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La nonviolenza è in cammino. 153
- Subject: La nonviolenza è in cammino. 153
- From: "Centro ricerca pace Viterbo" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 19 Mar 2001 01:34:19 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 153 del 18 marzo 2001 Sommario di questo numero: 1. Alessandro Pizzi, riflessioni di ritorno dal Congo 2. Pippo Mancuso, emozioni e sensazioni di ritorno da Butembo 3. Licio Lepore, un resoconto dell'iniziativa a Butembo 4. Rosemary Ruether, la dimensione comunitaria della personalita' 5. Massimo Zucchetti, note critiche a due rapporti 6. La Rete di Formazione alla Nonviolenza 7. La campagna contro le mutilazioni dei genitali femminili 8. Un libro di Anna-Vera Sullam Calimani, "I nomi dello sterminio" 9. Estratti minimi da alcuni libri di Adriana Cavarero 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. TESTIMONIANZE. ALESSANDRO PIZZI: RIFLESSIONI DI RITORNO DAL CONGO [Ringraziamo Alessandro Pizzi per averci messo a disposizione queste sue riflessioni di ritorno dall'esperienza dell'azione nonviolenta a Butembo. Alessandro Pizzi, amico della nonviolenza, stimato professore, e' stato sindaco esemplare ed apprezzatissimo di Soriano nel Cimino (VT) ed e' considerato uno dei piu' prestigiosi pubblici amministratori dell'alto Lazio] Sento il bisogno di parlare dell'azione nonviolenta "Anch'io a Bukavu" che si e' svolta due settimane fa nel Nord Kivu, regione della Repubblica Democratica del Congo, perche' mi sembra poco valorizzata sia a livello generale sia a livello locale. Ad esempio mi riempie d'amarezza il fatto che la scuola, presso cui insegno, non ha sentito l'esigenza di discutere collettivamente dell'iniziativa, per non parlare dell'assoluta indifferenza dei partiti, in particolare della sinistra. Ho aderito all'iniziativa "Anch'io a Bukavu" che ha visto 300 partecipanti, quasi tutti italiani, con una delegazione spagnola e una tedesca, per - esprimere solidarieta' al popolo africano; - condividere, sia pur per qualche giorno, gli effetti della globalizzazione; - rompere il silenzio sulla guerra e sulla poverta' del Congo. Dagli anni novanta il Congo e' teatro di guerre, la seconda nel '98 coinvolge tutta l'Africa. Si parla di milioni di profughi, milioni di bambini orfani, di milioni di morti (la seconda ne avrebbe prodotti 4 milioni), nell'indifferenza del mondo occidentale. Spesso si parla di guerra tribale mentre la causa, ovvia e da tutti i governi conosciuta ma ignorata, sta nel controllo da parte delle multinazionali della ricchezza del suolo e del sottosuolo del Congo. Roberto Cavalieri in "Balcani d'Africa", Edizioni Gruppo Abele 1997, individuava le cause nell'oro, nei diamanti e negli altri minerali. Abbiamo avuto la netta sensazione che la nostra presenza sia stata vissuta come una uscita dall'isolamento; mons. Sikuli, vescovo di Butembo, ha affermato che "la sola vostra presenza vale piu' di tanti discorsi alle Nazioni Unite". Per questo ci hanno accolto a Butembo 200 mila cittadini (secondo la radio locale) con canti, balli, ceste di frutta e banda musicale. Grazie alla mobilitazione dei cittadini, soprattutto delle donne, abbiamo incontrato le associazioni e le realta' locali (medici, insegnanti, studenti, donne, agricoltori...). Il Simposio Internazionale per la Pace in Africa (S.I.P.A.) si e' svolto nel rispetto dei diritti di tutti i soggetti politici e religiosi che operano nella zona dei Grandi Laghi. Le associazioni nonviolente, i gruppi armati, l'alleato dell'Uganda, che occupa il Nord Kivu, si sono confrontati nei tre giorni del Simposio. Per la prima volta i nemici si sono incontrati ed hanno esposto le loro idee con coraggio e sincerita'. Da prendere ad esempio chi si oppone alla guerra con metodi nonviolenti (la Societe' Civile, i gruppi delle donne, le Chiese), chi, pur avendo assistito ad atrocita' inenarrabili, cerca il dialogo per costruire una pace duratura nel rispetto della giustizia e della dignita' umana. Parlare del S.I.P.A. sarebbe troppo lungo, voglio riportare solo dei flash: - una bambina di Bukavu lancia il suo grido disperato: "siamo costretti a vivere nella sporcizia e nella poverta' nonostante la ricchezza del suolo e del sottosuolo", e termina ricordando che "la malnutrizione e' spesso nostra compagna". - Un'insegnante denuncia i fenomeni della descolarizzazione e dei bambini-soldato. - Un medico ci ricorda i costi troppo alti per le cure: solo il 20% puo' entrare nei miseri ospedali; denuncia il fenomeno delle bambine madri. - Esponenti della Societe' Civile e delle Chiese ricordano che "il mondo occidentale e' sordo ai nostri problemi ma e' sensibile alle nostre ricchezze" e hanno chiesto "uno sviluppo che vada a vantaggio delle popolazioni e non a vantaggio dei potenti locali e internazionali". - Don Albino Bizzotto, responsabile dell'associazione "Beati i costruttori di pace", intervenendo nel Simposio, a nome degli europei presenti, ha chiesto perdono per 500 anni di storia, nel corso dei quali i governi occidentali hanno legalizzato la rapina ai danni dell'Africa, e ricorda in particolare la spartizione coloniale dell'Africa sancita a Berlino il 26 febbraio 1885, suscitando un applauso caloroso e prolungato; mette l'accento sul fatto che le armi che tante vittime hanno causato in quella zona sono "made in Italy-France-England". Il documento finale del S.I.P.A. e', a mio avviso, un trattato di nonviolenza. Difficile dimenticare la marcia della pace per le vie di Butembo con la partecipazione di 300.000 persone; ognuno di noi europei era unito per mano con almeno un congolese; in un clima di festa e di entusiasmo tra canti e ritmi africani risuonavano i termini "Amani" (pace), "Uhuru" (liberta'), "jambo" (ciao). Non sono mancate le sorprese: il governatore del Nord Kivu, Bemba, alleato dell'Uganda, dopo la marcia della pace e durante la cerimonia ecumenica, prima ha firmato il documento del S.I.P.A. e poi ha chiesto, tra il tripudio della gente, due volte il perdono per i massacri e le ruberie perpetrate dai suoi soldati e ha ordinato il ritiro delle truppe da tre postazioni. Sara' stato frutto di calcoli politici oppure si sara' sentito costretto dalla forza nonviolenta rappresentata dai partecipanti alla