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Caso Mohammad, Amnesty accusa l'Italia: «Ha messo a rischio la vita di sei persone»



di Maristella Iervasi http://www.unita.it

 È stato strappato dalle braccia di sua moglie e dei suoi quattro bambini.
Ed è scomparso. Una mancanza di notizie che allarma le organizzazioni
umanitarie, perchè Mohammad Said Al-Sahri rispedito con imperdonabile
leggerezza dall'Italia nel paese dove è condannato a morte, la Siria, è oggi
in "incommunicado". Termine che significa che nessuno può avere informazioni
sul luogo, sulle condizioni e sullo stato di salute del detenuto. Nel più
recente rapporto di Amnesty International sulla Siria si legge che
«...migliaia di prigionieri politici, compresi i prigionieri di coscienza
sono in carcere, la maggior parte dopo processi iniqui tenutisi dinanzi alla
Corte di sicurezza suprema dello Stato e alle corti militari da campo.
Torture e maltrattamenti continuano ad essere perpretrate nei confronti dei
prigionieri politici, soprattutto durante le detenzioni in incommunicado». È
il caso di Al-Sahri, i cui drammatici aggiornamenti non lasciano presagire
nulla di buono: lui è scomparso; il più piccolo dei suoi quattro figli (2
anni) è ricoverato in ospedale. Mentre la moglie e gli altri tre bambini
sono in prigione, in un carcere di sicurezza dell'esercito nella città Hama.
Ma nel corso della serata, dopo una giornata di richieste di informazioni
provenienti da Roma, Londra, Parigi, Hayrtham Manna, il portavoce della
Commissione araba dei diritti dell'uomo ci comunica che è riuscito ad
ottenere notizie fresche sulla sorte dei sei membri della famiglia:
«Mohammad e suoi tre figli più grandi - rivela - sono sotto interrogatorio
nell'ex carcere dismesso di via Al Matar, nel distretto Meza di Damasco. Il
bambino di due anni con la sua mamma sono nell'ospedale di Hama».
Il presidente di Amnesty, Marco Bertotto, accusa l'Italia: «Ha esposto sei
persone al rischio di sparizione e tortura», spiega. «Per nessuna ragione l'
Italia avrebbe dovuto rimandare in Siria la famiglia di Mohammad -
sottolinea Bertotto -. Ogni giorno che passa, aumenta il rischio che una
grave violazione del diritto internazionale, quale quella compiuta dalle
nostre autorità, abbia conseguenze ancora più drammatiche». E mentre il
nostro governo si trincera dietro il silenzio e la Farnesina dice: «Non
possiamo confermare ne smentire nulla. L'ambasciata italiana a Damasco si è
mossa», il caso politico accaduto dall'aeroporto di Malpensa è arrivato all'
orecchio di Tony Blair. Al primo ministro britannico si sono rivolti le
Commissioni per i diritti umani nel mondo arabo di Parigi, Londra, Stoccolma
e della Svizzera, cogliendo l'occasione della visita del presidente siriano
Assad a Londra. Chiedono che si «investighi» sulla sorte di Mohammad
«deportato dalle autorità italiane con la sua famiglia a Damasco il
28/11/2002 e che rimane sino ad oggi in "incommunicado"». E ricordano a
Blair, nel loro appello, che la legge marziale imposta nel 1963 è ancora in
vigore e che al «potere senza limiti delle forze di sicurezza siriane si
deve la scomparsa di 17mila persone e di continui massacri ed esecuzioni di
massa nelle prigioni».
Intanto continuano le pressioni del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir)
per far tornare l'intera famiglia in Italia. Giovanni Conso ha dato mandato
ad uno studio legale specializzato di intervenire contro il governo italiano
per la drammatica vicenda accaduta allo scalo milanese di Malpensa, perchè
resta inverosimile che sei persone bloccate per cinque giorni consecutivi
(dal 23 al 28 novembre scorso) all'aereoporto non abbiano fatto capire in
qualche modo quale fosse il perchè del loro arrivo in Europa dall'Iraq:
presentare una domanda di asilo politico. Considerando anche che un parente
da Londra gli aveva tradotto la frase dall'arabo all'inglese "we are
 refugee" (siamo rifugiati). Mentre l'eurodeputato di Prc Giuseppe Di Lello
ha sollevato il "caso" all'Europarlamento, chiedendo al presidente Pat Cox
di intervenire presso le autorità italiane. Intervenendo in apertura della
sessione di dicembre, l'ex magistrato ha contestato la decisione di
rimandare in Siria Mohammed e la sua famiglia, ricordando in particolare che
sul capo dell'ingegnere siriano pende una condanna a morta emessa in Siria
nel 1982 in quanto oppositore del "Leone di Damasco".
Oggi i Ds alla Camera presentereanno un interropgazione a risposta immediata
(a firma Violante, Turco, Leoni, Innocenti e Folena) per sapere come sono
andati i fatti ed accertare eventuali responsabilità su quanto accaduto a
Malpensa, oltre che per chiedere quali passi l'esecutivo intende fare per
evitare la condanna a morte o altri atti che possono mettere in pericolo l'
incolumità fisica delle perone deportate in Siria. Il ministro Giuseppe
Pisanu dovrebbbe rispondere nel corso del question time di mercoledì.
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Nello

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possible