Clinton, don Milani, Internet... e altro ancora (Riccardo Orioles)



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riccardo orioles <ricc at libero.it>
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23 nov.99 - 9


Russia Prussia Francia ed Inghilterra han tenuto un gran Congresso in 
Firenze. I reggitori delle principali Potenze, accompagnati da Dignitari 
e Consorti,  han discusso sul bene de' loro Popoli, affinché ognuno 
abbia il suo dovuto e non più abbiano ad esservi turbamenti né 
guerre...
Di solito, una notizia del genere, va sui fogli volanti e noialtri 
cantastorie la giriamo nelle osterie e nelle piazze per mezza lira. Ma 
desso che c'è internet, come si fa? Non posso entrare nell'osteria 
coll'internet e non posso accompagnare la notizia con la chitarra. 
Allora ve la dò senza, ma è tutta un'altra cosa. ("Viva la Russia/ viva 
la Prussia/ e poi quel povero/ Napole-on/ Ed è vent'aniii/che faccio il 
soldà...").
L'imperatore sbadigliava. "Maestà - s'è fatto avanti uno dei cortigiani 
- ci sarebbe qua quel cantante italiano...". Sua maestà ha fatto un 
cenno annoiato. "Tu fenire, cantare me Sole mio!". Così il nostro 
Benigni, col cappello in mano, ha fatto tutto il pranzo con Sua Maestà, 
e alla fine, in un impulso, ha abbracciato e baciato la Sacra Persona. 
Un ussaro ha fatto per afferrarlo ma il ciambellano,uomo di mondo, l'ha 
fermato - Sua Maestà sorrideva. Ai comici si permette tutto...
Malinconia... Ricordate Benigni che solleva Berlinguer? La più bella 
foto della sinistra italiana, insieme con quella di Pertini in Spagna 
(Italia-Germania tre a uno: il lider tedesco grasso e incazzato, Pertini 
con la pipa che sghignazza e il re di Spagna educatissimo in mezzo). 
Benigni contadinaccio che sghignazza, Berlinguer amico perbene che - 
finalmente! - ride, due persone felici in mezzo a noi compagni. Poi ci 
fu Benigni che solleva D'Alema - anzi no, fu D'Alema il sollevatore 
stavolta, il Capo - e già qui felicità non ce n'era, ma insomma per la 
sinistra si fa i sacrifici. E ora Benigni e Clinton, il cantante 
italiano e l'imperatore. Povero Benigni. E poveri noi, povera la nostra 
sinistra, povera nostra gioventù.

Veltroni, intanto, andava al Mugello - a Vicchio di Mugello, stavolta, 
completamente fuori mano - a commemorare don Milani. Don Milani 
precursore, insieme a Kennedy e Tony Blair, della sinistra però moderna. 
Il fatto è che Don Milani, a Veltroni, non gli avrebbe fatto metter 
piede a Barbiana. Non perché comunista o perché ce l'avesse per lui - 
politicamente - come ce la potrebbe avere uno come me e te. Ma 
semplicemente perché don Milani, con gl'intellettuali "di sinistra", era 
bestialmente incazzoso. Buttava fuori i professorini cattolici di 
Firenze ("vengano per imparare dai poveri, se ne han voglia. O stiano a 
casa loro"), figuriamoci i componenti di governo. Quelli poi che, 
essendo stati responsabili di Stampa e Propaganda del partito comunista 
proclamano d'essere sempre stati anticomunisti nel fuondo del loro 
cuore...  
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Ma insomma quanti anni ha un ragazzo? Diciamo, da tredici a trentacinque 
(ma io ho  anche sentito la frase "il mio ragazzo" riferita a un uomo di 
quarant'anni...). Tutta questa fascia d'eta' una volta  era distinta in 
ragazzino, ragazzo, giovanotto, giovane, uomo ecc... A ciascuna di 
queste fasi corrispondeva una  specie d'esame, condotto dalla vita, che 
ti metteva in grado di passare alla fase successiva e ti di dava 
autostima.
La "paura" (che poi e' un sentimento molto complesso) che dici tu 
potrebbe avere a che fare con questo? Con  l'insicurezza prodotta dal 
non essersi misurati? C'era un corridoio buio, ricordo, che mi faceva 
molta paura,  tantissimo tempo fa; finche' una volta, senza sapere 
perche', mi sono buttato a percorrerlo. Ricordo ancora il rumore  della 
mia corsa di bambino di 4 o 5 anni lungo quel corridoio, la mia paura 
(ho cominciato a correre con gli  occhi chiusi) e la felicita' quando 
alla fine sono arrivato in fondo (dava in una vecchia cucina) e mi sono  
precipitato fra le braccia di Giovanna, la nostra tata, che stava 
risciacquando qualcosa e ha sorriso venendomi  arrivare di corsa. Strano 
come certi ricordi restino chiari. Ricordo la felicita' - ma non e' la 
parola adatta: comprendeva qualcosa di luminoso - dei giorni dopo.  
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Ettore (su un forum) wrote:

Mi sembrava di essermi espresso chiaramente: niente  intellettuali e 
giornalisti. Lo che va sempre a finire così: questi  pontificano e poi 
mi accusano come se fosse colpa mia. Io ho il  massimo rispetto per te e 
per i tuoi amici che ci hanno rimesso  la vita. Ma questo è un problema 
interno della Sicilia. Lo so che  voi da soli non ci potete fare niente. 
E allora andatevene da lì.  Venite da noi e vi accoglieremo a braccia 
aperte. Riesco a  immaginare quanto sia terribile fare parte del 3% di 
civilizzati ed  essere circondati da scimmioni irragionevoli.   Quando 
sento parlare della Sicilia non mi viene in mente la tua  faccia onesta 
e leale ma quella gran faccia di bronzo di  Mancuso.

Caro Ettore, sarò un intellettuale e sarò un giornalista, magari, ma 
grazie a dio sono selvaggiamente disoccupato: al nord, come al sud. 
Quindi, ho diritto di parola. Ti ringrazio per l'offerta d'asilo. Ma ho 
paura di venire laggiù in fondo al nord. La mafia di Milano mi fa paura. 
Ci ho messo tant'anni a spazzare la mafia da casa mia, che non ho 
nessunissima voglia di andarmela a godere altrove. Verrò volentieri, 
quando avete fatto altrettanto; appena comincerete a far capitribù, 
tanto per intenderci, gli Orlando e i dalla Chiesa e non gli Albertini e 
i Craxi. Bravini come siete, se volete in una dozzina d'anni ve la 
cavate. Ti do' la ricetta, se vuoi (e, se vuoi, ti spiego anche perché 
non ancora non siete abbastanza maturi per volerla, come non lo eravamo 
qui vent'anni fa). Quanto a Mancuso, è indubbio che è una gran faccia di 
bronzo (noi usiamo un termine un po' più colorito). Però noi siciliani 
l'avevamo mandato ai giardinetti: c'è  voluto il milanese Berlusconi per 
metterlo nel governo.
La parte peggiore di tutta la faccenda è la seguente: sto scherzando, 
come capisci, e di solito non mi passa per l'anticamera del cervello di 
dividere il mondo in siciliani e milanesi. Ho imparato da un sacco di 
tempo che ci sono i milanesi stronzi e i siciliani stronzi (sempre 
prontissimi a far congrega fra loro) e i milanesi perbene e i siciliani 
perbene (di solito talmente coglionazzi da non riuscire nemmeno a 
discutere fra di loro). Ma ora, giocando a fare il "razzista", mi 
accorgo che, accidenti, comincio a pigliarci gusto. E che, rileggendo la 
tua lettera, per un brevissimo istante ho pensato "quel milanese" e non 
"quel fighetto", come avrei dovuto. Me ne scuso dunque in fretta con 
tutti i milanesi cioè - essendo io italiano - con il cinquanta per cento 
di me stesso. 
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C'è una scena bellissima in "Allonsanfan" (il film) ed  è la barca con 
l'anarchico che scende il fiume. Nella barca ci sono lui, ammanettato, e 
quattro gendarmi. Lui ha la sua età. Ricorda qualcosa, mentre la barca 
scende; il film e' in sostanza un lungo flash-back di quel momento. Poi 
arriva un'altra barca, che invece risale il fiume. Anche qui c'è dei 
gendarmi, e due uomini ammanettati. Solo che questi sono ddue ragazzi, 
due - novità - socialisti. Le due barche s'incrociano, e i compagni si 
guardano a vicenda. Ma non si riconoscono - per il momento. Solo per il 
momento.
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Gabriella wrote: varie critiche un po' colorite al "tradimento" di 
alcuni esponenti della sinistra