storica marcia della pace di Butembo? Sicuramente non era mai capitato che un capo africano chiedesse perdono. E questo e' un successo del S.I.P.A. Con gli incontri con i rappresentanti della societa' locale e con la condivisione, seppur per pochi giorni, abbiamo potuto constatare da una parte una grande dignita', ospitalita', giovialita' e progettualita' dei cittadini, e dall'altra la drammaticita' della situazione. Non esistono servizi pubblici; la scuola e' allo sbando, cresce il numero di bambini che e' costretto ad abbandonare la scuola perche' i genitori non hanno i soldi per pagare l'iscrizione, gli insegnanti percepiscono pochi dollari al mese; in un'aula, spesso polverosa e buia sono presenti da 40 a 60 studenti; spesso non esistono libri su cui studiare o da leggere, se non in qualche povera biblioteca. Con l'abbandono scolastico cresce il fenomeno dei bambini soldati, di bambine madri; una societa' con un alto tasso di analfabetismo non puo' essere libera. Nelle misere strutture ospedaliere possono accedere solo il 20% della popolazione per gli alti costi delle cure; ho avuto l'opportunita' di visitare un presidio sanitario, era presente un medico pieno di progetti e buona volonta', ma con strutture del tutto inadeguate ( il ricovero antidiarroico consiste in una stanza piccola, polverosa e buia con un tavolaccio con una copertina tipo militare e un paio di secchi con degli stracci). La mortalita' infantile e' in aumento cosi' come da quando c'e' la guerra e' in aumento anche l'AIDS. Non esistono vie di comunicazioni tra le principali citta', le strade che esistono, nelle citta' e fuori, non sono asfaltate e sono piene di grandi buche; le ferrovie sono pochissime. Non esiste distribuzione di energia elettrica; i presidi sanitari e chi puo' permetterselo hanno dei gruppi elettrogeni; c'e' grave carenza di acqua potabile. Con la guerra in atto e le condizioni di poverta' non c'e' speranza per le bambine e i bambini del Congo e dell'Africa intera. Abbiamo constatato come per noi, che abitiamo la parte privilegiata del mondo, i diamanti, l'oro o altri minerali siano piu' importanti degli esseri umani. L'Africa, meraviglioso continente, dal fascino straordinario, culla della civilta' umana, sta morendo. Non rimanere indifferenti, ma indignarsi di fronte a questa situazione, per noi che viviamo nella parte privilegiata del pianeta (il 20% della popolazione che consuma l'80% delle risorse), e' un dovere morale, se non vogliamo perdere la dignita' di esseri umani. Come reagire, se non con un invito al pensiero, all'azione e alla parola? Almeno per me, che ho vissuto questa esperienza e che ritorno dal Congo avendo ricevuto tanto da quella popolazione, sicuramente ne' oro ne' diamanti, ma il ricordo dei volti, i sorrisi, i segni di amicizia di bambine, di bambini, donne e uomini, il ricordo degli incantevoli paesaggi africani, diventa un impegno a contrastare i meccanismi economici che portano alla globalizzazione della poverta', riflettere sui nostri stili di vita e come questi influenzino la vita anche di altri popoli. 2. TESTIMONIANZE. PIPPO MANCUSO: EMOZIONI E SENSAZIONI DI RITORNO DA BUTEMBO [Ringraziamo Silvano Tartarini per averci inviato copia della lettera di Pippo Mancuso, uno dei "Berretti Bianchi" che hanno partecipato all'iniziativa nonviolenta internazionale di pace a Butembo] Carissimo Silvano, Carissimi Berretti, cerchero' in queste righe di condividere con voi alcune emozioni e sensazioni di questo viaggio in terra d'Africa. L'accoglienza e' stata di un calore sicuramente non prevedibile alla partenza, soprattutto da parte delle donne e dei bambini di Butembo, che hanno veramente visto in noi i portatori della pace. La situazione economica che abbiamo trovato e' davvero arretrata, la luce elettrica e' un lusso per i ricchi e per gli istituti religiosi che utilizzano dei generatori privati; non c'e' ombra di fabbriche, solo qualche bottega artigiana che lavora il legno per i bisogni locali; niente fogne, niente strade con asfalto, solo piste polverose anche dentro la citta'. La Chiesa e' l'unica istituzione che funzione e che gode di grande prestigio; la Societe' Civile che ci ha invitato, ho avuto l'impressione che sia il tentativo della chiesa di far crescere, in una societa' che ha conosciuto solo colonialismo e dittatura con relativa corruzione diffusa, un qualcosa che si rifaccia a quello che in occidente chiamiamo democrazia. Ma la strada e' tutta in salita: la cultura corrente e' quella della legge del piu' forte, chi guida una macchina non ha rispetto per chi va in bici o a piedi, chi e' con l'autobus non ha rispetto per gli automobilisti, e questo mi ha fatto pensare al bambino soldato che con un fucile in mano si sente forte e pensa di migliorare la sua condizione di ultimo della scala. Una missionaria ci raccontava che nella sua parrocchia faceva sedere in prima fila i bambini e quando arrivavano le donne li spingevano a terra per sedersi loro, anche fra i bambini questa e' la regola: i grandicelli staccavano i piccoli che ci davano la mano per prendere il loro posto, considerando che noi europei in quel momento eravamo l'attrazione. Vedono in noi europei i benefattori e ho sentito molto diffuso il senso di inferiorita'. Aspirano di entrare negli istituti religiosi, unica possibilita' di mangiare, vestirsi, istruirsi e magari emigrare. Hanno molti brutti ricordi, raccontano di morti ammazzati, di ruberie e di violenze. Purtroppo anche i bambini ne sono colpiti: un gruppo di loro, circa 150, ai quali abbiamo fatto fare dei disegni, una buona meta' rappresentavano mamme con bambini colpite al cuore o alla testa, soprattutto quelli non scolarizzati (lo si capiva perche' non sapevano scrivere il proprio nome). Il simposio che si e' svolto a Butembo ha permesso di raccogliere coraggiose denuncie nonostante la presenza di Bemba, presidente del fronte che comanda nella zona Nord-Orientale del Congo; sono stato colpita dall'intervento di una donna di Bukavu che ha denunciato nel simposio la poca presenza femminile e il fatto di averla fatta intervenire a fine simposio quando tutti erano gia' stanchi. Ma il colpo di scena e' stato durante la funzione eucaristica a conclusione della marcia: il presidente Bemba intervenendo ha chiesto perdono