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La nonviolenza è in cammino. 154
- Subject: La nonviolenza è in cammino. 154
- From: "Centro ricerca pace Viterbo" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 21 Mar 2001 01:52:39 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 154 del 19 marzo 2001 Sommario di questo numero: 1. Silvano Tartarini, la nonviolenza in azione 2. Lorenzo Milani, la lettera ai giudici 3. Emily Dickinson, per fare un prato 4. La delegazione italiana alla festa kurda del Newroz 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. SILVANO TARTARINI: LA NONVIOLENZA IN AZIONE [Il testo seguente e' la sintesi, ricostruita a memoria dall'autore, dell'intervento tenuto da Silvano Tartarini, dei Berretti Bianchi, il 12 febbraio 2001 all'importante convegno torinese su "La nonviolenza nella ricerca, nell'educazione, nell'azione". Degli atti del convegno e' prevista una prossima pubblicazione; ringraziamo Silvano Tartarini per averci permesso di anticipare il testo del suo contributo] Prima di passare la parola ad Angelo Gandolfi, che parlera' della nostra esperienza come ambasciata di pace a Belgrado, vorrei solo dire alcune brevi cose rispetto alla nonviolenza nell'azione. Prima del 1990, il movimento pacifista non concepiva molto la possibilita' dell'intervento di pace all'estero. Noi tutti non ne avevamo conoscenza ed eravamo anche diffidenti sulle possibilita' di attuarlo. Inoltre per una serie di motivi non era considerato molto nonviolento. Appariva una sorta di decisione forzatamente unilaterale, che partiva in un aiuto che non era espressamente richiesto, troppo presuntuosa per essere veramente nonviolenta, nei fatti poco credibile per avere credito anche in un'area molto ristretta qual era quella che espresse la prima iniziativa: l'esperienza irachena del campo della pace in Bagdad, prima, durante e dopo la guerra del Golfo. Poi c'e' stata la marcia dei cinquecento in Bosnia, e poi Mir Sada, e poi le iniziative dell'Operazione Colomba, dal Kossovo alla Cecenia, al Chiapas. E poi ci sono stati gli interventi di diplomazia popolare della Comunita' di Sant'Egidio in Mozambico, in Kossovo, in Algeria e in Guatemala. Certo non tutto e' sempre andato bene, e i risultati concreti, apparentemente, non sono stati poi molti; ma i fatti sono avvenuti. Ormai l'intervento di pace all'estero e' diventato uno strumento del movimento della pace. E continuera' ad esserlo. E credo che si possa dire che ha aiutato anche qui in Italia a costruire azioni nonviolente creative. Penso alle mongolfiere che ad Aviano riuscirono a fermare gli arei da guerra, anche se solo per poco tempo. Mi pare che seguano la stessa strada, la stessa logica di opposizione alla violenza dei governi. Tuttavia, credo che il movimento per la pace dovrebbe prestare ora piu' attenzione al progetto "ambasciate di pace". Prestare piu' attenzione vuol dire, a parer mio, entrarci dentro: cambiandolo, se serve; migliorandolo. Il problema che pongo e' di trovare una risposta politica alla guerra. Secondo me e' un problema che ci dobbiamo assolutamente porre. Mi rendo conto che una risposta politica puo' essere vista per molti come cosa diversa da testimoniare la pace e, quindi, come una fuga in avanti. Per me e' la stessa cosa, anzi e' l'unico modo per testimoniare la pace. E credo che dovremo andare in questa direzione. Anche la sola idea di realizzare un semplice elenco delle persone disponibili ad impegnarsi in vario modo nell'esperienza che stiamo cercando di far nascere dei corpi civili di pace rappresenta, dal mio punto di vista, un passo avanti. Le ambasciate di pace e i corpi civili di pace sono due strumenti della stessa azione politica che, se il movimento della pace sosterra' in futuro con la determinazione e l'impegno che mi auguro, ci permetteranno di uscire fuori allo scoperto e di confrontarci con tutta la societa' civile sul tema della sicurezza e per l'uscita dal militare. Un'ultima cosa e' su quello che e' stato detto qui per un appello per la liberazione dei kossovari presenti nelle prigioni della Serbia. Va tutto bene, dobbiamo chiedere al nuovo governo democratico che si dimostri tale; ma bisogna anche ricordare che in Kossovo non c'e' oggi, per quello che mi risulta, possibilita' di avere per un serbo un processo degno di questo nome e, certamente, poco spazio di vita. E anche su questa situazione dobbiamo porci il problema di come intervenire, perche' se non lo faremo non avremo fatto il nostro dovere e non saremo certo credibili. 2. DOCUMENTI. LORENZO MILANI: LA LETTERA AI GIUDICI [Da L'obbedienza non e' piu' una virtu' riportiamo la lettera di don Milani ai giudici del 18 ottobre 1965. Il testo lo abbiamo ripreso dal sito utenti.tripod.it/donmilani/ curato da Carlo Galeotti. Abbiamo tolto i corsivi e rispetto alle consuete edizioni a stampa non abbiamo riportato i sommarietti a margine. Lorenzo Milani e' nato a Firenze nel 1923, proveniente da una famiglia della borghesia intellettuale, ordinato prete nel 1947. Opera dapprima a S. Donato a Calenzano, ove realizza una scuola serale aperta a tutti i giovani di estrazione popolare e proletaria, senza discriminazioni politiche. Viene poi trasferito punitivamente a Barbiana nel 1954. Qui realizza l'esperienza della sua scuola. Nel 1958 pubblica Esperienze pastorali, di cui la gerarchia ecclesiastica ordinerà il ritiro dal commercio. Nel 1965 scrive la lettera ai cappellani militari da cui deriverà il processo i cui atti sono pubblicati ne L'obbedienza non è più una virtù. Muore dopo una lunga malattia nel 1967: è appena uscita la Lettera a una professoressa della scuola di Barbiana. L'educazione come pratica di liberazione, la scelta di classe dalla parte degli oppressi, l'opposizione alla guerra, la denuncia della scuola classista che discrimina i poveri: sono alcuni dei temi su cui la lezione di don Milani resta di grande valore. Opere di Lorenzo Milani e della scuola di Barbiana: Esperienze pastorali, L'obbedienza non è più una virtù, Lettera a una professoressa, pubblicate tutte presso la Libreria Editrice Fiorentina (LEF). Postume sono state pubblicate le raccolte di Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, Mondadori; le Lettere alla mamma, Mondadori; e sempre delle lettere alla madre l'edizione critica, integrale e annotata, Alla mamma - Lettere 1943-1967, Marietti. Altri testi sono apparsi sparsamente in volumi di diversi autori. La casa editrice Stampa Alternativa ha meritoriamente effettuato nell'ultimo decennio la ripubblicazione di vari testi milaniani in edizioni ultraeconomiche e criticamente curate. La EMI ha appena pubblicato, a cura di Giorgio Pecorini, lettere, appunti e carte varie inedite di don Lorenzo Milani nel volume I care ancora. Opere su Lorenzo Milani: sono ormai numerose; fondamentali sono: Neera Fallaci, Vita del prete Lorenzo Milani. Dalla parte dell'ultimo, Rizzoli, Milano 1993; Giorgio Pecorini, Don Milani! Chi era costui?, Baldini & Castoldi, Milano 1996; Mario Lancisi (a cura di), Don Lorenzo Milani: dibattito aperto, Borla, Roma 1979; Ernesto Balducci, L' insegnamento di don Lorenzo Milani, Laterza, Roma-Bari 1995; Gianfranco Riccioni, La stampa e don Milani, LEF, Firenze 1974; Antonio Schina (a cura di), Don Milani, Centro di documentazione di Pistoia, 1993. Un repertorio bibliografico sintetico è in Peppe Sini, Don Milani e l'educazione alla pace, CRP, Viterbo 1998. Segnaliamo anche l'interessante fascicolo monografico di "Azione nonviolenta" del giugno 1997. Segnaliamo anche il fascicolo Don Lorenzo Milani, maestro di libertà, supplemento a "Conquiste del lavoro", n. 50 del 1987. Tra i testi apparsi di recente: il testo su don Milani di Michele Ranchetti nel suo libro Gli ultimi preti, ECP, S. Domenico di Fiesole 1997; David Maria Turoldo, Il mio amico don Milani, Servitium, Sotto il Monte (BG) 1997; Liana Fiorani, Don Milani tra storia e attualità, LEF, Firenze 1997, poi Centro don Milani, Firenze 1999; AA. VV., Rileggiamo don Lorenzo Milani a trenta anni dalla sua morte, Comune di Rubano 1998; Centro documentazione don Lorenzo Milani e scuola di Barbiana, Progetto Lorenzo Milani: il maestro, Firenze 1998] Barbiana 18 ottobre 1965 Signori Giudici, vi metto qui per scritto quello che avrei detto volentieri in aula. Non sara' infatti facile ch'io possa venire a Roma perche' sono da tempo malato. Allego un certificato medico e vi prego di procedere in mia assenza. La malattia e' l'unico motivo per cui non vengo. Ci tengo a precisarlo perche' dai tempi di Porta Pia i preti italiani sono sospettati di avere poco rispetto per lo Stato. E questa e' proprio l'accusa che mi si fa in questo processo. Ma essa non e' fondata per moltissimi miei confratelli e in nessun modo per me. Vi spieghero' anzi quanto mi stia a cuore imprimere nei miei ragazzi il senso della legge e il rispetto per i tribunali degli uomini. Una precisazione a proposito del difensore. Le cose che ho voluto dire con la lettera incriminata toccano da vicino la mia persona di maestro e di sacerdote. In queste due vesti so parlare da me. Avevo percio' chiesto al mio difensore d'ufficio di non prendere la parola. Ma egli mi ha spiegato che non me lo puo' promettere ne' come avvocato ne' come uomo. Ho capito le sue ragioni e non ho insistito. Un'altra precisazione a proposito della rivista che e' coimputata per avermi gentilmente ospitato. Io avevo diffuso per conto mio la lettera incriminata fin dal 23 Febbraio. Solo successivamente (6 Marzo) l'ha ripubblicata Rinascita e poi altri giornali. E' dunque per motivi procedurali cioe' del tutto casuali ch'io trovo incriminata con me una rivista comunista. Non ci troverei nulla da ridire se si trattasse d'altri argomenti. Ma essa non meritava l'onore d'essere fatta bandiera di idee che non le si addicono come la liberta' di coscienza e la non violenza. Il fatto non giova alla chiarezza cioe' all'educazione dei giovani che guardano a questo processo. Verro' ora ai motivi per cui ho sentito il dovere di scrivere la lettera incriminata. Ma vi occorrera' prima sapere come mai oltre che parroco io sia anche maestro. La mia e' una parrocchia di montagna. Quando ci arrivai c'era solo una scuola elementare. Cinque classi in un'aula sola. I ragazzi uscivano dalla quinta semianalfabeti e andavano a lavorare. Timidi e disprezzati. Decisi allora che avrei speso la mia vita di parroco per la loro elevazione civile e non solo religiosa. Cosi' da undici anni in qua, la piu' gran parte del mio ministero consiste in una scuola. Quelli che stanno in citta' usano meravigliarsi del suo orario. Dodici ore al giorno, 365 giorni l'anno. Prima che arrivassi io i ragazzi facevano lo stesso orario (e in piu' tanta fatica) per procurare lana e cacio a quelli che stanno in citta'. Nessuno aveva da ridire. Ora che quell'orario glielo faccio fare a scuola dicono che li sacrifico. La questione appartiene a questo processo solo perche' vi sarebbe difficile capire il mio modo di argomentare se non sapeste che i ragazzi vivono praticamente con me. Riceviamo le visite insieme. Leggiamo insieme: i libri, il giornale, la posta. Scriviamo insieme. COME MAESTRO Il motivo occasionale Eravamo come sempre insieme quando un amico ci porto' il ritaglio di un giornale. Si presentava come un "Comunicato dei cappellani militari in congedo della regione toscana". Piu' tardi abbiamo saputo che gia' questa dizione e' scorretta. Solo 20 di essi erano presenti alla riunione su un totale di 120. Non ho potuto appurare quanti fossero stati avvertiti. Personalmente ne conosco uno solo: don Vittorio Vacchiano pievano di Vicchio. Mi ha dichiarato che non e' stato invitato e che e' sdegnato della sostanza e della forma del comunicato. Il testo e' infatti gratuitamente provocatorio. Basti pensare alla parola "espressione di vilta'". Il prof. Giorgio Peyrot dell'Universita' di Roma sta curando la raccolta di tutte le sentenze contro obiettori italiani. Mi dice che dalla liberazione in qua ne son state pronunciate piu' di 200. Di 186 ha notizia sicura, di 100 il testo. Mi assicura che in nessuna ha trovato la parola vilta' o altra equivalente. In alcune anzi ha trovato espressioni di rispetto per la figura