Giubileo: consacrazione o critica della globalizzazione capitalistica?



Bari, 29 gennaio 2000
Presso Missionari Comboniani
Via Giulio Petroni, 101
Bari

Introduzione
A nome  dell'Associazione "Un solo mondo", dell'Associazione "Oasi" e dei
Missionari Comboniani vi do il più cordiale benvenuto.

La conferenza di questa sera, con il titolo: "Giubileo: Consacrazione o
Critica della Globalizzazione Capitalistica?", vuole essere una
provocazione per riflettere sul senso profondo del giubileo a partire dai
poveri, dagli emarginati, dagli ultimi che il sistema neoliberista ha
prodotto in in tutte le società, in modo particolare, nei paesi del Sud del
mondo.

	Richiamare alla nostra memoria il Giubileo, come forma di prossimità agli
ultimi, è  vivere, in prima istanza, un impegno per la giustizia e per la
vita di tutti coloro che vita non hanno. Un impegno per:
- liberare coloro che sono, per debiti, ridotti in schiavitù;
- restituire le terre, a coloro che sono stati defraudati;
- annunciare una società senza poteri oppressori;
- ricordare che Dio è il Signore della storia e tutto gli appartiene.

Quindi, il giubileo, non potrà essere l'esaltazione di un certo
cristianesimo, o semplicemente un insieme di visite e di celebrazioni
liturgiche slegate dalle grandi problematiche che affliggono, oggi,
l'umanità. Sarebbe un rinnegare la tradizione biblica e rendersi complici
delle attuali logiche di oppressione che genera la globalizzazione.

	Siamo conviti che se vogliamo essere alternativi dobbiamo organizzarci.
Un'organizzazione che parta dal basso, dai movimenti popolari. E'
l'obiettivo della Rete di Lilliput. A questo punto vorrei spendere due
parole per dire di che cosa si tratta.
 Nel libro: "Contro il Capitale Globale",  Jeremy Brecher e Tim Costello,
attraverso la favola satirica: I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift -,
parlano della strategia lillipuziana come un modo per opporsi e coordinarsi
efficacemente dal basso, in modo da:
- "collegare l'interesse individuale con gli interessi collettivi,
- collegare il globale con il locale,
- collegare Nord e Sud,
- collegare i soggetti attraverso i confini,
- collegare identità specifiche con più ampie comunità,
- collegare problematiche e soggetti sociali,
- collegare chi è minacciato con chi è emarginato,
- collegare diverse fonti di potere,
- collegare le lotte contro le istituzioni oggetto di contestazione,
- collegare la resistenza con il mutamento istituzionale,
- collegare questioni economiche e democratizzazione".

La strategia lillipuziana parte dal presupposto che, per controllare il
saccheggio globale, è necessario che i molteplici fili d'azione siano
capaci di unirsi a livello planetario. Vorrei lanciare, questa sera,
l'invito a tutte le associazioni interessate a stendere con noi i fili
della "Rete di Lilliput", il 23 febbraio, alle ore 21.00, presso questa
stessa sede per iniziare a concretizzare questa strategia nella città di
Bari in sintonia con le altre realtà nazionali.

Riteniamo che la presenza del Prof. Girardi, questa sera, possa dare, a
partire dalla sua riflessione teologica e filosofica, e grazie alla sua
esperienza tra gli ultimi, un valido contributo per aiutarci a vivere la
giusta dimensione del "giubileo popolare".
Nato nel 1926 a Il Cairo (Egitto) da padre italiano e da madre sirolibanese.
Nel 1939, avendo chiesto di diventare salesiano, viene inviato in Italia.
A Torino e a Roma frequenta l'università di Filosofia e Teologia.
E' ordinato sacerdote nel 1955.
Ha insegnato filosofia nell'università salesiana di Torino e Roma (19
anni), nell'università cattolica di Parigi (6 anni) e nell'istituto
superiore Lumen Vitae di Bruxelles (4 anni).
Espulso da queste istituzioni e poi dalla congregazione salesiana, è
sospeso a divinis per le sue scelte politiche e ideologiche.
Dal 1978 al 1996, è stato professore di filosofia politica presso
l'università di Sassari (Sardegna).
E' in pensione dal 1996.
Filosofo e teologo della liberazione, è impegnato da sempre nella
solidarietà con l'America Latina, particolarmente con il Nicaragua, Cuba e
il movimento indigeno.
E' stato membro del Tribunale Russell II ed è membro del tibunale
permanente dei popoli fin dalla sua fondazione nel 1976.
Tra i suoi numerosi scritti ricordiamo:
Marxismo e cristianesimo. (Cittadella, 1966)
Credenti e non credenti per un mondo nuovo. (Cittadella, 1969)
Cristianesimo, liberazione umana, lotta di classe. (Cittadella, 1971)
L'ateismo comteporaneo. (SEI , Torino 1967-70)
Cristiani per il socialismo, perché? (Cittadella, 1975)
Educare: per quale società? (Cittadella, 1975)
Fede cristiana e materialismo storico. (Borla, 1977)
Coscienza operaia oggi. (De Donato, 1980)
La tunica lacerata. (Borla, 1986)
Il popolo prende la parola. Il Nicaragua per la teologia della liberazione.
(Borla, 1990)
Comunità di S. Benedetto al Porto. Dalla dipendenza alla pratica della
libertà. Una comunità di accoglienza s'interoga e interroga. (Coordinata da
G. Girardi, Borla, 1990)
La conquista dell'America. Dalla parte dei vinti. (Borla, 1992)
Il Tempio condanna il Vangelo: il conflitto sulla Teologia della
Liberazione fra il Vaticano e la Clar. (Edizioni Cultura della pace. San
Domenico di Fiesole, 1993)
Gli esclusi costruiranno la nuova storia? (Borla, 1994)
Cuba dopo il crollo del comunismo. (Borla, 1995)
Cuba dopo la visita del papa. Marxismi, cristianesimi ,religioni
afroamericane alle soglie del terzo millennio. (Borla, 1999)
Riscoprire Gandhi. La violenza è l'ultima parola della storia. (Anterem, 1999)
 A questo punto non mi resta che lasciare la parola al Prof. Girardi.




	GIUBILEO 2000: CONSACRAZIONE O DENUNCIA DELLA GLOBALIZZAZAIONE CAPITALISTA?