Cara Gabriella, io penso che in questo momento non ci sia alcuna 
sinistra in Italia, ma non lo dico in tono apocalittico o incazzato. 
Semplicemente, come altre volte è successo nella storia, la sinistra 
politica è un rimasuglio, ovviamente fasullo, di altre epoche. 
All'interno di ciò ci sono certamente anche dei tradimenti individuali, 
ma non sono l'aspetto determinante.
Qualche pò di tempo fa, diciamo verso il 1870, c'era una sinistra 
ufficiale che credeva in buona fede (beh, insomma) di essere lei la 
rappresentante del progresso e degli interessi popolari. Era fieramente 
nemica della monarchia assoluta e dei reazioonari, i quali però - grazie 
a Mr Robespierre e altri come lui - non contavano più  granchè, persino 
in Italia. Era per la democrazia liberale, per la quale tuttavia 
intendeva il diritto di voto (censitario) per il 10-15 per cento della 
popolazione. Era nemicissima dei Borboni, e lo ricordava abbastanza 
spesso, ma dei Borboni nel 1870 non c'era più molta traccia. Ed era, 
molto spesso, al governo. Governava bene, rispetto ai Borboni.
Ora, tu immagina che in questo felice paese, con la sua brava sinistra e 
la sua destra, a un certo punto succede che nel buco del culo del mondo 
- diciamo, chessò, a Vercelli - una ventina di tizi, che lavorano in una 
filanda di cotone, decidono che i soldi non gli bastano più per campare; 
e un bel giorno si mettono faticosamente d'accordo e decidono, per quel 
giorno, di non lavorare. Di loro venti, tre o quattro sono "di sinistra" 
(cioè vanno ai comizi dell'onorevole Cavallotti, e sanno che non andare 
al lavcoro tutti insieme si chiama "sciopero").
Tre o quattro - magari cinque o sei - sono fedeli monarchici, vanno in 
chiesa, raccontano con nostalgia di quando hanno fatto il soldato, e 
sono incazzati con i signori perchè non raccontano al re in che 
condizioni vivono i suoi fedeli sudditi: se sua maestà sapesse! ma non 
lo sa. Tutti gli altri, infine, sono persone "normali": non leggono le 
gazzette, vanno ogni tanto in chiesa e più spesso all'osteria (al 
sindacato, mai: anche perchè di sindacato non ce n'è) e però capiscono 
benissimo che con trenta lire al mese non si campa, e che se invece di 
essere trenta fossero trentacinque le cose andrebbero molto meglio.
Tutti questi venti esseri umani, un giorno dopo l'altro e senza starci 
troppo a pensarci sopra, nel corso dello sciopero vanno crescendo. 
Qualcuno di loro si rivela vigliacco, qualcun altro coraggioso. Uno si 
dà malato, e si tira indietro. Un altro, quando il padrone viene in 
fabbrica a sbraitargli il loro dovere (chissà se questo padroneè "di 
destra" o "di sinistra": ma ha importanza?), lo guarda dritto negli 
occhi senza paura. Uno è un padre di famiglia, ha quattro ragazzi da 
mantenere; eppure, quando il padrone lo guarda, non abbassa la testa 
neanche lui. E tutte queste cose succedono (le cose visibili, e quelle 
dentro ciascuna di queste *persone*, per trenta centesimi di aumento. 
Forse. O forse no.
La cosa "scientificamente" interessante di tutto questo è che nessuno di 
questi operai ha la minima idea di essere di sinistra, tranne i tre o 
quattro che vanno ai comizi "democratici". Non solo: se vai a parlare 
con un politico e gli chiedi "Scusi onorevole, ma secondo lei questi 
operai sono di sinistra?" lui ti guarda con aria stupita e "Ma figliola 
- ti fa - che c'entra la destra e la sinistra con queste storie di 
quattro lire? Se non sanno nemmeno chi era Adam Smith!". Solo molti anni 
dopo i professori scrivono la storia, e studiando studiando si accorgono 
che la Sinistra vera e doc se ne stava nascosta proprio laggiù a 
Vercelli, fra quei venti qualunquisti che facevano tanto casino per 
quattro lire. 
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"A che serve vivere, se non c'è
il coraggio di lottare?"                        (Giuseppe Fava)
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Date: Tue, 23 Nov 1999 17:25:38 +0100
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riccardo orioles <ricc at libero.it>
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24 nov.99 - 10