morale dell'imputato. Per esempio: "Da tutto il comportamento dell'imputato si deve ritenere che egli sia incorso nei rigori della legge per amor di fede" (2 sentenze del T.M.T. di Torino 19 Dicembre 1963 imputato Scherillo, 3 Giugno 1964 imputato Fiorenza). In tre sentenze del T.M.T. di Verona ha trovato il riconoscimento del motivo di particolare valore morale e sociale (19 Ottobre 1953 imputato Valente, 11 Gennaio 1957 imputato Perotto, 7 Maggio 1957 imputato Perotto). Allego il testo completo dei risultati della ricerca che il prof. Peyrot ha avuto la bonta' di fare per me. Ora io sedevo davanti ai miei ragazzi nella duplice veste di maestro e di sacerdote e loro mi guardavano sdegnati e appassionati. Un sacerdote che ingiuria un carcerato ha sempre torto. Tanto piu' se ingiuria chi e' in carcere per un ideale. Non avevo bisogno di far notare queste cose ai miei ragazzi. Le avevano gia' intuite. E avevano anche intuito che ero ormai impegnato a dar loro una lezione di vita. Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all'ingiustizia. Come ha liberta' di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto. Su una parete della nostra scuola c'e' scritto grande "I care". E' il motto intraducibile dei giovani americani migliori. "Me ne importa, mi sta a cuore". E' il contrario esatto del motto fascista "Me ne frego". Quando quel comunicato era arrivato a noi era gia' vecchio di una settimana. Si seppe che ne' le autorita' civili, ne' quelle religiose avevano reagito. Allora abbiamo reagito noi. Una scuola austera come la nostra, che non conosce ricreazione ne' vacanze, ha tanto tempo a disposizione per pensare e studiare. Ha percio' il diritto e il dovere di dire le cose che altri non dice. E' l'unica ricreazione che concedo ai miei ragazzi. Abbiamo dunque preso i nostri libri di storia (umili testi di scuola media, non monografie da specialisti) e siamo riandati cento anni di storia italiana in cerca d'una "guerra giusta". D'una guerra cioe' che fosse in regola con l'articolo 11 della Costituzione. Non e' colpa nostra se non l'abbiamo trovata. Da quel giorno a oggi abbiamo avuto molti dispiaceri: Ci sono arrivate decine di lettere anonime di ingiurie e di minacce firmate solo con la svastica o col fascio. Siamo stati feriti da alcuni giornalisti con "interviste" piene di falsita'. Da altri con incredibili illazioni tratte da quelle "interviste" senza curarsi di controllarne la serieta'. Siamo stati poco compresi dal nostro stesso Arcivescovo (Lettera al Clero 14-4-1965). La nostra lettera e' stata incriminata. Ci e' stato pero' di conforto tenere sempre dinanzi agli occhi quei 31 ragazzi italiani che sono attualmente in carcere per un ideale. Cosi' diversi dai milioni di giovani che affollano gli stadi, i bar, le piste da ballo, che vivono per comprarsi la macchina, che seguono le mode, che leggono giornali sportivi, che si disinteressano di politica e di religione. Un mio figliolo ha per professore di religione all'Istituto Tecnico il capo di quei militari cappellani che han scritto il comunicato. Mi dice di lui che in classe parla spesso di sport. Che racconta di essere appassionato di caccia e di judo. Che ha l'automobile. Non toccava a lui chiamare "vili e estranei al comandamento cristiano dell'amore" quei 31 giovani. I miei figlioli voglio che somiglino piu' a loro che a lui. E cio' nonostante non voglio che vengano su anarchici. Il motivo profondo A questo punto mi occorre spiegare il problema di fondo di ogni vera scuola. E siamo giunti, io penso, alla chiave di questo processo perche' io maestro sono accusato di apologia di reato cioe' di scuola cattiva. Bisognera' dunque accordarci su cio' che e' scuola buona. La scuola e' diversa dall'aula del tribunale. Per voi magistrati vale solo cio' che e' legge stabilita. La scuola invece siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi. E' l'arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalita' (e in questo somiglia alla vostra funzione), dall'altro la volonta' di leggi migliori cioe' il senso politico (e in questo si differenzia dalla vostra funzione). La tragedia del vostro mestiere di giudici e' che sapete di dover giudicare con leggi che ancora non son tutte giuste. Son vivi in Italia dei magistrati che in passato han dovuto perfino sentenziare condanne a morte. Se tutti oggi inorridiamo a questo pensiero dobbiamo ringraziare quei maestri che ci aiutarono a progredire, insegnandoci a criticare la legge che allora vigeva. Ecco perche', in un certo senso, la scuola e' fuori del vostro ordinamento giuridico. Il ragazzo non e' ancora penalmente imputabile e non esercita ancora diritti sovrani, deve solo prepararsi a esercitarli domani ed e' percio' da un lato nostro inferiore perche' deve obbedirci e noi rispondiamo di lui, dall'altro nostro superiore perche' decretera' domani leggi migliori delle nostre. E allora il maestro deve essere per quanto puo' profeta, scrutare i "segni dei tempi", indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso. Anche il maestro e' dunque in qualche modo fuori del vostro ordinamento e pure al suo servizio. Se lo condannate attenterete al progresso legislativo. In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che l'unico modo d'amare la legge e' d'obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioe' quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioe' quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perche' siano cambiate. La leva ufficiale per cambiare la legge e' il voto. La Costituzione gli affianca anche la leva dello sciopero. Ma la leva vera di queste due leve del potere e' influire con la parola e con l'esempio sugli altri votanti e scioperanti. E quando e' l'ora non c'e' scuola piu' grande che pagare di persona un'obiezione di coscienza. Cioe' violare la legge di cui si ha coscienza che e' cattiva e accettare la pena che essa prevede. E' scuola per esempio la nostra lettera sul banco dell'imputato e e' scuola la testimonianza di quei 31 giovani che sono a Gaeta. Chi paga di persona testimonia che vuole la legge migliore, cioe' che