								Professor Giulio Girardi


	La domanda che ho posto al centro della riflessione  sul giubileo,
"consacrazione o denuncia della globalizzazione capitalista?" sorprenderà
forse qualcuno. Giubileo e globalizzazione sembrano infatti appartenere a
due ordini diversi, anzi incommensurabili. Il giubileo vuol essere una
celebrazione essenzialmente spirituale, quindi apolitica;  la
globalizzazione capitalista è un processo economico e politico.Vorrei
quindi chiarire il senso del dilemma  approfondendo il rapporto fra questa
celebrazione e questo processo.
	Il primo problema che incontriamo su questa strada è appunto la
definizione del giubileo cattolico. Di questo evento, Giovanni Paolo II ha
compiuto una presentazione ufficiale nella Lettera apostolica, datata dal
10 novembre 1994, con cui ha avviato la sua preparazione. Essa vede il
giubileo essenzialmente come una riaffermazione, a duemila anni dall'inzio
della cosiddetta era cristiana, della centralità del cristianesimo nel
passato e nel futuro del mondo: dove il cristianesimo viene identificato
sostanzialmente con la chiesa cattolica romana.
Ma, ed è questo un segno dei tempi, è nata dalla base cristiana una
interpretazione diversa e in larga misura opposta a quella ufficiale:
questa interpretazione si diffonde tra le comunità cristiane, ispirando la
loro riflessione e le loro iniziative, valorizzando gli spazi aperti dalle
celebrazioni ufficiali, abitualmente però senza esplicitare il contrasto
tra le due interpretazioni del giubileo. La domanda invece che abbiamo
sollevato,  consacrazione o denuncia  della globalizzazione capitalista, ci
impone di esplicitare tale contrasto nei suoi aspetti teologici e nelle sue
implicazioni economiche e politiche.
In effetti, l'interpretazione "popolare" del giubileo assume come centro di 
prospettiva e come progetto fondamentale per il terzo millennio la
liberazione dei popoli oppressi. Ma riconoscere questa centralità alla luce
della fede cristiana significa inevitabilmente denunciare le alleanze
passate e presenti del cristianesimo con i poteri oppressori e quindi le
sue complicità nella genesi dei rapporti di dominio che caratterizzano la
civiltà occidentale, particolarmente i processi di globalizzazione
neoliberale. Significa , in altre parole riconoscere che di fronte alla
crisi di civiltà che attraversiamo, contrariamente  a quanto proclamano le
autorità ecclesiastiche, il cristianesimo gerarchico è parte del problema e
non della soluzione.
Questo giudizio fortemente critico nei confronti del cristianesimo è però
formulato da molti cristiani proprio in nome della loro fede; di questa
fede  rinnovata dal coinvolgimento nelle lotte di liberazione delle persone
e dei popoli; di questa fede quindi che riscopre la sua sorgente nel
messaggio sovversivo di Gesù e nelle testimonianze dei suoi primi
discepoli. Per cui il giubileo popolare non vuol essere un'esaltazione del
cristianesimo storico, ma da un lato, la denuncia del tradimento che esso
rappresenta e dall'altro la riscoperta del movimento di Gesù, considerato
non come la soluzione ai problemi del nostro tempo, ma come una ricca
sorgente d'ispirazione della ricerca.
Abbiamo così chiarito, mi pare, il senso del dilemma  che vorrebbe
provocare la nostra riflessione: il giubileo 2000 consacrazione o denuncia
della globalizzazione capitalista? Se infatti il giubileo istituzionale,
esaltando il cristianesimo storico, diventa una consacrazione del processo
di globalizzazione imperiale, in cui esso è coinvolto, il giubileo popolare
 rappresenterà  un impegno straordinario dei cristiani  per la riscoperta
ed attualizzazione del cristianesimo originario e al tempo  stesso, nella
stessa logica, una loro mobilitazione , al fianco di tutti i combattenti
per la libertà, per l'istaurazione di una nuova civiltà. Scopriamo  così lo
stretto legame fra interpretazioni del giubileo, concezioni del
cristianesimo e progetti di civiltà.

Il  quinto centenario, celebrazione o contestazione radicale?

	Un punto di partenza  molto illuminante per cogliere il senso di questo
contrasto è il conflitto che esplose in occasione del V centenario della
cosiddetta "scoperta dell'America" e della cosiddetta "prima
evangelizzazione" del continente. Si contrapposero allora due
interpretazioni: il centenario celebrazione e il centenario contestazione
radicale. Propugnavano la  celebrazione la Spagna, l'Italia e le altre
potenze del Nord, che guardano la storia dal punto di vista  dei
conquistatori; che, pertanto, considerano la "scoperta dell'America" come
un "incontro di culture" e come uno straordinario progresso nella storia
della civiltà. Propugnava la celebrazione anche la gerarchia  cattolica,
che preparò il '92 con un solenne novenario (di nov e anni).  Essa infatti
, guardando la storia dal punto di vista del suo proprio progresso,
percepiva nella "prima evangelizzazione" l'apertura di orizzonti nuovi ed
immensi alla diffusione del cristianesimo ed all'affermazione del potere
ecclesiastico nel mondo.
	Il punto di vista della gerarchia cattolica coincideva quindi con quello
dei conquistatori di ieri e di oggi nel considerare quella svolta storica
essenzialmente come un  progresso. Anzi, Giovanni Paolo II proclamò allora
apertamente la continuità tra la "prima evangelizzazione" , quella dei
conquistatori, e la "nuova evangelizzazione", promossa dalla chiesa di oggi.
	Inv ece, qualunque celebrazione fu respinta con indignazione dagli
indigeni coscientizzati e ribelli. Essi innescarono la "campagna
continentale 500 anni di resistenza indigena, negra e popolare",
proclamando: "Non abbiamo nulla da celebrare. Ciò che per i conquistatori
rappresenta un grande progresso è stato per noi l'inizio del genocidio
fisico, politico, economico, culturale e religioso."  I cristiani,
cattolici ed evangelici, che si ispirano alla teologia della liberazione,
non ebbero dubbi nell'assumere, alla luce della loro scelta per gli
oppressi come soggetti, il punto di vista della resistenza indigena, negra
e popolare:  questa presa di posizione si espresse in moltissime esperienze
di base e particolarmente nel movimento macroecumenico denominato
"assemblea del popolo di Dio". Al fianco della resistenza indigena, negra e
popolare, noi denunciammo la conquista come un delitto di lesa umanità,
destinato a perpetuarsi nei rapporti di dominio che hanno caratterizzato la
modernità. Denunciammo anche la "prima evangelizzazione"  per la sua
complicità con questo crimine e per la mistificazione del vangelo che essa
rappresentò, soffocandone la  carica liberatrice e trasformandolo in
strumento di colonizzazione, di asservimento e di rassegnazione.
	Il conflitto  esploso nel '92 tra due orientamenti  nei confronti del
quinto centenario era quindi espressione di due contrastanti
interpretazionidel messaggio cristiano,  imperniate rispettivamente sulla
centralità della chiesa gerarchica e la centralità dei popoli oppressi. Il
segno di contraddizione tra i due modelli di cristianesimo era il diritto
di autodeterminazione solidaria dei popoli oppressi, che la teologia della
cristianità negava in nome del diritto sovrano di Dio , mentre la teologia
della liberazione  era impegnata a difenderlo., come espressione della sua
scelta di campo  per gli oppressi come soggetti.. Pertanto i due modelli di
cristianesimo erano coerenti con due progetti antagonisti di civiltà,
imperniati il primo su rapporti di dominio tra i popoli, il secondo sul
riconoscimento del diritto di autodeterminazione solidale.
Il giubileo 2000, esaltazione  o contestazione del cristianesimo
istituzionale?