per cio' che avevano fatto i suoi soldati e ha dichiarato di sottoscrivere e di far suo il documento conclusivo del simposio, e come primo atto annunciava il ritiro delle sue truppe dal territorio di Butembo e dintorni; a questa comunicazione un grido liberatorio si e' alzato dalla folla e fra un mare di sorrisi ci nominavano loro ambasciatori. L'iniziativa e' perfettamente riuscita grazie ad un grande lavoro fatto in precedenza, e a un po' di fortuna che non guasta. Personalmente pero' la cosa e' finita maluccio, per un incidente forse per stanchezza o per il mio integralismo. L'iniziativa era ruotata intorno alla Chiesa, e la proposta di concluderla con una messa a Kampala al santuario dei martiri ugandesi con consegna di un documento all'ambasciatore italiano in Uganda ha diviso il gruppo dei trecento fra cattolici e non, e lo schierarsi di don Albino Bizzotto per la messa, che con il metodo del consenso voleva dire che bastava il veto di una sola persona per impedire agli altri di farla e don Albino questo lo ha ricordato. La mediazione raggiunta dai portavoce dei gruppi fu di inserire fra la messa e la consegna del documento un lavoro di costruire un messaggio dei 300 al mondo. Ma io ero ormai in crisi, cadeva quell'immagine di garante di don Albino che mi ero costruita e che avevo difeso rispetto a chi non partecipava all'iniziativa perche' ritenuta troppo connotata di cattolicesimo. E' gia' il terzo giorno che siamo rientrati e ancora non l'ho superata completamente, nonostante che per l'intervento di alcuni del mio gruppo di affinita' ho parlato con don Albino. Per me e' difficile affidarmi a una persona totalmente se non gode di tutta la mia fiducia perche' al di la' del metodo del consenso e' il coordinamento che prende le decisioni. Un saluto e un abbraccio, Pippo Mancuso Castelleone, 6 marzo 2001 3. TESTIMONIANZE. LICIO LEPORE: UN RESOCONTO DELL'INIZIATIVA A BUTEMBO [Anche questa lettera di Licio Lepore, un altro dei "Berretti Bianchi" che hanno partecipato all'iniziativa nonviolenta internazionale di pace a Butembo, ci e' stata trasmessa da Silvano Tartarini, che ringraziamo] Potra' sicuramente fare piacere leggere un resoconto, sebbene disordinato (metto subito le mani avanti), dell'iniziativa "Anch'io a Bukavu" che si e' svolta dal 24 febbraio al 4 marzo in Congo, nella zona dei Grandi Laghi. All'iniziativa i Berretti Bianchi hanno dato un'adesione ufficiale e un contributo di £ 1.000.000 di cui ha beneficiato il gruppo di Viareggio, che ne aveva a suo tempo fatto richiesta: Maria Ida Paolotti, Barbara Malfatti, Pierangela Marsili e il sottoscritto. In realta' anche altri "Berretti" hanno partecipato alla marcia: Fabiana Bruschi, Luciano Setti e Pippo. Con molta sincerita' devo dire che avevo inizialmente una sorta di prevenzione verso l'iniziativa che avvertivo sbilanciata sul piano religioso (tuttavia gli elementi che condividevo mi hanno fatto ritenere che potevo percorrere un tratto di strada, io non credente, insieme a chi credente lo e', come spesso in questi anni mi e' capitato di fare), in effetti non ho mai vissuto un disagio in questo senso se non in rarissimi momenti. L'iniziativa credo abbia raggiunto l'obbiettivo di partenza e forse anche di piu'. E' stata un'esperienza unica per tutti i partecipanti che hanno avuto modo di entrare in contatto con la realta' africana, pur in un contesto drammatico, gustando l'entusiasmo e la gioia della sua gente per la nostra presenza pacifista. Nei nostri confronti c'e' stata un'aspettativa che e' andata ben al di la' di quello che in effetti stavamo rappresentando. Siamo stati considerati dei veri e propri portatori di pace, e questo in molte occasioni e' anche stato imbarazzante perche' in effetti dimostrava l'eccessiva considerazione rispetto a cio' che realmente eravamo in grado di determinare. Molti sapranno che Jean Pierre Bemba, capo dei movimenti ribelli filougandesi nel Nord Kivu, durante la manifestazione conclusiva (giovedi primo marzo) della tre giorni del SIPA (il Simposio Internazionale per la Pace in Africa) ha lasciato di stucco le centinaia di migliaia di persone venute per assistere all'iniziativa (si svolgeva all'aperto, in una grande spianata vicino alla Cattedrale di Butembo). "Chiedo perdono... chiedo perdono per tutte le atrocita', le violenze e i saccheggi dei miei soldati. Mi impegno a far rientrare nelle caserme di Beni tutti i militari dislocati a Kyondo, Musienene e Maboya". In proposito c'e' da sottolineare: a) in quell'occasione Bemba e' arrivato spontaneamente all'incontro, b) e' un avvenimento abbastanza raro che un capo militare chieda pubblicamente scusa al popolo ammettendo la responsabilita' di gravissimi fatti di sangue, ruberie ecc. Secondo un fax datato 6 marzo, inviato da padre Giovanni, una persona speciale, conosciuta a Butembo e con la quale abbiamo visitato la missione di Lukanga dove abita, "... a Musienene i soldati sono partiti sabato (3 marzo), hanno rubacchiato per due notti ma non e' stato molto grave, siamo un po' abituati. A Kyondo hanno addirittura inviato dieci altri soldati per controllare che non si verificassero guai. A Maboya, tutti partiti. Pare che da Musienene, verso nord, ci sia un vero smantellamento, almeno degli ugandesi... Quindi anche Butemo e Beni. A sud invece, verso Kanyabayonga, ci sono ancora tutti... ma speriamo". Queste considerazioni e buone notizie possono giustificare un qualche ottimismo. Il viaggio e' stato molto faticoso a causa delle lunghe distanze e delle strade veramente disastrate. I mezzi sono stati messi a dura prova (all'andata il pullman dove malauguratamente era il sottoscritto e qualche altro sfigato si e' rotto credo almeno dieci volte), abbiamo fatto un esercizio forzato di resistenza del quale spero potremo fare tesoro se dovessero presentarsi momenti difficili. All'arrivo della carovana nella citta' di Butembo, centinaia di migliaia di persone, gruppi folkloristici, poliziotti schierati, la banda musicale e non so piu' cos'altro sono letteralmente esplosi dalla gioia nel vederci, non smettendo un attimo di salutarci, di stringerci le mani... E' stata un'emozione indescrivibile perche' quello che veniva espresso dalla gente non era formalita' ma sincera manifestazione di un sentimento di felicita' per