La nonviolenza è in cammino. 154



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 154 del 19 marzo 2001

Sommario di questo numero:
1. Silvano Tartarini, la nonviolenza in azione
2. Lorenzo Milani, la lettera ai giudici
3. Emily Dickinson, per fare un prato
4. La delegazione italiana alla festa kurda del Newroz
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. SILVANO TARTARINI: LA NONVIOLENZA IN AZIONE
[Il testo seguente e' la sintesi, ricostruita a memoria dall'autore,
dell'intervento tenuto da Silvano Tartarini, dei Berretti Bianchi, il 12
febbraio 2001 all'importante convegno torinese su "La nonviolenza nella
ricerca, nell'educazione, nell'azione". Degli atti del convegno e' prevista
una prossima pubblicazione; ringraziamo Silvano Tartarini per averci
permesso di anticipare il testo del suo contributo]
Prima di passare la parola ad Angelo Gandolfi, che parlera' della nostra
esperienza come ambasciata di pace a Belgrado, vorrei solo dire alcune brevi
cose rispetto alla nonviolenza nell'azione.
Prima del 1990, il movimento pacifista non concepiva molto la possibilita'
dell'intervento di pace all'estero. Noi tutti non ne avevamo conoscenza ed
eravamo anche diffidenti sulle possibilita' di attuarlo. Inoltre per una
serie di motivi non era considerato molto nonviolento. Appariva una sorta di
decisione forzatamente unilaterale, che partiva in un aiuto che non era
espressamente richiesto, troppo presuntuosa per essere veramente
nonviolenta, nei fatti poco credibile per avere credito anche in un'area
molto ristretta qual era quella che espresse la prima iniziativa:
l'esperienza irachena del campo della pace in Bagdad, prima, durante e dopo
la guerra del Golfo.
Poi c'e' stata la marcia dei cinquecento in Bosnia, e poi Mir Sada, e poi le
iniziative dell'Operazione Colomba, dal Kossovo alla Cecenia, al Chiapas.
E poi ci sono stati gli interventi di diplomazia popolare della Comunita' di
Sant'Egidio in Mozambico, in Kossovo, in Algeria e in Guatemala.
Certo non tutto e' sempre andato bene, e i risultati concreti,
apparentemente, non sono stati poi molti; ma i fatti sono avvenuti.
Ormai l'intervento di pace all'estero e' diventato uno strumento del
movimento della pace. E continuera' ad esserlo.
E credo che si possa dire che ha aiutato anche qui in Italia a costruire
azioni nonviolente creative. Penso alle mongolfiere che ad Aviano riuscirono
a fermare gli arei da guerra, anche se solo per poco tempo. Mi pare che
seguano la stessa strada, la stessa logica di opposizione alla violenza dei
governi.
Tuttavia, credo che il movimento per la pace dovrebbe prestare ora piu'
attenzione al progetto "ambasciate di pace".
Prestare piu' attenzione vuol dire, a parer mio, entrarci dentro:
cambiandolo, se serve; migliorandolo.
Il problema che pongo e' di trovare una risposta politica alla guerra.
Secondo me e' un problema che ci dobbiamo assolutamente porre. Mi rendo
conto che una risposta politica puo' essere vista per molti come cosa
diversa da testimoniare la pace e, quindi, come una fuga in avanti. Per me
e' la stessa cosa, anzi e' l'unico modo per testimoniare la pace. E credo
che dovremo andare in questa direzione.
Anche la sola idea di realizzare un semplice elenco delle persone
disponibili ad impegnarsi in vario modo nell'esperienza che stiamo cercando
di far nascere dei corpi civili di pace rappresenta, dal mio punto di vista,
un passo avanti.
Le ambasciate di pace e i corpi civili di pace sono due strumenti della
stessa azione politica che, se il movimento della pace sosterra' in futuro
con la determinazione e l'impegno che mi auguro, ci permetteranno di uscire
fuori allo scoperto e di confrontarci con tutta la societa' civile sul tema
della sicurezza e per l'uscita dal militare.
Un'ultima cosa e' su quello che e' stato detto qui per un appello per la
liberazione dei kossovari presenti nelle prigioni della Serbia. Va tutto
bene, dobbiamo chiedere al nuovo governo democratico che si dimostri tale;
ma bisogna anche ricordare che in Kossovo non c'e' oggi, per quello che mi
risulta, possibilita' di avere per un serbo un processo degno di questo nome
e, certamente, poco spazio di vita. E anche su questa situazione dobbiamo
porci il problema di come intervenire, perche' se non lo faremo non avremo
fatto il nostro dovere e non saremo certo credibili.

2. DOCUMENTI. LORENZO MILANI: LA LETTERA AI GIUDICI
[Da L'obbedienza non e' piu' una virtu' riportiamo la lettera di don Milani
ai giudici del 18 ottobre 1965.
Il testo lo abbiamo ripreso dal sito utenti.tripod.it/donmilani/ curato da
Carlo Galeotti. Abbiamo tolto i corsivi e rispetto alle consuete edizioni a
stampa non abbiamo riportato i sommarietti a margine.