	Desidero ora mostrare come il conflitto esploso nel 92 intorno alla
celebrazione del V centenario si stia riproducendo oggi a proposito della
celebrazione giubilare e delle sue implicazioni.E' infatti evidente la
profonda continuità tra i due avvenimenti. Nel '92 si trattava di celebrare
i 500 anni di evangelizzazione dell'America Latina; nel 2000 si tratta di
celebrare i 2000 anni di evangelizzazione del mondo: ora tra gli ultimi 500
anni e i 1500 che li hanno preparati esiste una sostanziale continuità,
particolarmente evidente a partire dalla svolta costantininana. E' inoltre
naturale che i criteri , centralità della chiesa o centralità dei popoli
oppressi, con cui venne formulata la valutazione cristiana dei 500 anni
rimangano vigenti quando ad essere valutati sono i duemila anni di questa
civiltà.
	Abbiamo ora  gli elementi per cogliere il senso della lotta ideologica e
teologica in atto all'interno delle celebrazioni giubilari. Per Giovanni
Paolo II, come abbiamo ricordato, esse  sono destinate ad essere
fondamentalmente un solenne riconoscimento della centralità storica
dell'evangelizzazione  e quindi , in particolare, della chiesa cattolica
romana, che ne è la protagonista. L'afflusso a Roma , a Piazza San Pietro,
di pellegrini di tutto il mondo, è l'espressione reale e simbolica di
questo riconoscimento. A Roma si celebrerà il congresso eucaristico
mondiale; a Roma e intorno a Roma si compiranno le più importanti
manifestazioni di ecumenismo.
	L'evangelizzazione di cui si tratta di riconoscere la centralità e che
viene  assunta come criterio nella valutazione delle civiltà è quella che
la chiesa ha compiuto storicamente, sulla base delle sue alleanze con il
trono: con l'impero romano prima, con i vari imperi cristiani lungo il
medio evo, con i conquistatori e colonialisti dell'età moderna, con le
potenze occidentali  nella lotta anticomunista  contemporanea.
	Secondo Giovanni Paolo II, le grandi tappe della storia uma-na  sono
segnate in ogni popolo e continente dal "cammino di Cri-sto", cioè
dall'evangelizzazione;  in funzione della loro fedeltà o infedeltà
all'evangelizzazione vengono valutate le varie civiltà. Essa è sempre
considerata un grande  progresso, anzi una nuova nascita, come è avvenuto
tipi-camente, pensa il papa,  per quanto riguarda l'America Latina. In
nessun momento egli  allude al fatto che l' evangelizzazione ha spesso
coinciso con la conquista e la colonizzazione; che essa quindi non è stata
al-lora un annunzio di liberazione, ma uno strumento di asservimento e di
soffocamento  dei popoli. Nessun accenno egli dedica, nel bi-lancio dei due
millenni, al ruolo storico assolto dal cristiane-smo come legittimazione
dei rapporti di dominio e quindi nella genesi dell'attuale divisione del
mondo. In nessun momento pertanto  egli  prospetta la necessità che la
stessa evangelizzazione sia sottoposta, dal punto di vista etico e
religioso , dal punto di vista evangelico, ad un giudizio critico.
	Valutata con il criterio ecclesiocentrco, la storia occidentale,
attraversata da luci ed ombre, è però fondamentalmente luminosa, perché
illuminata dalla "luce di Cristo"; così la storia di ognuno dei popoli
occidentali, al cui centro si trova il momento nel quale essi vennero
investiti da questa luce. Con tale  criterio, il papa, in occasione della
sua visita a Cuba, ha interpretato la storia di quel popolo, dimenticando
il fatto, discretamente  segnalato da Fidel Castro nel suo discorso di
benvenuto, che la cosiddetta "luce di Cristo"aveva accompagnato e in
qualche modo giustificato il genocidio delle popolazioni originarie
dell'isola.
	Inoltre, la prospettiva cristianocentrica induce papa Wojtyla a
dimenticare che la civiltà occidentale cristiana è una piccola regione
della storia, cui rimane estranea la maggior parte dell'umanità. Come
applicare il criterio dell'evangelizzazione nella valutazione della storia
di quei popoli che, come per esempio l'India, non l'hanno ricevuta o che
l'hanno rifiutata perché la consideravano e la considerano  strumento di
colonizzazione?
	I cristiani che rifiutano oggi il giubileo come esaltazione del
cristianesimo e della sua centralità storica si muovono nella stessa logica
che nel '92 li aveva indotti a respingere, al fianco della resistenza
indigena, negra e popolare, le celebrazioni del V centenario. E' infatti
evidente ai loro occhi, come abbiamo ricordato, la continuità tra gli
ultimi 500 anni ed i 1500 che li hanno preparati. E' anche evidente,  che
il criterio per valutare i duemila anni non può essere fornito dai
"progressi dell'evangelizzazione". 
	Questo criterio è invece fornito dal riconoscimento degli oppressi come
soggetti storici: il quale impone di convolgere nello stesso giudizio e
nella stessa condanna gli ultimi 500 anni ed i 1500 che li hanno preceduti,
segnati in larga misura da rapporti di dominio. Tale criterio  detterà  un
giudizio fortemente critico anche nei confronti  di quel cristianesimo, che
, alleandosi con i poteri imperiali, è stato coinvolto  nella genesi e la
legittimazione dei  rapporti di dominio, ed ha ritenuto di dover riprodurre
nella sua organizzazione i rapporti gerarchici ed autoritari  che
caratterizzano le potenze imperiali.
	Questo stesso criterio imporrà ai discepoli di Gesù di far esplodere la
contraddizione fra il cristianesimo costantiniano e quello  delle origini;
fra la chiesa gerarchica e il movimento di Gesù; imporrà quindi loro di
trasformare il giubileo in un impegno collettivo per la riscoperta , la
rivalutazione e l'attualizzazione di quel movimento.
	L'immagine infatti, che stiamo riscoprendo, del movimento di Gesù,
contraddice radicalmente l'immagine  dei cristianesimi isituzionali di
oggi, cattolici ed evangelici, segnati in forme diverse dalle loro alleanze
con i poteri oppressori e pertanto coinvolti nella genesi e la
giustificazione del processo di globalizzazione capitalista. Contraddice la
teologia della cristianità elaborata a partire da queste alleanze  e
riaffermata dalla chiesa cattolica e da altre chiese nel contesto della
secolarizzazione. Contraddice la struttura  monarchica e
gerarchica,sacerdotale e maschilista   che le chiese dette cristiane sono
venute assumendo lungo i secoli, riproducendo nella loro organizzazione
l'autoritarismo dei poteri con cui si erano alleate. Contraddice  la
concezione della comunione ecclesiale prevalente oggi nelle chiese, dove la
centralità dell'obbedienza e del'ortodossia ha sostituito la centralità
dell'amore liberatore. Contraddice i metodi di evangelizzazione a partire
dal potere con cui le chiese  sono andate imponendosi e continuano a
diffondersi oggi.
	Queste ed altre contraddizioni sollevano  delle domande drammatiche: Si
tratta solo, in questa evoluzione , della normale trasformazione di un
movimento in una istituzione o non piuttosto di una rottura profonda tra
l'uno e l'altra? Che cosa c'è di comune  tra le istituzioni ecclesiastiche
di oggi e il movimento di Gesù? Con che diritto le chiese di oggi si
denominano cristiane? Con che diritto vincoliamo oggi la nostra qualità di
cristiani all'appartenenza a queste istituzioni? 
	Giubileo e globalizzazione capitalista