la nostra presenza. Questo atteggiamento da parte della popolazione si e' ripetuto in diverse altre occasioni. Quando in circa trenta persone siamo andati a visitare la missione di Lukanga, trenta Km. a sud di Butembo, in un tratto di strada che abbiamo percorso a piedi, ci hanno addirittura tirato addosso petali di fiori. In questa occasione abbiamo potuto incontrare un gruppo di profughi, famiglie intere fuggite dalle loro capanne nella foresta a causa delle continue incursioni dei May May (si ritengono guerriglieri partigiani, combattono contro gli ugandesi invasori di parte del territorio congolese, in verita' le loro razzie sono all'ordine del giorno come pure uccisioni e rapimenti di bambini che vengono costretti a combattere). La testimonianza dei profughi ha consentito di approfondire meglio la situazione della guerra nella zona e comprendere il grande coraggio di quella gente che, sebbene in alcuni momenti ha sentito molto forte il richiamo delle armi per organizzare una qualche autodifesa, alla fine ha scelto la nonviolenza. Al di la' di cosa ognuno di noi possa pensare in proposito, rimane la loro grande dignita' e l'indubbio coraggio, tanto piu' in una situazione di quel tipo. Qualcuno di noi, in quei giorni, ha ipotizzato cosa potrebbe rappresentare un'Ambasciata di pace in quei luoghi. In effetti, al di la' di facili entusiasmi, un tale progetto non solo sarebbe possibile ma rappresenterebbe un enorme aiuto, nella sua modestia, alla popolazione locale. La sola presenza di stranieri, con funzione di monitoraggio, se non addirittura inseriti in precisi progetti, e' spesso un deterrente rispetto a violenze e soprusi. A titolo di cronaca informo che sabato 10 marzo, su Raidue, alle 10,30 e' andato in onda un servizio sulla marcia, della durata di circa un'ora, girato da giornalisti presenti li' insieme a noi, molto efficace per la comprensione del valore dell'iniziativa. A livello locale (Viareggio e Lucca) abbiamo fatto conferenze stampa, sia prima della partenza che al nostro ritorno, con quotidiani e televisioni e in effetti l'informazione sull'iniziativa e' stata abbastanza buona. Abbiamo, tra l'altro, appuntamento con alcune televisioni, alla fine di marzo, per "speciali" che andranno in onda sull'argomento. Sempre a livello locale abbiamo avuto l'adesione e l'appoggio concreto, oltre che dai Berretti Bianchi, anche da: Comune di Viareggio, Comune di Camaiore, USL 12 Versilia, Centro Missionario Diocesano, un gruppo parrocchiale, e numerosi cittadini che in varia misura hanno contribuito partecipando alle iniziative che abbiamo "partorito". Il dibattito del Simposio, durato tre giorni, ha visto alternarsi rappresentanti della Chiesa Cattolica, protestante, musulmani, della Societe' Civile, rappresentanti del mondo della cultura ecc. Erano presenti delegazioni provenienti dall'Italia, Germania, Spagna, Svezia, Belgio, Francia, Stati Uniti, Tanzania, Zambia e Burundi, oltre naturalmente ai padroni di casa congolesi. L'intervento di Albino Bizzotto, fatto a nome dei trecento partecipanti italiani, e' stato apprezzato per schiettezza e incisivita'. "Chiediamo perdono per le colpe legate alla colonizzazione e oggi ai gruppi di potere economici e politici. Perdonate noi e i nostri concittadini perche' molte delle armi che hanno ucciso e mutilato tante persone sono made in Italy, France, England. Il nostro governo, come molti altri, non ha fatto niente per arrestare il commercio delle armi, spesso gli stessi aiuti non sono stati al servizio della pace, da tanto tempo i vostri minerali sono considerati piu' importanti delle persone". Riporto alcuni stralci del documento conclusivo: "Il Simposio e' stato il luogo dove una buona rappresentanza della popolazione da molto tempo ignorata e mai ascoltata dai potenti di questo mondo e dai signori della guerra, ha finalmente avuto l'occasione di esprimersi. (...) Solo una vera globalizzazione dei diritti umani potra' garantire la pace nel mondo. (...) Lanciamo un grido alla Comunita' internazionale che, da un lato ha dimenticato e continua a dimenticare la realta' del nostro paese, il Congo Kinshasa, nonche' le sofferenze della sua popolazione, sebbene dall'altro canto rimanga molto sensibile alle sue ricchezze. (...) Ci impegniamo a: - Disarmare il nostro spirito al fine di riconoscere tutti i congolesi e tutte le donne e gli uomini armati della pace come nostri fratelli. - Perdonare, in un contesto di dialogo e di giustizia, coloro che ci hanno aggredito. - Assumere i diritti umani come punto di partenza per la costruzione della pace. - Uscire dal torpore, dalla corruzione della menzogna e dalla ricerca dell'interesse personale in tutti i nostri impegni politici. - Rifiutare la tentazione del ricorso alla violenza, alla vendetta, all'odio, per incamminarci risolutamente sulla via della nonviolenza che e' l'unica forza di verita'. (...) Alle Nazioni Unite chiediamo di predisporre una forza di interposizione reale e non simbolica, da dispiegarsi nel piu' breve tempo possibile alle frontiere. Chiediamo di creare un tribunale internazionale per i crimini commessi nel nostro paese al fine di combattere la cultura dell'impunita'. (...) Siamo fieri di essere congolesi. Siamo altresi' fieri di essere Figlie e Figli di quest'Africa che e' la culla dell'umanita'. A partire da questo Simposio lanciamo un appello a tutti gli africani: Non facciamoci piu' la guerra tra di noi ma lavoriamo insieme per costruire un continente in cui ogni donna e ogni uomo abbiano il diritto e la gioia di vivere". La considerazione che mi viene spontanea e' relativa alla difficolta' che avremo nel condividere, fra tutti i gruppi pacifisti, il valore di quello che e' stato fatto, che non dovrebbe rimanere patrimonio dell'esperienza personale dei trecento partecipanti. Sarebbe bello rappresentasse un momento di crescita per l'intero movimento (sic!) o perlomeno un'occasione di riflessione. Mi scuso per la discontinuita' del discorso che ho cercato di fare e mi auguro che le informazioni date possano essere gradite. Gli altri "Berretti" presenti in Congo che leggono queste righe potrebbero magari integrarle e aggiungere considerazioni. In ultimo, fornisco i riferimenti seguenti che possono essere fonte di ulteriori informazioni: e-mail: beati.bukavu at libero.it, web: www.unimondo.org/bukavu Ciao a tutti, Licio 4. RIFLESSIONE. ROSEMARY RUETHER: LA DIMENSIONE COMUNITARIA DELLA PERSONALITA' [Il seguente passo abbiamo ripreso dal libro di Rosemary Ruether, Per una teologia della liberazione della donna, del corpo, della natura, Queriniana, Brescia 1976, pp. 150-151. Rosemary Radford Ruether e' una delle voci piu' autorevoli della teologia femminista] Le donne non devono finire prigioniere nell'etica maschile della competitivita' che vede il trionfo di se' solo come conseguenza dell'oppressione dell'altro. A differenza degli uomini, le donne hanno tradizionalmente sviluppato una personalita' comunitaria che e' in grado di partecipare ai successi altrui piuttosto che vedervi una minaccia alle proprie ambizioni. Cercare la liberazione delle donne senza smarrire questo sentimento della dimensione comunitaria della personalita', e' la grande sfida e la segreta forza della rivoluzione femminile. Il suo fine adeguato dovra' essere la totale soppressione del rapporto sociale di dominio-sfruttamento e l'instaurazione di una nuova etica sociale di stile comunitario. 5. URANIO IMPOVERITO. MASSIMO ZUCCHETTI: NOTE CRITICHE A DUE RAPPORTI [Dal Tribunale Clark riceviamo e volentieri ridiffondiamo questo intervento del professor Massimo Zucchetti, docente al Politecnico di Torino, sui rapporti della Commissione dell'UE e di quella dell'UNEP (United Nations Environmental Program) sulla pericolosita' dell'uranio impoverito] Sono stati resi pubblici recentemente due rapporti di organismi internazionali, riguardanti il problema della pericolosita' dell'uranio impoverito (DU) usato per scopi militari nei Balcani. Il primo e' un rapporto dell'Unione Europea (Opinion of the group of experts established according to Article 31 of the Euratom Treaty - Depleted Uranium), reperibile al sito: http://europa.eu.int/comm/environment/radprot/opinion.pdf. Il secondo e' il Rapporto dell'Unep (Depleted Uranium in Kosovo - Post-Conflict Environmental Assessment), reperibile al sito: http://balkans.unep.ch/du/reports/report.html. Ad una prima lettura dei documenti, emergono i seguenti punti critici, che spiegano ampiamente le conclusioni rassicuranti alle quali i due documenti giungono. * Sul Rapporto dell'Unione Europea In esso, che non considera tra l'altro la questione della pericolosita' chimica, si arriva ad escludere qualunque pericolosita' radiologica del DU. Si afferma che, considerando tutte le possibili realistiche vie di esposizione, il DU non puo' arrivare a causare detrimento sanitario (cioe' malattie o morte). Cercando la ragione di queste conclusioni, davvero peculiari per un materiale radioattivo, si evince che: - Il rapporto considera che il DU nelle munizioni non prenda praticamente fuoco, se non in piccolissima parte e quindi non vada praticamente in aerosol. Escludendo o minimizzando cosi' la via di esposizione preponderante (inalazione), e' facile giungere a queste conclusioni. In realta', questa assunzione non e' per nulla giustificata e realistica. - Il rapporto afferma che dosi fino a 100 mSv (circa 50 volte il fondo naturale) non provocherebbero rilevante aumento nella popolazione degli effetti sanitari dovuti alle radiazioni ionizzanti. Questa affermazione si commenta da sola: ricordiamo come i limiti di legge in Italia parlino di 1 mSv come dose massima per la popolazione (cento volte di meno del valore che il rapporto afferma essere irrilevante). Se l'intera popolazione italiana fosse esposta a questa dose "irrilevante", ne risulterebbero 300.000 nuovi casi di tumore all'anno, una cifra evidentemente ritenuta trascurabile dagli esperti dell'Euratom. * Sul Rapporto Unep Il rapporto dei tecnici dell'Unep contiene molti dati e rilevazioni interessanti e pregevoli. Tuttavia: - Le misurazioni sono state fatte a distanza di anni dai bombardamenti. Il sottoscritto ha gia' ampiamente spiegato in altre sedi (1) come sia improbabile, a distanza di anni, rilevare l'inquinamento da DU con le usuali misure di contaminazione ambientale. Occorre ricorrere a bioindicatori/bioaccumulatori, nei quali si puo' ancora rilevare il DU anche dopo parecchio tempo dai bombardamenti. - Il rapporto afferma infatti di non aver trovato concentrazioni ambientali rilevanti di DU e questo appunto non stupisce. Tuttavia, contraddice le sue stesse conclusioni (il DU in seguito ad un bombardamento non si sparge nell'atmosfera se non entro un piccolo raggio dall'esplosione, ergo l'esposizione della popolazione nel suo insieme risulta trascurabile), leggendo quanto scritto nell'Appendice VI del Rapporto stesso. - In essa vengono riportati i dati sui rilevamenti di DU in certi bioindicatori (licheni e muschi). Si legge che in tutti i casi in cui si e' ricorso a questa misura si e' trovata rilevante traccia di DU, segno che esso si era polverizzato e sparso nell'atmosfera. Questo, anche in concomitanza con rilevazioni nulle di contaminazione del suolo. Si raccomanda nel Rapporto l'uso di questi bioindicatori in future rilevazioni. - Questa appare percio' una implicita affermazione di non aver utilizzato le tecniche piu' adeguate per la rilevazione del DU. Risultano percio' opinabili ed inficiate tutte le affermazioni del rapporto sulla pericolosita' del DU. - Inoltre, solo in 11 siti sugli oltre 200 indicati sono state effettuate misurazioni. Date le caratteristiche "a spot" dell'inquinamento da DU, questo compromette la completezza ed esaustivita' dell'indagine. - Ci si chiede infine perche' non siano state prese in considerazione le misure degli scienziati jugoslavi fatte al tempo giusto (subito dopo i bombardamenti), e che avevano rilevato concentrazioni di DU anche ordini di grandezza oltre il normale. I pochi esempi qui citati, frutto di una prima lettura dei rapporti, permettono di concludere come siano del tutto azzardate ed ingiustificate le sentenze assolutorie sulla pericolosita' dell'uranio impoverito. Per quanto riguarda l'imminente probabile ulteriore sentenza assolutoria che verra' emessa dalla Commissione governativa italiana (presieduta dal prof. Mandelli), il sottoscritto si riserva di commentarla quando sara' disponibile il rapporto, e non le indiscrezioni pubblicate in questi giorni. Tuttavia, concorda pienamente con le dichiarazioni del dott. Giorgio Cortellessa (ANSA, 13.3.2001, h.18:21) della Contro-Commissione del Tribunale Clark. * Note 1. M .Cristaldi, A. Di Fazio, C. Pona, A. Tarozzi, M. Zucchetti, "Uranio impoverito (DU). Il suo uso nei Balcani, le sue conseguenze sul territorio e la popolazione", in "Giano", n. 36 (sett.