gli Stati Uniti, la Germania, il Giappone, la Francia, l'Italia, l'Inghilterra; poi ci sono Taiwan e Sud Corea, che fanno parte di quell'eccezione di cui si parlava prima; dopo questi due si arriva ad un consumo di energia ridicolo (l'energia per persona è tradotta nella tipica unità di misura di tonnellate di petrolio equivalenti). Il consumo di energia per persona va dai 7-8 tonnellate equivalenti negli Stati Uniti, ai 3,5-4,5 in Europa, ai 2,5 in Sud Corea. Dopo si passa al Cile a circa 1, e poi all'India, Cina, Pakistan, Indonesia e Brasile attorno a 0,7. Questo è un indicatore importantissimo perché fa capire subito quale è la condizione del mercato. Questi ultimi Paesi, con questa disponibilità di energia, non potrebbero produrre nemmeno se volessero. E siccome la parte di famiglia umana che ha pochissima energia disponibile costituisce la grande maggioranza dei Paesi del mondo, se si volesse aumentare anche di poco, di qualche kilowatt a testa, l'energia disponibile per loro, senza comunque far loro raggiungere i nostri livelli, si produrrebbe nell'atmosfera un inquinamento d'aria insopportabile che in vent'anni diventerebbe irrespirabile e ammazzerebbe tutta l'umanità. Tanto più che il rendimento energetico dei Paesi più poveri e meno alfabetizzati è molto più basso di quello dei Paesi ricchi, ossia i primi consumano necessariamente più energia per avere lo stesso risultato, perché se ad esempio nel Nord si rompe l'iniettore di un diesel normalmente si porta ad accomodare alla filiale Fiat o Mercedes o altro, mentre nel Sud possono solo cercare di aggiustarlo con il martello, e non ci riescono. Ci sono fumi orribili in tutti i Paesi poveri. Bisognerebbe quindi aumentare di molto l'energia a disposizione di questa grande maggioranza dell'umanità per avere un minimo di rendimento energetico in più: e questo è impossibile a farsi e, se non si vuol morire tutti, bisogna stare cosÏ. Quando si parla di "fame nel mondo" non si parla quindi solo di un fenomeno episodico, ma si parla di un fenomeno cui non si rimedia con i pacchi dono, con i sussidi o con gli aiuti economici. E' proprio un modo di concepire, di controllare tutta la vita economica nella sua complessità di produzione, distribuzione, ricerca, scambio, investimenti, ecc., che produce inevitabilmente queste conseguenze. Questa è la tragedia. Il guaio è che questo succede anche da noi. Infatti da noi sta aumentando la disoccupazione, e questo era previsto da dieci anni, perché le nuove tecnologie servono a diminuire l'occupazione così come gli investimenti, che in genere non servono ad aumentarla, ma ad investire in macchinari che permettono di fare con un operaio quello che prima si faceva con cento operai. Oggi si produce con sistemi a sempre più elevata tecnologia: gli operai e i posti più qualificati, cosÏ come i loro guadagni, crescono, mentre quelli meno qualificati hanno una perdita terribile di guadagno rispetto a quegli altri, perché valgono poco. Si sta aprendo una forbice non solo nell'Italia, ma in tutta Europa, tutto il Nord, fra disoccupazione e sottopagamento di tutti i lavoratori non altamente specializzati, e quei pochi che invece sono altamente specializzati. Questa forbice creerà, li sta già creando, guasti sociali anche da noi nel Nord, e non si può cambiare una situazione così solo con provvedimenti temporanei. Questa stessa situazione è altamente preoccupante perché tutti i lavoratori "bottom" (la parte bassa della forbice) sono sostituibili con lavoratori non specializzati presi dai Paesi poveri, preferibili solo perché prendono salari più bassi. Consideriamo ad esempio il costo del lavoro dei lavoratori impiegati nel settore manifatturiero (cioè in tutti i settori fuorché l'agricoltura e le miniere) e vediamo quali bugie vengono sfacciatamente dette dai nostri padroni, anche in Italia. Per costo del lavoro intendiamo quello complessivo per il datore di lavoro, cioè non solo lo stipendio, ma anche i contributi, le assistenze, le pensioni, ossia inclusi tutti i costi "non salario". In Germania questo costo è di 25 dollari l'ora, in