	Abbiamo ora tutti gli elementi, mi pare, per esplicitare  il rapporto fra
giubileo e globalizzazione capitalista. Parlo di globalizzazione
capitalista e non di globalizzazione neoliberale, perché mi sembra che
quest'ultima espressione si presti ad un equivoco. Denunciando le stragi
perpetrate dal neoliberalismo, si può dare l'impressione che la critica
colpisca le attuali deviazioni del sistema  e non la sua stessa logica.
Analizzando invece  la globalizzazione "capitalista", intendo considerare
il neoliberalismo come uno sviluppo coerente del liberalismo nel nuovo
contesto mondiale e renderne evidente il carattere antipopolare
Quale allora il rapporto fra giubileo e globalizzazione capitalista? Il
giubileo ecclesiocentrico e romanocentrico, esaltando il cristianesimo
costantiniano, rappresenta, in definitiva, una legittimazione, anzi una
consacrazione dei poteri politici ed economici con i quali esso è venuto
alleandosi attraverso i secoli. Afferma, in altri termini, la persistente
attualità del progetto di cristianità e della teologia che lo fonda.
Il pontificato di Giovanni Paolo II, incentrato sulla battaglia
anticomunista, ha rafforzato l'alleanza con i poteri del capitalismo
centrale, particolarmente con gli Stati Uniti di Ronald Reagan. Dopo il
crollo del comunismo europeo, egli ha rinsaldato questa alleanza con
l'enciclica programmatica Centesimus annus. In essa il crollo del comunismo
viene celebrato come una vittoria di Dio, il quale si trova così coinvolto,
suo malgrado, nei fasti del capitalismo. Per quanto poi riguarda il futuro
dell'umanità, la Centesimus Annus teorizza un capitalismo dal volto umano e
cristiano: un sistema cioè che subordina la sua dinamica politica ed
economica alla dottrina sociale cristiana, che il papa vede realizzato nei
paesi del capitalismo centrale.
E' certo che negli anni '90 il magistero di Giovanni Paolo II ha spesso
formulato 
critiche severe.dell'economia mondiale,  tanto che alcuni analisti sono
giunti  a parlare di una svolta anticapitalista. Si tratta in realtà solo
di nuovi accenti, provocati dalle tragiche conseguenze delle misure
neoliberali  sulla vita delle grandi maggioranze, cui il papa e molti
vescovi sono indubbiamente assai sensibili. Ma queste denuncie non
colpiscono mai  la logica del capitalismo come tale; non giungono mai a
dichiararlo "intrinsecamente perverso", come il magistero pontificio aveva
fatto nei confronti del comunismo. Esse colpiscono le deviazioni del
capitalismo; o, come dicono a volte, il "capitalismo selvaggio", lasciando
supporre che ne esista un altro, civilizzato o dal volto umano. Dimenticano
così il fatto che oggi più che mai, all'epoca della mondializzazione, il
capitalismo è uno solo, e proprio la diversità delle sue espressioni nel
Nord e nel Sud attesta il suo carattere discriminatorio e disumano.
	Quindi il progetto per il terzo millennio che ispira il giubileo
ecclesiocentrico è in definitiva quello di un capitalismo dal volto umano e
cristiano; di un capitalismo cioè che riconosca l'egemonia del
cattolicesimo sul terreno etico. Con tale scelta di campo la gerarchia
cattolica conferma la sua collocazione storica all'interno della
globalizzazione capitalista. Con questo progetto di società essa annunzia
anche un progetto di cristianesimo modernizzato ed aggiornato, in modo da
poter convivere armonicamente con la società capitalista.
	Un  giubileo alternativo sarà invece imperniato sulla liberazione dei
popoli. oppressi. Presterà particolare attenzione alla liberazione ed alla
valorizzazione dei popoli indigeni, la cui insurrezione a partire dal '92
sta agendo  come detonatore di una mobilitazione mondiale, per una ricerca
dell'alternativa di civiltà e per la rifondazione della speranza.
	Assumendo come opzione fondamentale il riconoscimento del diritto di
autodeterminazione solidaria dei popoli oppressi, e facendo proprio così il
grido degli esclusi di tutto il mondo, il giubileo popolare svilupperà  una
contestazione radicale  del processo di globalizzazione capitalista,
imperniato sull'autodeterminazione dei mercati  e sul dominio mondiale
delle grandi potenze.
	In questa prospettiva, il centro dell'evento giubilare non sarà Roma, ma
la periferia del mondo. I pellegrinaggi che sarà necessario organizzare non
muoveranno dalle varie parti del mondo verso Roma, ma saranno marce di
riparazione e solidarietà dai paesi del capitalismo centrale verso i popoli
colonizzati di ieri e di oggi. Il movimento ecumenico e macroecumenico non
si svilupperà intorno a Roma, ma intorno ai popoli oppressi in lotta per la
loro liberazione.
	Se il Giubileo ecclesiocentrico  coinvolgerà solo il mondo cattolico, anzi
una parte di esso, il giubileo popolare diventerà un movimento ecumenico e
macroecumenico, che coinvolgerà le componenti liberatrici di tutte le
religioni , stabilendo fra di esse rapporti di reciprocità e di
fecondazione mutua;  ma diventerà anche un movimento laico, cioè un anno di
coscientizzazione e mobilitazione di massa, per la istaurazione di un
modello alternativo di società.

Il giubileo e la battaglia contro il debito estero  del terzo mondo

	Vi è un tema  sul quale  giubileo istituzionale e giubileo popolare
sembrano convergere, ed è la lotta contro il debito estero del terzo mondo.
Essa sta coinvolgendo movimenti, istituzioni, chiese, governi ecc. nel Sud
e nel Nord del mondo.
	Ma credo importante, alla luce della scelta di campo che stiamo proponendo
nell'interpretazione del giubileo,  distinguere nettamente le due linee
con cui è condotta oggi questa battaglia contro il debito estero: la
rinegoziazione e il rifiuto del debito. Esse determinano anche due diversi
orientamenti nella nostra solidarietà con i popoli del Sud.