ama la legge piu' degli altri. Non capisco come qualcuno possa confonderlo con l'anarchico. Preghiamo Dio che ci mandi molti giovani capaci di tanto. Questa tecnica di amore costruttivo per la legge l'ho imparata insieme ai ragazzi mentre leggevamo il Critone, l'Apologia di Socrate, la vita del Signore nei quattro Vangeli, l'autobiografia di Gandhi, le lettere del pilota di Hiroshima. Vite di uomini che son venuti tragicamente in contrasto con l'ordinamento vigente al loro tempo non per scardinarlo, ma per renderlo migliore. L'ho applicata, nel mio piccolo, anche a tutta la mia vita di cristiano nei confronti delle leggi e delle autorita' della Chiesa. Severamente ortodosso e disciplinato e nello stesso tempo appassionatamente attento al presente e al futuro. Nessuno puo' accusarmi di eresia o di indisciplina. Nessuno d'aver fatto carriera. Ho 42 anni e sono parroco di 42 anime! Del resto ho gia' tirato su degli ammirevoli figlioli. Ottimi cittadini e ottimi cristiani. Nessuno di loro e' venuto su anarchico. Nessuno e' venuto su conformista. Informatevi su di loro. Essi testimoniano a mio favore. Ma e' poi reato? Vi ho dunque dichiarato fin qui che se anche la lettera incriminata costituisse reato era mio dovere morale di maestro scriverla egualmente. Vi ho fatto notare che togliendomi questa liberta' attentereste alla scuola cioe' al progresso legislativo. Ma e' poi reato? L'Assemblea Costituente ci ha invitati a dar posto nella scuola alla Carta Costituzionale "al fine di rendere consapevole la nuova generazione delle raggiunte conquiste morali e sociali". (ordine del giorno approvato all'unanimita' nella seduta dell'11 Dicembre 1947). Una di queste conquiste morali e sociali e' l'articolo 11: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli". Voi giuristi dite che le leggi si riferiscono solo al futuro, ma noi gente della strada diciamo che la parola ripudia e' molto piu' ricca di significato, abbraccia il passato e il futuro. E' un invito a buttar tutto all'aria: all'aria buona. La storia come la insegnavano a noi e il concetto di obbedienza militare assoluta come la insegnano ancora. Mi scuserete se su questo punto mi devo dilungare, ma il Pubblico Ministero ha interpretato come apologia della disobbedienza una lettera che e' una scorsa su cento anni di storia alla luce del verbo ripudia. E' dalla premessa di come si giudicano quelle guerre che segue se si dovra' o no obbedire nelle guerre future. Quando andavamo a scuola noi i nostri maestri, Dio li perdoni, ci avevano cosi' bassamente ingannati. Alcuni poverini ci credevano davvero: ci ingannavano perche' erano a loro volta ingannati. Altri sapevano di ingannarci, ma avevano paura. I piu' erano forse solo dei superficiali. A sentir loro tutte le guerre erano "per la Patria". Esaminiamo ora quattro tipi di guerra che "per la Patria" non erano. I nostri maestri si dimenticavano di farci notare una cosa lapalissiana e cioe' che gli eserciti marciano agli ordini della classe dominante. In Italia fino al 1880 aveva diritto di voto solo il 2% della popolazione. Fino al 1909 il 7%. Nel 1913 ebbe diritto di voto il 23%, ma solo la meta' lo seppe o lo volle usare. Dal '22 al '45 il certificato elettorale non arrivo' piu' a nessuno, ma arrivarono a tutti le cartoline di chiamata per tre guerre spaventose. Oggi di diritto il suffragio e' universale, ma la Costituzione (articolo 3) ci avvertiva nel '47 con sconcertante sincerita' che i lavoratori erano di fatto esclusi dalle leve del potere. Siccome non e' stata chiesta la revisione di quell'articolo e' lecito pensare (e io lo penso) che esso descriva una situazione non ancora superata. Allora e' ufficialmente riconosciuto che i contadini e gli operai, cioe' la gran massa del popolo italiano, non e' mai stata al potere. Allora l'esercito ha marciato solo agli ordini di una classe ristretta. Del resto ne porta ancora il marchio: il servizio di leva e' compensato con 93.000 al mese per i figli dei ricchi e con 4.500 lire al mese per i figli dei poveri, essi non mangiano lo stesso rancio alla stessa mensa, i figli dei ricchi sono serviti da un attendente figlio dei poveri. Allora l'esercito non ha mai o quasi mai rappresentato la Patria nella sua totalita' e nella sua eguaglianza. Del resto in quante guerre della storia gli eserciti han rappresentato la Patria? Forse quello che difese la Francia durante la Rivoluzione. Ma non certo quello di Napoleone in Russia. Forse l'esercito inglese dopo Dunkerque. Ma non certo l'esercito inglese a Suez. Forse l'esercito russo a Stalingrado. Ma non certo l'esercito russo in Polonia. Forse l'esercito italiano al Piave. Ma non certo l'esercito italiano il 24 Maggio. Ho a scuola esclusivamente figlioli di contadini e di operai. La luce elettrica a Barbiana e' stata portata quindici giorni fa, ma le cartoline di precetto hanno cominciato a portarle a domicilio fin dal 1861. Non posso non avvertire i miei ragazzi che i loro infelici babbi han sofferto e fatto soffrire in guerra per difendere gli interessi di una classe ristretta (di cui non facevano nemmeno parte!) non gli interessi della Patria. Anche la Patria e' una creatura cioe' qualcosa di meno di Dio, cioe' un idolo se la si adora. Io penso che non si puo' dar la vita per qualcosa di meno di Dio. Ma se anche si dovesse concedere che si puo' dar la vita per l'idolo buono (la Patria), certo non si potra' concedere che si possa dar la vita per l'idolo cattivo (le speculazioni degli industriali). Dar la vita per nulla e' peggio ancora. I nostri maestri non ci dissero che nel '66 l'Austria ci aveva offerto il Veneto gratis. Cioe' che quei morti erano morti senza scopo. Che e' mostruoso andare a morire e uccidere senza scopo. Se ci avessero detto meno bugie avremmo intravisto com'e' complessa la verita'. Come anche quella guerra, come ogni guerra, era composita dell'entusiasmo eroico di alcuni, dello sdegno eroico di altri, della delinquenza di altri ancora. Lo dico perche' alcuni mi accusan di aver mancato di rispetto ai caduti. Non e' vero. Ho rispetto per quelle infelici vittime. Proprio per questo