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Ribelli nel Cochabamba



http://www.ilmanifesto.it/oggi/art53.html
Sulle Ande della Bolivia dove si coltiva la coca e si lotta per l'acqua
GIUSEPPINA CIUFFREDA
DI RITORNO DALLA BOLIVIA
Sarà l'energia particolare delle Ande o quella della coca qui rigogliosa a
fare del Cochabamba una terra di ribelli. Speciale per la sua natura
ammaliante, la regione è infatti l'epicentro dei movimenti sociali indigeni
che nello scorso febbraio hanno messo in crisi il governo del presidente
Gonzalo Sanchez de Lozada, detto «Goni»: qui è nata infatti la Coordinadora
del agua y la vida, che ha vinto la battaglia contro la privatizzazione
dell'acqua, e anche la Federazione dei cocaleros, i contadini che da anni
resistono alla eradicazione della pianta della coca. In Bolivia la coca
viene coltivata in due zone: nelleYoungas vicino La Paz e nel Chapare, una
delle provincie del dipartimento di Cochabamba, dove vivono 45mila famiglie,
sei figli di media. E' qui che si è concentrata la politica di eradicazione.
La regione è oggi un territorio militarizzato e il confine è sorvegliato
dall'esercito e dai cani addestrati. Passato il varco, si viaggia attraverso
un paesaggio andino denso di foreste tropicali con ampie zone ancora
vergini, un bellezza che contrasta con il degrado e la sporcizia delle
costruzioni. L'85 per cento della popolazione è indigena e coltiva da sempre
la coca di cui mastica le foglie essiccate. La Bolivia è diventata uno dei
lati del triangolo mondiale della droga insieme a Perù e Colombia solo dagli
anni Settanta. La coca infatti non è cocaina da sniffare (lo è il cloridrato
di cocaina, preparato industriale elaborato a partire dal principio attivo
della coca) ma una pianta officinale con molte proprietà.

«La coca è sacra per noi popoli andini come per voi cristiani è la Bibbia.
Può dare una conoscenza profonda ed aiuta nel lavoro fisico». Chi parla è
Marcelo, un piccolo indio gobbo dal volto sereno. E' stato colpito dal
fulmine, letteralmente, ed è diventato sciamano. Ricorda che gli spagnoli
costrinsero gli indigeni nelle miniere e solo alcuni sopravvissero grazie
alle sacre foglie. Perché la coca, narra la leggenda, è un regalo di una Dea
vergine che la donò agli Incas insieme alla quinea, un cereale: la coca per
allieviare la pena e, per sfamare il popolo, la quinea, un alimento completo
che un'impresa Usa ha tentato di brevettare. Sono i bianchi a mutare la
natura della pianta, e Marcelo ricorda un'antica profezia: «...quando il
bianco vorrà fare lo stesso e oserà utilizzare come voi queste foglie, gli
succederà tutto il contrario: il suo succo che per voi è forza e vita, per i
vostri padroni sarà vizio ripugnante e degeneratore, e mentre per voi indios
sarà un alimento quasi spirituale a loro causerà stupidità e pazzia».

A Lauca Ñ una località vicina al villaggio di Chimorè, a metà aprile si
riunisce lo stato maggiore dei cocaleros, 284 delegati delle federazioni.
Sono presenti anche due deputati del Mas, Jorge Ledezma e Louis Salva, e i
massimi dirigenti contadini del Chapare: Feliciano Mamani e Leonida Zurita.
Le denunce delle violenze subite dall'esercito e dalle Umopar, le forze
speciali antidroga attive dal 1988, veri e propri racconti di amarezza, si
alternano a dichiarazioni politiche e di mobilitazione. «Non c'è giustizia
per i poveri» è la frase più usata, in castigliano e in quechua, e anche «Ci
trattano come animali». Nessun processo è stato iniziato infatti contro i
militari che hanno ucciso o mutilato durante le proteste che si sono
susseguite nei diciotto anni di resistenza (33 i morti e 200 i feriti
soltanto nella sollevazione antitasse dello scorso febbraio). Ad Epifania
hanno ucciso il marito, Josè non può più lavorare. Efrain ricorda il
fratello, studente di ingegneria, per il quale i genitori avevano fatto
sacrifici enormi. Esteban Garcia ha la faccia deturpata, la mandibola
fracassata da un proiettile (verrà operato in Italia, grazie
all'interessamento dell'ospedale Giovanni Bosco di Torino e del deputato
verde Mauro Bulgarelli, che ha partecipato a una carovana italiana di
solidarietà con gli indigeni e i contadini della Bolivia organizzata dalla
Federazione dei Verdi e da una serie di associazioni tra cui Ya Basta, Beati
i costruttori di Pace, Rayos del Sol e Carta). Fructuoso Erbas è stato
colpito a terra, mentre portava in strada caschi di banane invendute ed ha
una gamba tagliata. Affermano tutti che l'eradicazione forzata li lascia
senza reddito e le altre colture suggerite - banane, mandarini, arance - non
funzionano perché non c'è mercato: a Chimoré un casco di banane viene
svenduto per meno di due boliviani, circa 25 centesimi di euro. Gli aiuti -
35 milioni di dollari in cinque anni da Usa e Ue - non varcano il confine.