La linea della rinegoziazione

	La linea della rinegoziazione è seguita dalle autorità politiche di vari
paesi debitori. Essa conta sull'appoggio delle autorità ecclesiastiche,
cattoliche ed evangeliche. Ma è particolarmente significativo il fatto che
tali iniziative siano  oggi autorevolmente promosse dagli organismi
finanziari multilaterali, come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario
Internazionale: è nota particolarmente l'azione di tali organismi per il
condono del debito ai paesi fortemente indebitati.
	Queste iniziative presentano le seguenti caratteristiche:
1) Si propongono di abolire, totalmente o parzialmente  il debito, ma non
la causa dell'indebitamento, che è lo stesso modello economico; anzi , le
concessioni sul terreno del debito sono sempre condizionate da impegni che
il paese debitore debe assumere per consolidare il sistema applicando
rigorosamente le misure di ristrutturazione impostegli
2) Esse implicano un riconoscimento del debito e del dovere di pagarlo; si
propongono di contribuire alla soluzione dei problemi suscitati dal debito
con atti di generosità da parte dei paesi ricchi. Riconoscere il debito e
il dovere di pagarlo significa riaffermare la validità e legittimità del
modello economico, generatore del debito.
3) Si propongono di abolire il debito, ma non la dipendenza di cui esso è
espressione: questa si trova anzi rafforzata dalle misure economiche che il
paese debitore si impegna ad applicare.
	Quindi il giubileo che promuove queste forme di lotta contro il debito
estero dei paesi  del terzo mondo non contesta in nessun modo la logica del
sistema capitalista; contribuisce piuttosto a legittimarla,  suscitando la
convinzione  che un capitalismo dal volto umano è possibile e coinvolgendo
i credenti nella sua umanizzazione: contribuisce, in altre parole, ad
avallare quel ritorno della "terza via" che consente alle sinistre europee
ed internazionali di occultare l'abbandono delle loro scelte originarie.
	La linea del rifiuto

	La  linea del rifiuto si fonda invece su un giudizio etico e politico
molto chiaro: il cosiddetto debito non esiste; non vi è quindi nessun
dovere di pagarlo; vi è piuttosto il dovere di non pagarlo. Perché? Il
popolo non ha assunto in merito nessun impegno: il debito è stato contratto
in margine alla sua volontà  e contro i suoi interessi.  Il popolo non ha
ricavato nessun beneficio da tali prestiti, i quali sono tornati ai paesi
creditori  attraverso la fuga di capitali o in forza dello scambio
disuguale. Il popolo è stato piuttosto vittima di quei prestiti , che sono
serviti a finanziare la militarizzazione dello stato e la repressione. Il
debito è comunque impagabile: nessuna persona e nessun popolo possono
essere obbligati a fare qualcosa di impossibile. I prestiti  poi che i
paesi del Sud  hanno ricevuto e ricevono sono in ultima analisi il frutto
delle spoliazioni perpetrate da secoli di conquista e dai meccanismi di un
sistema economico e politico immorale. Per cui non solo è legittimo e
doveroso il rifiuto di pagare il debito; ma è legittimo e doveroso esigere
indennizzi per le spoliazioni dei quali sono state vittime i popoli del
Sud. In una parola: il debito non si deve pagare perché non esiste. Ciò che
esiste e debe essere pagato è piuttosto il debito delle potenze del Nord.
	Forse però l'argomento più decisivo per il rifiuto del debito è il dilemma
di fronte al quale si trovano oggi i paesi del Sud: continuare a pagare il
debito, rafforzando la propria dipendenza , orientando l'economia nazionale
al servizio dei paesi ricchi e condannando il proprio popolo alla miseria;
oppure spezzare la catena del debito, riaffermare la sovranità nazionale,
orientare l'economia al servizio della grande maggioranza e quindi alla
difesa della vita.
	Ma non dobbiamo illuderci. Questa strategia non può contare in questo
momento sull'appoggio di nessun governo. Essa si sviluppa solo sulla b ase
di mobilitazioni popolari: perché implica  non solo il rifiuto del debito,
ma di tutto  il sistema capitalista del quale esso rappresenta un
ingranaggio-chiave. Essa  mette in questione tutta la storia dei rapporti
fra il Nord e il Sud del mondo, i secoli di sfruttamento e di rapina, che
hanno generato la ricchezza e il cosiddetto progresso dei paesi del Nord.
	Ma questa scelta radicale, che si caratterizza per la sua coerenza,
sembra mancare di realismo  ed essere quindi votata fatalmente alla
sconfitta. A giudizio di molti, il debito sarà pure  immorale ed
impagabile, ma è anche inevitabile, come il sistema capitalista.	
	Indubbiamente, una decisione così grave come quella del rifiuto del debito
non si prenderebbe impunemente. Le rappresaglie da parte dei paesi
"creditori" sarebbero  immediate e spietate. I paesi "debitori" si
vedrebbero negare ogni nuovo prestito; e sarebbero boicottati nelle loro
esportazioni ed importazioni.	Inoltre , il rifiuto del debito eliminerebbe
certo il principale ostacolo alla soluzione dei problemi economici del
paese, ma i problemi dell'alternativ a economica e politica rimarrebbero
drammaticamente aperti.
	In definitiva, il rifiuto del debito sarebbe, nell'ambito del giubileo,
una scelta realista e non demagogica, solo se viene assunta con la
coscienza delle difficoltà e delle lotte  di lungo periodo che sarà
necessario affrontare per sostenerla coerentemente. Sarà inoltre una scelta
realista e non demagogica solo se fa parte di un progetto e di una
strategia globale, fondata sul  protagonismo del popolo e orientata a
ristrutturare l'economia per metterla al servizio delle grandi maggioranze.
Per i paesi del Nord, impostare in questi termini la campagna contro il
debito estero del Terzo Mondo significa impegnarsi a lottare al loro fianco
per l'istaurazione di un nuovo modello economico, imperniato
sull'autodeterminazione solidale del popolo e dei popoli.