Giornalismo. Internet ha superato i cento milioni di utenti in America, 
due settimane fa. Circa due terzi di loro mandano almeno una e-mail al 
giorno. Circa un quinto - venti milioni! - hanno una propria pagina web. 
Almeno un quotidiano americano ("Orem Daily", Utah) ha lasciato la carta 
stampata per tesferirsi armi e bagagli sul web. Il "Village Voice" di NY 
già da un paio d'anni ha: 1° istituito la versione su web del giornale, 
ovviamente gratuita; 2° cominciato a distribuire gratis il giornale su 
carta nell'area metropolitana (in entrambi i casi i costi sono coperti 
da banner). 
Non è la prima volta che i giornali cambiano, anche se giornalisti ed 
editori sono - come sempre - gli ultimi a saperlo. Il salto da Gutenberg 
allo "Spectator" e da questo al "Times" non è stato, a suo tempo, 
inferiore, nè per tecnologie nè per culture sottese. Solo che oggi tutto 
questo avviene in un ambito di massa e in un mondo globalizzato (oops! 
*avvertitemi* ogni volta che mi metto a parlare in giornalistese).
I salti tecnologici, nella comunicozione,  non incidono tanto nel 
momento in cui vengono elaborati, quanto nel momento in cui vengono 
digeriti: le nuove tecnologie, in altre parole, non sono decisive in 
quanto tecnologie, ma in quanto catalizzatrici di nuovi approcci 
culturali.
Gutenberg inventa - o reinventa - i caratteri mobili, e questa sarebbe 
già una faccenda abbastanza importante ma non poi così trascendentale; i 
cinesi coi caratteri di legno ci hanno convissuto pacificamente per 
alcune centinaia d'anni e senza che nessuno ci facesse gran caso, 
all'infuori dei mandarini della Celeste Stamperia Imperiale. Ma 
Gutenberg unisce immediatamente all'innovazione tecnologica 
un'innovazione culturale: se questo aggeggio serve a far tanti libri, lo 
uso subito per clonare il libro-base della mia società, la Bibbia, e poi 
sto a vedere che cosa succede; e nel giro di pochi anni ti arriva la 
Riforma protestante con annesso rivoluzionamento d'Europa. "Un 
viaggiatore di ritorno dalle Russie quindici giorni fa ha riferito...". 
Ma poi nasce il telegrafo, e allora quello che è successo l'altro ieri a 
San Pietroburgo diventa immediatamente materia di rivoluzionamento alla 
Borsa di Londra... E così via. Kipling viaggia con la sola compagnia 
d'un disegnatore, e la questione anglo-indiana arriva in Occidente sotto 
una rassicurante veste letteraria; ma la Guerra civile americana è 
coperta dai primi fotoreporter coi loro enormi treppiedi, e l'umanità 
scopre improvvisamente una visione completamente diversa della guerra, 
un po' meno classica un po' più brutale.
Ogni singolo salto tecnologico ha funzionato in generale, ma soprattutto 
in ciò che ha a che fare con la comunicazione, come moltiplicatore dei 
salti culturali. Quando è arrivata la rotativa, un osservatore attento - 
o un poeta - avrebbe potuto preconizzare non solo le novità del formato, 
della tiratura e della foliazione, ma anche la catena Hearst, gli 
incidenti di Cuba, la guerra ispano-americana, e l'inizio 
dell'espansione politica americana: linearmente, poiché queste cose 
seguono una logica molto stretta. Internet, le telecomunicazioni, i 
sistemi di rete vanno letti oggi, probabilmente, da un angolo visuale di 
questo tipo. Il computer, da questo punto di vista, sta venendo 
inventato ora. Ll'automobile ha trasformato il mondo non quando è stata 
inventata ma quando è nata la Ford T.
(E i giornalisti? Fra tre-quattro anni al massimo, in quanto categoria, 
semplicemente non esisteremo più; cosa d'altronde non nuova nella 
storia, visto che una sorte del genere è già toccata ai De Foe, ai 
Rochefort, ai Kipling - il libellista, l'agitatore, il viaggiatore, le 
varie categorie in cui di volta in volta s'è incarnato il mestiere. Una 
via d'uscita ci sarebbe: trasformarsi coerentemente - e continuando 
lucidamente ad essere giornalisti - in qualcosa di completamente 
rinnovato, "irregolare", "strano").
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In Francia, un paio di secoli fa, c'è voluto Waterloo per insegnare ai 
compagni che ormai bisognava inventare il socialismo, per cambiare le 
cose, e che Napoleone come strumento rivoluzionario ormai era 
decisamente obsoleto.
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Giubileo: manca qualcosa. Il milleseicento, quello sì che era un 
giubileo serio (stavo per dire "come dio comanda"). Feste, speculazioni 
edilizie, casino, sfascio archeologico, pellegrini ma insomma anche 
qualche momento di spiritualità. Come il rogo - regolarmente iscritto 
nel Programma giubilare - del rompicazzi Giordano Bruno, fra le 
bancarelle dei fiori e il cinema Farnese ("no comment" disse il sindaco, 
che era laico sì ma c'era il giubileo). Gli misero la mordacchia (non al 
sindaco: a Bruno), sennò avrebbe sbraitato slogan pure mentre lo 
cospargevano di benzina.
Adesso ("anche oggi, in altre forme, si fa tacere chi pensa in modo 
critico per i potenti; il silenzio dei mezzi d'informazione è capace di 
bruciare il pensiero critico di chiunque") saltano fuori quelli che per 
il Duemila si son messi in testa di fare la celebrazione, anziché del 
Giubileo, di Giordano Bruno. A Roma. Il capo è quello stesso Giovanni 
Franzoni che, ai tempi in cui l'Italia e noi eravamo giovani, s'intestò 
a voler prendere prendere sul serio, nella sua comunità di San Paolo, 
nientemeno che il vangelo. A Roma. Un cristiano, insomma. Se lo viene a 
sapere Nerone...
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Commemorando Fanfani: "Al manager Marinotti che aveva licenziato mille 
operai al Pignone e si rifiutava di incontrare il sindacato dicendo che 
aveva impegni urgenti all'estero, al Marinotti ritirò a muso duro il 
passaporto". "Operai", "licenziare", "sindacato", "governo che 
interviene": ma davvero ci vuole un funerale di Fanfani per sentire 
queste parole messe in fila?
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"Vanity Fair": Hillary vuol divorziare. Capirai: fra la Lewinsky e 
Benigni...
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"Non celebro messa insieme col cardinal Giordano" ha detto don Vitaliano 
Della Sala, parroco di S.Angelo a Scala vicino Napoli. "Eminenza, ma che 
c'entrano con la solidarietà i suoi affari?" ha chiesto il giovane 
cronista a Sua Eminenza, durante la cerimonia ufficiale. Sua Eminenza ha 
risposto: "Cretino".
Alla fine risulterà che è innocente. La colpa di tutto l'equivoco 
risulterà degli occhiali (occhiali neri, da gangster; quello della 
Famiglia che, su ordine del vecchio lungimirante padrino, è entrato da 
ragazzo in seminario e s'è fatto prete). Di tutta la storia resterà solo 
l'eco, a far la spia, della frase "procura di Lagonegro" che evoca 
irresistibilmente i paesini e i cafoni di Alvaro, di Levi, di Cristo s'è 
fermato a Eboli (ma forse s'è fermato, il tempo di santificare il 
cardinale e di far trasferire a Perdasdefogu lo scomodo procuratore).
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Roma. Bomba in via Tasso 145, al museo della Resistenza. Durante la 
guerra c'era la camera di tortura delle Ss. "Muoio per l'Italia", 
trovarono scritto a sangue sui muri, dopo la liberazione. Decisero di 
non cancellare le scritte, perché si ricordasse che cos'era successo a 
Roma.
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Uno dei miei redattori, due anni fa