Italia circa di 15 dollari: è inutile quindi che si venga a dire di essere competitivi riducendo i salari, perché l'Italia, dove il padrone paga 15 dollari l'ora, già è più competitiva della Germania, dove ne paga 25. Taiwan, Singapore, Sud Corea e Hong Kong, ossia le "quattro tigri" già accennate, crescono economicamente, hanno grande potenziale economico e sono oggetto di molti investimenti, ma l'operaio non arriva a percepire che 4-5 dollari l'ora (poi in effetti ne prende di meno perché questo è il costo complessivo). E' chiaro allora che, per chi investe, conviene produrre là. In Brasile poi si arriva a 2 dollari l'ora come costo globale per il datore di lavoro. Questa è la tragedia umana che si sta sviluppando e cresce continuamente: non conviene pagare i nostri lavoratori non specializzati, conviene mandare a fare la produzione in Polonia, Thailandia, Cina, India, Brasile, anche perché poi il costo del trasporto del bene prodotto per unità è irrisorio. Nel Nord si crea sempre più disoccupazione e salari bassissimi rispetto a lavoratori altamente qualificati che hanno invece salari crescenti. E questo è solo uno degli effetti boomerang di questo modello di sviluppo La conclusione può essere questa: per i cristiani credenti, portatori di un Vangelo che ci dice che la giustizia di Dio è sempre la giustizia verso il povero, il più debole, e che bisogna scegliere tra Dio e ricchezza, i beni terreni non dovrebbero avere nessun particolare significato, se non quello di aiutarci a meglio servire il prossimo. L'unico significato dei beni terreni per un cristiano non può essere che questo: prepararsi, avere gli strumenti per servire gli altri. Invece oggi si vive in una logica completamente opposta, per la quale l'aver di più, solo perché è di più, è un fine in sé. Quando ad esempio si mettono i risparmi in un conto corrente, in una banca, in buoni del tesoro, in fondi di investimento, si cerca evidentemente ciò che dà il massimo dell'interesse possibile. Per poi farci cosa, con questo interesse? Se uno è povero ci si compra da vivere, ma se uno possiede già ed è abbastanza ricco, allora quello che ha di interesse e di profitto serve a essere reinvestito per creare altro profitto che servirà ancora a creare altro profitto, e cosÏ all'infinito. Cioè il sistema è governato ormai dal valore in sé dell'avere di più, e questo sembra sfuggire ad ogni prescrizione etica. Siamo agli opposti del Vangelo che dice "Non si può servire due padroni" e "Se non siete fedeli ad una ricchezza giusta chi vi darà la ricchezza vera?". Ricchezza che per i cristiani è solo il Signore ed il suo Regno, un regno di giustizia, di fraternità, di aiuto reciproco. Noi siamo portatori di questo Vangelo, ma noi nel mondo cristiano del Nord, e la parte Nord del mondo è quasi tutta cristiana, in un modo o in un altro, abbiamo lasciato maturare questa situazione. Questa è una tragedia enorme, è un fallimento dell'annuncio del Vangelo di cui noi in qualche misura, sia pur piccola, siamo anche responsabili. La ricchezza per noi non è mai un bene desiderabile in sé. E' desiderabile solo per poter lavorare meglio, servire e mettere a disposizione degli altri. Non è il fatto di avere introiti robusti che è peccato, altrimenti tutti i ricchi andrebbero all'inferno. E' che bisogna incominciare a investire laddove con certezza si sa che líinvestimento non sarà in armi, in droga, ecc. Allora ecco che diventa importante il Commercio Equo e Solidale, le MAG, e tutte queste iniziative che sono esperienze interessanti anche se ancora piccolissime, bricioline al confronto. Questo Vangelo noi dobbiamo portarlo in un mondo in cui tutta la vita umana in tutti i suoi aspetti è subordinata alla logica economica dominante, alla logica del mercato, della prevalenza del più forte sul più debole, della lotta per avere di più a spese degli altri. Oggi l'economia è fine a se stessa e tutto il resto della convivenza è subordinato a questo fine dell'economia, quando invece dovrebbe essere esattamente il contrario: l'economia, l'attività economica non è un fine in sé, perché per