mi parrebbe di offenderle se lodassi chi le ha mandate a morire e poi si e' messo in salvo. Per esempio quel re che scappo' a Brindisi con Badoglio e molti generali e nella fretta si dimentico' perfino di lasciar gli ordini. Del resto il rispetto per i morti non puo' farmi dimenticare i miei figlioli vivi. Io non voglio che essi facciano quella tragica fine. Se un giorno sapranno offrire la loro vita in sacrificio ne saro' orgoglioso, ma che sia per la causa di Dio e dei poveri, non per il signor Savoia o il signor Krupp. Bisognera' ricordare anche le guerre per allargare i confini oltre il territorio nazionale. Ci sono ancora dei fascisti poveretti che mi scrivono lettere patetiche per dirmi che prima di pronunciare il nome santo di Battisti devo sciacquarmi la bocca. E' perche' i nostri maestri ce l'avevano presentato come un eroe fascista. Si erano dimenticati di dirci che era un socialista. Che se fosse stato vivo il 4 novembre quando gli italiani entrarono nel Sud Tirolo avrebbe obiettato. Non avrebbe mosso un passo di la' da Salorno per lo stessissimo motivo per cui quattro anni prima aveva obiettato alla presenza degli austriaci di qua da Salorno e s'era buttato disertore, come dico appunto nella mia lettera. "Riterremmo stoltezza vantar diritti su Merano e Bolzano" (Scritti politici di Cesare Battisti, vol. II, pag. 96-97). "Certi italiani confondono troppo facilmente il Tirolo col Trentino e con poca logica vogliono i confini d'Italia estesi fino al Brennero" (ivi). Sotto il fascismo la mistificazione fu scientificamente organizzata. E non solo sui libri, ma perfino sul paesaggio. L'Alto Adige, dove nessun soldato italiano era mai morto, ebbe tre cimiteri di guerra finti (Colle Isarco, Passo Resia, S. Candido) con caduti veri disseppelliti a Caporetto. Parlo di confini per chi crede ancora, come credeva Battisti, che i confini debbano tagliare preciso tra nazione e nazione. Non certo per dar soddisfazione a quei nazisti da museo che sparano a carabinieri di 20 anni. In quanto a me, io ai miei ragazzi insegno che le frontiere son concetti superati. Quando scrivevamo la lettera incriminata abbiamo visto che i nostri paletti di confine sono stati sempre in viaggio. E cio' che seguita a cambiar di posto secondo il capriccio delle fortune militari non puo' essere dogma di fede ne' civile ne' religiosa. Ci presentavano l'Impero come una gloria della Patria! Avevo 13 anni. Mi par oggi. Saltavo di gioia per l'Impero. I nostri maestri s'erano dimenticati di dirci che gli etiopici erano migliori di noi. Che andavamo a bruciare le loro capanne con dentro le loro donne e i loro bambini mentre loro non ci avevano fatto nulla. Quella scuola vile, consciamente o inconsciamente non so, preparava gli orrori di tre anni dopo. Preparava milioni di soldati obbedienti. Obbedienti agli ordini di Mussolini. Anzi, per essere piu' precisi, obbedienti agli ordini di Hitler. Cinquanta milioni di morti. E dopo esser stato cosi' volgarmente mistificato dai miei maestri quando avevo 13 anni, ora che sono maestro io e ho davanti questi figlioli di 13 anni che amo, vorreste che non sentissi l'obbligo non solo morale (come dicevo nella prima parte di questa lettera), ma anche civico di demistificare tutto, compresa l'obbedienza militare come ce la insegnavano allora? Perseguite i maestri che dicono ancora le bugie di allora, quelli che da allora a oggi non hanno piu' studiato ne' pensato, non me. Abbiamo voluto scrivere questa lettera senza l'aiuto d'un giurista. Ma a scuola una copia dei Codici l'abbiamo. Nel testo stesso dell'art. 40 c.p.m.p. e nella giurisprudenza all'art. 51 del c.p. abbiamo trovato che il soldato non deve obbedire quando l'atto comandato e' manifestamente delittuoso. Che l'ordine deve avere un minimo d'apparenza di legittimita'. Una sentenza del T.S.M. condanna un soldato che ha obbedito a un ordine di strage di civili (13-12-1949 imputato Strauch). Allora anche il Vostro ordinamento riconosce che perfino il soldato ha una coscienza e deve saperla usare quando e' l'ora. Come potrebbe avere un minimo di parvenza di legittimita' una decimazione, una rappresaglia su ostaggi, la deportazione degli ebrei, la tortura, una guerra coloniale? Oppure, puo' avere un minimo di parvenza di legittimita' un atto condannato dagli accordi internazionali che l'Italia ha sottoscritto? Il nostro Arcivescovo Card. Florit ha scritto che "e' praticamente impossibile all'individuo singolo valutare i molteplici aspetti relativi alla moralita' degli ordini che riceve" (Lettera al Clero 14-4-1965). Certo non voleva riferirsi all'ordine che hanno ricevuto le infermiere tedesche di uccidere i loro malati. E neppure a quello che ricevette Badoglio e trasmise ai suoi soldati di mirare anche agli ospedali (telegramma di Mussolini 28-3-1936). E neppure all'uso dei gas. Che gli italiani in Etiopia abbiano usato gas e' un fatto su cui e' inutile chiuder gli occhi. Il Protocollo di Ginevra del 17-5-1925 ratificato dall'Italia il 3-4-1928 fu violato dall'Italia per prima il 23-12-1935 sul Tacazze'. L'Enciclopedia Britannica lo da' per pacifico. Lo denunciano oramai anche i giornali cattolici (L'Avvenire d'Italia articoli di Angelo del Boca dal 13-5-1965 al 15-7-1965). Abbiamo letto i telegrammi di Mussolini a Graziani: "autorizzo impiego gas" (telegramma numero 12409 del 27-10-1935) di Mussolini a Badoglio: "rinnovo autorizzazione impiego gas qualunque specie e su qualunque scala" (29-3-1936). Haile' Selassie' l'ha confermato autorevolmente e circostanziatamente (intervista per l'Espresso 29-9-1965 e sg.). Quegli ufficiali e quei soldati obbedienti che buttavano barili d'iprite sono criminali di guerra e non son ancora stati processati. Son processato invece io perche' ho scritto una lettera che molti considerano nobile. (carissime fra le tante le lettere di affettuosa solidarieta' delle Commissioni Interne delle principali fabbriche fiorentine, quelle dei dirigenti e attivisti della C.I.S.L. di Milano e della C.I.S.L. di Firenze e quella dei Valdesi). Che idea si potranno fare i giovani di cio' che e' crimine? Oggi