Il 10 Novembre rimarrà per me una data da ricordare con molto piacere. 
E’ iniziato alle ore sette del mattino quando mi è stato detto: oggi per 
lei è festa. Effettivamente è gran festa. Nel giro di poche ore sono 
passato da una selva oscura al paradiso. Ho iniziato a muovere i primi 
tasti al computer. Descrivere le sensazioni che sto provando mi è 
difficile. L’unica parola che posso dire è che sono rinato. Fino ad un 
anno fa, prima di arrivare alla Seconda Casa Circondariale di Palermo mi 
era impensabile pensare di guardare il monitor e scrivere un mio 
articolo. Oltre sentire il caos cittadino è l’inizio di un futuro senza 
sbarre, proiettato verso il mondo del lavoro. Tutto ciò oltre che per 
me, anche per la mia famiglia è motivo di grande soddisfazione. Il solo 
pensiero di potermi vedere per sole due ore ogni quindici giorni e 
sapendo che dovevo ritornare in quella stanza, li rattristava 
profondamente. Adesso i loro visi esprimono gioia da ogni singolo poro, 
soprattutto perché sanno la felicità che sto provando.
Il 1997 è l’anno più importante della mia vita, l’anno della fiducia e 
dei cambiamenti, della rinascita e dell’ottimismo. Prima di essere 
trasferito a Palermo ero molto sfiduciato del lavoro di reinserimento 
svolto dagli addetti ai lavori; oggi per mia fortuna ho dovuto 
ricredermi e ho ricordato a me stesso che non bisogna mai generalizzare. 
Anche in questo ho ricevuto una buona lezione di vita che non potrei mai 
dimenticare . Da adolescente volevo diplomarmi in ragioneria, ma col 
passare degli anni ho lasciato nel dimenticatoio ogni sogno, perché 
pensavo che per ciò che facevo non mi sarebbe servito a nulla. Durante 
questa detenzione ho ripreso gli studi e nello scorso mese di luglio ho 
conseguito il diploma di ragioniere. Ho superato molti ostacoli 
all’interno degli Istituti di Pena, soprattutto in quelli dove non è 
consuetudine che un detenuto studi.Ce l’ho fatta anche perché, da quando 
ho preso la decisione di riprendere gli studi ero consapevole che un 
risultato finale positivo sarebbe stato il lascia passare per un futuro 
meno tetro del passato.
Però, devo ricordare che ho avuto un aiuto non meno importante del mio 
impegno e volontà da alcuni docenti volontari, soprattutto da parte del 
professore V. che due volte la settimana veniva da Trapani a Palermo per 
darmi delle lezioni. Questo suo sacrificio mi ha scosso profondamente e 
mi ha fatto riflettere molto sul mio comportamento verso il prossimo, 
soprattutto mi sono posto una domanda: io l’avrei fatto per un altro 
essere umano? In verità non saprei, ma sono certo che le premesse sono 
ottime. Il volontariato è molto utile perché non solo dà un aiuto 
indispensabile ma riesce a trasmettere molto sul piano morale e sul modo 
di vivere.
Ringraziare queste persone che hanno fatto tanto per me non è facile, 
forse il modo migliore e apprezzabile sono queste mie parole, 
soprattutto testimoniargli che il proprio operato non è stato vano; ha 
dato dei buoni frutti. Un grazie di cuore a tutti voi.
Antonio Alessandro C.
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Diffidate dei titoli
scritti in neretto
nascondono le cose più importanti
Diffidate degli articoli di fondo
delle inserzioni
delle quotazioni
delle lettere al direttore
e delle interviste a fine settimana
anche i sondaggi d’opinione
sono manipolati
le notizie varie escogitate
da redattori furbetti
diffidate della terza pagina
delle pagine teatrali - i libri
per lo più sono migliori dei loro recensori
leggete quello che loro hanno sottaciuto
diffidate anche dei poeti
in loro tutto suona
più bello più atemporale
ma non è più vero nè giusto