l'essere umano non é un fine in sé l'avere di più, e l'attività economica deve essere sempre pensata a finalità non economiche. Il che non vuol dire finalità antieconomiche, ma semplicemente altre finalità: quali l'essere umano, lo sviluppo degli esseri umani, la cultura, la società, la vita associata, la salute, che sono poi tutti beni essenziali. Lo sviluppo globale dell'uomo consiste sì nell'avere beni disponibili, di avere una certa libertà di usare dei propri soldi, dei propri guadagni, ma certamente i beni essenziali per un minimo di dignità della persona umana devono essere disponibili. Con questo sistema non sono disponibili: almeno due terzi della famiglia umana sulla faccia della terra oggi non ha disponibilità sufficiente di beni essenziali per il minimo di dignità di un essere umano. La gente delle favelas o dell'Africa Centrale vive non solo abbrutita totalmente per l'assoluta mancanza di beni, ma vive senza speranze, perché non ha niente, non ha nessuna dignità, non sa nemmeno perché è al mondo. E' una cosa spaventosa. Questa è la condizione della maggior parte della famiglia umana. Sono umiliati e offesi, da noi. E' gente senza speranze, senza dignità, senza più niente. Bisognerebbe andarci qualche volta e, invece di andare in giro per turismo, ci si potrebbe mettere d'accordo con un gruppo missionario e fare un viaggio e vedere, viverci in mezzo, allora si capisce la realtà. Basta andare in un posto e poi sono tutti uguali. Andare alla periferia di Giacarta è come andare alla periferia di Rio de Janeiro o di Città del Messico. Questa è la degradazione totale dell'essere umano ridotto a non avere più nessun orizzonte di fronte a sé, nessuna speranza per i propri figlioli, nessuna dignità di fronte agli altri. L'attività economica dovrebbe essere indirizzata, come ha scritto Paolo VI nella grande enciclica Populorum Progressio, allo sviluppo di tutto l'uomo, globale, in tutte le sue componenti: questo è il compito enorme. Al numero 77 della Gaudium et Spes viene descritta la nuova e nobilissima concezione della pace, che consiste nel rendere più umana la vita di ogni essere umano ovunque sulla faccia della terra". Questa è l'idea di pace che il Concilio Vaticano II ci ha dato, e da un Concilio indietro non si torna. Ebbene, la situazione attuale che noi "sponsorizziamo" con le nostre scelte, a volte con il nostro stile di vita, con la nostra vastità di impegno sociale, culturale, politico, tradisce completamente la nostra missione di essere operatori di pace. E solo chi è operatore di pace, dice il Vangelo, sarà chiamato figlio di Dio, cioè colui che veramente segue la logica di suo Padre. Questo è il figlio di Dio, quello che ragiona come il Padre, e solo chi è operatore di pace lo è. Il quadro presentato è dunque un quadro triste, sembra senza speranze, ma non è vero, ci sono possibilità. Ci sono anche forze, non prevalenti in questo momento, ma che comunque potranno prevalere prima o poi, ma certo non succederà se tutti ce ne stiamo fermi a vedere quello che ci succede attorno. Fermi a vedere la distruzione di speranze umane, di famiglie umane. Questo impegno è possibile, è finalizzabile solo con scopi precisi quali la testimonianza di vita personale, l'uso dei propri beni, l'impegno nel sociale, l'impegno nella cultura, l'impegno nella politica. Non si può far molto, ma qualcosa si può fare all'interno di uno Stato o di un governo mettendo sempre al primo posto la preoccupazione per i miseri della terra. Guai ad uscire da questo binario. 8. RIFLESSIONE. CHRISTINA G. ROSSETTI: BOCCIOLI E BAMBINI [Questo testo abbiamo estratto da Christina G. Rossetti, Il cielo e' lontano. Poesie 1847-1881, Rizzoli, Milano 1995, p. 307. La traduzione e' di Giuliana Scudder. Christina Rossetti (1830-1894) e' considerata la piu' grande poetessa inglese dell'Ottocento] * Boccioli e bambini Milioni di boccioli nascono e non si schiudono, levano il capo grazioso, dolce promessa per fiorire e appassire su un letto arido senza lasciare frutto. Teneri e incompiuti. Ma la loro fragilita' mi ha insegnato una gioia: nulla e' mai stato bello invano, mai invano buono. 