Lorenzo Milani e' nato a Firenze nel 1923, proveniente da una famiglia della
borghesia intellettuale, ordinato prete nel 1947. Opera dapprima a S. Donato
a Calenzano, ove realizza una scuola serale aperta a tutti i giovani di
estrazione popolare e proletaria, senza discriminazioni politiche. Viene poi
trasferito punitivamente a Barbiana nel 1954. Qui realizza l'esperienza
della sua scuola. Nel 1958 pubblica Esperienze pastorali, di cui la
gerarchia ecclesiastica ordinerà il ritiro dal commercio. Nel 1965 scrive la
lettera ai cappellani militari da cui deriverà il processo i cui atti sono
pubblicati ne L'obbedienza non è più una virtù. Muore dopo una lunga
malattia nel 1967: è appena uscita la Lettera a una professoressa della
scuola di Barbiana. L'educazione come pratica di liberazione, la scelta di
classe dalla parte degli oppressi, l'opposizione alla guerra, la denuncia
della scuola classista che discrimina i poveri: sono alcuni dei temi su cui
la lezione di don Milani resta di grande valore. Opere di Lorenzo Milani e
della scuola di Barbiana: Esperienze pastorali, L'obbedienza non è più una
virtù, Lettera a una professoressa, pubblicate tutte presso la Libreria
Editrice Fiorentina (LEF). Postume sono state pubblicate le raccolte di
Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, Mondadori; le Lettere alla
mamma, Mondadori; e sempre delle lettere alla madre l'edizione critica,
integrale e annotata, Alla mamma - Lettere 1943-1967, Marietti. Altri testi
sono apparsi sparsamente in volumi di diversi autori. La casa editrice
Stampa Alternativa ha meritoriamente effettuato nell'ultimo decennio la
ripubblicazione di vari testi milaniani in edizioni ultraeconomiche e
criticamente curate. La EMI ha appena pubblicato, a cura di Giorgio
Pecorini, lettere, appunti e carte varie inedite di don Lorenzo Milani nel
volume I care ancora. Opere su Lorenzo Milani: sono ormai numerose;
fondamentali sono: Neera Fallaci, Vita del prete Lorenzo Milani. Dalla parte
dell'ultimo, Rizzoli, Milano 1993; Giorgio Pecorini, Don Milani! Chi era
costui?, Baldini & Castoldi, Milano 1996; Mario Lancisi (a cura di), Don
Lorenzo Milani: dibattito aperto, Borla, Roma 1979; Ernesto Balducci, L'
insegnamento di don Lorenzo Milani, Laterza, Roma-Bari 1995; Gianfranco
Riccioni, La stampa e don Milani, LEF, Firenze 1974; Antonio Schina (a cura
di), Don Milani, Centro di documentazione di Pistoia, 1993. Un repertorio
bibliografico sintetico è in Peppe Sini, Don Milani e l'educazione alla
pace, CRP, Viterbo 1998. Segnaliamo anche l'interessante fascicolo
monografico di "Azione nonviolenta" del giugno 1997. Segnaliamo anche il
fascicolo Don Lorenzo Milani, maestro di libertà, supplemento a "Conquiste
del lavoro", n. 50 del 1987. Tra i testi apparsi di recente: il testo su don
Milani di Michele Ranchetti nel suo libro Gli ultimi preti, ECP, S. Domenico
di Fiesole 1997; David Maria Turoldo, Il mio amico don Milani, Servitium,
Sotto il Monte (BG) 1997; Liana Fiorani, Don Milani tra storia e attualità,
LEF, Firenze 1997, poi Centro don Milani, Firenze 1999; AA. VV., Rileggiamo
don Lorenzo Milani a trenta anni dalla sua morte, Comune di Rubano 1998;
Centro documentazione don Lorenzo Milani e scuola di Barbiana, Progetto
Lorenzo Milani: il maestro, Firenze 1998]
Barbiana 18 ottobre 1965
Signori Giudici,
vi metto qui per scritto quello che avrei detto volentieri in aula. Non
sara' infatti facile ch'io possa venire a Roma perche' sono da tempo malato.
Allego un certificato medico e vi prego di procedere in mia assenza.
La malattia e' l'unico motivo per cui non vengo. Ci tengo a precisarlo
perche' dai tempi di Porta Pia i preti italiani sono sospettati di avere
poco rispetto per lo Stato. E questa e' proprio l'accusa che mi si fa in
questo processo.
Ma essa non e' fondata per moltissimi miei confratelli e in nessun modo per
me. Vi spieghero' anzi quanto mi stia a cuore imprimere nei miei ragazzi il
senso della legge e il rispetto per i tribunali degli uomini.
Una precisazione a proposito del difensore.
Le cose che ho voluto dire con la lettera incriminata toccano da vicino la
mia persona di maestro e di sacerdote. In queste due vesti so parlare da me.
Avevo percio' chiesto al mio difensore d'ufficio di non prendere la parola.
Ma egli mi ha spiegato che non me lo puo' promettere ne' come avvocato ne'
come uomo.
Ho capito le sue ragioni e non ho insistito.
Un'altra precisazione a proposito della rivista che e' coimputata per avermi
gentilmente ospitato. Io avevo diffuso per conto mio la lettera incriminata
fin dal 23 Febbraio.
Solo successivamente (6 Marzo) l'ha ripubblicata Rinascita e poi altri
giornali.
E' dunque per motivi procedurali cioe' del tutto casuali ch'io trovo
incriminata con me una rivista comunista.
Non ci troverei nulla da ridire se si trattasse d'altri argomenti. Ma essa
non meritava l'onore d'essere fatta bandiera di idee che non le si addicono
come la liberta' di coscienza e la non violenza.
Il fatto non giova alla chiarezza cioe' all'educazione dei giovani che
guardano a questo processo.
Verro' ora ai motivi per cui ho sentito il dovere di scrivere la lettera
incriminata. Ma vi occorrera' prima sapere come mai oltre che parroco io sia
anche maestro.
La mia e' una parrocchia di montagna. Quando ci arrivai c'era solo una
scuola elementare. Cinque classi in un'aula sola. I ragazzi uscivano dalla
quinta semianalfabeti e andavano a lavorare. Timidi e disprezzati.
Decisi allora che avrei speso la mia vita di parroco per la loro elevazione
civile e non solo religiosa.
Cosi' da undici anni in qua, la piu' gran parte del mio ministero consiste
in una scuola.
Quelli che stanno in citta' usano meravigliarsi del suo orario. Dodici ore
al giorno, 365 giorni l'anno. Prima che arrivassi io i ragazzi facevano lo
stesso orario (e in piu' tanta fatica) per procurare lana e cacio a quelli
che stanno in citta'. Nessuno aveva da ridire. Ora che quell'orario glielo
faccio fare a scuola dicono che li sacrifico.
La questione appartiene a questo processo solo perche' vi sarebbe difficile
capire il mio modo di argomentare se non sapeste che i ragazzi vivono
praticamente con me. Riceviamo le visite insieme. Leggiamo insieme: i libri,
il giornale, la posta. Scriviamo insieme.
COME MAESTRO
Il motivo occasionale
Eravamo come sempre insieme quando un amico ci porto' il ritaglio di un
giornale. Si presentava come un "Comunicato dei cappellani militari in
congedo della regione toscana". Piu' tardi abbiamo saputo che gia' questa
dizione e' scorretta. Solo 20 di essi erano presenti alla riunione su un
totale di 120. Non ho potuto appurare quanti fossero stati avvertiti.
Personalmente ne conosco uno solo: don Vittorio Vacchiano pievano di
Vicchio. Mi ha dichiarato che non e' stato invitato e che e' sdegnato della
sostanza e della forma del comunicato.
Il testo e' infatti gratuitamente provocatorio. Basti pensare alla parola
"espressione di vilta'".
Il prof. Giorgio Peyrot dell'Universita' di Roma sta curando la raccolta di
tutte le sentenze contro obiettori italiani.
Mi dice che dalla liberazione in qua ne son state pronunciate piu' di 200.
