Cento anni fa nasceva Aldo Capitini /1



Ciao a tutti,
vorrei lanciare appello.
Cento anni fa - precisamente il 23 dicembre 1899 - nasceva Aldo Capitini,
maestro dell'azione nonviolenta, promotore dell'obiezione di coscienza in
Italia e instancabile animatore della cultura della pace.

Per ricordare l'uomo, l'intellettuale e l'educatore, PeaceLink dedichera'
la lista "scuola" alla diffusione di materiali su Aldo Capitini. La lista
e' consultabile anche su web all'indirizzo

http://www.peacelink.it/webgate/scuola/maillist.html


Cominciamo subito con un saggio di Sergio Albesano, che per la sua
completezza, verra' diramato anche in altre mailing list. I successivi
conbtributi saranno indirizati solo nella mailing list scuola. Chi volesse
inviarmi testi di o su Capitini puo' usare questo e-mail:
a.marescotti at peacelink.it (subject: "Ricordiamo Aldo Capitini")

Alessandro Marescotti
presidente di Peacelink

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Aldo Capitini e l'obiezione di coscienza

Aldo Capitini maturo' lentamente la scelta per la nonviolenza. Da adolescente
visse l'esperienza del futurismo, della poesia crepuscolare e del 
dannunzianesimo e la cultura che permeava l'Italia di allora lo rese 
inconsapevolmente nazionalista ed interventista. Nel 1915 insieme ai suoi 
coetanei ando' a salutare con entusiasmo i professori che partivano per il 
fronte, mentre a lui soltanto la gracile costituzione evito' il servizio 
militare e la guerra. La sua grande trasformazione ideologica avvenne fra il 
1918 ed il 1919 quando abbandono' le idee nazionaliste e considero' la guerra 
"in rapporto, meno con la nazione, e piu' con l'umanita' sofferente"; inizio'
allora ad apprezzare i fondamenti del socialismo, mentre gia' da qualche
anno aveva abbandonato la pratica della religione cattolica.
Terminato l'istituto tecnico, si mise a studiare da autodidatta il latino
ed il greco, i grandi autori classici ed i testi sacri del cristianesimo.
L'intenso sforzo intellettivo gli causo' un esaurimento psico-fisico.
Per ritrovare la salute accetto' un posto da precettore nella campagna
umbra. Partecipo' poco agli avvenimenti politici, in quanto la sua fu
una formazione principalmente interiore, ma il dramma che visse l'Italia
in quegli anni (la marcia su Roma, l'uccisione di Matteotti, l'avvento
della dittatura) rafforzo' la sua totale avversione al fascismo. Nel
1924 ottenne come esterno la licenza liceale e grazie ad una borsa di
studio si iscrisse alla Facolta' di Lettere e Filosofia all'universita'
di Pisa. Alla Normale si lego' d'amicizia con studenti e professori avversi
al fascismo, pur senza attivarsi personalmente in politica. Si laureo'
nel 1928 con pieni voti e lode. La firma dei Patti Lateranensi avvenuta
l'anno seguente approfondi' il suo distacco sia verso l'istituzione romana,
colpevole di essersi rivelata ancora una volta "alleata dei tiranni",
sia verso il fascismo, l'avversione al quale divenne non piu' solo politica,
ma anche religiosa. Contemporaneamente Capitini ricerco' la forza interiore
negli spiriti religiosi puri, quali Cristo, Buddha, San Francesco, Gandhi.
In particolare fu ammiratore di San Francesco d'Assisi, rimanendo colpito
dal fatto che egli reintrodusse nella spiritualita' cristiana il tema
della nonviolenza: il metodo di San Francesco fu "quello di andare a
parlare con i saraceni piuttosto che sterminarli nelle Crociate, nelle
quali il sangue talvolta arrivava ai ginocchi" (). Ma soprattutto
fu ammiratore di Gandhi. In lui trovo' lo spirito di tolleranza verso
le altre religioni ed il senso che ogni lotta per la liberta' e' anche
una lotta religiosa (). Capitini confronto' Gandhi con Mazzini ed evidenzio'
che quest'ultimo fu troppo ligio allo Stato ed ai mezzi (tra cui la violenza)
di cui lo Stato si serve per raggiungere i propri scopi; inoltre, mentre