9. MATERIALI. PER STUDIARE LA GLOBALIZZAZIONE: DA FERNANDA PIVANO A ROCCO POMPEO * FERNANDA PIVANO Profilo: intellettuale italiana impegnata nei movimenti per i diritti civili, studiosa della cultura americana e personalmente intensamente partecipe delle più rilevanti esperienze di impegno civile, artistiche, letterarie e culturali nordamericane novecentesche (e particolarmente di quelle legate alla cultura ed alla militanza democratica e radicale, pacifista ed antirazzista, di opposizione e di contestazione, ed agli stili di vita alternativi). Opere di Fernanda Pivano: oltre a numerose e giustamente celebri traduzioni (tra cui la classica versione dell'Antologia di Spoon River, di Edgar Lee Masters, la stupenda raccolta di poesie di Allen Ginsberg, Jukebox all'idrogeno; la fondamentale antologia Poesia degli ultimi americani), ha pubblicato tra altri volumi le raccolte di saggi: La balena bianca e altri miti, 1961; America rosso e nera, 1964; Le belle ragazze, 1965; L'altra America negli anni Sessanta, 1971; "Pianeta Fresco", 1967; Beat hippie yippie, 1972, Mostri degli anni Venti, 1976, C'era una volta il beat, 1976, Hemingway, 1985. * ALESSANDRO PIZZI Profilo: insegnante, già sindaco di Soriano nel Cimino, impegnato nella solidarietà, per la pace e i diritti umani, ha preso parte a rilevanti iniziative nonviolente. * SYLVIA PLATH Profilo: poetessa, nata a Boston nel 1932, si uccise nel 1963. Opere di Sylvia Plath: oltre ai versi, in italiano disponibili nelle raccolte Lady Lazarus e altre poesie, Mondadori, Milano 1976, 1998; e in Le muse inquietanti ed altre poesie, Mondadori, Milano 1985; cfr. anche il romanzo autobiografico La campana di vetro, Mondadori, Milano 1968, 1987. Opere su Sylvia Plath: è indispensabile leggere la poesia di Robin Morgan, Accusa, in AA. VV., La poesia femminista, Savelli, Roma 1974. Cfr. anche il volumetto Sylvia Plath in immagini e parole, Ripostes, Salerno-Roma 1996. * KARL POLANYI Profilo: 1896-1964, studiò diritto e filosofia a Budapest, fu poi a Vienna, emigrò in Inghilterra e poi negli Stati Uniti. Docente e storico dell' economia. Opere di Karl Polanyi: La grande trasformazione; Traffici e mercati negli antichi imperi; Il Dahomey e la tratta degli schiavi; Economie primitive, arcaiche e moderne; La sussistenza dell'uomo; tutte presso Einaudi. Opere su Karl Polanyi: Edoardo Grendi, Polanyi, Etas. * GABRIELLA POLI Profilo: nata a Torino, impegnata nella Resistenza, giornalista e scrittrice. Opere di Gabriella Poli: (con Giorgio Calcagno), Echi di una voce perduta. Incontri, interviste e conversazioni con Primo Levi, Mursia, Milano 1992. * LEON POLIAKOV Profilo: nato a Leningrado nel 1910, vissuto in Francia dal 1920, è scomparso nel 1997. Prese parte alla Resistenza; successivamente fondò il "Centro di documentazione ebraica contemporanea", e prese parte come esperto al processo di Norimberga contro i criminali nazisti. E' stato direttore di ricerche al CNRS. Tra i massimi storici contemporanei, autore di fondamentali opere sull'antisemitismo e sul nazismo e lo sterminio degli ebrei, i suoi lavori costituiscono un fondamentale punto di riferimento per la cultura democratica. Opere di Léon Poliakov: Storia dell'antisemitismo, La Nuova Italia, Firenze; Il nazismo e lo sterminio degli ebrei, Einaudi, Torino. * SIRIO POLITI Profilo: prete operaio, impegnato nei movimenti nonviolenti, presidente del MIR. E' scomparso a Viareggio nel 1988. Opere di Sirio Politi: cfr. almeno Uno di loro. Pensieri ed esperienze di un prete operaio, Gribaudi, Torino. * GEORGES POLITZER Profilo: di origine ungherese (era nato in Transilvania nel 1903), si trasferisce a Parigi dal 1921; filosofo marxista e militante comunista, è assassinato dai nazisti nel 1942. * ROCCO POMPEO Profilo: impegnato nel Movimento Nonviolento. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ; per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ; angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 227 del 13 settembre 2001
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