Di 186 ha notizia sicura, di 100 il testo. Mi assicura che in nessuna ha
trovato la parola vilta' o altra equivalente. In alcune anzi ha trovato
espressioni di rispetto per la figura morale dell'imputato. Per esempio: "Da
tutto il comportamento dell'imputato si deve ritenere che egli sia incorso
nei rigori della legge per amor di fede" (2 sentenze del T.M.T. di Torino 19
Dicembre 1963 imputato Scherillo, 3 Giugno 1964 imputato Fiorenza). In tre
sentenze del T.M.T. di Verona ha trovato il riconoscimento del motivo di
particolare valore morale e sociale (19 Ottobre 1953 imputato Valente, 11
Gennaio 1957 imputato Perotto, 7 Maggio 1957 imputato Perotto). Allego il
testo completo dei risultati della ricerca che il prof. Peyrot ha avuto la
bonta' di fare per me.
Ora io sedevo davanti ai miei ragazzi nella duplice veste di maestro e di
sacerdote e loro mi guardavano sdegnati e appassionati. Un sacerdote che
ingiuria un carcerato ha sempre torto. Tanto piu' se ingiuria chi e' in
carcere per un ideale. Non avevo bisogno di far notare queste cose ai miei
ragazzi. Le avevano gia' intuite. E avevano anche intuito che ero ormai
impegnato a dar loro una lezione di vita.
Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all'ingiustizia. Come ha
liberta' di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al
sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi
responsabile di tutto.
Su una parete della nostra scuola c'e' scritto grande "I care". E' il motto
intraducibile dei giovani americani migliori. "Me ne importa, mi sta a
cuore". E' il contrario esatto del motto fascista "Me ne frego".
Quando quel comunicato era arrivato a noi era gia' vecchio di una settimana.
Si seppe che ne' le autorita' civili, ne' quelle religiose avevano reagito.
Allora abbiamo reagito noi. Una scuola austera come la nostra, che non
conosce ricreazione ne' vacanze, ha tanto tempo a disposizione per pensare e
studiare.
Ha percio' il diritto e il dovere di dire le cose che altri non dice. E'
l'unica ricreazione che concedo ai miei ragazzi.
Abbiamo dunque preso i nostri libri di storia (umili testi di scuola media,
non monografie da specialisti) e siamo riandati cento anni di storia
italiana in cerca d'una "guerra giusta". D'una guerra cioe' che fosse in
regola con l'articolo 11 della Costituzione. Non e' colpa nostra se non
l'abbiamo trovata.
Da quel giorno a oggi abbiamo avuto molti dispiaceri:
Ci sono arrivate decine di lettere anonime di ingiurie e di minacce firmate
solo con la svastica o col fascio.
Siamo stati feriti da alcuni giornalisti con "interviste" piene di falsita'.
Da altri con incredibili illazioni tratte da quelle "interviste" senza
curarsi di controllarne la serieta'.
Siamo stati poco compresi dal nostro stesso Arcivescovo (Lettera al Clero
14-4-1965).
La nostra lettera e' stata incriminata.
Ci e' stato pero' di conforto tenere sempre dinanzi agli occhi quei 31
ragazzi italiani che sono attualmente in carcere per un ideale.
Cosi' diversi dai milioni di giovani che affollano gli stadi, i bar, le
piste da ballo, che vivono per comprarsi la macchina, che seguono le mode,
che leggono giornali sportivi, che si disinteressano di politica e di
religione.
Un mio figliolo ha per professore di religione all'Istituto Tecnico il capo
di quei militari cappellani che han scritto il comunicato. Mi dice di lui
che in classe parla spesso di sport. Che racconta di essere appassionato di
caccia e di judo. Che ha l'automobile.
Non toccava a lui chiamare "vili e estranei al comandamento cristiano
dell'amore" quei 31 giovani.
I miei figlioli voglio che somiglino piu' a loro che a lui.
E cio' nonostante non voglio che vengano su anarchici.
Il motivo profondo
A questo punto mi occorre spiegare il problema di fondo di ogni vera scuola.
E siamo giunti, io penso, alla chiave di questo processo perche' io maestro
sono accusato di apologia di reato cioe' di scuola cattiva. Bisognera'
dunque accordarci su cio' che e' scuola buona.
La scuola e' diversa dall'aula del tribunale. Per voi magistrati vale solo
cio' che e' legge stabilita.
La scuola invece siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti
entrambi.
E' l'arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato
formare in loro il senso della legalita' (e in questo somiglia alla vostra
funzione), dall'altro la volonta' di leggi migliori cioe' il senso politico
(e in questo si differenzia dalla vostra funzione).
La tragedia del vostro mestiere di giudici e' che sapete di dover giudicare
con leggi che ancora non son tutte giuste.
Son vivi in Italia dei magistrati che in passato han dovuto perfino
sentenziare condanne a morte. Se tutti oggi inorridiamo a questo pensiero
dobbiamo ringraziare quei maestri che ci aiutarono a progredire,
insegnandoci a criticare la legge che allora vigeva.
Ecco perche', in un certo senso, la scuola e' fuori del vostro ordinamento
giuridico.
Il ragazzo non e' ancora penalmente imputabile e non esercita ancora diritti
sovrani, deve solo prepararsi a esercitarli domani ed e' percio' da un lato
nostro inferiore perche' deve obbedirci e noi rispondiamo di lui, dall'altro
nostro superiore perche' decretera' domani leggi migliori delle nostre.
E allora il maestro deve essere per quanto puo' profeta, scrutare i "segni
dei tempi", indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi
vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso.
Anche il maestro e' dunque in qualche modo fuori del vostro ordinamento e
pure al suo servizio. Se lo condannate attenterete al progresso legislativo.
In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei
ragazzi che l'unico modo d'amare la legge e' d'obbedirla.
Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli
uomini da osservarle quando sono giuste (cioe' quando sono la forza del
debole).
Quando invece vedranno che non sono giuste (cioe' quando sanzionano il
sopruso del forte) essi dovranno battersi perche' siano cambiate.
La leva ufficiale per cambiare la legge e' il voto. La Costituzione gli
affianca anche la leva dello sciopero.
Ma la leva vera di queste due leve del potere e' influire con la parola e
con l'esempio sugli altri votanti e scioperanti. E quando e' l'ora non c'e'
scuola piu' grande che pagare di persona un'obiezione di coscienza. Cioe'
violare la legge di cui si ha coscienza che e' cattiva e accettare la pena
che essa prevede. E' scuola per esempio la nostra lettera sul banco
dell'imputato e e' scuola la testimonianza di quei 31 giovani che sono a
Gaeta.
Chi paga di persona testimonia che vuole la legge migliore, cioe' che ama la
legge piu' degli altri. Non capisco come qualcuno possa confonderlo con
l'anarchico. Preghiamo Dio che ci mandi molti giovani capaci di tanto.
