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Bolivia: Soffiare Gas sul fuoco del caos




NEWS ALERT
"Occhi aperti sulle Ande"
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Soffiare Gas sul fuoco del caos


10 maggio 2004

Ogni ora che passa diventa sempre più preoccupante la già instabile
situazione in Bolivia. La nazione andina è a un passo dal caos generale che
sarebbe funzionale alla teoria della "mano forte" militare che garantisca la
sicurezza nazionale. Il presidente Carlos Mesa è oramai oggetto di critiche,
oltre che dai sindacati e dai leader indigeni, anche dai vertici delle Forze
Armate. Le enormi riserve di gas sono ancora la miccia che rischia di far
esplodere la Bolivia.
Ma a differenza della rivolta popolare dello scorso ottobre che dimostrò la
compattezza della protesta, ora in Bolivia si aprono scenari di guerra
civile e scontri etnici.

Di Giovanna Vitrano* -  Selvas.org
(http://www.selvas.org/newsBO0504.html)

Ci risiamo. La Bolivia sembra essere tornata a ribollire come le acque dello
Stige.
Quello che sentiamo, prima che con le orecchie, con le budella contorte del
nostro stomaco, è una gran puzza di bruciato. Gli scenari che si stanno
aprendo sono molti. E tutti non sembrano indicare alcun lieto fine. E¹ per
questo che, al contrario di quanto è nostra abitudine, stiamo riportando ciò
che accade adesso, parleremo dei giochi che ancora non si sono conclusi,
nella speranza che qualcosa, magari qualcuno, riesca a sentire, riesca ad
intervenire, affinchè ciò che si delinea all¹orizzonte non accada.
Chi segue le nostre cronache conosce la situazione della Bolivia, uno dei
paesi più poveri al mondo e il più povero dell¹America Andina. Sa che in
Bolivia la schiavitù non è che un modo diverso per non morire e che il
mercatod ei bambini è soltanto un suo sinonimo. Chi ha un minimo di
familiarità con queste faccende sa anche che la Bolivia è un paese
ricchissimo di risorse naturali, il gas primo fra tutti, risorse che fanno
gola alle grandi multinazionali quali la Repsol, la Enron e la British LG,
vere e propie maestà incontestate in tutto il subcontinente.
E ancora, chi ha seguito solo di sfuggita i fatti di sangue dello scorso
ottobre sa che per i boliviani l¹esportazione del gas è soprattutto una
questione d¹onore: lo si può vendere a tutti, ma non ai cileni, colpevoli di
aver vinto una guerra fratricida all¹inizio dello scorso secolo e di aver
privato la Bolivia dello sbocco a mare.
Questo un brevissimo riassunto della situazione. Cosa sta succedendo?

Primo
La Bolivia ha firmato un accordo per l¹esportazione di gas in Argentina con
il preciso patto che questa non lo rivendesse al Cile. L¹Argentina ha
chiesto con forza questo accordo perché ha dichiarato, da tre mesi a venire
qua, di trovarsi al centro di una pericolosissima crisi idrocarburifera.
Praticamente ha giurato e spergiurato di non avere più una goccia di gas
naturale e che, stando ai consumi, presto sarebbero rimasti tutti al buio.
Ebbene, la Bolivia si impegna a vendere gas naturale all¹Argentina a un
prezzo strabiliante, addirittura un prezzo più alto rispetto a quello
previsto dal mercato internazionale. Proprio in queste ore si scopre che la
Bolivia vende ad una multinazionale al solito prezzo bassissimo, questa lo
rivenderà solo all¹Argentina che, avendo scoperto che la sua crisi si è
inaspettatamente rivelata falsa, sarà padrona di vendere il ³suo² gas
naturale al Cile. Diciamo ³suo² perché in effetti, come in Bolivia, il gas
argentino è sempre della Repsol.