(Horst Bienek, 1930)
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E' scocciante lanciare sassi nel buio, per quanto uno lo prenda con 
leggerezza questo esercizio rischia alle volte di fare un po' ammattire. 
Le tue lettere contribuiscono quindi alla mia salute mentale, qualunque 
sia il suo (eventuale) valore.
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"A che serve vivere, se non c'è
il coraggio di lottare?"                        (Giuseppe Fava)
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riccardo orioles <ricc at libero.it>
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24 nov.99 - 11


Haider, in Austria, propone di schedare tutti gli "auslander" presenti 
nel paese e di fornirli di una carta di colore differente da quella dei 
cittadini austriaci. E' il più serio fra i leaders della neo-destra 
europea: Le Pen, dopo un brillante inizio, si è rivelato più un sintomo 
che una possibile forza di governo. Rauti e Bontempo, in Italia, non 
sono riusciti ad andare oltre la generica nostalgia e sono tagliati 
fuori dai pur ampi spazi della politica post-democratica. In Inghilterra 
e in Germania, la nuova destra è ancora alla fase degli hooligans e non 
ha molto a che vedere col dibattito politico reale. In Austria invece la 
destra non solo ha vinto le elezioni ma è "ragionevole", "simpatica", 
moderna, popolare. Tutto ciò non la porta ad essere anche moderata. 
L'ideologia che sta rapidamente sviluppando è infatti quello di un 
perfetto nazismo post-moderno, con tanto di teoria del sangue e di 
nemico razziale.

Di solito, quando si parla di destra in Austria, il pensiero va ad 
Hitler: troppo inumanamente estremista, evidentemente, per essere un 
pericolo ora. Errore sopra errore. Hitler (che era un tedesco e viveva 
in una città società metropolitana e industriale) non era affatto 
percepito come un estremista, negli anni in cui andò al potere. "Buon 
senso popolare", ecologismo, lotta alla disoccupazione, inchini a 
Hindenburg, conservatorismo morale: senza questi rassicuranti 
ingredienti sarebbe rimasto uno dei tanti Maurizio Boccacci di cui il 
paese era pieno. Lo stesso antisemitismo veniva accuratamente 
posizionato in mezzo a questi ingredienti, e solo in mezzo ad essi; e in 
quella prima fase veniva presentato come il  classico antisemitismo 
"cristiano", non come quello nibelungico degli anni di guerra. 
L'hitlerismo, in questi termini, funzionò; si radicò fra la gente, 
sedimentò una cultura, durò a lungo. Non funzionò, invece, affatto, la 
destra - apparentemente più radicale - delle altre varianti europee. Né 
in Polonia né nella Russia dei pogrom l'antisemitismo riuscì a diventare 
"politico", ad ottenere effetti che non fossero - dal punto di vista 
della destra - provvisori e parziali. Là, infatti, antisemitismo 
significava semplicemente perseguitare gli ebrei. Con Hitler significava 
organizzare l'assistenza invernale, fare i circoli "Gioia e lavoro", 
sviluppare le tecnologie (e le culture delle tecnologie), fare delle 
bellissime feste con fisarmoniche e cori - e solo dopo, en passant, 
perseguitare gli ebrei;nche se il genocidio era in realtà previsto, fin 
dall'inizio, come *la* componente essenziale dell'intero meccanismo.

Prima ancora di Hitler, peraltro, l'antisemitismo - insisto: un 
antisemitismo "perbene", tranquillo, nient'affatto "estremista"; oggi 
diremmo europeo - aveva precedenti illustri a Vienna. Penso a quel 
borgomastro cattolico della Vienna di fine secolo che per due o tre 
volte fu eletto plebiscitariamente sulla base di un programma "popolare" 
antisemita e per altrettante fu deposto d'autorità dall'Imperialregio 
Governo.

Oggi come allora, la destra razzista riesce a incidere, e a essere una 
credibile forza di governo, dove non è estremista; senza rinunciare a 
niente, esattamente come negli anni Trenta. Haider è già un modello 
esplicito, in Baviera, per una parte della politica "perbene" 
(esattamente come, nella fase iniziale del suo sviluppo, lo era Hitler 
per uomini di Centro  come Ribbentrop). Molto più lo sarà nella fase 
successiva quando - come già sta cominciando a fare - si svincolerà 
dalla forma-partito e comincerà, più "modernamente", a proporsi in 
termini di democrazia diretta, di plebiscito quotidiano. Fu questa la 
tecnica di Hitler, dopo la fase della rassicurazione iniziale; ma ad 
Heider, oggigiorno, le tecnologie danno una marcia in più.
Credo che elementi del suo pacchetto politico, l'anno venturo, saranno 
in qualche modo introdotti (non marginalmente) in Svizzera, nella 
Germania meridionale, in Slovenia e in Italia, in quest'ultimo caso - 
probabilmente - allargando gli spazi culturali lasciati politicamente 
scoperti dalla crisi della Lega.