-dic. 2000), pp. 11-31. 6. ESPERIENZE. LA RETE DI FORMAZIONE ALLA NONVIOLENZA [Dal sito della Rete di Formazione alla Nonviolenza (www.ines.org/rfn/) riportiamo la seguente scheda di presentazione] * Informazioni generali Lo scopo della Rete di Formazione alla Nonviolenza (RFN) e' di "creare in ogni regione e in ogni citta' d'Italia delle equipes di formatori in grado di inserirsi nei conflitti sociali in atto e nelle attivita' dei gruppi sul loro territorio a fianco della gente in lotta, per far crescere la capacita' di affrontare il conflitto in modo nonviolento." (dalla Carta Costituente del 1990). La RFN nasce nel 1990 raccogliendo l'eredita' delle Forze Nonviolente di Pace, che dal 1984 operavano nel campo della formazione nonviolenta. Oggi conta sull'adesione di piu' di un centinaio di formatori, collaboratori e sostenitori distribuiti nelle varie regioni italiane. * Perche' una rete La struttura "a rete" e' una scelta mirata a permettere la massima flessibilita' e capillarita' dell'intervento su base locale, regionale e nazionale, e allo stesso tempo e' un modo di attuare anche a livello organizzativo i processi decisionali consensuali che sono i principi ispiratori della Carta Costituente della RFN. La RFN vuole essere uno strumento di servizio: - per i gruppi e le associazioni che chiedono: corsi di formazione; momenti di animazione e facilitazione; momenti di approfondimento di tematiche inerenti ai temi della nonviolenza; - per i membri della RFN che desiderano: incontri di scambio di esperienze; momenti di confronto su metodi e criteri di formazione; corsi di aggiornamento di formatori organizzati dalla stessa RFN; documentazione teorica e pratica, attraverso il "foglio di collegamento" e le pubblicazioni. * Quale formazione Per un reale cambiamento sociale e' determinante la qualita' della formazione di coloro che intendono realizzare tale cambiamento. Fra le competenze dei formatori della RFN segnaliamo: - dinamiche di gruppo (comunicazione, gioco, conflitti interpersonali, metodi decisionali consensuali per piccoli e grandi gruppi...); - lotte nonviolente (strategie e tecniche, organizzazione, gestione...); - difesa popolare nonviolenta (storia e teoria di un'alternativa alla difesa militare); - diritti umani, salvaguardia ambientale, rapporto Nord-Sud, educazione alla pace. Il metodo di lavoro usualmente adottato dai formatori della RFN e' il metodo "training", la cui principale caratteristica e' di stimolare il coinvolgimento personale all'interno di una dinamica di gruppo in una situazione di laboratorio dove i rischi sono piu' facili da affrontare e gli errori meno costosi, e in cui viene dato spazio allo sviluppo della creativita', alla fiducia e alla solidarieta'. Vi e' inoltre la possibilita' di lavorare sui vari contenuti con le tecniche del Teatro dell'Oppresso (TdO), metodologia affine al metodo "training". Con il TdO vengono vissute, rappresentandole, varie problematiche sociali, sperimentando i limiti e le possibilita' di cambiamenti personali e collettivi. Contenuti, tempi e metodi della formazione vengono comunque di volta in volta concordati in base al tipo di richiesta e ai formatori disponibili. * Nonviolenza come forza positiva Per difenderci attacchiamo, reagiamo in modo offensivo (forza negativa). Spesso non sappiamo agire altrimenti, non abbiamo imparato a comportarci diversamente, non vediamo altri atteggiamenti possibili. I sentimenti di indignazione, di rivolta, di resistenza costituiscono una ricca fonte di energia. Dominando questa energia in modo cosciente la si puo' trasformare in una forza positiva. Si tratta di imparare ad entrare nei conflitti e ad affrontarli in modo nonviolento. Cio' significa scoprire e far crescere nuove forme di potere e di comunicazione, immaginare e praticare nuove forme di azione... La guerra non e' inevitabile, ma e' la conseguenza del comportamento dell'uomo, e noi pensiamo che questo comportamento possa essere modificato. * Come si finanzia la RFN La RFN e' un'organizzazione no-profit che si finanzia attraverso: - le quote di adesione; - l'organizzazione di momenti formativi; - i contributi degli OSM (Obiettori alle Spese Militari) nell'ambito del progetto per la Difesa Popolare Nonviolenta; - i contributi di Enti ed Associazioni per progetti specifici. * Per contattarci Rete di Formazione alla Nonviolenza, piazza Palermo 10/b, 16129 Genova, tel. e fax 010.364704, e-mail: msergio at mail.intertrade.it (Sergio Minni) o teepee at mbox.vol.it (Loris Tissino), in rete: www.ines.org/rfn/ 7. INIZIATIVE. LA CAMPAGNA CONTRO LE MUTILAZIONI DEI GENITALI FEMMINILI [Dal sito di "Nonluoghi" (www.nonluoghi.it) riprendiamo questo articolo informativo a sostegno della campagna contro le mutilazioni dei genitali femminili di cui sono vittime 6000 bambine al giorno, anche in Europa] Ogni giorno circa 6000 bambine vengono sottoposte a mutilazioni genitali. Le ultime stime parlano di 120 milioni di donne private per sempre del diritto alla piena sessualita' poiche' i loro organi, amputati per motivi culturali o credenze antiche, non potranno piu' essere ricostruiti. In questo periodo e' in corso una campagna internazionale, che vede in Italia in prima fila l'Associazione italiana donne per lo sviluppo (Aidos), contro questa pratica, diffusa nei paesi islamici e con molti casi di ragazzine nate e cresciute all'estero che lo stesso vengono sottoposte a questa violenza. * Per inquadrare l'argomento pubblichiamo una sintesi della Dichiarazione congiunta di Oms, Unicef e Unfpa. "(...) Nel presentare questa dichiarazione, non si vuole ne' criticare ne' condannare. Ma e' inammissibile che la comunita' internazionale resti indifferente [davanti alle mutilazioni dei genitali femminili, ndr] in nome di una distorta visione multiculturale. Per quanto determinati comportamenti e valori culturali possano apparire privi di senso o distruttivi dal punto di vista di un'altra cultura, essi hanno sempre un significato e