poi le convenzioni internazionali son state accolte nella Costituzione (art. 10). Ai miei montanari insegno a avere piu' in onore la Costituzione e i patti che la loro Patria ha firmato che gli ordini opposti d'un generale. Io non li credo dei minorati incapaci di distinguere se sia lecito o no bruciar vivo un bambino. Ma dei cittadini sovrani e coscienti. Ricchi del buon senso dei poveri. Immuni da certe perversioni intellettuali di cui soffrono talvolta i figli della borghesia. Quelli per esempio che leggevano D'Annunzio e ci han regalato il fascismo e le sue guerre. A Norimberga e a Gerusalemme son stati condannati uomini che avevano obbedito. L'umanita' intera consente che essi non dovevano obbedire, perche' c'e' una legge che gli uomini non hanno forse ancora ben scritta nei loro codici, ma che e' scritta nel loro cuore. Una gran parte dell'umanita' la chiama legge di Dio, l'altra parte la chiama legge della Coscienza. Quelli che non credono ne' nell'una ne' nell'altra non sono che un'infima minoranza malata. Sono i cultori dell'obbedienza cieca. Condannare la nostra lettera equivale a dire ai giovani soldati italiani che essi non devono avere una coscienza, che devono obbedire come automi, che i loro delitti li paghera' chi li avra' comandati. E invece bisogna dir loro che Claude Eatherly, il pilota di Hiroshima, che vede ogni notte donne e bambini che bruciano e si fondono come candele, rifiuta di prender tranquillanti, non vuol dormire, non vuol dimenticare quello che ha fatto quand'era "un bravo ragazzo, un soldato disciplinato" (secondo la definizione dei suoi superiori) "un povero imbecille irresponsabile" (secondo la definizione che da' lui di se' ora). (carteggio di Claude Eatherly e Günter Anders - Einaudi 1962). Ho poi studiato a teologia morale un vecchio principio di diritto romano che anche voi accettate. Il principio della responsabilita' in solido. Il popolo lo conosce sotto forma di proverbio: "Tant'e' ladro chi ruba che chi para il sacco". Quando si tratta di due persone che compiono un delitto insieme, per esempio il mandante e il sicario, voi gli date un ergastolo per uno e tutti capiscono che la responsabilita' non si divide per due. Un delitto come quello di Hiroshima ha richiesto qualche migliaio di corresponsabili diretti: politici, scienziati, tecnici, operai, aviatori. Ognuno di essi ha tacitato la propria coscienza fingendo a se stesso che quella cifra andasse a denominatore. Un rimorso ridotto a millesimi non toglie il sonno all'uomo d'oggi. E cosi' siamo giunti a quest'assurdo che l'uomo delle caverne se dava una randellata sapeva di far male e si pentiva. L'aviere dell'era atomica riempie il serbatoio dell'apparecchio che poco dopo disintegrera' 200.000 giapponesi e non si pente. A dar retta ai teorici dell'obbedienza e a certi tribunali tedeschi, dell'assassinio di sei milioni di ebrei rispondera' solo Hitler. Ma Hitler era irresponsabile perche' pazzo. Dunque quel delitto non e' mai avvenuto perche' non ha autore. C'e' un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole. Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l'obbedienza non e' ormai piu' una virtu', ma la piu' subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo ne' davanti agli uomini ne' davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l'unico responsabile di tutto. A questo patto l'umanita' potra' dire di aver avuto in questo secolo un progresso morale parallelo e proporzionale al suo progresso tecnico. COME SACERDOTE Fin qui ho parlato come un cittadino e un maestro che crede con la sua scuola e la sua lettera di aver reso un servizio alla societa' civile, non di aver compiuto un reato. Ma poniamo di nuovo che voi lo consideriate reato. Quest'accusa se fatta a me solo e non anche a tutti i miei confratelli mette in dubbio la mia ortodossia di cattolico e di sacerdote. Sembrera' infatti che condanniate le idee personali di un prete strano. Ma io son parte viva della Chiesa anzi suo ministro. Se avessi detto cose estranee al suo insegnamento essa mi avrebbe condannato. Non l'ha fatto perche' la mia lettera dice cose elementari di dottrina cristiana che tutti i preti insegnano da 2000 anni. Se ho commesso reato perseguiteci tutti. Ho evitato apposta di parlare da non-violento. Personalmente lo sono. Ho tentato di educare i miei ragazzi cosi'. Li ho indirizzati per quanto ho potuto verso i sindacati (le uniche organizzazioni che applichino su larga scala le tecniche non-violente). Ma la non-violenza non e' ancora la dottrina ufficiale di tutta la Chiesa. Mentre la dottrina del primato della coscienza sulla legge dello Stato lo e' certamente. Mi sara' facile dimostrarvi che nella mia lettera ho parlato da cattolico integrale, anzi spesso da cattolico conservatore. Cominciamo dalla storia. La storia d'Italia fino al 1929 nella mia lettera e' identica a come la raccontavano i preti in seminario prima di quella data. Il mio vecchio parroco mi diceva che La Squilla, il giornale cattolico di Firenze, aveva in vetta e in fondo uno striscione nero. Portava il lutto del Risorgimento! In quanto alla storia piu' recente cioe' al giudizio sulle guerre fasciste, puo' anche darsi che qualche mio confratello sia intimamente un nostalgico, ma e' notorio che la gran maggioranza dei preti sostiene un partito democratico che fu il principale autore della Costituzione (dunque anche della parola ripudia). Veniamo alla dottrina. La dottrina del primato della legge di Dio sulla legge degli uomini e' condivisa, anzi glorificata, da tutta la Chiesa. Non andro' a cercare teologi moderni e difficili per dimostrarlo. Si puo' domandarlo a un bambino che si prepara alla Prima Comunione: "Se il padre o la madre comanda una cosa cattiva bisogna obbedirlo? I martiri disobbedirono alle leggi dello Stato. Fecero bene o male?". C'e' chi cita a sproposito il detto di S. Pietro: "Obbedite ai vostri superiori anche se son cattivi". Infatti. Non ha nessuna importanza se chi comanda e' personalmente buono o cattivo. Delle sue azioni rispondera' lui davanti a Dio. Ha pero' importanza se ci comanda cose