Gandhi scosse e libero' l'India, Mazzini non riusci' a formare se non piccoli
gruppi di cospiratori ().
Capitini inizio' a lavorare alla Normale di Pisa, chiamato da Gentile,
ma, invitato dal vicedirettore della scuola ad inviare un telegramma
di congratulazioni a Mussolini, rifiuto' decisamente. In questo periodo
approfondi' la conoscenza del metodo nonviolento di Gandhi e
contemporaneamente
divenne vegetariano; tale scelta accentuo' la tensione esistente fra lui
e Gentile. Nel 1933 rifiuto' di prendere la tessera del Partito Fascista
e per questo motivo venne allontanato dal suo posto alla Normale. Ritorno'
a Perugia dove visse poveramente impartendo lezioni private; nello stesso
tempo creo' una fitta rete di amicizie, costituendo gruppi antifascisti
a Firenze ed a Roma, e collaboro' con intellettuali come Leone Ginzburg
ed Elio Vittorini. Fu presentato anche a Benedetto Croce, il quale benche'
su posizioni diverse dalle sue lo aiuto' a pubblicare i suoi scritti
presso l'editore Laterza. Cosi' nel 1937 usci' il libro Elementi di 
un'esperienza religiosa, che ebbe successo tra gli antifascisti, sebbene non 
furono molti ad accogliere le tesi dell'autore sulla nonviolenza, sulla non
collaborazione e sulla libera religiosita'. Nel 1940 a Bologna Capitini
organizzo' gli anti-littoriali, cioe' riunioni serali affollatissime
di antifascisti che si svolgevano nei giorni stessi dei littoriali fascisti.
Egli fu dunque uno dei protagonisti della Resistenza interna ed al
riguardo invento' una formula nuova: il liberalsocialismo. Ma quando
i suoi compagni confluirono in un partito, il Partito d'Azione, Capitini
non vi aderi' e preferi' restare da solo. Considerava infatti il suo 
liberalsocialismo l'insegna non di un partito in nuce, ma di un movimento 
etico-religioso, che mirava ad un rinnovamento piu' profondo, non soltanto 
sociale ma morale, cui non sarebbe stata adatta la forma di partito. Egli
ne fu
uno dei fondatori nel 1937 insieme con Guido Calogero, ma tenne sempre a 
distinguere il suo liberalsocialismo da quello degli altri compagni per 
l'impegno etico-religioso e non soltanto politico di cui l'aveva animato. Il 
movimento non si sarebbe mai dovuto trasformare in partito: era "un 
atteggiamento dell'anima, un aprirsi in una direzione, una certezza ed una 
speranza sempre rinnovantisi, (...) un orientamento della coscienza" (). 
"Beninteso, non era soltanto questo: era anche un'ideologia. Ma anche in
quanto
ideologia, il liberalsocialismo di Capitini rappresento' una corrente
di minoranza, quasi un'eresia, che si richiamava piu' alla 'rivoluzione
liberale' di Piero Gobetti che non al 'socialismo liberale' di Carlo
Rosselli. La differenza sta nella diversa valutazione del comunismo
e quindi nel diverso atteggiamento di fronte all'Unione Sovietica. Il
socialismo liberale stava al di qua del comunismo: Capitini si mostro'
sempre piu' convinto col passar degli anni che il comunismo, nel suo
aspetto economico di eliminazione del capitalismo, cioe' di collettivismo,
fosse una tappa obbligata del progresso storico e si dovesse quindi non
evitarlo ma trarlo alle sue estreme conseguenze, non negarlo ma condurlo
a compimento: insomma, ancora una volta, non stare al di qua ma andare
al di la'. Racchiuse il suo programma politico in questa formula: 'Massima
liberta' sul piano giuridico e culturale e massimo socialismo sul piano
economico'" (). Norberto Bobbio, intervista dall'autore, afferma che
in quegli anni non si parlava ancora di nonviolenza, perche' si viveva
in una societa' violenta che non lasciava spazio alla ricerca concreta
di modelli alternativi di lotta politica. Il liberalsocialismo fu un
amalgama di correnti di pensiero con ispirazioni ideologiche diverse.
Una di esse conflui' poi nel Partito d'Azione e scelse quindi la via della
lotta armata, ma non si deve confondere il movimento con le opzioni