Il giubileo popolare e la costruzione dell'alternativa

	Un giubileo imperniato sulla liberazione dei popoli oppressi  e quindi
orientato all' elaborazione di un progetto alternativo di civiltà, dovrà ,
a mio giudizio, muoversi a due livelli, per altro strettamente connessi fra
di loro:  quello della strategia etico-politica  e quello del rinnovamento
cristiano. Desidero suggerire qualche pista per ognuno di questi livelli.
	Per quanto riguarda la strategia etico-politica,  ritengo che essa debba
proporsi e oggi come compito  centrale quello di cosrtruire una nuova
articolazione  tra macroalternativa e microalternative. Alternativa infatti
non significa più per noi l'istaurazione repentina di un nuovo sistema
economico e politico globale, provocata magari dalle contraddizioni fra lo
sviluppo delle forze produttive e i rapporti di produzione e dal crollo del
capitalismo come conseguenza di questa contraddizione. Questa versione
dell'ottimismo storico, fondata su una lettura oggettivista dello sviluppo
. è stata smentita dalla storia. La caduta di tale certezza  ha contribuito
a generare o ad acuire in molte persone una crisi di militanza, suscitando
la convinzione che realmente il sistema non ammette alternative.
	Il progetto di alternativa popolare che vorrei proporre è invece un
processo lungo e faticoso, ordinato ad invertire la tendenza storica.
Questo processo non parte dall'alto, come sono le inziative  assunte da
istanze globali, come la Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internazionale
o la Banca Interamericana dei sviluppo; ma dal basso, cioè da un
contropotere locale, che si tratta di costruire con il contributo di tutti
i settori emarginati ed esclusi dal mercato mondiale; esso non si propone
primariamente obbiettivi glob ali, ma locali, perseguiti attraverso
l'elaborazione e la realizzazione di microprogetti; contraddice la logica
dominante del mercato mondiale, ma non è incompatibile con essa, perché si
fonda in spazi di resistenza e di autonomia che riesce a conquistare
progressivamente.
	Il paradigma di uno sviluppo sostenibile è  una economia comunitaria, che
sia espressione di una comunità autonoma, autogestita,egualitaria, solidale
al suo interno e con le altre comunità. Questa economia si caratterizza
essenzialmente per il fatto che ha la comunità come protagonista e fine del
progetto e la solidarietà come suo motore. Per questa sua ispirazione
etica, l'economia comunitaria si contrappone all'economia  autoregolata del
neoliberalismo.
Il metodo di costruzione dell'alternativa dal basso è antitetico al metodo
neoliberale che parte dal globale e pretende giungere su questa base a
risolvere i problemi locali Pretesa che, per altro, si rivela ogni giorno
più illusoria, perché . la logica del globalismo neoliberale lo subordina
agli interessi delle minoranze privilegiate.
Tuttavia, non è sufficiente che un progetto di sviluppo sia locale, perché
si iscriva in una logica economica e politica alternativa. In effetti, lo
stesso neoliberalismo promuove il decentramento , per scaricare su poteri e
iniziative locali i problemi che il processo macroeconomico lascia
insoluti. Promuove quindi un grande numero di progetti locali, che però non
mettono in questione il potere centrale e centralizzato nè i valori che lo
ispirano; che risolvono i problemi individuali di alcune persone o gruppi,
senza per questo istaurare una logica solidaristica e liberatrice. Il segno
più evidente della coerenza tra questi progetti e la logica del sistema è
l'isolamento in cui essi permangono.
Ma l'isolamento minaccia anche i progetti locali che nascono, come quelli 
che abbiamo delineato precedentemente,  nello spirito di una solidarietà
liberatrice. Li minaccia, perché, nel clima individualista e consumista
istaurato dal neoliberalismo, lo spirito di solidarietà non si può mai
considerare definitivamente stabilito in un collettivo o in una comunità.
E' necessario tornare costantemente  a motivarlo e rafforzarlo. Ora questo
si ottiene creando nella comunità spazi di riflessione collettiva, con
scambi di idee, di esperienze e di testimonianze; favorendo tra i credenti
momenti collettivi di preghiera e di riscoperta della loro ispirazione. Si
ottiene anche tessendo  vincoli di comunicazione e di solidarietà fra tutti
i progetti e poteri locali che operano in una prospettiva liberatrice.
	Per altro un progetto economico e politico che voglia essere realmente
alternativo non può concentrarsi sul livello locale, abbandonando al neoli
beralismo l'orientamento dell'economia e della politica mondiali. Per
essere realmente alternativi i progetti locali devono iscriversi in un
processo globale di lungo periodo, antagonista rispetto alla logica
neoliberale e segnati dal protagonismo crecente del popolo e dei popoli
nella politica e nell'economia. Il rafforzamento del potere popolare  a
livello globale sarà appunto il frutto  delle reti di comunicazione e
solidarietà tra un'infinità di poteri e progetti locali alternativi
disseminati in tute le parti del mondo.
	Le reti di comunicazione possono oggi svilupparsi su scala mondiale,
grazie ai progetti vertiginosi dell'informatica. Questa può contribuire
anzittutto allo smascheramento ed alla  contestazione della logica
neoliberale, denunciando tutti i giorni immediatamente tutti i giorni e a
tutte le ore i suoi delitti e promovendo in questo modo la globalizzazione
della resistenza e della solidarietà. Ma l'informatica apre degli orizzonti
insospettati esplorando il terreno straordinariamente fecondo della
solidarietà locale e scoprendo così una faccia praticamente sconosciuta
della storia. Ci consente così di scoprire  aspetti sconosciuti del nostro
paese, della nostra città, del nostro popolo; aspetti sconosciuti di tutti
i paesi e di tutti i popoli del mondo. Questa scoperta diventa una fonte
incessante di motivazione e di ispirazione del nostro impegno; diventa
inoltre un solido fondamento della speranza.
	Le reti che si stanno tessendo e che dovremo  tessere sempre maggiormente
non sono quindi solo di comunicazione, ma anche di solidarietà. Una seconda
tappa nella costruzione dell'economia alternativa è appunto la creazione di
reti , nazionali e internazionali di alternative locali, che convivono
autonomamente con il capitalismo mondiale e che per cià stesso acquistano
il potere di regolarlo e di ridurre i suoi effetti tragici. Queste reti
fanno parte  di processi di globalizzazione popolare, antagonisti nella
loro logica rispetto alla globalizzazione neoliberale; di globalizzazione
della solidarietà, antagonista rispetto alla globalizzazione del capitale.
Esse sono la componente economica del nuovo internazionalismo popolare,
dell' "internazionale della speranza" che gli indigeni zapatisti stanno
promovendo "per l'umanità e contro il neoliberalismo". La globalizzazione
popolare, che per adesso  cerca di conquistare spazi di autonomia , per
convivere con la globalizzazione capitalista ha come obbiettivo di lungo
periodo quello di diventare la logica prevalente di un ordine mondiale
realmente nuovo.