soddisfano determinate funzioni per coloro che li praticano. Ma la cultura non e' statica, bensi' in costante evoluzione, adattamento, rinnovamento. Per questo e' possibile mettere fine alle pratiche tradizionali nocive alla salute se coloro che le praticano ne comprendono i rischi e le umiliazioni, e se capiscono che abbandonare queste pratiche non significa rinunciare ai valori della propria cultura (...). Aumenta costantemente la consapevolezza che il contesto culturale cambia a seconda del tipo di mutilazione praticato e che per arrivare all'eliminazione di queste pratiche occorre dapprima capire esattamente in quale contesto socio-culturale, economico e di relazioni di genere esse si situano. Per eliminare le mutilazioni dei genitali femminili non ci si puo' limitare ai soliti interventi medici per eliminare le malattie ma si deve sviluppare un approccio multidisciplinare. Stando alla pratica acquisita sul terreno, le azioni da intraprendere sono: - adottare delle politiche chiare che includano, se necessario, l'approvazioni di leggi che vietano le mutilazioni; - costituire gruppi di lavoro tra le diverse agenzie Onu che comprendano rappresentanti di ministeri, professionisti e Ong per monitorare le azioni intraprese per l'eliminazione delle mutilazioni; - finanziare ricerche in tutti gli aspetti delle mutilazioni, comprese le motivazioni per cui continuano a essere praticate, le conseguenze sulla salute, gli interventi piu' appropriati per eliminarle; - organizzare incontri nei villaggi e coinvolgere i capi e i leader religiosi in programmi di informazione che affrontino le motivazioni principali a favore di queste pratiche. L'esperienza dimostra che laddove i leader sono informati e coinvolti, le attivita' di informazione e educazione presso la popolazione hanno piu' successo; - inserire interventi per l'eliminazione delle mutilazioni dei genitali femminili nei programmi di educazione sanitaria, protezione dell'infanzia e sviluppo locale; - utilizzare tutti i possibili canali di comunicazione per trasmettere informazioni: mass media, musica popolare, drammatizzazioni, incontri di gruppo, counseling individuale ecc.; - vietare ai medici di praticare le mutilazioni e insegnare loro invece a trattare le conseguenze sanitarie di tali pratiche; - sviluppare linee guida per la formazione del personale sanitario sia per l'eliminazione delle mutilazioni che per curare le donne che le hanno subite e intervenire in particolare in caso di gravidanza e parto; - contribuire alla revisione dei programmi scolastici al fine di assicurare che donne e bambine vengano ritratte in modo paritario e non stereotipato. Interventi di Oms, Unicef e Unfpa Tra le cause della lentezza del processo di eliminazione delle mutilazioni dei genitali femminili c'e' la mancanza di coordinamento degli interventi e la limitatezza delle risorse a disposizione. (...) Considerato che le mutilazioni dei genitali femminili riguardano i diritti e la salute di donne e bambini, e che pertanto coinvolgono da diversi punti di vista le varie agenzie delle Nazioni Unite, un'azione coordinata in questo settore e' un buon esempio di intervento integrato [fatte salve le specificita' di ciascuna agenzia, ndr]. Conclusioni (...) Per ridurre effettivamente le mutilazioni e' necessario che la popolazione e il personale sanitario prendano coscienza delle gravissime conseguenze che queste hanno sulla salute psicofisica delle donne. Questo richiede un coinvolgimento attivo di politici, professionisti, insegnanti, comunita' locali a partire dai capivillaggio e dai leader religiosi, gruppi e associazioni femminili. Alle agenzie internazionali spetta il compito di coordinare e rafforzare, con la dovuta sensibilita' e costanza, le attivita' realizzate a livello locale". * Le mutilazioni sessuali femminili sono una delle violenze cui ancora sono sottoposte milioni di donne nel mondo. Un'aggressione diffusa in molti Paesi arabi e africani e che in Occidente rappresenta anche uno degli scogli nel confronto fra culture e religioni verso la costruzione di una reale convivenza interetnica. Ora, la campagna per dire di no sta cercando di farsi sentire di piu'. Alcune pagine web consultabili: http://www.arabroma.com/arabroma/hiwarat4/page4.html http://www.unimondo.org/aidos/ http://lamborghiniitaly.it/PdD/5/59713.htm http://www.unicef.it/bimbe.htm 8. LETTURE. UN LIBRO DI ANNA-VERA SULLAM CALIMANI, "I NOMI DELLO STERMINIO" Segnaliamo questo recente libro di Anna-Vera Sullam Calimani, I nomi dello sterminio, Einaudi, Torino 2001; l'autrice, docente di storia della lingua italiana all'Universita' Ca' Foscari di Venezia, con precisione di analisi e limpidezza di dettato riflette sui termini adottati per designare la Shoah e coglie quanto di implicito vi sia nelle varie definizioni e quali rischi di travisamento e menzogna taluni di essi implichino. Un libro che giova alla chiarezza e alla consapevolezza; che si legge d'un fiato, in commozione e meditazione; e che raccomandiamo caldamente. 9. MATERIALI. ESTRATTI MINIMI DA ALCUNI LIBRI DI ADRIANA CAVARERO [Questa serie di minimi estratti da alcuni libri di Adriana Cavarero abbiamo ripreso dal sito della filosofa: http://www.univr.it/lettere/cavarero/ Adriana Cavarero, docente all'Universita' di Verona, e' tra le principali pensatrici della comunita' filosofica femminile di "Diotima" e del pensiero della differenza] * Nonostante Platone, Editori Riuniti, Roma 1990 Questo libro e' un piccolo crimine. Si tratta solo di un furto, operazione non cruenta. L'omicidio non c'e', tranquillizzatevi. L'uomo, inteso come sesso maschile, subisce soltanto l'attentato dell'irrisione garbata, quasi un'eco settecentesca. Cio' che si fura a un contesto autorevole e piu' che legittimo, nientemeno che Platone, sono figure di donne, diversissime fra loro: Penelope, Demetra, Diotima, una servetta tracia. (Dalla nota editoriale). Non so se fosse servetta o provenisse da Tracia, ma qualche donna rise dei filosofi, e in quel riso leggero, cosi' spesso schiudentesi sui volti di molte donne di fronte all'intellettualismo autistico dei sapientoni, i filosofi videro una pregiudicata ignoranza, e non invece l'espressione di un distacco che radicava altrove il senso dell'esistenza femminile. Rise infatti la