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I: I kurdi e noi: una piccola provocazione...
- Subject: I: I kurdi e noi: una piccola provocazione...
- From: "Dino Frisullo" <dinofrisullo at libero.it> (by way of Carlo Gubitosa <c.gubitosa at peacelink.it>)
- Date: Thu, 12 Jul 2001 00:22:19 +0200
LETTERA AI COMPAGNI/E DI ROMA E NON SOLOQuesto articolo uscirà domani sul Manifesto. Lo diffondo preventivamente in rete perchè mi piacerebbe che coloro che in questo momento (e da settimane, da mesi...) giustamente si interrogano e si preparano all'opposizione agli otto Grandi, si ponessero il problema dell'assenza totale di questo movimento nel momento in cui un piccolo grande popolo rimosso afferma la propria irriducibile soggettività (e si prepara a farlo, rischiando forse qualcosa di più di me e di voi, anche a Genova).
Infatti duecento profughi kurdi oggi erano quasi soli, loro e la polizia, nell'afa di Largo Chigi. E non per la prima volta.
E' o non è il popolo kurdo (come i popoli indigeni, il palestinese...) fra le principali vittime di una globalizzazione che è nuova gerarchia planetaria e rimozione totale di continenti, popoli, soggetti? Di più: è o non è fra le principali forze al mondo che, con più o meno chiara coscienza di sè ma con la forza di milioni di esseri umani, si batte "irriducibilmente" contro il nuovo ordine mondiale? Allora: fuori dalle diatribe spesso onanistiche e autoreferenziali sulle forme di confronto di piazza, non è con questo e altri soggetti che un movimento deve confrontarsi e interagire? E come si fa, se non entrando nel vissuto concreto di uomini e donne segnati dalla tortura - almeno nel momento in cui decidono di "manifestarsi"? E lo decidono, guarda un po', praticando a livello di massa e con rischi immensamente superiori quella "disobbedienza civile" di cui tanto ultimamente si parla, e talvolta si straparla. Dovevate sentirlo, il fiume in piena di autodenunce che si sono riversate in diretta per 48 ore su due mail, cinque fax e dieci linee telefoniche attivate per l'occasione dall'emittente via satellite Medya-Tv: gente che chiamava dai luoghi del terrore puro, da Bingol, da Silopi, da Lice e Kulp, ma anche da Berlino e Londra dove il Pkk è altrettanto illegale, e diceva: basta, che vengano a prendermi se vogliono, mi chiamo così e così e sono kurdo, lo dico e lo grido nella mia lingua vietata, e voglio Ocalan libero e il suo partito legittimato, perchè è il mio partito, e se saremo centinaia di migliaia a dirlo non basteranno le galere... Finora sono più di centomila!
All'ultima riunione del RAGE, il "Social Forum" di Roma, che aveva formalmente assunto la manifestazione dei kurdi di oggi (ma anche il presidio degli immigrati di lunedì prossimo) nel suo percorso, dissi che mi bastava che venissero un quarto dei duecento compagni e compagne riuniti quella sera. Ero fin troppo ottimista... Scusate l'amarezza: ma vogliamo smetterla di ammirare il nostro ombelico, e porci qualche domanda sul nostro "essere nel mondo"?
Rilancio. Mi basterebbe che uno/a su diecimila, fra coloro che saranno (saremo) a Genova, decida il 22 luglio di sacrificare un milione di lire e dieci giorni di tempo, e di partire da Milano per Istanbul per accompagnare la missione dell'Hadep sulle tracce dei "disaparecidos" nell'estremo est della Turchia. Uno/a su diecimila... E' troppo?
Discutiamone, per favore. Ciao a tutti/e. Dino Frisullo ---------- DAL "MANIFESTO" DI DOMANI, 12 LUGLIO"Non c'è vita senza libertà, siamo tutti Ocalan": l'unisono di duecento voci ieri rimbombava nella piazza assolata fra Montecitorio e palazzo Chigi.
Anche i bambini portavano con orgoglio i cartelli "Sono kurdo, rivendico la mia identità, sostengo il Pkk", il leitmotiv della campagna di disobbedienza civile che ha coinvolto in poche settimane quasi centomila kurdi anche laddove, in Turchia ma anche in Inghilterra, Francia e Germania, questa dichiarazione può costare anni di carcere.
E giocavano, i bambini, intorno alla grande nave di legno e cartone costruita in una notte di lavoro nel centro Ararat, autogestito e abitato ormai da cento profughi nel quartiere romano di Testaccio (più uno: è in arrivo il primo "figlio dell'Ararat"). I loro genitori guardavano con un sorriso amaro la scritta sulle fiancate: "Questa nave ha già portato in Europa un milione di kurdi".
Le firme italiane, insieme a un appello analogo sottoscritto fra gli altri da Gianni Minà, Alex Zanotelli, don Ciotti e Giovanni Conso, sono state consegnate ai commessi del Palazzo. Né le commissioni Esteri né il governo hanno trovato il tempo, nel giorno dedicato al dibattito sul G8, di incontrare i rappresentanti del popolo più radicalmente negato dalla globalizzazione. Ad eccezione di due deputati verdi non si sono fatti vedere neppure i parlamentari dell'attuale opposizione, ma mancava vistosamente anche quel "popolo del Social Forum" che pure a Roma aveva fatto propria l'iniziativa dei kurdi. Forse senso di colpa dei primi, certo colpevole strabismo dei secondi.
Molti dei profughi che ieri manifestavano a Roma attendono da anni l'asilo, ma si chiedevano se sia preferibile la procedura sommaria a cui in questi giorni sono sottoposti, dinanzi alla commissione ministeriale volata appositamente nell'aeroporto militare di Foggia, i seicento kurdi appena sbarcati a Crotone.
Ma i discorsi e i pensieri volavano altrove.In Turchia, dove i militari vorrebbero obbligare milioni di sfollati a firmare dichiarazioni che attribuiscono al Pkk la responsabilità dell'esodo e della distruzione dei loro villaggi, mentre avviano una nuova spedizione militare oltre frontiera nel Behdinan kurdo-irakeno. In Germania, dove migliaia di kurdi sono in marcia per duecento chilometri per rivendicare la loro identità.
Ed a Strasburgo dove la Corte europea, in attesa dell'udienza del 30 agosto sul caso Ocalan, sta facendo grandinare una ventina di condanne per torture e maltrattamenti su una Turchia il cui ineffabile ministro della Giustizia Sami Turk rivendicava ancora ieri come "necessario e tempestivo" il massacro di Natale nelle carceri - e i morti per fame sono ormai ventotto, quindici i moribondi.
La stessa Corte ieri ha condannato la Germania per il processo a Duran Kalkan, per sei anni detenuto in isolamento perché militante del Pkk ed oggi membro del suo Consiglio di presidenza. A quando la rimozione dei divieti per il partito di Ocalan e le altre organizzazioni kurde, almeno in Europa?
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