attuate da una sua parte e percio' fu possibile la coesistenza nel 
liberalsocialismo contemporaneamente di uomini che decisero di opporsi al 
fascismo in modi fra loro opposti.
Nel febbraio 1942 Capitini venne arrestato e fu detenuto per quattro
mesi nel carcere delle Murate di Firenze, condividendo la cella con
Guido Calogero. Nel maggio 1943 fu nuovamente arrestato a Perugia e
venne liberato il 25 luglio. Tutto sommato il fascismo si comporto' in
maniera piuttosto delicata con lui e forse cio' accadde per motivi politici.
Egli, infatti, era un gandhiano ed il regime sosteneva Gandhi contro
gli inglesi; pertanto Mussolini non aveva interesse a perseguitarlo
con durezza. Le sue idee nonviolente non fecero pero' presa fra gli amici,
che comunque le rispettavano. Quando l'antifascismo si trasformo' in
rivolta armata, Capitini non partecipo' al movimento partigiano e si
dovette nascondere nella campagna per sfuggire ai tedeschi fino al 20
giugno 1944 quando Perugia venne liberata. Probabilmente si apri' allora
per lui un periodo difficile. Infatti e' una situazione spiacevole quella
in cui la coerenza alle proprie idee porta a scelte comode. D'altro canto
Capitini aveva coscienza del fatto che per arrivare alla societa' nuova
il passaggio poteva essere compiuto con la violenza. Una violenza, pero'
che si contrapponesse a quella fascista e servisse solo per liberare
e non per opprimere. Cio' divenne inevitabile quando il fascismo porto'
gli italiani in guerra e dopo tanti errori politici e militari vennero
l'armistizio, l'8 settembre e l'occupazione tedesca. Capitini non condanno'
mai la violenza partigiana. "A me", diceva "nell'incontro con i giovani
importava che si formassero una coscienza. La decisione violenta o la
decisione nonviolenta era secondaria". Egli non vide contraddizione
nel fatto che alcuni fossero stati mossi da un libro di nonviolenza
e poi fossero diventati partigiani, perche', pensava, chi sceglie la 
nonviolenza vuole soprattutto che si prenda l'iniziativa secondo coscienza.
In 
effetti l'opera di Capitini aveva avuto influenza sui giovani e la sua 
attivita' clandestina nel periodo 1932-43 aveva fatto affluire nuove energie 
nella lotta armata della Resistenza, di cui egli aveva formato moralmente
ed ideologicamente molti fra i quadri migliori ().
Coloro che ebbero piu' riserve nei suoi confronti furono i comunisti,
che stabilivano una correlazione diretta fra chi non si era opposto con
le armi al nazi-fascismo ed una sorta di collaborazionismo con il regime.
Cio' nonostante egli aderi' al Fronte Democratico Popolare, ma le sue
proposte di indire assemblee popolari "nonviolente e ragionanti" non
furono ascoltate. In un articolo del marzo 1948, ad un mese dalle elezioni,
Capitini mostrava la speranza che il Fronte Democratico Popolare potesse
accogliere la sua proposta di istituire il servizio civile e quella
di un ministero della pace o almeno di un Commissariato per la "Resistenza
alla guerra". "La sua proposta era destinata ovviamente al naufragio
dopo il risultato elettorale, da cui la sinistra usci' sconfitta. Ma
nonostante le illusioni di Capitini, quanti nella sinistra avvertivano
l'urgenza di istituire un Ministero della Pace e di introdurre il servizio
civile alternativo a quello militare? Certo, se con la vittoria del
Fronte Popolare un sentiero seppur impervio poteva essere intrapreso,
ora la strada era bloccata" ().
In un articolo dell'estate intitolato Opposizione alla guerra () egli
registro' le sue sconsolate annotazioni sulla "pericolosita' del governo
uscito dal 18 aprile". "Da parte governativa", scriveva "le cose vanno
peggiorando. Al bilancio dello Stato per il 1948-49 e' stata messa la
somma di duecentocinquantasei miliardi per le spese militari. (...)
C'e' tutto un ravvivarsi di sollecitazioni militari, di cerimonie, sfilate,
comandi secchi, rombo di carri armati. (...) Il governo, dunque, e la