Bene, scusa la pallosità. Di solito, quando scrivo in giornalistese, è 
che in realtà - inconsciamente - non avrei voluto affrontare 
l'argomento. E in effetti m'ero seduto, in realtà, per scrivere 
sull'attentato di via Tasso. Ma qualcosa nel mio hard-disk si dev'essere 
rifiutato di affrontare l'orrore delle parole "via Tasso" e ha dunque 
tirato fuori trenta righe di "ragionevole" politichese.
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E ancora politichese, visto che siamo ai giardinetti. Non penso - né lo 
pensavo anche prima - che in Russia ci fosse qualche sistema 
politico-economico alternativo. C'era solo un onesto tentativo di uscire 
dal Terzo Mondo, con la complicazione delle guerre (non volute), del 
basso livello politico, dell'assenza di una tradizione civile e chi più 
ne ha più ne metta. Il "comunismo", dal mio punto di vista, è una cosa 
che può succedere a Torino, non a Canicatti' (sono siciliano): se 
succede a Canicatti' vuol dire che è un'altra cosa, utile localmente, ma 
un'altra cosa. E questo, se vogliamo essere pignoli, Marx l'aveva detto 
con molta precisione. Secondo me, un po' di "comunismo" s'è cominciato a 
vedere con le minigonne e la contestazione, nel sessantotto. E' durato 
poco, perché siamo stati coglioni. Però,  se prima o poi ricomincia, i 
computer li farà bene.
Capita anche che i rappresentanti di "Torino" (la tecnologia, la vita 
moderna, e persino, in un certo senso, il "capitalismo") nel Terzo Mondo 
fossero allora proprio i "comunisti", non i vari dittatorelli sostenuti 
dalla Cia: Che Guevara era occidentale, Pinochet non lo era affatto. 
Adesso che non c'è più Che Guevara, ci sono i militari indonesiani e i 
talebani.
Fatemi sapere se v'interessa continuare a discutere di queste faccende o 
se vi siete già scocciati.
_____________________________________________

A Bologna, in piazza dell'Unità, a venti passi dall'edicola dei 
giornali

"In questa piazza il 15 novembre 1944
ebbe luogo la battaglia della Bolognina
fra forze partigiane e invasori nazisti e fascisti
Cittadino che passi
se alzi lo sguardo vedi il fabbricato al civico 5
ove caddero 6 giovani patrioti
combattendo per l'indipendenza della patria
offrirono la vita per la nostra attuale libertà"
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Per collaborare a questa e-zine, o per criticarla o anche 
semplicemente per liberarsene, basta scrivere a ricc at libero.it
Non c'e' copyright, ovviamente. Fa' girare.
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"A che serve vivere, se non c'è
il coraggio di lottare?"                        (Giuseppe Fava)
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Date: Thu, 25 Nov 1999 09:47:25 +0100
From: Riccardo Orioles <ricc at libero.it>
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riccardo orioles <ricc at libero.it>
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tanto per abbaiare
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24 nov.99 - 11


Haider, in Austria, propone di schedare tutti gli "auslander" presenti
nel paese e di fornirli di una carta di colore differente da quella dei
cittadini austriaci. E' il più serio fra i leaders della neo-destra
europea: Le Pen, dopo un brillante inizio, si è rivelato più un sintomo
che una possibile forza di governo. Rauti e Bontempo, in Italia, non
sono riusciti ad andare oltre la generica nostalgia e sono tagliati
fuori dai pur ampi spazi della politica post-democratica. In Inghilterra
e in Germania, la nuova destra è ancora alla fase degli hooligans e non
ha molto a che vedere col dibattito politico reale. In Austria invece la
destra non solo ha vinto le elezioni ma è "ragionevole", "simpatica",
moderna, popolare. Tutto ciò non la porta ad essere anche moderata.
L'ideologia che sta rapidamente sviluppando è infatti quello di un
perfetto nazismo post-moderno, con tanto di teoria del sangue e di
nemico razziale.

Di solito, quando si parla di destra in Austria, il pensiero va ad
Hitler: troppo inumanamente estremista, evidentemente, per essere un
pericolo ora. Errore sopra errore. Hitler (che era un tedesco e viveva
in una città società metropolitana e industriale) non era affatto
percepito come un estremista, negli anni in cui andò al potere. "Buon
senso popolare", ecologismo, lotta alla disoccupazione, inchini a
Hindenburg, conservatorismo morale: senza questi rassicuranti
ingredienti sarebbe rimasto uno dei tanti Maurizio Boccacci di cui il
paese era pieno. Lo stesso antisemitismo veniva accuratamente
posizionato in mezzo a questi ingredienti, e solo in mezzo ad essi; e in
quella prima fase veniva presentato come il  classico antisemitismo
"cristiano", non come quello nibelungico degli anni di guerra.
L'hitlerismo, in questi termini, funzionò; si radicò fra la gente,
sedimentò una cultura, durò a lungo. Non funzionò, invece, affatto, la
destra - apparentemente più radicale - delle altre varianti europee. Né
in Polonia né nella Russia dei pogrom l'antisemitismo riuscì a diventare
"politico", ad ottenere effetti che non fossero - dal punto di vista
della destra - provvisori e parziali. Là, infatti, antisemitismo
significava semplicemente perseguitare gli ebrei. Con Hitler significava
organizzare l'assistenza invernale, fare i circoli "Gioia e lavoro",
sviluppare le tecnologie (e le culture delle tecnologie), fare delle
bellissime feste con fisarmoniche e cori - e solo dopo, en passant,
perseguitare gli ebrei;nche se il genocidio era in realtà previsto, fin
dall'inizio, come *la* componente essenziale dell'intero meccanismo.

