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ECUADOR: Reportage da Quito -I ndigeni in marcia



Dall'Ecuador - Quito: Tancredi Tarantino per Selvas.org
(http://www.selvas.org/newsEC0204.html)

Al via le mobilitazioni indigene indette contro "la politica del terrore
instaurata dal Governo Gutierrez". Strade bloccate, marce ed assemblee hanno
caratterizzato la prima giornata di manifestazioni, mentre duri scontri si
sono registrati nella provincia dell'Azuay.
E per i prossimi giorni gli indigeni promettono una intensificazione delle
proteste.

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INDIGENI IN MARCIA
"por la paz y por la vida"

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Quito
17/02/2004

Blocchi stradali, marce e duri scontri hanno caratterizzato il primo giorno
di mobilitazioni, indette in tutto il Paese dal movimento indigeno "per
contrastare la politica di persecuzione, crimine ed impunitá che pretende
instaurare il Governo di Lucio Gutierrez".
La partecipazione é stata cospicua soprattutto nella provincia di Cotopaxi,
al sud di Quito, dove alle manifestazioni di carattere nazionale si é
aggiunto uno sciopero generale e dalla durata indefinita contro la politica
locale del Governo Gutierrez. Le vie e le piazze del capoluogo Latacunga
sono state attraversate, durante l'intera giornata del lunedí, da decine di
migliaia di indigeni, contadini, lavoratori del settore elettrico, studenti
e professori. I principali mercati della provincia, cosí come le scuole e
gli esercizi commerciali, sono rimasti chiusi, mentre la Panamericana,
principale arteria di collegamento del Paese, é stata bloccata in piú punti,
paralizzando il traffico interprovinciale.

Scontri nel cantone Nabón

Duri scontri hanno invece caratterizzato la provincia di Azuay, nel sud
dell'Ecuador. Quando sembrava, infatti, che la prima giornata di
mobilitazione nazionale stesse per concludersi in assoluta tranquillitá,
circa 2 mila manifestanti, appartenenti alla Unione delle Comunitá Indigene
dell'Azuay (UCIA), hanno subito una dura repressione da parte dell'Esercito
mentre si accingevano a bloccare le principali vie di comunicazione del
cantone Nabón. Quattro manifestanti, tra cui una donna di 69 anni, sono
rimasti gravemente feriti da colpi di arma da fuoco sparati dalle Forze
Armate, mentre altri sedici sono stati arrestati. Di questo ennesimo atto
delittivo nei confronti del movimento indigeno, Leonidas Iza, presidente
della CONAIE, e Gilberto Talahua, coordinatore di Pachakutik, hanno
responsabilizzato direttamente il "Governo repressivo del presidente
Gutierrez che, attraverso questa politica del terrore, rappresenta un
pericolo per la democrazia". Il leader dell'ECUARUNARI, Humberto Cholango,
ha invece affermato che quanto accaduto nella provincia di Azuay costituisce
un ulteriore motivo per "continuare con le mobilitazioni fin quando questo
Presidente incapace non rinunci al suo mandato". Ma le critiche piú dure
sono giunte da padre Francisco Jara, Vicario del cantone Nabón, secondo il
quale il Paese é attualmente vittima di una vera e propria dittatura
militare. In una intervista rilasciata a Radio La Luna, il sacerdote ha
confermato quanto accaduto nel corso delle manifestazioni del lunedí,
denunciando il comportamento autoritario delle Forza Armate, "che non solo
hanno sparato sui manifestanti, ma hanno anche lanciato bombe lacrimogene ed
incendiato grandi appezzamenti di terra coltivata con l'obiettivo di
ingabbiare la gente e catturarla". "L'Ecuador di Lucio Gutierrez - ha
concluso padre Jara - é caratterizzato da una dittatura militare in cui i
militari sono coloro i quali comandano, ed i militari sono brutali".



Il bilancio della prima giornata

Nel resto del Paese, alle marce "per la vita, in difesa della democrazia,
della sovranitá popolare e della pace", si sono aggiunti assemblee e blocchi
stradali che hanno reso impossibile il collegamento della capitale Quito con
le province andine del nord e del sud, senza peró impedire il normale
svolgimento delle principali attivitá della regione.
Al termine della prima giornata di mobilitazioni, gli organizzatori si sono
dichiarati soddisfatti della riuscita delle manifestazioni e ne hanno
rivendicato il carattere simbolico. Quello di lunedí, dice Leonidas Iza,
"non é l'inizio di un levantamiento. É soltanto un segnale, l'ultimo, che
abbiamo voluto inviare al presidente Lucio Gutierrez, contro la politica del
terrore e della repressione che si sta attuando".

Cause della mobilitazione

Nelle ultime settimane, infatti, il Paese é stato teatro di un innalzamento
del livello di scontro sociale a causa di una serie di attentati ed
intimidazioni ai danni di funzionari dello Stato, leader indigeni,
giornalisti e deputati che, a detta del movimento indigeno, va inserita
all'interno di una politica repressiva attuata dal Governo nei confronti dei
suoi oppositori.

Ma questa spirale di terrore e violenza, in cui sembra essere piombato
l'Ecuador, rappresenta soltanto un aspetto delle motivazioni che hanno
spinto, da lunedí, migliaia di indigeni a scendere nuovamente in strada dopo
alcuni mesi di tregua. Forte rimane infatti il dissenso nei confronti della
politica economica e sociale attuata da Lucio Gutierrez in questo primo anno
di Governo. In particolare, ad essere oggetto di critiche da parte del
movimento indigeno sono l'avvicinamento del "coronel" Gutierrez alla
politica degli Stati Uniti in relazione all'ALCA e alla liberalizzazione del
commercio, l'involucramento del Paese nel Plan Colombia, la politica
petrolifera a danno delle ancestrali comunitá indigene dell'Amazzonia
ecuadoriana, la sottomissione della politica economica ecuadoriana alle
ricette del Fmi con tagli alla spesa sociale e tentativi di privatizzazione
nella fornitura di servizi di base, quali acqua, luce e gas.

Di fronte ai molteplici fronti di scontro in relazione alle scelte
politiche, economiche e sociali dell'attuale governo, e nonostante la
recente apertura del movimento indigeno che, prima dei fatti del cantone
Nabón, si era detto pronto a dialogare con il Governo, i margini per un
superamento della crisi appaiono adesso davvero ristretti. E giá a partire
da oggi, promettono i vertici delle organizzazioni indigene, le proteste si
intensificheranno in tutto il Paese, rendendo sempre piú concreta la
possibilitá di un nuovo levantamiento che vorrebbe dire la fine del quinto
Governo ecuadoriano in cinque anni.


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