politica dirigente l'Italia non danno garanzie di 'opposizione alla guerra'"
().
Dopo la liberazione le sue idee personali, condite di forti convincimenti
religiosi, lo allontanarono da coloro che un tempo gli erano stati compagni.
Egli non aderi' a nessun partito e per definire se stesso fu il primo
ad usare il temine "indipendente di sinistra". Ritorno' all'universita'
di Pisa, ma alla richiesta avanzata a nome della scuola da Luigi Russo,
allora direttore, di nominare Capitini vicedirettore il Ministro della
Pubblica Istruzione si oppose seccamente. Capitini comunque si prodigo'
per seminare nell'Italia ormai libera le sue idee nonviolente e di
rinnovamento
religioso, organizzando comitati pacifisti di resistenza alla guerra.
Nel succitato articolo Opposizione alla guerra egli riassunse i problemi
e le proposte presentate ai convegni: "Continuare il collegamento fra
tutte le attivita' italiane per la pace; pubblicare un bollettino mensile
di informazione delle iniziative, dei libri sull'argomento, dei giornali
ed opuscoli (che sono gia' molti, tra gli altri un ottimo opuscolo degli
anarchici); invitare deputati e senatori a costituire un gruppo parlamentare
per la pace assoluta; sollecitare una legge per il riconoscimento 
dell'obiezione di coscienza; mettere allo studio l'istituzione di un servizio 
civile di lavoro a fianco del servizio militare per cui i giovani chiamati 
possano scegliere; stabilire un comitato di assistenza ai perseguitati
italiani
e stranieri; fare una campagna contro il giocattolo militare; diffondere
la conoscenza di Gandhi; interessare il popolo e specialmente le madri
all'opposizione alla guerra, mediante un'azione che propaghi il metodo
della libera discussione tenuto nei C.O.S., cioe' di due persone che
in qualsiasi luogo, piazza di citta' o di villaggio, treno, scuola o
in sala apposita, cominciano una discussione ad alta voce ammettendo
il libero intervento di tutti; in questo modo si crea un interessamento
generale e si formano gruppi di oppositori".
Colpisce, pero', il modo in cui Capitini fu trattato dalla nuova Repubblica
ed al riguardo e' illuminante consultare la schedatura dell'intellettuale
effettuata dalla Questura di Perugia dal 1930 al 1968. Se si comprende
la schedatura fascista, piu' difficile da spiegare e' quella repubblicana,
soprattutto quando e' evidente che un cittadino che si batteva per un
futuro migliore per il Paese veniva trattato con stupidita' crudele e
con compiaciuto e brutale disprezzo. Come quando un maresciallo di Pubblica
Sicurezza di Perugia nel marzo 1949 scriveva che Capitini "e' elemento
'sinistroide' contrario alla guerra (...) spietato critico della religione
cattolica" e che "non gode buona estimazione nel pubblico per le sue
idee da squinternato" ().
L'interesse di Aldo Capitini per l'obiezione di coscienza, che egli
definiva obiezione al "servizio dell'uccisione militare", si puo' far
risalire alla sua amicizia con Claudio Baglietto, il giovane allievo
della Scuola Normale Superiore di Pisa, rifiutatosi di vestire la divisa
nel '32 e morto esule nel '40. Capitini, pur non sottovalutando i motivi
politici che possono spingere all'obiezione, esaltava le motivazioni
religiose, poiche' secondo lui la religione aggiunge una forza vincolante,
nel suo linguaggio una "persuasione", che pare inaccessibile alla sola
ragione ().

In quegli anni inizio' a nascere un piccolo interesse per l'obiezione,
anche se in un ambito ristrettissimo. Lo testimoniano alcune lettere
dell'ottobre e novembre 1947, presenti nei carteggi di Capitini custodite
dalla Fondazione omonima di Perugia, con alcuni amici, in cui si parla
di un volantino che doveva essere preparato e che doveva riferirsi anche
all'obiezione di coscienza, seppure in termini molto sottintesi, probabilmente
per non incorrere nei rigori della legge.