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HAITI: Una tragedia che è un'accusa



http://www.ilmanifesto.it/oggi/art53.html

MAURIZIO MATTEUZZI
Haiti, la Haiti cherie, la «perla» (francese) delle Antille, il
paese-simbolo della barbarie schiavista su cui è nato il mondo moderno (noi,
l'Occidente) e il paese-simbolo del riscatto degli antichi schiavi africani,
la prima repubblica nera indipendente del mondo, è un atto di accusa. Contro
quello che si usava chiamare il Terzo mondo ma anche, e forse ancor di più,
contro di noi, Primo mondo. Qualche giorno fa, il primo gennaio, Haiti ha
celebrato il bicentenario della rivolta degli schiavi che sull'onda della
rivoluzione francese portò Toussaint Louverture a sancire l'abolizione della
schiavitù e a proclamare l'indipendenza. Ma quella che doveva essere un
anniversario di festa e di orgoglio, è stato un giorno di lutto. Di violenza
e di lutto. Come tutti gli altri nella storia tormentata di quel paese.

Il presidente Jean-Bertrand Aristide, che tante speranze di riscatto aveva
sollevato nel 1990 quando fu eletto per la prima volta presidente della
repubblica, si è rivelato un disastro per il suo popolo. Il piccolo
salesiano che divenne famoso come il «prete delle bidonville», che parlava
il creolo del popolo e l'antico ebraico della bibbia, si è trasformato in
uno dei tanti satrapi di cui la storia dei paesi del Terzo mondo è fin
troppo ricca. Oggi, non più prete, vive barricato con la sua famiglia nel
suo lussuoso palazzo presidenziale, si sposta solo in elicottero, si
appoggia a bande che poco hanno di politico e molto di gangsterismo, si è
tagliato fuori da quel popolo che un tempo diceva di voler riscattare dopo i
trent'anni di orrori duvalieristi e i successivi rigurgiti militari.

La società civile - se c'è qualcosa del genere in una situazione così
disperata - è contro di lui. Ne chiede le dimissioni. Le manifestazioni
politiche dell'opposizione sono stroncate con metodi brutali. Haiti è ancora
e sempre il paese più povero dell'America latina, almeno l'80% dei suoi 8
milioni di abitanti sono soffocati da una povertà paurosa, il 5% ha l'Aids.
Di fronte a tanto autoritarismo egomaniaco, a tanta violenza, a tanta
corruzione gli orhanismi internazionali - a cominciare dalle agenzie
dell'Onu - hanno tagliato gli aiuti. Idem i paesi sponsor di Haiti - la
Francia ma soprattutto gli Stati uniti. Il segretario di stato Colin Powell
si dice «preoccupato».

I vescovi della chiesa cattolica, in novembre, hanno provato una mediazione
proponendo un consiglio provvisorio di 9 persone scelto dalla corte suprema
fra i partiti politici e la società civile, per affiancare Aristide - che
dice di voler restare alla presidenza fino alla sua scadenza naturale del
2006 - e preparare nuove elezioni sotto supervisione internazionale.
Aristide sembra avere accettato l'idea ma l'opposizione vi si oppone -
finora - e pretende le sue dimissioni. La situazione si farà ancor più
critica nei prossimi giorni quando scadrà il mandato di tutti i deputati
della Camera e dei due terzi dei senatori. Le elezioni parlamentari del 2001
furono già boicottate dall'opposizione e queste si avviano sulla stessa
strada.

Su Haiti sembra gravare una maledizione che appare in sintonia con i tempi
che corrono, per cui i mostri generati dalle lotte di indipendenza fanno
dire a molti che quelle lotte non hanno più legittimità o spazio e che, in
tempi di globalizzazione, un imperialismo «benevolente» (o no),
«democratico» (o no) è meglio che dare corda agli indigeni.

Ma anche per Haiti e il suo Aristide non si tratta di una maledizione divina
o genetica. Aristide - si può e di deve ricordarlo - entrò in carica la
prima volta il 7 febbraio del `91 e fu rovesciato da un golpe militare
incoraggiato dagli Usa nel settembre successivo. Si esiliò negli Stati uniti
e tornò nell'ottobre del '94 sulle spalle dei marines mandati da Clinton,
ansioso di dimostrare la forza imperiosa della democrazia. Può darsi che le
cose sarebbero andate nello stesso modo disastroso. Ma in fin dei conti
Haiti è sempre stata una colonia nordamericana. E, come dimostra la storia,
i campioni mondiali della democrazia che siedono a Washington non hanno mai
storto la bocca di fronte a dittatori e dittatorelli nel cortile di casa.
Finché gli sono tornati utili. Anzi.