Secondo
Non si capisce bene perché si stiano organizzando i campesinos boliviani in
modo tali da dividere longitudinalmente il Paese in due pezzi. Questo è il
problema detto della "media luna" (mezza luna), una operazione politica
definita da molti osservatori come tesa a creare divisioni di natura etnica
e addirittura razziale tra le componenti sociali boliviane. Lo scenario si
mostra complicato visto che da una parte si stanno schierando i campesinos
delle montagne, i più poveri, contro i campesinos delle pianure, che sono di
meno ma servono tutti "sotto padrone", ossia quei latifondisti che non hanno
mai fatto tramontare il sole sulla parola schiavitù. Ebbene, tra questi due
eserciti, uno inesistente, l¹altro fin troppo ben armato, resiste soltanto
la volontà di alcunisingoli uomini che stanno cercando di evitare lo scontro
fisico. Causa del contendere: il gas, naturalmente. I primi vorrebbero che
lo stato privatizzasse i giacimenti, i secondi, accusando i primi di essere
rossi terroristi, cercano invece di spingere la classe politica a (s)vendere
il gas al primo acquirente. La situazione è davvero calda.

Terzo
Con un verdetto a sorpresa, la Corte Costituzionale ha deciso che i quattro
militari accusati di omicidio per i fatti brutali dello scorso ottobre
devono essere giudicati dal tribunale civile e non, come di consuetudine, da
quello militare, cosa che avrebbe voluto dire, come nel 99% dei casi, una
piena assoluzione in quattro e quattr¹otto. Non appena di è saputa la
notizia, l¹esercito è entrato in fibrillazione e proprio mentre scriviamo il
presidente della Repubblica Carlos Mesa è in riunione con i vertici delle
forze armate. I generali hanno già dichiarato di riconoscere ancora il
Presidente e il suo governo Stato vero e proprio, ma quell¹ ³ancora² turba
non poco.

Quarto
Una spaccatura longitudinale si sta aprendo anche al centro del fronte
sindacale, dividendo da un lato la Cob, la Central Obrera Boliviana insieme
con la Federazione dei Campesinos, lasciando dall¹altro le Coordinadoras con
la Federazione dei Cocaleros. Praticamente si stanno dividendo, e con un bel
po¹ di fracasso, le due forze più grandi del paese, le prime appoggiate a
Solanas della Cob e a Felipe Quispe, leader sindacale dei campesinos e
leader del partito dell¹opposizione del Mip; le seconde rappresentate dal
leader della federazione cocalera e al vertice del più grande partito di
opposizione, Evo Morales Ayma (MAS) e dai vertici delle due più grosse sigle
sociali. Quello che non riusciamo è comprendere, visto che ci sono chiari i
movimenti sia di Quispe che di Morales, entrambi occupati ad inseguire
strade nuove in vista delle campagne elettorali, è l¹evoluzione della Cob,
il più grande, il più serio, il più stimato sindacato boliviano, capace di
grandi lotte vittoriose in nome della democrazia, ma da un anno a questa
parte vittima di una crisi di identità che ne ha stravolto ogni gesto, ogni
iniziativa. Non capiamo, infatti, come mai la Cob, con la confederazione
campesina, sta gridando quando c¹è da cercare accordi, ed ha taciuto quando
c¹era da gridare, impedendo, per curiosa coincidenza, che si raggiungesse
una pax sociale in questi ultimi mesi sempre sfiorata ma mai agguantata.

Fin qui abbiamo disegnato scenari interni. Perché all¹esterno non dobbiamo
dimenticare che Washington preme per stringere accordi bilaterali, al posto
dell¹Alca, con la Bolivia, così come pretende che la Bolivia sottoscriva il
trattato contro la volontà del Tribunale Internazionale Penale dell¹Aia che
impedisce a chiunque di commettere atti contrari alla carta di Ginevra. Poi
c¹è il Fondo Monetario Internazionale che detta le sue regole (o minacce?)
prima di monetizzare la promessa di un prestito: tra queste ultime,
l¹accordo con l¹Argentina e la benedetta firma con gli Usa per scambi
commerciali decisamente strabici (Mesa, fino ad oggi, ha svicolato ogni
aut-aut). E poi c¹è il Cile che si arma ai confini meridionali della
Bolivia, mentre, in Bolivia, l¹intelligence statunitense segnala sempre più
numerosi avvistamenti di terroristi islamici. Questa la situazione generale.
Attendiamo con preoccupazione i risvolti.


*Giovanna Vitrano, giornalista e ricercatrice indipendente curato diverse
inchieste e dossier su politica, società e ambiente del continente
latinoamericano, è tra i fondatori dell'Osservatorio Selvas.org.
E-mail: giovitrano@libero.it


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