Bobbio, D'Alema e il senso di colpa



L'uomo e' uno dei pochissimi animali che uccide un altro vivente
appartenente alla stessa specie: il cane non uccide il cane, il leone non
uccide il leone, l'uomo uccide l'uomo. Con cio' dimostra di aver perso il
senso di autoconservazione, basato sull'istinto. L'uomo si e' evoluto e' ha
elaborato una cultura che lo svincola dagli istinti.

Ed e' questa "cultura" che consente di giustificare l'omicidio e di evitare
il sorgere dei sensi di colpa. Questa cultura dell'omicidio e' oggi sotto
accusa: l'ideologia e' sotto processo.

La psicologa Silvia Bonino, in un suo recente articolo, analizza le basi
psicologiche della violenza ideologica. Riferendosi alle Brigate Rosse
scrive: "E' proprio questa capacita' di riconoscimento dell'umanita' di
altre persone - degli altri come nostri simili, dei quali siamo in grado di
riconoscere e condividere la sofferenza - che viene a mancare nella
violenza ideologica. Essa viene meno senza che si provino sensi di colpa,
magari anzi con l'intima consapevolezza, o addirittura l'orgoglio, di
compiere un'azione non solo lecita ma perfino meritoria".

La storia delle Brigate Rosse appare una storia esemplare da questo punto
di vista. La recente polemica nata dall'intervista di Norberto Bobbio, in
cui il novantenne filosofo di Torino rimette in discussione la violenza
della Resistenza antifascista, sembra ormai essere il segnale ultimo della
fine delle ideologie intese come sistemi culturali elaborati per attenuare
o eliminare il "senso di colpa" di cui parla Silvia Bonino.

Ma proprio in questo momento in cui la presa di distanza dalle ideologie -
cosi' intese - sembra nettissima, manca qualcosa. 

Ci riferiamo al dibattito politico-culturale che sembra ormai diventato una
sorta di Giudizio Universale sulla Storia.

Manca nella riflessione politico-culturale che leggiamo sui giornali il
sorgere di una nuova umanita', la rivalutazione dei "sensi di colpa", delle
"emozioni" e di quella parte del cervello (l'amigdala) che lo psicologo
Daniel Goleman individua come il centro dell'emozionalita'.

Scrive Goleman in "Intelligenza emotiva": "Mentre l'amigdala lavora per
scatenare una reazione ansiosa e impulsiva, altre aree del cervello si
adoperano per produrre una reazione correttiva". 

L'insensibilita', la freddezza, l'autocontrollo di chi sgancia una bomba in
guerra richiede che l'amigdala venga "controllata" e che il senso di colpa
sia imbrigliato. (2) 

Oggi le ideologie come Brigate Rosse sono morte, ma non e' morta questa
capacita' di dare una giustificazione alla violenza e all'omicidio.

E se appare facile parlare del passato, molto meno agevole e gradevole e'
ragionare dei crimini commessi - in nome di quale nuova ideologia? - nella
guerra della Nato contro la Jugoslavia. Guerra tutt'altro che "chirurgica"
e molto ben diretta a terrorizzare la popolazione delle citta' serbe per
piegarne la resistenza psicologica. Come facevano i brigatisti, la stategia
della Nato e' stata graduale e senza rimorsi: prima minacciare, poi sparare
ai piedi, poi via via piu' su, fino ad arrivare alle micidiali bombe a
grappolo sui mercati. Cio' e' accaduto qualche mese fa ed e' quanto abbiamo
documentato mediante i messaggi di posta elettronica che ricevevamo dalla
Serbia (da oppositori di Milosevic, tra l'altro). Questo "senso di colpa"
rimosso sta diventando un libro (3) scritto dai testimoni e dalle vittime
della guerra, come il professor Djordie Vidanovic, un oppositore a
Milosevic che ha rischiato la vita sotto le bombe della Nato e ha scritto
un diario telematico via Intenet, che veniva tradotto in tempo reale e
trasmesso sul sito di PeaceLink nei terribili giorni della "guerra giusta".

Questa "guerra giusta" e' stata resa accettabile da una cultura che ha
saputo elaborare una sorta di camicia di forza nella quale imprigionare i
sensi di colpa e immobilizzarli.

Questa cultura ha i suoi rappresentanti in persone che apparirebbero
lontane dalla "ideologia" delle Brigate Bosse o della violenza partigiana.

Ma - e' quello che emerge - in realta' non si e' spezzato il cordone
ombelicale con la violenza e l'omicidio. Si e' pensato di prendere le
distanze dalla violenza ideologica senza prendere le distanze dalla
violenza omicida.

E siamo al paradosso.

Lo stesso Bobbio ha - con mille cautele - dato il suo avallo all'operazione
di bombardamento della Nato "contro Milosevic", D'Alema ne e' stato il
massimo responsabile politico-istituzionale per l'Italia. Milosevic e'
stato a gozzovigliare nel suo bunker e ne hanno fatto le spese donne,
vecchi, bambini. I piu' protetti sono stati forse proprio i soldati di
Milosevic, ben rintanati nei loro nascondigli.

Ma nella propaganda appariva un bombardamento contro Milosevic.

Ed ecco allora il moderno sostituto dell'ideologia, il nuovo killer dei
sensi di colpa: l'arma mediatica.

Non e' una nostra invenzione ma quanto M.S.F. scrive sulla Rivista Italiana
Difesa (novembre '99) nel saggio: "L'arma mediatica".

"Oggi non e' piu' possibile intraprendere alcun tipo di iniziativa militare
senza garantirsi una sua rappresentazione mediatica tale non solo di
raccogliere consenso, ma anche di permettere una manipolazione in tempo
reale degli eventi conforme alla logica della irrealta' reale del mezzo
televisivo".

Rendere "accettabile" la guerra e le vittime. Questa e' la nuova funzione
dello "stratega mediatico", un nuovo tipo di figura che affianchera' sempre
piu' il generale che guida gli eserciti e che viene non a caso proposta nel
saggio della Rivista Italiana Difesa.

Guidare le coscienze, tacitare i sensi di colpa, apparire brave persone,
non dei criminali.

Ecco la nuova frontiera su cui si misurano le innovazioni culturali che
dalla vecchie ideologie ci stanno traghettando verso le nuove invisibili
ideologie: per continuare ad uccidere senza provare sensi di colpa. 


Alessandro Marescotti



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(1) Silvia Bonino, "Violenza disumana?", in Psicologia Contemporanea,
novembre-dicembre 1999, ed.Giunti, e-mail psico at giunti.it

(2) Attenuare il senso di colpa non sembra essere difficile nella moderna
guerra aerea: "Quando si e' lassu' in alto, da soli e nessuno ti guarda, le
decisioni sono diverse da quanto avviene in un contesto sociale", osservano
gli psicologi Albero Oliverio e Anna Oliverio Ferraris, citando la classica
testimonianza di Hiroshima e della bomba Enola Gay sganciata sul Giappone.
Cfr. Alberto Oliverio e Anna Oliverio Ferraris, "Decisioni elettroniche",
in Psicologia Contemporanea, novembre-dicembre 1999, ed.Giunti, e-mail
psico at giunti.it

(3) Per informazioni: Olivier Turquet, e-mail: turquet at dada.it