Questa tecnica di amore costruttivo per la legge l'ho imparata insieme ai
ragazzi mentre leggevamo il Critone, l'Apologia di Socrate, la vita del
Signore nei quattro Vangeli, l'autobiografia di Gandhi, le lettere del
pilota di Hiroshima. Vite di uomini che son venuti tragicamente in contrasto
con l'ordinamento vigente al loro tempo non per scardinarlo, ma per renderlo
migliore.
L'ho applicata, nel mio piccolo, anche a tutta la mia vita di cristiano nei
confronti delle leggi e delle autorita' della Chiesa. Severamente ortodosso
e disciplinato e nello stesso tempo appassionatamente attento al presente e
al futuro. Nessuno puo' accusarmi di eresia o di indisciplina. Nessuno
d'aver fatto carriera. Ho 42 anni e sono parroco di 42 anime!
Del resto ho gia' tirato su degli ammirevoli figlioli. Ottimi cittadini e
ottimi cristiani. Nessuno di loro e' venuto su anarchico. Nessuno e' venuto
su conformista. Informatevi su di loro. Essi testimoniano a mio favore.
Ma e' poi reato?
Vi ho dunque dichiarato fin qui che se anche la lettera incriminata
costituisse reato era mio dovere morale di maestro scriverla egualmente.
Vi ho fatto notare che togliendomi questa liberta' attentereste alla scuola
cioe' al progresso legislativo.
Ma e' poi reato?
L'Assemblea Costituente ci ha invitati a dar posto nella scuola alla Carta
Costituzionale "al fine di rendere consapevole la nuova generazione delle
raggiunte conquiste morali e sociali".
(ordine del giorno approvato all'unanimita' nella seduta dell'11 Dicembre
1947).
Una di queste conquiste morali e sociali e' l'articolo 11: "L'Italia ripudia
la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli".
Voi giuristi dite che le leggi si riferiscono solo al futuro, ma noi gente
della strada diciamo che la parola ripudia e' molto piu' ricca di
significato, abbraccia il passato e il futuro.
E' un invito a buttar tutto all'aria: all'aria buona. La storia come la
insegnavano a noi e il concetto di obbedienza militare assoluta come la
insegnano ancora.
Mi scuserete se su questo punto mi devo dilungare, ma il Pubblico Ministero
ha interpretato come apologia della disobbedienza una lettera che e' una
scorsa su cento anni di storia alla luce del verbo ripudia.
E' dalla premessa di come si giudicano quelle guerre che segue se si dovra'
o no obbedire nelle guerre future.
Quando andavamo a scuola noi i nostri maestri, Dio li perdoni, ci avevano
cosi' bassamente ingannati. Alcuni poverini ci credevano davvero: ci
ingannavano perche' erano a loro volta ingannati. Altri sapevano di
ingannarci, ma avevano paura. I piu' erano forse solo dei superficiali.
A sentir loro tutte le guerre erano "per la Patria".
Esaminiamo ora quattro tipi di guerra che "per la Patria" non erano.
I nostri maestri si dimenticavano di farci notare una cosa lapalissiana e
cioe' che gli eserciti marciano agli ordini della classe dominante.
In Italia fino al 1880 aveva diritto di voto solo il 2% della popolazione.
Fino al 1909 il 7%. Nel 1913 ebbe diritto di voto il 23%, ma solo la meta'
lo seppe o lo volle usare.
Dal '22 al '45 il certificato elettorale non arrivo' piu' a nessuno, ma
arrivarono a tutti le cartoline di chiamata per tre guerre spaventose.
Oggi di diritto il suffragio e' universale, ma la Costituzione (articolo 3)
ci avvertiva nel '47 con sconcertante sincerita' che i lavoratori erano di
fatto esclusi dalle leve del potere. Siccome non e' stata chiesta la
revisione di quell'articolo e' lecito pensare (e io lo penso) che esso
descriva una situazione non ancora superata.
Allora e' ufficialmente riconosciuto che i contadini e gli operai, cioe' la
gran massa del popolo italiano, non e' mai stata al potere.
Allora l'esercito ha marciato solo agli ordini di una classe ristretta.
Del resto ne porta ancora il marchio: il servizio di leva e' compensato con
93.000 al mese per i figli dei ricchi e con 4.500 lire al mese per i figli
dei poveri, essi non mangiano lo stesso rancio alla stessa mensa, i figli
dei ricchi sono serviti da un attendente figlio dei poveri.
Allora l'esercito non ha mai o quasi mai rappresentato la Patria nella sua
totalita' e nella sua eguaglianza.
Del resto in quante guerre della storia gli eserciti han rappresentato la
Patria?
Forse quello che difese la Francia durante la Rivoluzione. Ma non certo
quello di Napoleone in Russia.
Forse l'esercito inglese dopo Dunkerque. Ma non certo l'esercito inglese a
Suez.
Forse l'esercito russo a Stalingrado. Ma non certo l'esercito russo in
Polonia.
Forse l'esercito italiano al Piave. Ma non certo l'esercito italiano il 24
Maggio.
Ho a scuola esclusivamente figlioli di contadini e di operai. La luce
elettrica a Barbiana e' stata portata quindici giorni fa, ma le cartoline di
precetto hanno cominciato a portarle a domicilio fin dal 1861.
Non posso non avvertire i miei ragazzi che i loro infelici babbi han
sofferto e fatto soffrire in guerra per difendere gli interessi di una
classe ristretta (di cui non facevano nemmeno parte!) non gli interessi
della Patria.
Anche la Patria e' una creatura cioe' qualcosa di meno di Dio, cioe' un
idolo se la si adora. Io penso che non si puo' dar la vita per qualcosa di
meno di Dio. Ma se anche si dovesse concedere che si puo' dar la vita per
l'idolo buono (la Patria), certo non si potra' concedere che si possa dar la
vita per l'idolo cattivo (le speculazioni degli industriali).
Dar la vita per nulla e' peggio ancora.
I nostri maestri non ci dissero che nel '66 l'Austria ci aveva offerto il
Veneto gratis. Cioe' che quei morti erano morti senza scopo. Che e'
mostruoso andare a morire e uccidere senza scopo.
Se ci avessero detto meno bugie avremmo intravisto com'e' complessa la
verita'. Come anche quella guerra, come ogni guerra, era composita
dell'entusiasmo eroico di alcuni, dello sdegno eroico di altri, della
delinquenza di altri ancora.
Lo dico perche' alcuni mi accusan di aver mancato di rispetto ai caduti. Non
e' vero. Ho rispetto per quelle infelici vittime. Proprio per questo mi
parrebbe di offenderle se lodassi chi le ha mandate a morire e poi si e'
messo in salvo.
