«La prima tappa del nostro governo era innanzitutto quella di ridare
stabilità al sistema. Non c’era fiducia nel paese né all’estero né all’interno.
Oggi, sei mesi dopo, l’inflazione è al 7,5% all’anno e gli indicatori economici
stanno tornando positivi. Si può già tentare di adottare una politica di
crescita».
Questo ha rallentato la realizzazione del vostro ambizioso progetto di
rinnovamento sociale, attirando le prime critiche dei settori che vi avevano
appoggiato?
«Ovviamente, i danni che sono stati prodotti in dieci anni non potranno
essere sanati né in dieci giorni, né in dieci mesi. Ci sono i primi risultati
economici, ma si vedono anche i primi segnali politici. È tornata una certa
governabilità e si sente una forte partecipazione sociale».
Una partecipazione che ha portato anche al primo sciopero contro il
vostro governo?
«C’è stata la protesta di alcuni settori dell’amministrazione pubblica.
Ma almeno la metà dei ministri ha un passato da sindacalista. Uno sciopero non è
un problema, anzi fa parte della vita democratica. Quella che è cambiata è
l’attitudine verso i movimenti sociali, ora improntata al rispetto e alla
negoziazione. Il giorno dello sciopero i rappresentanti dei lavoratori sono
stati ricevuti dal presidente Lula. Qualche anno fa, i sindaci di molte città
del Brasile sono andati nella capitale per incontrare il governo, ma ad
attenderli hanno trovato la polizia con i cani».
Lula però, qualche giorno fa, ha minacciato sanzioni per il movimento
dei Sem Terra (i contadini senza terra) in caso di altre occupazioni di
proprietà.
«Intanto li ha accolti a Brasilia, suscitando lo sdegno della destra
che li ha sempre criminalizzati come terroristi. È chiaro che loro si aspettano
prima possibile la riforma agraria, e noi la faremo più velocemente possibile,
ma sanno anche che quello che abbiamo fatto sinora è molto di più di quello che
c’era».
E in politica estera?
«La nostra politica estera ha una dimensione nuova. Siamo nati dai
movimenti, siamo quelli di Porto Alegre, quindi dialogo nel rispetto
dell’indipendenza. Ci sono nel governo due ministeri, uno che ha i rapporti con
le istituzioni e i partiti, e un altro per mantenere un rapporto stabile con i
movimenti. Il governo non riceve soltanto ma cerca anche spesso l’apporto e le
idee discutendo non solo le rivendicazioni della società civile, ma anche
proposte e la creatività politica. Vorremmo mantenere questo approccio anche
all’estero. Qui ho incontrato le tre confederazioni sindacali e il Forum del
terzo settore: non è per fare propaganda, ma è un lavoro di scambio per ricevere
suggerimenti e analisi. Sicuramente ci saranno nostri rappresentanti al Forum
europeo di Parigi e a quello mondiale che per la prima volta lascerà il Brasile
per tenersi a Bombay».
E il rapporto con gli Usa?
«Anche lì, le molte attese hanno contribuito a far interpretare male
alcune nostre scelte. Negli incontri con Bush, ad esempio, Lula ha mantenuto la
posizione di sempre. Non siamo contrari per principio ad una integrazione tra le
tre Americhe, ma solo se si realizza in condizioni di parità. E con gli Stati
Uniti adesso non è così. I 10 principali prodotti che importiamo da loro hanno
una tassazione del 12,5%, i 10 principali prodotti che gli Usa importano da noi
ne hannouna del 42,5%. Poi vogliono lasciare fuori dal negoziato 300 prodotti
considerati “sensibili”, ma sono esattamente quei beni su cui noi riusciamo ad
essere competitivi».