Prima ancora di Hitler, peraltro, l'antisemitismo - insisto: un
antisemitismo "perbene", tranquillo, nient'affatto "estremista"; oggi
diremmo europeo - aveva precedenti illustri a Vienna. Penso a quel
borgomastro cattolico della Vienna di fine secolo che per due o tre
volte fu eletto plebiscitariamente sulla base di un programma "popolare"
antisemita e per altrettante fu deposto d'autorità dall'Imperialregio
Governo.

Oggi come allora, la destra razzista riesce a incidere, e a essere una
credibile forza di governo, dove non è estremista; senza rinunciare a
niente, esattamente come negli anni Trenta. Haider è già un modello
esplicito, in Baviera, per una parte della politica "perbene"
(esattamente come, nella fase iniziale del suo sviluppo, lo era Hitler
per uomini di Centro  come Ribbentrop). Molto più lo sarà nella fase
successiva quando - come già sta cominciando a fare - si svincolerà
dalla forma-partito e comincerà, più "modernamente", a proporsi in
termini di democrazia diretta, di plebiscito quotidiano. Fu questa la
tecnica di Hitler, dopo la fase della rassicurazione iniziale; ma ad
Heider, oggigiorno, le tecnologie danno una marcia in più.
Credo che elementi del suo pacchetto politico, l'anno venturo, saranno
in qualche modo introdotti (non marginalmente) in Svizzera, nella
Germania meridionale, in Slovenia e in Italia, in quest'ultimo caso -
probabilmente - allargando gli spazi culturali lasciati politicamente
scoperti dalla crisi della Lega.

Bene, scusa la pallosità. Di solito, quando scrivo in giornalistese, è
che in realtà - inconsciamente - non avrei voluto affrontare
l'argomento. E in effetti m'ero seduto, in realtà, per scrivere
sull'attentato di via Tasso. Ma qualcosa nel mio hard-disk si dev'essere
rifiutato di affrontare l'orrore delle parole "via Tasso" e ha dunque
tirato fuori trenta righe di "ragionevole" politichese.
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E ancora politichese, visto che siamo ai giardinetti. Non penso - né lo
pensavo anche prima - che in Russia ci fosse qualche sistema
politico-economico alternativo. C'era solo un onesto tentativo di uscire
dal Terzo Mondo, con la complicazione delle guerre (non volute), del
basso livello politico, dell'assenza di una tradizione civile e chi più
ne ha più ne metta. Il "comunismo", dal mio punto di vista, è una cosa
che può succedere a Torino, non a Canicatti' (sono siciliano): se
succede a Canicatti' vuol dire che è un'altra cosa, utile localmente, ma
un'altra cosa. E questo, se vogliamo essere pignoli, Marx l'aveva detto
con molta precisione. Secondo me, un po' di "comunismo" s'è cominciato a
vedere con le minigonne e la contestazione, nel sessantotto. E' durato
poco, perché siamo stati coglioni. Però,  se prima o poi ricomincia, i
computer li farà bene.
Capita anche che i rappresentanti di "Torino" (la tecnologia, la vita
moderna, e persino, in un certo senso, il "capitalismo") nel Terzo Mondo
fossero allora proprio i "comunisti", non i vari dittatorelli sostenuti
dalla Cia: Che Guevara era occidentale, Pinochet non lo era affatto.
Adesso che non c'è più Che Guevara, ci sono i militari indonesiani e i
talebani.
Fatemi sapere se v'interessa continuare a discutere di queste faccende o
se vi siete già scocciati.
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A Bologna, in piazza dell'Unità, a venti passi dall'edicola dei giornali

"In questa piazza il 15 novembre 1944
ebbe luogo la battaglia della Bolognina
fra forze partigiane e invasori nazisti e fascisti
Cittadino che passi
se alzi lo sguardo vedi il fabbricato al civico 5
ove caddero 6 giovani patrioti
combattendo per l'indipendenza della patria
offrirono la vita per la nostra attuale libertà"
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Per collaborare a questa e-zine, o per criticarla o anche
semplicemente per liberarsene, basta scrivere a ricc at libero.it
Non c'e' copyright, ovviamente. Fa' girare.
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"A che serve vivere, se non c'è
il coraggio di lottare?"                        (Giuseppe Fava)
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