Per esempio quel re che scappo' a Brindisi con Badoglio e molti generali e
nella fretta si dimentico' perfino di lasciar gli ordini.
Del resto il rispetto per i morti non puo' farmi dimenticare i miei figlioli
vivi. Io non voglio che essi facciano quella tragica fine. Se un giorno
sapranno offrire la loro vita in sacrificio ne saro' orgoglioso, ma che sia
per la causa di Dio e dei poveri, non per il signor Savoia o il signor
Krupp.
Bisognera' ricordare anche le guerre per allargare i confini oltre il
territorio nazionale.
Ci sono ancora dei fascisti poveretti che mi scrivono lettere patetiche per
dirmi che prima di pronunciare il nome santo di Battisti devo sciacquarmi la
bocca.
E' perche' i nostri maestri ce l'avevano presentato come un eroe fascista.
Si erano dimenticati di dirci che era un socialista. Che se fosse stato vivo
il 4 novembre quando gli italiani entrarono nel Sud Tirolo avrebbe
obiettato. Non avrebbe mosso un passo di la' da Salorno per lo stessissimo
motivo per cui quattro anni prima aveva obiettato alla presenza degli
austriaci di qua da Salorno e s'era buttato disertore, come dico appunto
nella mia lettera.
"Riterremmo stoltezza vantar diritti su Merano e Bolzano" (Scritti politici
di Cesare Battisti, vol. II, pag. 96-97). "Certi italiani confondono troppo
facilmente il Tirolo col Trentino e con poca logica vogliono i confini
d'Italia estesi fino al Brennero" (ivi).
Sotto il fascismo la mistificazione fu scientificamente organizzata. E non
solo sui libri, ma perfino sul paesaggio. L'Alto Adige, dove nessun soldato
italiano era mai morto, ebbe tre cimiteri di guerra finti (Colle Isarco,
Passo Resia, S. Candido) con caduti veri disseppelliti a Caporetto.
Parlo di confini per chi crede ancora, come credeva Battisti, che i confini
debbano tagliare preciso tra nazione e nazione. Non certo per dar
soddisfazione a quei nazisti da museo che sparano a carabinieri di 20 anni.
In quanto a me, io ai miei ragazzi insegno che le frontiere son concetti
superati. Quando scrivevamo la lettera incriminata abbiamo visto che i
nostri paletti di confine sono stati sempre in viaggio. E cio' che seguita a
cambiar di posto secondo il capriccio delle fortune militari non puo' essere
dogma di fede ne' civile ne' religiosa.
Ci presentavano l'Impero come una gloria della Patria! Avevo 13 anni. Mi par
oggi. Saltavo di gioia per l'Impero. I nostri maestri s'erano dimenticati di
dirci che gli etiopici erano migliori di noi. Che andavamo a bruciare le
loro capanne con dentro le loro donne e i loro bambini mentre loro non ci
avevano fatto nulla.
Quella scuola vile, consciamente o inconsciamente non so, preparava gli
orrori di tre anni dopo. Preparava milioni di soldati obbedienti. Obbedienti
agli ordini di Mussolini. Anzi, per essere piu' precisi, obbedienti agli
ordini di Hitler. Cinquanta milioni di morti.
E dopo esser stato cosi' volgarmente mistificato dai miei maestri quando
avevo 13 anni, ora che sono maestro io e ho davanti questi figlioli di 13
anni che amo, vorreste che non sentissi l'obbligo non solo morale (come
dicevo nella prima parte di questa lettera), ma anche civico di
demistificare tutto, compresa l'obbedienza militare come ce la insegnavano
allora?
Perseguite i maestri che dicono ancora le bugie di allora, quelli che da
allora a oggi non hanno piu' studiato ne' pensato, non me.
Abbiamo voluto scrivere questa lettera senza l'aiuto d'un giurista. Ma a
scuola una copia dei Codici l'abbiamo.
Nel testo stesso dell'art. 40 c.p.m.p. e nella giurisprudenza all'art. 51
del c.p. abbiamo trovato che il soldato non deve obbedire quando l'atto
comandato e' manifestamente delittuoso. Che l'ordine deve avere un minimo
d'apparenza di legittimita'.
Una sentenza del T.S.M. condanna un soldato che ha obbedito a un ordine di
strage di civili (13-12-1949 imputato Strauch).
Allora anche il Vostro ordinamento riconosce che perfino il soldato ha una
coscienza e deve saperla usare quando e' l'ora.
Come potrebbe avere un minimo di parvenza di legittimita' una decimazione,
una rappresaglia su ostaggi, la deportazione degli ebrei, la tortura, una
guerra coloniale?
Oppure, puo' avere un minimo di parvenza di legittimita' un atto condannato
dagli accordi internazionali che l'Italia ha sottoscritto?
Il nostro Arcivescovo Card. Florit ha scritto che "e' praticamente
impossibile all'individuo singolo valutare i molteplici aspetti relativi
alla moralita' degli ordini che riceve" (Lettera al Clero 14-4-1965). Certo
non voleva riferirsi all'ordine che hanno ricevuto le infermiere tedesche di
uccidere i loro malati. E neppure a quello che ricevette Badoglio e trasmise
ai suoi soldati di mirare anche agli ospedali (telegramma di Mussolini
28-3-1936). E neppure all'uso dei gas.
Che gli italiani in Etiopia abbiano usato gas e' un fatto su cui e' inutile
chiuder gli occhi. Il Protocollo di Ginevra del 17-5-1925 ratificato
dall'Italia il 3-4-1928 fu violato dall'Italia per prima il 23-12-1935 sul
Tacazze'. L'Enciclopedia Britannica lo da' per pacifico. Lo denunciano
oramai anche i giornali cattolici (L'Avvenire d'Italia articoli di Angelo
del Boca dal 13-5-1965 al 15-7-1965). Abbiamo letto i telegrammi di
Mussolini a Graziani: "autorizzo impiego gas" (telegramma numero 12409 del
27-10-1935) di Mussolini a Badoglio: "rinnovo autorizzazione impiego gas
qualunque specie e su qualunque scala" (29-3-1936). Haile' Selassie' l'ha
confermato autorevolmente e circostanziatamente (intervista per l'Espresso
29-9-1965 e sg.).
Quegli ufficiali e quei soldati obbedienti che buttavano barili d'iprite
sono criminali di guerra e non son ancora stati processati.
Son processato invece io perche' ho scritto una lettera che molti
considerano nobile.