buone o cattive perche' delle nostre azioni risponderemo noi davanti a Dio. Tant'e' vero che Pietro scriveva quelle sagge raccomandazioni all'obbedienza dal carcere dove era chiuso per aver solennemente disobbedito. Il Concilio di Trento e' esplicito su questo punto (Catechismo III parte, IV precetto, 16° paragrafo): "Se le autorita' politiche comanderanno qualcosa di iniquo non sono assolutamente da ascoltare. Nello spiegare questa cosa al popolo il parroco faccia notare che premio grande e proporzionato e' riservato in cielo a coloro che obbediscono a questo precetto divino" cioe' di disobbedire allo Stato! Certi cattolici di estrema destra (forse gli stessi che mi hanno denunciato) ammirano la Mostra della Chiesa del Silenzio. Quella mostra e' l'esaltazione di cittadini che per motivo di coscienza si ribellano allo Stato. Allora anche i miei superficialissimi accusatori la pensan come me. Hanno il solo difetto di ricordarsi di quella legge eterna quando lo Stato e' comunista e le vittime son cattoliche e di dimenticarla nei casi (come in Spagna) dove lo Stato si dichiara cattolico e le vittime sono comuniste. Son cose penose, ma le ho ricordate per mostrarvi che su questo punto l'arco dei cattolici che la pensano come me e' completo. Tutti sanno che la Chiesa onora i suoi martiri. Poco lontano dal vostro Tribunale essa ha eretto una basilica per onorare l'umile pescatore che ha pagato con la vita il contrasto fra la sua coscienza e l'ordinamento vigente. S. Pietro era un "cattivo cittadino". I vostri predecessori del Tribunale di Roma non ebbero tutti i torti a condannarlo. Eppure essi non erano intolleranti verso le religioni. Avevano costruito a Roma i templi di tutti gli dei e avevano cura di offrir sacrifici ad ogni altare. In una sola religione il loro profondo senso del diritto ravviso' un pericolo mortale per le loro istituzioni. Quella il cui primo comandamento dice: "Io sono un Dio geloso. Non avere altro Dio fuori che me". A quei tempi pareva dunque inevitabile che i buoni ebrei e i buoni cristiani paressero cattivi cittadini. Poi le leggi dello Stato progredirono. Lasciatemi dire, con buona pace dei laicisti, che esse vennero man mano avvicinandosi alla legge di Dio. Cosi' va diventando ogni giorno piu' facile per noi esser riconosciuti buoni cittadini. Ma e' per coincidenza e non per sua natura che questo avviene. Non meravigliatevi dunque se ancora non possiamo obbedire tutte le leggi degli uomini. Miglioriamole ancora e un giorno le obbediremo tutte. Vi ho detto che come maestro civile sto dando una mano anch'io a migliorarle. Perche' io ho fiducia nelle leggi degli uomini. Nel breve corso della mia vita mi pare che abbiano progredito a vista d'occhio. Condannano oggi tante cose cattive che ieri sancivano. Oggi condannano la pena di morte, l'assolutismo, la monarchia, la censura, le colonie, il razzismo, l'inferiorita' della donna, la prostituzione, il lavoro dei ragazzi. Onorano lo sciopero, i sindacati, i partiti. Tutto questo e' un irreversibile avvicinarsi alla legge di Dio. Gia' oggi la coincidenza e' cosi' grande che normalmente un buon cristiano puo' passare anche l'intera vita senza mai essere costretto dalla coscienza a violare una legge dello Stato. Io per esempio fino a questo momento sono incensurato. E spero di esserlo anche alla fine di questo processo. E' un augurio che faccio ai patrioti. Chissa' come patirebbero se potessero leggere le tante lettere che ricevo dall'estero. Da paesi che non hanno il servizio di leva o riconoscono l'obiezione. Quelli che le scrivono sono convinti di scrivere a un paese di selvaggi. Qualcuno mi domanda quanto dovra' ancora stare in prigione il povero padre Balducci. Dicevamo dunque che oggi le nostre due leggi quasi coincidono. Ci sono pero' dei casi eccezionali nei quali vige l'antica divergenza e l'antico comandamento della Chiesa di obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. Ho elencato nella lettera incriminata alcuni di questi casi. Posso aggiungere altre considerazioni. Cominciamo dall'obiezione di coscienza in senso stretto. Proprio in questi giorni ho avuto conforto dalla Chiesa anche su questo punto specifico. Il Concilio invita i legislatori a avere rispetto (respicere) per coloro i quali "o per testimoniare della mitezza cristiana, o per reverenza alla vita, o per orrore di esercitare qualsiasi violenza, ricusano per motivo di coscienza o il servizio militare o alcuni singoli atti di immane crudelta' cui conduce la guerra". (Schema 13 paragrafo 101. Questo e' il testo proposto dalla apposita Commissione la quale rispecchia tutte le correnti del Concilio. Ha quindi tutte le probabilita' d'essere quello definitivo). Quei 20 militari di Firenze han detto che l'obiettore e' un vile. Io ho detto soltanto che forse e' un profeta. Mi pare che i Vescovi stiano dicendo molto piu' di me. Ricordero' altri tre fatti sintomatici. Nel '18 i seminaristi reduci di guerra, se vollero diventare preti, dovettero chiedere alla Santa Sede una sanatoria per le irregolarita' canoniche in cui potevano essere incorsi nell'obbedire ai loro ufficiali. Nel '29 la Chiesa chiedeva allo Stato di dispensare i seminaristi, i preti, i vescovi dal servizio militare. Il canone 141 proibisce ai chierici di andare volontari a meno che lo facciano per sortirne prima (ut citius liberi evadant)! Chi disobbedisce e' automaticamente ridotto allo stato laicale. La Chiesa considera dunque a dir poco indecorosa per un sacerdote l'attivita' militare presa nel suo complesso. Con le sue ombre e le sue luci. Quella che lo Stato onora con medaglie e monumenti. E infine affrontiamo il problema piu' cocente delle ultime guerre e di quelle future: l'uccisione dei civili. La Chiesa non ha mai ammesso che in guerra fosse lecito uccidere civili, a meno che la cosa avvenisse incidentalmente cioe' nel tentare di colpire un obiettivo militare. Ora abbiamo letto a scuola su segnalazione del Giorno un articolo del premio Nobel Max Born (Bullettin of the Atomic Scientists, aprile 1964). Dice che nella prima guerra mondiale i morti furono 5% civili 