Il giubileo popolare e la riscoperta dei cristianesimi originari

	Il giubileo popolare, nello spirito di quello prospettato nell'Antico
Testamento e di quello promulgato da Gesù stesso,  implica, sul terreno
religioso, due aspetti , la denuncia del tradimento  e la riscoperta del
progetto originario. Vorrei ora sviluppare rapidamente questo secondo
aspetto, della riscoperta del cristianesimo o meglio dei cristianesimi
originari, che potrebbe diventare un compito dei cristiani di base in
questo anno giubilare; ma sempre in stretto collegamento con l'impegno
politico per la liberazione degli oppressi e delle oppresse del paese e del
mondo.
	Riconoscere la centralità   di questa ricerca significa anzittutto
attribuire una importanza vitale agli studi biblici e sociologici, che si
stanno moltiplicando ai giorni nostri, sui cristianesimi originari. Essi ci
consentono infatti di riscoprire, su base storica e non ideologica, i
tratti originari del movimento di Gesù, e di identificare al tempo stesso i
meccanismi che prepararono la sua alleanza con l'impero e la sua
trasformazione in religione del tempio: cioè in una istituzione  simile per
tanti aspetti a quella che Gesù aveva affrontato e che lo aveva
scomunicato e condannato.
	Come esempio di questa ricerca, desidero citare due volumi della Revista
de interpretación bíblica latinoamericana coordinati da Jorge Pixley:
Cristianismos originarios (30-70 d.C.) del 1996, e Cristianismos
originarios extrapalestinos (35-138) del 1998..
	Nell'editoriale del primo volume, Jorge Pixley scrive: "Eduardo Hoornaert,
nel suo libro La memoria del pueblo cristiano della serie Teología y
liberación faceva una rilettura drammatica della "Patristica". Segnalava il
fatto che la nostra visione della chiesa dei primi tre secoli è dominata
dall'immagine  creata da Eusebio, vescovo di Cesarea,nella sua storia
ecclesiastica, e che egli creò nell'euforia della conversione di Costantino
e della "vittoria" della chiesa, prima perseguitata dall'impero e ora da
esso riconosciuta come alleata. Pertanto, il vescovo presenta la visione di
una chiesa ben ordinata, con una struttura di governo che la subordina ai
vescovi. E' una chiesa che fin dal principio va preparandosi ad esercitare
il potere nella società. Ma Hoornaert affermava che questa fu una
distorsione della realtà, perché le chiese , in quei secoli di
persecuzione,erano comunità di fedeli organizzate dalla base, e guidate da
pastori scelti dagli stessi fedeli all'interno della loro assemblea. Si
richiede dunque, conclude Pixley, per amore della verità, una rilettura
dell'immaginario storico, che corresponda maggiormente sia alla verità
storica sia alle nostre necessità pastorali."(p.5)
	Nello stesso senso imposta il suo articolo Pablo Richard: "Nelle nostre
chiese esiste attualmente una visione errata delle origini del
cristianesimo.Normalmente proiettiamo nel passato le strutture e i dogmi
ecclesiali del presente. Esiste anzi una consolidata visione costantiniana
delle origini del cristianesimo, che dobbiamo ad Eusebio di Cesarea
(263-339), vescovo di Cesarea in Palestina, il quale scrisse una storia
ecclesiastica in dieci libri. Questo storico fu il teologo di Costantino e
scrisse  la sua storia della chiesa per giustificare la costruzione della
cristianità costantiniana. Quest'opera contiene indubbiamente un'importante
 informazione storica ed è oggi indispensabile per la storia della chiesa.
Ma la sua "ideologia costantiniana" perverte radicalmente le origini del
cristianesimo. Il suo scopo non è stato di scrivere la storia reale e
bbiettiva del cristianesimo, ma la "storia ufficiale" per fondare
teologicamente la cristianità costantiniana. L'immagine che abbiamo oggi
normalmente delle origini del cristianesimo è l'immagine eusebiana e
costantiniana. Riscoprire le nostre origini significa riscoprire la nostra
identità storica fondata su Gesù di Nazaret e sull'autentica tradizione
apostolica. Questa riscoperta è fondamentale per la riforma delle nostre
chiese al giorno d'oggi." 
	I due volumi che ho segnalato si propongono appunto di ricostruire, aldilà
delle versioni ideologiche ed apologetiche, la verità storica. Desidero
segnalare  le più rilevanti indicazioni metodologiche:del loro approccio:
	1)Le fonti di cui si avvale questa ricostruzione non sono solo quelle
consacrate dal canone del nuovo testamento. Sono anche quelle della
cosiddetta letteratura apocrifa, ingiustamente squalificata, in nome
dell'ortodossia, dalla corrente cristiana che prevalse sulle altre; ma che
è spesso almeno tanto veritiera quanto i libri canonici. Ttra gli apocrifi
più significativi vengono  citati il vangelo di Tommaso, il vangelo  degli
ebrei, il vangelo degli egiziani.
	2) Le fonti canoniche debbono essere rilette e interpretate tenendo conto
(come pe la storia ecclesiastica di Eusebio) della loro impostazione
teologica ed apologetica. Il loro obbiettivo non è di raccontare
oggettivamente i fatti, ma di ricostruirli  in funzione di tesi teologiche,
ispirate all'ortodossia che si stava affermando.
3)Deve essere superato il pregiudizio, secondo cui il cristianesimo
originario era unitario  e le div ersità sono nate posteriormente.  In
realtà vanno riconosciute e riscoperte molte e diverse interpretazioni del
messaggio di Gesù fin dai primi decenni dopo la sua morte, quindi molti e
di versi cristianesimi originari. Questi vanno ricostruiti  sia a partire
dalle diverse fonti  sia tenendo conto dei diversi contesti
geografici,politici e culturali in cui si sviluppano  i movimenti di
Gesù.E' importante rilevare che questa diversità è anteriore alla fase di
organizzazione ecclesiastica, nella quale nasceranno i concetti di
ortodossia e di unità fondata su di essa; ed in cui si affermerà quindi la
pretesa degli ortodossi di squalificare ed emarginare gli eretici.
4)  A questo periodo della storia cristiana non appartiene la struttura 
gerarchica e monarchica della coòun itè cristiana. Non risulta che in una
comunità, per esempio in quella di Roma, vi fosse un solo vescovo, ve
n'erano vari che operavano simultaneamente. Non risulta che Pietro, v
escovo  a Roma, sia stato   vescovo di Roma. Il centralismo e il
romanocentrismo cattolici  sono frutto di una evoluzione, o meglio di una
involuzione posteriore.
Gesù quindi   non ha comunicato ai suoi discepoli un messaggio di
ortodossia né uno schena organizzativo, ma una passione per la libertà e
per l'amore, che essi hanno poi espresso nelle più div erse direzioni. Per
la riscoperta dell'identità cristiana è molto più importante lo studio di
questo periodo,in cui lo Spirito si dispiega in libertà, che non quello
dell'istituzionalizzazione. Si tratta quindi per noi di spezzare le catene
delle istituzioni e di ritrovare nei confronti della persona e del
messaggio di Gesù quella libertà d'interpretazione e di creazione che ha
caratterizzato i primi discepoli e che certamente faceva parte dell'essenza
del suo legato: non una tavola di leggi, non una lista di dogmi, ma una
passione per la libertà e per l'amore, capace di sviluppare creativamente
le intuizioni del maestro, dell'amico, del compagno.
	Con questo spirito, e con fiducia nella presenza ispiratrice dello
Spirito, siamo chiamati  oggi, valorizzando il clima di mobilitazione  del
giubileo popolare, a ricostruire dal basso la nostra identità di cristiani.
Il cristianesimo di oggi non sarà una semplice riproduzione dei
cristianesimi originari, ma un suo sviluppo coerente e creativo nel nuovo
contesto geopolitico; ma anche nei molteplici contesti politici culturali e
religiosi in cui il movimento originario di Gesù è chiamato a rinnovarsi.
	Questa riscoperta  ed attualizzazione, di cui abbiamo l'esaltante
responsabilità, ci impegna ad elaborare comunitariamente  una nuova sintesi
, valorizzando i contributi per noi più significativi dei cristianesimi
originari. Tra questi desidero segnalare: il radicamento comunitario e
locale in uno spirito di amicizia liberatrice; la solidarietà economica
espressa nella condivisione dei beni e oggi nella formazione di un nuovo
modo di produzione; il carattere autogestionario, che riconosce nella
comunità e non nelle gerarchie il soggetto del movimento e del potere; il
carattere laicale, che considera il sacerdozio come un ministero della
comunità e non di una casta separata; il carattere antagonista nei
confronti dei valori dominanti sia nella società sia nella religione
istituzionale; in particolare l'atteggiamento autonomo ed antagonista nei
confronti dell'impero romano e quindi di tutti gli imperi; il protagonismo
delle donne, vissuto come alternativa militante alla società patriarcale;
il metodo di diffusione del movimento dal basso, per la forza della verità
e il contagio della solidarietà e non per conformismo sociale.
	Questa riscoperta ed attualizzazione non sarà compito delle gerarchie né
del clero nèe dei teologi, ma del popolo cristiano coscientizzato ed
organizzato nelle comunità di base, nei gruppi di riflessione, nella
lettura popolare della bibbia, ecc. Il movimento di Gesù continua a
ricercare nella storia i segni della presenza di Dio Amore Liberatore;
continua ad attestare questa presenza con il suo impegno militante per la
liberazione degli oppressi e con la sua creatività.
	