(carissime fra le tante le lettere di affettuosa solidarieta' delle
Commissioni Interne delle principali fabbriche fiorentine, quelle dei
dirigenti e attivisti della C.I.S.L. di Milano e della C.I.S.L. di Firenze e
quella dei Valdesi).
Che idea si potranno fare i giovani di cio' che e' crimine?
Oggi poi le convenzioni internazionali son state accolte nella Costituzione
(art. 10). Ai miei montanari insegno a avere piu' in onore la Costituzione e
i patti che la loro Patria ha firmato che gli ordini opposti d'un generale.
Io non li credo dei minorati incapaci di distinguere se sia lecito o no
bruciar vivo un bambino. Ma dei cittadini sovrani e coscienti. Ricchi del
buon senso dei poveri. Immuni da certe perversioni intellettuali di cui
soffrono talvolta i figli della borghesia. Quelli per esempio che leggevano
D'Annunzio e ci han regalato il fascismo e le sue guerre.
A Norimberga e a Gerusalemme son stati condannati uomini che avevano
obbedito. L'umanita' intera consente che essi non dovevano obbedire, perche'
c'e' una legge che gli uomini non hanno forse ancora ben scritta nei loro
codici, ma che e' scritta nel loro cuore. Una gran parte dell'umanita' la
chiama legge di Dio, l'altra parte la chiama legge della Coscienza. Quelli
che non credono ne' nell'una ne' nell'altra non sono che un'infima minoranza
malata. Sono i cultori dell'obbedienza cieca.
Condannare la nostra lettera equivale a dire ai giovani soldati italiani che
essi non devono avere una coscienza, che devono obbedire come automi, che i
loro delitti li paghera' chi li avra' comandati.
E invece bisogna dir loro che Claude Eatherly, il pilota di Hiroshima, che
vede ogni notte donne e bambini che bruciano e si fondono come candele,
rifiuta di prender tranquillanti, non vuol dormire, non vuol dimenticare
quello che ha fatto quand'era "un bravo ragazzo, un soldato disciplinato"
(secondo la definizione dei suoi superiori) "un povero imbecille
irresponsabile" (secondo la definizione che da' lui di se' ora).
(carteggio di Claude Eatherly e Günter Anders - Einaudi 1962).
Ho poi studiato a teologia morale un vecchio principio di diritto romano che
anche voi accettate. Il principio della responsabilita' in solido. Il popolo
lo conosce sotto forma di proverbio: "Tant'e' ladro chi ruba che chi para il
sacco".
Quando si tratta di due persone che compiono un delitto insieme, per esempio
il mandante e il sicario, voi gli date un ergastolo per uno e tutti
capiscono che la responsabilita' non si divide per due.
Un delitto come quello di Hiroshima ha richiesto qualche migliaio di
corresponsabili diretti: politici, scienziati, tecnici, operai, aviatori.
Ognuno di essi ha tacitato la propria coscienza fingendo a se stesso che
quella cifra andasse a denominatore. Un rimorso ridotto a millesimi non
toglie il sonno all'uomo d'oggi.
E cosi' siamo giunti a quest'assurdo che l'uomo delle caverne se dava una
randellata sapeva di far male e si pentiva. L'aviere dell'era atomica
riempie il serbatoio dell'apparecchio che poco dopo disintegrera' 200.000
giapponesi e non si pente.
A dar retta ai teorici dell'obbedienza e a certi tribunali tedeschi,
dell'assassinio di sei milioni di ebrei rispondera' solo Hitler. Ma Hitler
era irresponsabile perche' pazzo. Dunque quel delitto non e' mai avvenuto
perche' non ha autore.
C'e' un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole.
Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui
l'obbedienza non e' ormai piu' una virtu', ma la piu' subdola delle
tentazioni, che non credano di potersene far scudo ne' davanti agli uomini
ne' davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l'unico responsabile di
tutto.
A questo patto l'umanita' potra' dire di aver avuto in questo secolo un
progresso morale parallelo e proporzionale al suo progresso tecnico.
COME SACERDOTE
Fin qui ho parlato come un cittadino e un maestro che crede con la sua
scuola e la sua lettera di aver reso un servizio alla societa' civile, non
di aver compiuto un reato.
Ma poniamo di nuovo che voi lo consideriate reato.
Quest'accusa se fatta a me solo e non anche a tutti i miei confratelli mette
in dubbio la mia ortodossia di cattolico e di sacerdote. Sembrera' infatti
che condanniate le idee personali di un prete strano. Ma io son parte viva
della Chiesa anzi suo ministro. Se avessi detto cose estranee al suo
insegnamento essa mi avrebbe condannato. Non l'ha fatto perche' la mia
lettera dice cose elementari di dottrina cristiana che tutti i preti
insegnano da 2000 anni. Se ho commesso reato perseguiteci tutti.
Ho evitato apposta di parlare da non-violento. Personalmente lo sono. Ho
tentato di educare i miei ragazzi cosi'. Li ho indirizzati per quanto ho
potuto verso i sindacati (le uniche organizzazioni che applichino su larga
scala le tecniche non-violente). Ma la non-violenza non e' ancora la
dottrina ufficiale di tutta la Chiesa. Mentre la dottrina del primato della
coscienza sulla legge dello Stato lo e' certamente.
Mi sara' facile dimostrarvi che nella mia lettera ho parlato da cattolico
integrale, anzi spesso da cattolico conservatore.
Cominciamo dalla storia.
La storia d'Italia fino al 1929 nella mia lettera e' identica a come la
raccontavano i preti in seminario prima di quella data. Il mio vecchio
parroco mi diceva che La Squilla, il giornale cattolico di Firenze, aveva in
vetta e in fondo uno striscione nero. Portava il lutto del Risorgimento!
In quanto alla storia piu' recente cioe' al giudizio sulle guerre fasciste,
puo' anche darsi che qualche mio confratello sia intimamente un nostalgico,
ma e' notorio che la gran maggioranza dei preti sostiene un partito
democratico che fu il principale autore della Costituzione (dunque anche
della parola ripudia).
Veniamo alla dottrina.
La dottrina del primato della legge di Dio sulla legge degli uomini e'
condivisa, anzi glorificata, da tutta la Chiesa.
Non andro' a cercare teologi moderni e difficili per dimostrarlo. Si puo'
domandarlo a un bambino che si prepara alla Prima Comunione: "Se il padre o
la madre comanda una cosa cattiva bisogna obbedirlo? I martiri disobbedirono
alle leggi dello Stato. Fecero bene o male?".
C'e' chi cita a sproposito il detto di S. Pietro: "Obbedite ai vostri
superiori anche se son cattivi". Infatti. Non ha nessuna importanza se chi
comanda e' personalmente buono o cattivo. Delle sue azioni rispondera' lui
davanti a Dio.