servetta perche' apparteneva interamente al mondo della vita. E vi apparteneva non solo in quanto schiava, adusa a prendersi cura della vita attingendo l'acqua dal pozzo, ma in quanto donna originariamente segnata dalla differenza sessuale, prima che libera o schiava. Donna irrappresentata nella sfera dell'essere cui il filosofo si affida: donna che (davvero risibilmente) il filosofo chiama 'uomo'. (Da Adriana Cavarero, Nonostante Platone). * * Tu che mi guardi, tu che mi racconti, Feltrinelli, Milano 1997 Non che cosa e' ciascuno, ma chi e': si potrebbe sintetizzare cosi' la categoria di unicita' elaborata da Hannah Arendt. In una prospettiva femminista, Adriana Cavarero utilizza l'unicita' per polemizzare contro il Soggetto forte della tradizione metafisica e la soggettivita' frammentaria postmoderna. Karen Blixen, Edipo, Borges, Ulisse, Rilke, Euridice, Sheherazade vengono convocati a testimoniare le varie forme in cui un individuo riceve da un narrazione il proprio ritratto. I rapporti d'amore, l'amicizia femminile, l'esperienza femminista dei gruppi di autocoscienza e la generale attitudine delle donne al racconto sono gli scenari in cui la narrazione si sposa con la politica. (Dalla nota editoriale). La storia di vita di qualcuno risulta sempre da un'esistenza che, sin dall'inizio, lo ha esposto al mondo rivelandone l'unicita'. Solo nel caso improbabile di una vita spesa in perfetta solitudine, nel deserto senza sguardi, l'autobiografia di un essere umano potrebbe raccontare l'assurda storia di un'identita' inesposta, senza relazioni e senza mondo. L'esistente e' l'esponibile e il narrabile: ne' l'esponibilita' ne' la narrabilita', che insieme costituiscono la sua unicita' peculiarmente umana, possono essergli tolte. Chi si espone genera ed e' generato dalla storia di vita - questa e non altra - che risulta da tale esposizione. La memoria personale, intenzionalmente o meno, puo' infatti persino procedere dimenticando, rielaborando, selezionando e censurando gli episodi della storia che racconta. Essa, tuttavia, raramente inventa come fanno gli artefici di storie. La memoria personale non e' un'autrice di professione. Hannah Arendt ha dunque ragione nell'affermare che le storie di vita non hanno mai un autore. Biografiche o autobiografiche, esse risultano da un'esistenza che appartiene al mondo nella forma relazionale e contestuale dell'esporsi agli altri. (Da Adriana Cavarero, Tu che mi guardi, tu che mi racconti). * * Le filosofie femministe, Paravia, Torino 1999 Nella griglia teorica che attraversa il pensiero femminista contemporaneo, la questione del soggetto occupa necessariamente un posto di rilievo. Da un punto di vista filosofico, l'opposizione fondamentale che struttura l'economia binaria e' infatti quella che assegna all'uomo il posto del soggetto e alla donna quello dell'oggetto. Nel dibattito del pensiero femminista piu' recente le cose tuttavia non sono cosi' semplici. Tale dibattito risente infatti della complessa vicenda filosofica del secondo novecento che, in vario modo, si pone al di la' e contro la costruzione metafisica del soggetto. Non si tratta solo di varie correnti, e percio' di diversi stili di linguaggio e di pensiero che si incrociano. Si tratta anche di una diversa espansione e clonazione di tali incroci secondo aree geografiche, e percio' linguistiche, distinte. Il fenomeno e' generale, e tocca comunque anche il pensiero femminista, che appunto risente di questa complessa configurazione geo-filosofica. Il femminismo teorico di lingua inglese, soprattutto sul suolo statunitense ma con larga diffusione nel nord Europa, parla ad esempio la lingua della decostruzione, del poststrutturalismo e del postmodernismo che, provenendo dalla Francia, ha conquistato le aree piu' radicali della comunita' intellettuale americana. Altrettanto non si puo' dire per la teoria femminista italiana e mediterranea in genere che, pur rivolgendo una certa attenzione alla Francia, risente dell'influenza di Luce Irigaray piuttosto che di quella di Foucault e Derrida, e, pur condividendo con il femminismo americano un'attenzione per le categorie della psicanalisi, la condivide invece assai meno per quelle del postmodernismo. Non si puo' comunque parlare con precisione di una teoria femminista angloamericana e di una teoria femminista europea o mediterranea: sia perche' ciascuna di queste due aree e' internamente frastagliata, sia perche' le aree stesse sono ovviamente incontenibili entro i confini dell'Europa e degli Stati Uniti. (Da Adriana Cavarero, Le filosofie femministe) * * Corpo in figure, Feltrinelli, Milano 1995 Nella tradizionale metafora del 'corpo politico' sembra che la politica e il corpo stiano in un buon rapporto. Eppure la rilettura filosofica della storia delle idee di corpo e di politica denuncia inequivocabilmente una subalternita' delle figurazioni del corpo al logocentrismo della politica. La prospettiva dell'indagine non e', dunque, sessualmente neutra: le teorie del femminismo critico, incrociandosi con moduli foucaultiani e schmittiani, si snodano in una originale scansione interpretativa che spazia dall'Antigone all'Amleto, da Platone a Hobbes, dalla trattatistica medioevale alla fiction contemporanea. (Dalla nota editoriale). In questa natura segnata dal caduco e dalla marcescenza, tanto cari allo sguardo saturnino di Amleto, la sindrome melanconica del principe fa ovviamente la sua parte, procurando una cornice cosmica, adattissima al collasso della regalita'. La quale e', in effetti, il versante politico di un collasso generale che la metafora corporea in chiave grottesca descrive notoriamente a dovizia, unendosi a una natura corrotta negli scambi figurali di una rovina inesorabile. Cosicche' diventa tanto piu' significativo quel corpo fluviale di Ofelia, ben abbracciato da un giardino di quieta bellezza, che consegna alla fanciulla la sua icona piu' celebre e il se' della sua maschera. (Da Adriana Cavarero, Corpo in figure). 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ; per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben at libero.it ; angelaebeppe at libero.it ; mir at peacelink.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 153 del 18 marzo 2001
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