	CONCLUSIONE

	Nel giubileo 2000, come già nel 92, l'affermazione della centralità dei
popoli oppressi  nella valutazione della civiltà occidentale e nella
progettazione di una nuova civiltà non sarà espressione di gerarchie
ecclesiastiche, ma di una vasta  mobilitazione popolare.
	Il suo principio ispiratore sarà la fiducia nelle risorse morali,
intellettuali e politiche inesplorate   degli esclusi e delle escluse di
tutto il mondo; il suo  terreno privilegiato di impegno sarà
l'articolazione fra progetti locali alternativi  e  prospettive di
trasformazione globale; tra poteri locali alternativi e  costruzione di un
contropotere popolare continentale e, in prospettiva, mondiale.
Vivere la solidarietà liberatrice a livello locale significa  scoprire che
essa è possibile e feconda, che la sua pratica cambia il senso della vita
personale e collettiva. Sorge così una convinzione: ciò che è possibile e
fecondo a livello locale deve essere possibile e fecondo a livello globale,
nazionale e internazionale. Così lo sviluppo locale sostenibile opera come
luogo di articolazione tra il possibile e l'impossibile;  come itinerario
per spostare ogni giorno le frontiere del possibile.Ci stimolerà a
ritrovare l'audacia di credere e di sperare anche il messaggio del
rivoluzionario russo Bakunin, il quale diceva: " è scommettendo
sull'impossibile che attraverso la storia  gli uomini sono venuti scoprendo
e realizzando il possibile; e tutti coloro che si sono saggiamente
trincerati nel possibile, non hanno avanzato di un solo passo."
Dovrà verificarsi poi, in questa mobilitazione popolare, una confluenza
fortemente ispiratrice tra la ricerca di alternative economiche e politche
e la riscoperta dello spirito comunitario delle origini  cristiane.Il
cristianesimo, che ha avuto una tragica responsabilità nella genesi e la
legittimazione della globalizzazione imperialista potrebbe diventare oggi
una sorgente d'ispirazione e di creatività nella ricerca e la realizzazione
di alternative locali orientate  ad invertire la tendenza storica. Nello
stesso tempo questo impegno, ispirato dall'amore liberatore,  diventerebbe
per le comunità e le chiese cristiane un cammino autentico di rinnovamento
e di conversione. 
Desidero concludere questa riflessione manifestando e comunicando il
sentimento di gioia e di speranza che suscita in me la scoperta esaltante
di questa possibile confluenza tra la valorizzazione della solidarietà
liberatrice nelle sue innumerevoli espressioni locali, germe ed annuncio
di una globalizzazione popolare e l'impegno per riscoprire le origini del
cristianesimo e il suo messaggio comunitario sovversivo. Il sentimento di
gioia e di speranza che suscita la confluenza , nel progetto di giubile
popolare o e di nuova civiltà, tra la costruzione della famiglia umana e la
costruzione della famiglia di Dio. Una civiltà quindi che sia la
rivelazione e l'incarnazione storica di quella amicizia liberatrice fra il
Padre, il Figlio e lo Spirito, che è il Dio di Gesù.



----

GIULIO GIRARDI
Profilo biografico: nato al Cairo nel 1926, filosofo e teologo della
liberazione, durante il Concilio partecipò alla stesura dello schema XIII;
membro del Tribunale permanente dei popoli, particolarmente impegnato nella
solidarietà con i popoli dell'America Latina.
Opere di Giulio Girardi: presso la Cittadella sono usciti: Marxismo e
cristianesimo, Credenti e non credenti per un mondo nuovo, Cristianesimo,
liberazione umana, lotta di classe, Educare: per quale società?, Il
capitalismo contro la speranza, Cristiani per il socialismo: perché?;
presso Borla sono usciti: Sandinismo, marxismo, cristianesimo: la
confluenza, (a cura di) Le rose non sono borghesi, La tunica lacerata, Fede
cristiana e materialismo storico, Dalla dipendenza alla pratica della
libertà, Il popolo prende la parola (con J. M. Vigil), La Conquista
dell'America, Gli esclusi costruiranno la nuova storia?, Cuba dopo il
crollo del comunismo; presso le Edizioni Associate: Rivoluzione popolare e
occupazione del tempio; presso le ECP: Il tempio condanna il vangelo.
Opere su Giulio Girardi: non conosciamo monografie in volume su Giulio
Girardi, ma la sua riflessione è da decenni un punto di riferimento
nell'ambito della teologia della liberazione e dei movimenti cristiani di
base.

(Profilo a cura di Peppe Sini)


--------------------------------------------------------------------
Informazioni a cura di PEACELINK
E' incoraggiata la libera diffusione (citando la fonte)
web: http://www.peacelink.it
e-mail: a.marescotti at peacelink.it
--------------------------------------------------------------------
Indirizzo di posta convenzionale:
PeaceLink, c.p.2009, 74100 Taranto (Italy)
--------------------------------------------------------------------
Per sostenere PeaceLink: ccp 13403746 
intestato ad Associazione PeaceLink, via Galuppi 15, 74010 Statte
--------------------------------------------------------------------