Ha pero' importanza se ci comanda cose buone o cattive perche' delle nostre
azioni risponderemo noi davanti a Dio.
Tant'e' vero che Pietro scriveva quelle sagge raccomandazioni all'obbedienza
dal carcere dove era chiuso per aver solennemente disobbedito.
Il Concilio di Trento e' esplicito su questo punto (Catechismo III parte, IV
precetto, 16° paragrafo): "Se le autorita' politiche comanderanno qualcosa
di iniquo non sono assolutamente da ascoltare. Nello spiegare questa cosa al
popolo il parroco faccia notare che premio grande e proporzionato e'
riservato in cielo a coloro che obbediscono a questo precetto divino" cioe'
di disobbedire allo Stato!
Certi cattolici di estrema destra (forse gli stessi che mi hanno denunciato)
ammirano la Mostra della Chiesa del Silenzio. Quella mostra e' l'esaltazione
di cittadini che per motivo di coscienza si ribellano allo Stato. Allora
anche i miei superficialissimi accusatori la pensan come me. Hanno il solo
difetto di ricordarsi di quella legge eterna quando lo Stato e' comunista e
le vittime son cattoliche e di dimenticarla nei casi (come in Spagna) dove
lo Stato si dichiara cattolico e le vittime sono comuniste.
Son cose penose, ma le ho ricordate per mostrarvi che su questo punto l'arco
dei cattolici che la pensano come me e' completo.
Tutti sanno che la Chiesa onora i suoi martiri. Poco lontano dal vostro
Tribunale essa ha eretto una basilica per onorare l'umile pescatore che ha
pagato con la vita il contrasto fra la sua coscienza e l'ordinamento
vigente. S. Pietro era un "cattivo cittadino". I vostri predecessori del
Tribunale di Roma non ebbero tutti i torti a condannarlo.
Eppure essi non erano intolleranti verso le religioni. Avevano costruito a
Roma i templi di tutti gli dei e avevano cura di offrir sacrifici ad ogni
altare.
In una sola religione il loro profondo senso del diritto ravviso' un
pericolo mortale per le loro istituzioni. Quella il cui primo comandamento
dice: "Io sono un Dio geloso. Non avere altro Dio fuori che me".
A quei tempi pareva dunque inevitabile che i buoni ebrei e i buoni cristiani
paressero cattivi cittadini.
Poi le leggi dello Stato progredirono. Lasciatemi dire, con buona pace dei
laicisti, che esse vennero man mano avvicinandosi alla legge di Dio. Cosi'
va diventando ogni giorno piu' facile per noi esser riconosciuti buoni
cittadini. Ma e' per coincidenza e non per sua natura che questo avviene.
Non meravigliatevi dunque se ancora non possiamo obbedire tutte le leggi
degli uomini. Miglioriamole ancora e un giorno le obbediremo tutte. Vi ho
detto che come maestro civile sto dando una mano anch'io a migliorarle.
Perche' io ho fiducia nelle leggi degli uomini. Nel breve corso della mia
vita mi pare che abbiano progredito a vista d'occhio.
Condannano oggi tante cose cattive che ieri sancivano. Oggi condannano la
pena di morte, l'assolutismo, la monarchia, la censura, le colonie, il
razzismo, l'inferiorita' della donna, la prostituzione, il lavoro dei
ragazzi. Onorano lo sciopero, i sindacati, i partiti.
Tutto questo e' un irreversibile avvicinarsi alla legge di Dio. Gia' oggi la
coincidenza e' cosi' grande che normalmente un buon cristiano puo' passare
anche l'intera vita senza mai essere costretto dalla coscienza a violare una
legge dello Stato.
Io per esempio fino a questo momento sono incensurato. E spero di esserlo
anche alla fine di questo processo. E' un augurio che faccio ai patrioti.
Chissa' come patirebbero se potessero leggere le tante lettere che ricevo
dall'estero. Da paesi che non hanno il servizio di leva o riconoscono
l'obiezione. Quelli che le scrivono sono convinti di scrivere a un paese di
selvaggi. Qualcuno mi domanda quanto dovra' ancora stare in prigione il
povero padre Balducci.
Dicevamo dunque che oggi le nostre due leggi quasi coincidono. Ci sono pero'
dei casi eccezionali nei quali vige l'antica divergenza e l'antico
comandamento della Chiesa di obbedire a Dio piuttosto che agli uomini.
Ho elencato nella lettera incriminata alcuni di questi casi. Posso
aggiungere altre considerazioni.
Cominciamo dall'obiezione di coscienza in senso stretto.
Proprio in questi giorni ho avuto conforto dalla Chiesa anche su questo
punto specifico. Il Concilio invita i legislatori a avere rispetto
(respicere) per coloro i quali "o per testimoniare della mitezza cristiana,
o per reverenza alla vita, o per orrore di esercitare qualsiasi violenza,
ricusano per motivo di coscienza o il servizio militare o alcuni singoli
atti di immane crudelta' cui conduce la guerra".
(Schema 13 paragrafo 101. Questo e' il testo proposto dalla apposita
Commissione la quale rispecchia tutte le correnti del Concilio. Ha quindi
tutte le probabilita' d'essere quello definitivo).
Quei 20 militari di Firenze han detto che l'obiettore e' un vile. Io ho
detto soltanto che forse e' un profeta. Mi pare che i Vescovi stiano dicendo
molto piu' di me.
Ricordero' altri tre fatti sintomatici.
Nel '18 i seminaristi reduci di guerra, se vollero diventare preti,
dovettero chiedere alla Santa Sede una sanatoria per le irregolarita'
canoniche in cui potevano essere incorsi nell'obbedire ai loro ufficiali.
Nel '29 la Chiesa chiedeva allo Stato di dispensare i seminaristi, i preti,
i vescovi dal servizio militare.
Il canone 141 proibisce ai chierici di andare volontari a meno che lo
facciano per sortirne prima (ut citius liberi evadant)! Chi disobbedisce e'
automaticamente ridotto allo stato laicale.
La Chiesa considera dunque a dir poco indecorosa per un sacerdote
l'attivita' militare presa nel suo complesso. Con le sue ombre e le sue
luci. Quella che lo Stato onora con medaglie e monumenti.
E infine affrontiamo il problema piu' cocente delle ultime guerre e di
quelle future: l'uccisione dei civili.
La Chiesa non ha mai ammesso che in guerra fosse lecito uccidere civili, a
meno che la cosa avvenisse incidentalmente cioe' nel tentare di colpire un
obiettivo militare. Ora abbiamo letto a scuola su segnalazione del Giorno un
articolo del premio Nobel Max Born (Bullettin of the Atomic Scientists,
aprile 1964).
