[TESTIMONIANZE] - Lacrimogeni su corteo pacifico



Genova 21/7/08 - il mio racconto

Ho preso parte al corteo di sabato scorso a Genova, insieme al gruppo di
Azione Diretta Nonviolenta, che in tutto ha raccolto circa cento persone
ferraresi. Il bilancio della nostra partecipazione è di cui andare fieri,
considerando soprattutto la nostra vicenda particolare. Però oggi la
nostra presenza quel giorno ha un significato di testimonianza riguardo a
fatti molto che non avremmo voluto vedere. Ricorderemo quella giornata
soprattutto per ciò che anche noi abbiamo subìto: il comportamento
"infame" e criminale delle forze dell'ordine nei confronti di migliaia di
manifestanti pacifici. Per le strade non c'era nessun carabiniere, e fin
dall'inizio ci era parso subito un brutto segno. Forse per il clima
pesante dovuto alla morte di un ragazzo il giorno precedente, l'ordine in
città era stato affidato interamente a noti reparti della Polizia di
Stato, quelli che lavorano negli stadi contro gli hooligans. Il nostro
corteo era festoso, ma tra noi e la polizia c'era alta tensione. Per i
primi chilometri non abbiamo avuto problemi. Abbiamo capito che qualcosa
non andava quando il corteo si è fermato di colpo e gli elicotteri sono
scesi sopra di noi a bassissima quota. A Piazzale Kennedy gli scontri
erano incominciati all'improvviso; la polizia però non si avvicinava ai
violenti armati che bruciavano le auto: si limitava a lanciare
lacrimogeni, in numero spropositato, direttamente in direzione del corteo,
creando una cortina di fumo visibile da chilometri di distanza. Tutto il
corteo è stato costretto a deviare lungo un corso parallelo a quello
previsto. Le manovre della polizia   sembravano a tutti estremamente
pericolose, i gruppi si sparpagliavano, noi camminavamo in fila
velocemente, tenendoci per mano. In seguito - verremo a sapere - gli altri
gruppetti più lenti, rimasti dietro di noi, sono stati caricati e pestati
dalla polizia. Vi racconto i fatti partendo da questo momento, in cui
sembra che per noi tutto volga verso la normalità.

Più avanti, ad un incrocio che sembra tranquillo, gli organizzatori ci
invitano a riformiare il corteo, noi ci prepariamo a riprendere il
cammino. E' precisamente in questo momento che la polizia ci carica
all'improvviso, da una via laterale. Gli agenti spezzano il corteo proprio
nel punto in cui ci troviamo. Eravamo riusciti a restare tenerci quasi
tutti per mano in cento persone, ma ora ci colgono impreparati. Per
qualche minuto ci sembra di essere completamente dispersi. Invece poco
dopo a uno a uno ci ritroviamo tutti, ma siamo costretti a riprendere la
marcia in una fitta calca, perchè la polizia si sta disponendo in assetto
da guerra alle nostre spalle. Siamo contenti di essere di nuovo uniti, e
non sappiamo ancora che sta cominciando la nostra piccola discesa nel
Maelstorm. Forse la polizia cerca sparuti gruppi di "Black Block"; il
fatto è che invece ce l'ha con noi, carica indiscriminatamente tutta la
folla. Vediamo così in azione gli attori dello show: i poliziotti,
schierati armati fino ai denti da un lato, e i "teppisti", sporchi e
cattivi, che in verità sono pochissimi e sostanzialmente non fanno altro
che insultare. Però a pochi metri ci sono migliaia di persone pacifiche, o
meglio che all'inizio erano pacifiche, ma si stanno comprensibilmente
alterando. Le "tute nere" si muovono a gruppetti di 3-5 persone; scelgono
un obiettivo e lo distruggevano metodicamente, sotto gli occhi degli
agenti, senza che la polizia mostri alcun desiderio di intervenire. Questi
gruppetti, come poi ci renderemo conto, si spostavano per la città
tranquillamente indisturbati, li abbiamo incontrati anche in seguito lungo
le strade deserte e anche ai lati del corteo. L'impressione era che non ci
fosse nessun serio tentativo di arrestare questi gruppi, le forze
dell'ordine si tenevano sempre a distanza. Il comportamento della polizia
cambia, però, quando i rivoltosi si trovano in prossimità della
manifestazione.

Cinque tute nere provocano i poliziotti alla nostra sinistra, in via
Pisacane. I poliziotti li caricano, e i rivoltosi scompaiono subito
entrando nel corteo. Ma la polizia continua la sua carica contro tutti i
manifestanti, lanciando lacrimogeni direttamente in mezzo alla folla.
Vicino a noi ci sono gruppi sindacali, famiglie con bambini e bambine. Un
signore crolla a terra in preda alle convulsioni - è un possibile effetto
dei gas. Anche il gruppo nazionale della Rete Lilliput sarà caricato in
pieno dalla polizia, quasi tutti i suoi manifestanti si disperdono. Solo
un ragazzo non scappa, ma alza le mani gridando "Siamo non violenti!". Un
poliziotto si avvicina, freddamente solleva il manganello e gli spacca la
testa - un colpo proibito dai manuali della polizia.

