"Ho finto di essere morto. Continuavano a picchiarmi".



Fonte:
http://www.repubblica.it/online/politica/gottotredici/inglese/inglese.html

Il racconto di un giornalista inglese
pestato durante il blitz di sabato notte

"Ho finto di essere morto
continuavano a picchiarmi"


di MARCO PREVE

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 GENOVA - "Mai visto fare una trasfusione di un litro e mezzo di
 sangue a una palla da football? Beh amico, quel pallone ce l'hai davanti
 agli occhi". Un polmone bucato, qualche costola in frantumi, un paio di
 denti in meno. Gli mancano un mucchio di pezzi a Mark Covell, 33 anni
 giornalista inglese, ma non il tradizionale "humour" della sua terra.
 Oggi può scherzare ma l'incubo iniziato sabato notte è finito solo
 mercoledì mattina, quando l'avvocato Filippo Guiglia gli ha comunicato
 che il suo arresto non era stato convalidato.

Del resto sarebbe stato strano, visto che Mark a Genova non ha partecipato
a nessuna manifestazione. Racconta questo ed altro dalla sua stanza del
reparto di chirurgia toracica dell'ospedale San Martino. Gli hanno
diagnosticato un pneumotorace, ma di nascosto dalle infermiere si fuma una
sigaretta. D'altra parte, a uno che i carabinieri che hanno preso a calci
credevano morto, un po' di catrame nei polmoni non fa più paura.

A lui, come a decine di altre persone di quel sabato cileno una sola
domanda: che cos'è successo? "E' successo che sono diventato un 'human
football', un pallone umano - risponde -. Ero in mezzo alla strada,
proprio davanti al cancello della scuola Diaz, quando sono arrivate le
camionette. E ci sono rimasto intrappolato mentre i carabinieri chiudevano
i due lati della via. Quando ho visto un gruppo venirmi addosso, ho
mostrato la tessera da giornalista (è l'inviato di Indimedia uk., un
network on line di informazione alternativa con diverse edizioni, compresa
quella italiana, tra i più seguiti, ndr). Mi hanno colpito subito con i
manganelli. Poi uno con lo scudo mi ha schiacciato contro il muro e
l'altro mi ha riempito di botte ai fianchi".

E' solo l'inizio del racconto che ieri pomeriggio Covell ha ripetuto in
diretta ai microfoni della Bbc. "Mi dicevano in inglese - continua - 'you
are blackblock, we kill blackblock' (tu sei un black e noi ti uccidiamo).
A quel punto sono caduto mezzo svenuto e ho visto che il furgone stava
sfondando il cancello della scuola. Ero a terra e loro continuavano a
prendermi a calci. Correvano da una parte e mi mollavano un calcio. E' lì
che sono diventato un pallone". Sky, questo è il suo soprannome, tira il
fiato e aggiusta il tubicino del drenaggio. Il sangue esce dal polmone e
cola in un boccione.

"Pensavo che sarei morto e così ho fatto finta di esserlo - prosegue il
giornalista -. Un carabiniere è venuto a sentirmi la vena del collo e poi
altri due mi hanno trascinato dentro la scuola, con gli altri. Menavano
ancora. Mi ha salvato un medico o un infermiere, tra i primi arrivati che
ha detto basta, basta e allora tutto è finito. Devo ringraziare quel
dottore, anzi lui e altri due del pronto soccorso". Perché? "Perché
ricordo - dice Mark Covell - che ero lì sulla barella e la polizia voleva
portarmi all'infermeria militare (alla caserma di Bolzaneto, ndr). Ma due
dottori si sono opposti, uno in particolare, Paolo, e lo ringrazio
davvero, forse sarei morto". Dopo? "Dopo niente - risponde il reporter
britannico -. Sono svenuto, credo, e mi sono svegliato il mattino. E sono
stati altri tre giorni duri. Stavo male e non mi facevano vedere nessuno.
Ho incontrato solo il console (Alan Reuter, console generale di Milano,
ndr)". La liberazione è arrivata mercoledì mattina. Il giudice e
l'avvocato stavano per iniziare l'interrogatorio di convalida dell'arresto
quando è arrivato un fax dal tribunale. Un altro giudice aveva già deciso
di non convalidare l'arresto (ancor prima dell'interrogatorio) e Mark
Covell è tornato ad essere un cittadino libero, ferito, ma combattivo. "Ho
detto al console che farò denuncia - spiega - perché non è possibile che
una cosa del genere accada in un paese che si dice democratico. Come hanno
potuto accusarmi di essere un Black Bloc. Io non ho nemmeno visto una
manifestazione. Sono stato sempre chiuso al terzo piano della scuola, dove
c'era il News Dispatch. Da lì aggiornavo il nostro sito con le notizie che
arrivavano dalle piazze e dalle strade. Non pensavo andasse a finire
così".

(27 luglio 2001)