Dice che nella prima guerra mondiale i morti furono 5% civili 95% militari
(si poteva ancora sostenere che i civili erano morti "incidentalmente").
Nella seconda 48% civili 52% militari (non si poteva piu' sostenere che i
civili fossero morti "incidentalmente").
In quella di Corea 84% civili 16% militari (si puo' ormai sostenere che i
militari muoiono "incidentalmente").
Sappiamo tutti che i generali studiano la strategia d'oggi con l'unita' di
misura del megadeath (un milione di morti) cioe' che le armi attuali mirano
direttamente ai civili e che si salveranno forse solo i militari.
Che io sappia nessun teologo ammette che un soldato possa mirare
direttamente (si puo' ormai dire esclusivamente) ai civili. Dunque in casi
del genere il cristiano deve obiettare anche a costo della vita. Io
aggiungerei che mi pare coerente dire che a una guerra simile il cristiano
non potra' partecipare nemmeno come cuciniere. Gandhi l'aveva gia' capito
quando ancora non si parlava di armi atomiche.
"Io non traccio alcuna distinzione tra coloro che portano le armi di
distruzione e coloro che prestano servizio di Croce Rossa. Entrambi
partecipano alla guerra e ne promuovono la causa. Entrambi sono colpevoli
del crimine della guerra" (Non-violence in peace and war. Ahmedabad 14 vol.
1).
A questo punto mi domando se non sia accademia seguitare a discutere di
guerra con termini che servivano gia' male per la seconda guerra mondiale.
Eppure mi tocca parlare anche della guerra futura perche' accusandomi di
apologia di reato ci si riferisce appunto a quel che dovranno fare o non
fare i nostri ragazzi domani.
Ma nella guerra futura l'inadeguatezza dei termini della nostra teologia e
della vostra legislazione e' ancora piu' evidente.
E' noto che l'unica "difesa" possibile in una guerra di missili atomici
sara' di sparare circa 20 minuti prima dell'"aggressore". Ma in lingua
italiana lo sparare prima si chiama aggressione e non difesa.
Oppure immaginiamo uno Stato onestissimo che per sua "difesa" spari 20
minuti dopo. Cioe' che sparino i suoi sommergibili unici superstiti d'un
paese ormai cancellato dalla geografia. Ma in lingua italiana questo si
chiama vendetta non difesa.
Mi dispiace se il discorso prende un tono di fantascienza, ma Kennedy e
Krusciov (i due artefici della distensione!) si sono lanciati l'un l'altro
pubblicamente minacce del genere.
"Siamo pienamente consapevoli del fatto che questa guerra, se viene
scatenata, diventera' sin dalla primissima ora una guerra termonucleare e
una guerra mondiale. Cio' per noi e' perfettamente ovvio" (lettera di
Krusciov a B. Russell, 23-10-1962).
Siamo dunque tragicamente nel reale.
Allora la guerra difensiva non esiste piu'. Allora non esiste piu' una
"guerra giusta" ne' per la Chiesa ne' per la Costituzione.
A piu' riprese gli scienziati ci hanno avvertiti che e' in gioco la
sopravvivenza della specie umana.
(Per esempio Linus Pauling premio Nobel per la chimica e per la pace).
E noi stiamo qui a questionare se al soldato sia lecito o no distruggere la
specie umana?
Spero di tutto cuore che mi assolverete, non mi diverte l'idea di andare a
fare l'eroe in prigione, ma non posso fare a meno di dichiararvi
esplicitamente che seguitero' a insegnare ai miei ragazzi quel che ho
insegnato fino a ora. Cioe' che se un ufficiale dara' loro ordini da
paranoico hanno solo il dovere di legarlo ben stretto e portarlo in una casa
di cura.
Spero che in tutto il mondo i miei colleghi preti e maestri d'ogni religione
e d'ogni scuola insegneranno come me.
Poi forse qualche generale trovera' ugualmente il meschino che obbedisce e
cosi' non riusciremo a salvare l'umanita'.
Non e' un motivo per non fare fino in fondo il nostro dovere di maestri. Se
non potremo salvare l'umanita' ci salveremo almeno l'anima.

3. RIFLESSIONE. EMILY DICKINSON: PER FARE UN PRATO
[l testo seguente abbiamo estratto da Emily Dickinson, Poesie, Savelli, Roma
1976; la traduzione (e la cura del volumetto) e' di Barbara Lanati. Emily
Dickinson (Amherst, nel Massachusetts, 1830-1886) visse una vita di
volontario isolamento; solo sette delle sue poesie furono pubblicate lei
vivente, la sua opera poetica e' da decenni un punto di riferimento
imprescindibile]

Per fare un prato ci vuole del trifoglio
e un'ape, un trifoglio e un'ape
e sogni ad occhi aperti.
E se le api sono scarse,
bastano i sogni.

4. INIZIATIVE. LA DELEGAZIONE ITALIANA ALLA FESTA KURDA DEL NEWROZ
[Riceviamo e volentieri diffondiamo il comunicato emesso il 17 marzo dalla
delegazione italiana in partenza per Istanbul, i cui membri si sono definiti
"messaggeri e testimoni di pace". La delegazione diffondera', direttamente o
attraverso le associazioni di riferimento in Italia, informazioni quotidiane
sulla propria missione e sulla situazione in Turchia. Per richiedere
informazioni e interviste alla delegazione: delegazione at hotmail.com]
Siamo gli oltre quaranta osservatori italiani che, insieme a centinaia di
persone da altri paesi europei, assisteranno il 21 marzo alle celebrazioni
del Newroz, il Capodanno kurdo.
La nostra delegazione, che prima di recarsi a Diyarbakir e a Van incontrera'
a Istanbul le associazioni, i partiti e i sindacati democratici, include
avvocati, medici, insegnanti, operatori sociali e sindacalisti provenienti
da quindici citta' italiane, che hanno risposto all'appello delle
associazioni Uiki e Azad.
Alle celebrazioni, che sono state gia' autorizzate in diverse citta' mentre
trattative sono in corso con i governatori di Diyarbakir e Van, e' previsto
l'afflusso di centinaia di migliaia di kurdi "per aprire in pace e dignita'
il nuovo millennio".
Avremo anche occasione di incontrare le famiglie dei prigionieri politici e
di visitare i siti storico-archeologici minacciati di sparizione a causa di
dissennati interventi idrogeologici.
Al ritorno, il 24 marzo, parteciperemo alla festa italiana del Newroz,
programmata a Bologna presso il Tpo di viale Lenin.

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ;
angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 154 del 19 marzo 2001