Mi ricordo che avevamo tanti slogan nel primo pomeriggio, e invece adesso
i gruppi di tutto il corteo scandiscono insieme una sola parola,
"assassini", rivolti verso gli agenti. In questo incrocio di via
Casaregis, la violenza della polizia provoca una reazione di parte del
corteo. C'è sempre una parte di manifestanti preparata ad alzare
barricate, di solito sono i ragazzi dei centri sociali che notoriamente
perseguono la "difesa attiva". Formano un gruppo immediatamente alle
nostre spalle, bloccano la strada alla polizia riparandosi dietro
cassonetti e si preparano alla sassaiola. I lacrimogeni della polizia però
hanno ormai reso l'aria irrespirabile per tutti. I genovesi sono costretti
a chiudere ermeticamente le finestre, eppure qualche persona eroica  apre
le imposte e innaffia la folla con le pompe, ci aiuta a lavarci dalle
sostanze caustiche. Ma in una folla compatta non si può fuggire ai gas, e
noi non abbiamo maschere contro gli aggressivi chimici che ci torturano,
nè protezioni contro i manganelli dei poliziotti che ci corrono incontro.
Dobbiamo allontanarci: chiediamo informazioni, su che via prendere, i
genovesi ci aiutano, così lasciamo il corteo per una strada laterale. Il
governo ci ha fatto capire cosa dobbiamo farcene del nostro diritto a
manifestare. Ma siamo decisi a ritornare nel corteo il prima possibile, e
infatti lo ritroveremo alla fine, dopo una lunga fuga per le vie della
città. Alla sera però abbiamo ricevuto la notizia peggiore: il pestaggio
selvaggio dei ragazzi che dormivano nella scuola G. Pascoli. Si sapeva che
i Black Block utilizzavano alcuni luoghi a disposizione dei manifestanti,
il problema delle infiltrazioni e delle armi era stato segnalato
direttamente da Agnoletto alle forze dell'ordine. E le forze dell'ordine
hanno dato, a modo loro, una risposta paradossale e brutale. A mezzanotte
del 21 fanno irruzione sfondando la porta, nei locali e nella sede di
coordinamento del Genoa Social Forum. Effettuano ciò che beffardamente
chiamano "operazione di bonifica". Aggrediscono i giornalisti, sfasciano i
computers e le attrezzature, mostrando particolare astio verso hard disk e
videocassette. Ma l'azione infame avviene nel palazzo adiacente: gli
avvocati e i parlamentari vengono tenuti fuori con la forza - il che è
scopertamente illegale poichè gli avvocati dovrebbero assistere alla
perquisizione - perchè non devono esserci testimoni. Il rumore
dell'elicottero cerca di coprire le urla, mentre all'interno i ragazzi e
le ragazze vengono pestati selvaggiamente. Qualcuno tenterà di difendersi
con le mani, uno anche con un coltello, ma perloppiù non ne hanno il tempo
perchè vengono massacrati mentre sono ancora nei sacchi a pelo, e tutti i
poliziotti ne escono illesi. Fuori gli avvocati e i parlamentari urlano e
chiedono di entrare, ragazzi e ragazze vengono trascinati fuori coperti di
sangue. Queste e altre immagini del 21 luglio sono la vergogna nazionale;
a Berlino i manifestanti circondano la nostra ambasciata e insultano
l'Italia, e fanno bene.

Di professionisti della guerriglia, in quella scuola,  probabilmente non
ce n'erano: a quell'ora c'erano invece ragazzi più giovani, gli studenti
dei centri sociali che si preparavano ad andare a dormire. Persone
normali, mai imputate di nulla. E potevano esserci i miei amici lì dentro,
quanti di noi  avevano cercato un posto per dormire a Genova, tra venerdì
e sabato avevano passato tante ore in quella scuola. Il mio sentimento è
un'ira funesta. Una ragazza che conosciamo non è tornata con il suo
pullmann, sua madre non ha notizie di lei da sabato sera: teme che a
quell'ora si trovasse nella scuola, ma nessuno comunica la lista dei
fermati, nemmeno gli avvocati lo sanno.

All'indomani di questa a azione punitiva di tipo squadrista, mi restano in
mente le parole del governo che dice "non c'è distinzione" tra il Social
Forum e le frange violente, ci definisce "tutti i contestatori" collusi
con i criminali. La polizia mostra in televisione le "armi improprie"
trovate nel camion parcheggiato sotto la scuola. Siete tutti uguali e
abbiamo fatto bene a picchiare chiunque di voi, dovevate starvene a casa,
comandiamo noi - è questo il rozzo messaggio di stile "cileno". Il
sospetto che ci fosse un piano orchestrato per delegittimarci,
strumentalizzando cinicamente la violenza e i disordini, ovviamente è
quasi una certezza. Dopo tutto ciò che ho visto, osservo: prima pensavo
soprattutto a comunicare i contenuti delle nostre ragioni manifestazione,
ora mi accorgo che dopo questa giornata i toni e i contenuti della nostra
protesta sono cambiati. Ora la nostra è anche una denuncia contro la
violenza istituzionale dell'autorità che si proclama ufficialmente
"democratica", ma che di fatto usa metodi al di fuori della costituzione.
E' una nuova frattura nella società civile, c'è un nuovo un clima di
sfiducia che ci divide oggi dalle forze dell'ordine - oggi sentiamo
scricchiolare il tessuto democratico.

Il comportamento della polizia italiana è stato la vergogna maggiore per
il nostro paese. Oggi però sappiamo che il governo italiano usa non solo
l'arma dell'intimidazione violenta, ma anche della menzogna e - secondo
decine di testimonianze agli avvocati del Genoa Social Forum - della
tortura. Tra il governo e il popolo dei contestatori pacifici, i rapporti
non avrebbero potuto prendere una piega peggiore. Gli stati più potenti
del mondo hanno dimostrato, prima di ogni altra cosa, di avere paura al
punto di abbandonare lo stato di diritto. Quindi è proprio la loro
"democraticità" che oggi tende a divenire l'oggetto delle nostre accuse.

Avvertiamo governi che non riusciranno a isolare un movimento mondiale di
queste dimensioni. Al contrario, il fatto che non abbiamo armi non
significa che siamo una sfilata folcloristica. La nostra risposta sarà
massiccia, la nostra politica diventerà più dura, internazionale e
organizzata.

G.B.

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