I contadini vogliono continuare la coltura della coca, mezzo ettaro a
famiglia, per l'uso tradizionale, per farne tè (mate) e per nuovi possibili
sbocchi, come cosmetici e farmaci, e chiedono al governo una pausa
nell'eradicazione, il ritiro dell'esercito, delle forze speciali e della Dea
americana. Per Leonida Zurita la distruzione della coca è una falsa lotta al
narcotraffico perché i trafficanti non sono i contadini, ma si trovano nelle
alte sfere del potere locale e negli Stati Uniti. E ricorda le otto
tonnellate di cocaina trovate in una caserma e connesse al genero dell'ex
presidente Banzer, il neo fascista italiano Deodato. Ma, lamenta, gli alti
livelli non vengono mai toccati. Una successiva visita nel carcere San
Sebastian a La Paz, dove sono detenuti donne e uomini condannati sulla base
della legge antidroga 1008, lo conferma: nessun «pezzo grosso», solo piccoli
spacciatori e manovalanza varia. Oppure scattano operazioni sconcertanti,
come il recente arresto a La Paz, a casa di un deputato del Mas, del
colombiano Francisco Cortez, «Pachito», indicato come dirigente delle Farc,
una delle guerriglie colombiane, in missione tra i cocaleros. Ma Pachito è
un noto leader nazionale del sindacato dei contadini colombiani, l'Anuc,
associato a Via Campesina, e per la sua liberazione ha lanciato un appello
urgente il Collettivo degli avvocati, prestigioso gruppo di Bogotà guidato
da Alirio Uribe, vice presidente della Federazione mondiale dei diritti
dell'uomo.

Degli alti livelli intoccabili fa parte anche la Coca Cola. La
multinazionale ha sempre negato di utilizzare la coca, ma un recente
articolo di Narconews cita il sottosegretario boliviano Ernesto Justiniano,
che afferma di aver autorizzato l'esportazione di 159 tonnellate di coca
verso gli Stati uniti «per la produzione della bevanda Coca Cola».
L'ingiustizia nel trattamento, che ha stimolato lo slogan Eradicare la Coca
Cola, le condizioni di lavoro e l'essere di fatto uno dei simboli degli
Stati Uniti, accusati di aver fomentato anche una serie di golpe nel paese,
ha fatto sì che a febbraio durante la sollevazione contro l'aumento delle
tasse, proprio davanti allo stabilimento della Coca Cola di El Alto, a La
Paz, si siano radunate quattromila persone. Che sono state prese a fucilate
la mattina da cecchini appostati sui tetti della fabbrica, e nel pomeriggio
dieci minuti dopo che un elicottero delle forze aeree boliviane vi era
atterrato. Sette i morti tra cui Titu Intipampacau, un giovane studente. Il
racconto è del parroco, padre William, e di Julia, la sorella di Titu.

Ma le rivendicazioni non si fermano alla coca. I cocaleros lanciano infatti
una piattaforma economica fondata sulla giustizia e sulla sovranità
nazionale per soddisfare i bisogni fondamentali di una popolazione esigua,
otto milioni di abitanti sparsi su un territorio vasto e ricco di risorse,
che vive per il 70 per cento sotto la soglia di povertà.

Indigeni e coca li troviamo anche a Cochabamba città, il capoluogo della
regione. E'il terzo anniversario della «Guerra dell'acqua» e nella piazza
principale si ricorda l'evento anche con una cerimonia che distribuisce
foglie di coca, da masticare insieme. La comunione indigena è accompagnata
da comizi politici estemporanei in cui si cimentano i giovani. La vicenda è
nota perchè è la prima vittoria al mondo di una popolazione contro una
multinazionale, la International Water Holdings (di proprietà della
statunitense Bechtel e dell'italiana Edison), che avrebbe dovuto gestire per
40 anni la fornitura di acqua nel Cochabamba attraverso il consorzio Aguas
del Tunari. La rivolta è scoppiata dopo l'aumento delle tariffe del 200-300
per cento e la decisione di abolire gli usi civici. In Cochabamba infatti
viene ancora utilizzato lo straordinario sistema idrico creato dagli Incas
che forniva l'acqua delle Ande a tutto l'impero. Le comunità contribuivano
alla costruzione e alla manutenzione. Un sapere che ha resistito agli
spagnoli e alle dittature.

Le decisioni della Coordinadora sono state prese nel salone dove oggi si
commemora la battaglia. Un video mostra gli scontri nelle strade con
l'esercito, protagonisti i giovani. Victor Hugo Dassa, 17 anni, muore ucciso
da franchi tiratori. Richard Ledezma, studente di medicina, viene ferito
alla testa in modo tale che solo oggi sta cominciando a reimparare
faticosamente l'alfabeto. Juan racconta della gente, tantissima, che in
strada ballava e cantava. Ramiro critica il consumismo e afferma che chi
sceglie di lottare deve essere disposto anche a cambiare qualcosa nella
propria vita. Presiede l'incontro Oscar Olivera, leader riconosciuto della
Coordinadora, anche se preferisce definirsi «uno dei tanti che hanno
lottato», che sottolinea il carattere profondamente democratico della
sollevazione. Ora la Coordinadora deve affrontare il ricorso presentato
dalla multinazionale, che pretende 25 milioni di dollari per profitti
mancati, ma non è sola perché ben 300 associazioni di 50 paesi sostengono la
sua difesa.