95% militari (si poteva ancora sostenere che i civili erano morti "incidentalmente"). Nella seconda 48% civili 52% militari (non si poteva piu' sostenere che i civili fossero morti "incidentalmente"). In quella di Corea 84% civili 16% militari (si puo' ormai sostenere che i militari muoiono "incidentalmente"). Sappiamo tutti che i generali studiano la strategia d'oggi con l'unita' di misura del megadeath (un milione di morti) cioe' che le armi attuali mirano direttamente ai civili e che si salveranno forse solo i militari. Che io sappia nessun teologo ammette che un soldato possa mirare direttamente (si puo' ormai dire esclusivamente) ai civili. Dunque in casi del genere il cristiano deve obiettare anche a costo della vita. Io aggiungerei che mi pare coerente dire che a una guerra simile il cristiano non potra' partecipare nemmeno come cuciniere. Gandhi l'aveva gia' capito quando ancora non si parlava di armi atomiche. "Io non traccio alcuna distinzione tra coloro che portano le armi di distruzione e coloro che prestano servizio di Croce Rossa. Entrambi partecipano alla guerra e ne promuovono la causa. Entrambi sono colpevoli del crimine della guerra" (Non-violence in peace and war. Ahmedabad 14 vol. 1). A questo punto mi domando se non sia accademia seguitare a discutere di guerra con termini che servivano gia' male per la seconda guerra mondiale. Eppure mi tocca parlare anche della guerra futura perche' accusandomi di apologia di reato ci si riferisce appunto a quel che dovranno fare o non fare i nostri ragazzi domani. Ma nella guerra futura l'inadeguatezza dei termini della nostra teologia e della vostra legislazione e' ancora piu' evidente. E' noto che l'unica "difesa" possibile in una guerra di missili atomici sara' di sparare circa 20 minuti prima dell'"aggressore". Ma in lingua italiana lo sparare prima si chiama aggressione e non difesa. Oppure immaginiamo uno Stato onestissimo che per sua "difesa" spari 20 minuti dopo. Cioe' che sparino i suoi sommergibili unici superstiti d'un paese ormai cancellato dalla geografia. Ma in lingua italiana questo si chiama vendetta non difesa. Mi dispiace se il discorso prende un tono di fantascienza, ma Kennedy e Krusciov (i due artefici della distensione!) si sono lanciati l'un l'altro pubblicamente minacce del genere. "Siamo pienamente consapevoli del fatto che questa guerra, se viene scatenata, diventera' sin dalla primissima ora una guerra termonucleare e una guerra mondiale. Cio' per noi e' perfettamente ovvio" (lettera di Krusciov a B. Russell, 23-10-1962). Siamo dunque tragicamente nel reale. Allora la guerra difensiva non esiste piu'. Allora non esiste piu' una "guerra giusta" ne' per la Chiesa ne' per la Costituzione. A piu' riprese gli scienziati ci hanno avvertiti che e' in gioco la sopravvivenza della specie umana. (Per esempio Linus Pauling premio Nobel per la chimica e per la pace). E noi stiamo qui a questionare se al soldato sia lecito o no distruggere la specie umana? Spero di tutto cuore che mi assolverete, non mi diverte l'idea di andare a fare l'eroe in prigione, ma non posso fare a meno di dichiararvi esplicitamente che seguitero' a insegnare ai miei ragazzi quel che ho insegnato fino a ora. Cioe' che se un ufficiale dara' loro ordini da paranoico hanno solo il dovere di legarlo ben stretto e portarlo in una casa di cura. Spero che in tutto il mondo i miei colleghi preti e maestri d'ogni religione e d'ogni scuola insegneranno come me. Poi forse qualche generale trovera' ugualmente il meschino che obbedisce e cosi' non riusciremo a salvare l'umanita'. Non e' un motivo per non fare fino in fondo il nostro dovere di maestri. Se non potremo salvare l'umanita' ci salveremo almeno l'anima. 3. RIFLESSIONE. EMILY DICKINSON: PER FARE UN PRATO [l testo seguente abbiamo estratto da Emily Dickinson, Poesie, Savelli, Roma 1976; la traduzione (e la cura del volumetto) e' di Barbara Lanati. Emily Dickinson (Amherst, nel Massachusetts, 1830-1886) visse una vita di volontario isolamento; solo sette delle sue poesie furono pubblicate lei vivente, la sua opera poetica e' da decenni un punto di riferimento imprescindibile] Per fare un prato ci vuole del trifoglio e un'ape, un trifoglio e un'ape e sogni ad occhi aperti. E se le api sono scarse, bastano i sogni. 4. INIZIATIVE. LA DELEGAZIONE ITALIANA ALLA FESTA KURDA DEL NEWROZ [Riceviamo e volentieri diffondiamo il comunicato emesso il 17 marzo dalla delegazione italiana in partenza per Istanbul, i cui membri si sono definiti "messaggeri e testimoni di pace". La delegazione diffondera', direttamente o attraverso le associazioni di riferimento in Italia, informazioni quotidiane sulla propria missione e sulla situazione in Turchia. Per richiedere informazioni e interviste alla delegazione: delegazione at hotmail.com] Siamo gli oltre quaranta osservatori italiani che, insieme a centinaia di persone da altri paesi europei, assisteranno il 21 marzo alle celebrazioni del Newroz, il Capodanno kurdo. La nostra delegazione, che prima di recarsi a Diyarbakir e a Van incontrera' a Istanbul le associazioni, i partiti e i sindacati democratici, include avvocati, medici, insegnanti, operatori sociali e sindacalisti provenienti da quindici citta' italiane, che hanno risposto all'appello delle associazioni Uiki e Azad. Alle celebrazioni, che sono state gia' autorizzate in diverse citta' mentre trattative sono in corso con i governatori di Diyarbakir e Van, e' previsto l'afflusso di centinaia di migliaia di kurdi "per aprire in pace e dignita' il nuovo millennio". Avremo anche occasione di incontrare le famiglie dei prigionieri politici e di visitare i siti storico-archeologici minacciati di sparizione a causa di dissennati interventi idrogeologici. Al ritorno, il 24 marzo, parteciperemo alla festa italiana del Newroz, programmata a Bologna presso il Tpo di viale Lenin. 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ; per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ; angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 154 del 19 marzo 2001
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