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Chavez, l'allegria su una polveriera
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Il Cile nel '73, il Venezuela di oggi: elite e classe media sono ormai corpo
a corpo con il presidente «bolivariano» Hugo Chavez. Un altro colpo di
stato? Costerà migliaia di vittime, ma gli Stati uniti non possono
permettersi un Fidel petrolifero nella regione
WALDEN BELLO
La realtà politica del Venezuela mi colpisce appena arrivo, come una folata
d'aria dei Caraibi a mezzogiorno. Una domanda amichevole al giovane
professionista venuto a prendermi all'aeroporto scatena un torrente di
accuse contro Chavez che termina solo quando mi deposita all'Hilton.
«Eravamo un paese tollerante» sostiene. «Adesso Chavez ha messo la classe
più bassa contro la classe media, i neri contro i bianchi. Certo, ci sono
alcuni che sono ricchi abusivamente, ma non è solo loro che Chavez ha preso
di mira. È gente come me. Sa, persone della classe media, con un
appartamento, due auto, magari una vacanza all'estero una volta all'anno.
Stia in guardia - mi avverte prima di andarsene - lei lo incontrerà domani
sera, e lui sa essere veramente seducente». Un secondo Bolivar?
Effettivamente sa esserlo. La sera dopo, a un ricevimento per i partecipanti
a una conferenza internazionale, Hugo Chavez, presidente della Repubblica
Bolivariana del Venezuela, è in gran forma, disarmante. Quando mi viene
presentato mi prende per mano, come per guidarmi nella danza filippina del
bambù "tinikling" che racconta di aver imparato in una visita di stato nelle
Filippine durante la presidenza Estrada. E più tardi, nel corso della
serata, affronta diffusamente gli argomenti più diversi: dal fatto di essere
stato salvato dai poveri e reinsediato nel palazzo presidenziale di
Miraflores durante il fallito colpo di stato dell'11-13 aprile, al suo sogno
di integrare le industrie petrolifere del Venezuela, del Brasile e di altri
paesi produttori di petrolio dell'America Latina.
Il buon umore di Chavez è notevole, dato che il Venezuela è sull'orlo della
guerra civile. In questo egli ricorda il suo eroe, Simon Bolivar, il grande
venezuelano che guidò la liberazione dell'America latina all'inizio del XIX
secolo, il quale si dice abbia conservato l'entusiasmo anche nel mezzo di
una difficilissima crisi politica e personale (...). Si dice che tra gli
"anti-chavisti" - di cui fanno parte l'élite, la classe media, la gerarchia
della Chiesa cattolica, i media e parte dell'esercito - stia covando un
secondo colpo di stato. Caracas è piena di voci, le date si rincorrono.
Gilberto Jimenez, un giovane sostenitore di Chavez, le liquida come il
prodotto della classe media che «spaventa se stessa». «È come quando si
parla dei `circoli bolivariani' che si starebbero armando» osserva,
riferendosi alle istituzioni di base che il popolo di Chavez ha istituito
nei barrios o quartieri popolari. «Non c'è niente di vero, ma se lo scrivono
l'un l'altro in messaggi e-mail, e subito la classe media parla di armarsi
essa stessa».
Il fallito colpo di stato Le divisioni di classe in questo paese si sono
mostrate al mondo come una brutta ferita durante gli eventi dei giorni 11-13
aprile (i fatti sono noti: una misteriosa sparatoria durante una
manifestazione anti-chavista, 18 morti, l'arresto di Chavez da parte di
militari ribelli, una giunta-lampo capeggiata dall'industriale Pedro
Carmona, poi militari fedeli a Chavez e migliaia di poveri delle baraccopoli
circondano Caracas e disperdono i golpisti). Ricordando gli eventi, Chavez
ci racconta durante la cena: «Il governo era debole, noi eravamo deboli, ma
nel momento del bisogno la gente è scesa in strada a salvarci». L'evento,
dice il sociologo peruviano Anibal Quijano, ha un significato che va oltre
il Venezuela, essendo «la prima vittoria delle masse, nelle Americhe e nel
mondo, da molto, molto tempo».
Dopo quarantott'ore Chavez è di nuovo al potere. (...) Ma il danno è fatto.
Molti governi europei e dell'America latina criticano gli Usa per aver
tollerato la defenestrazione di un governo eletto democraticamente. Per la
verità molti sospettano che gli Usa abbiano avuto un ruolo nel golpe. Due
ufficiali della marina Usa sarebbero stati visti con i leader del colpo di
stato a Fort Tiuna, la notte tra l'11 e il 12 aprile. Ma che gli Usa abbiano
o non abbiano avuto un ruolo in quei fatti, un qualche tipo di confronto
sociale era inevitabile.
Due nazioni, un paese Il Venezuela è uno dei paesi latino-americani con
maggiori divisioni di classe. Si calcola che l'80% delle persone vivano in
povertà, e secondo stime della Banca mondiale la quota di reddito nazionale
che va al 20% della popolazione più povera è solo del 3,7%, mentre quella
che va al 10% della popolazione più ricca è del 37%. I grandi differenziali
nella ricchezza erano in una certa misura mitigati durante gli anni ruggenti
dell'Opec, all'inizio degli anni `80, quando un po' dei soldi del petrolio
riuscivano ad arrivare anche in basso, in un paese che all'epoca era
conosciuto come «l'Arabia saudita dell'America latina». Ma con il crollo dei
prezzi del petrolio e l'avvio di un devastante programma di aggiustamento
strutturale, dalla metà degli anni `80 il Venezuela è entrato in una
costante crisi economica. «È stato incredibile» dice Neils Liberani, un
piccolo uomo d'affari. «Il reddito pro capite è sceso da quasi 2000 dollari
negli anni `80 ai 110 dollari odierni».
Il «Caricazo» del 1989, quando la gente dei barrios scese e ci furono degli
scontri nel centro e nei quartieri ricchi di Caracas per protestare contro
gli aumenti del prezzo del combustibile richiesti dal Fondo monetario
internazionale, si dice sia stato un evento determinante nell'evoluzione
politica di Chavez. Tre anni dopo, nel febbraio 1992, il giovane colonnello
idealista guidò in nome delle masse povere un fallito colpo di stato che
aveva assunto la forma di "sollevazione militare bolivariana".
Il golpe fallì, ma catapultò Chavez nel centro della politica venezuelana. E
quando si presentò alle presidenziali nel 1998 con una piattaforma che
consisteva nel mettere fine alla corruzione e alla subordinazione ai poteri
stranieri e cominciare una rivoluzione sociale, Chavez vinse comodamente,
con circa il 56% dei voti, con l'appoggio anche da settori della classe
media che ora sono suoi fieri oppositori.
Gli ultimi tre anni sono stati davvero rivoluzionari. Chavez ha fatto
passare una nuova costituzione che è stata approvata in un referendum
popolare. Ha formato una coalizione politica che ha ottenuto il controllo
sull'Assemblea nazionale. L'Assemblea ha approvato il famoso pacchetto di 49
provvedimenti legislativi tra cui una legge di riforma agraria, una legge
per proteggere i piccoli pescatori, e una legge che limita il ruolo del
settore privato nello sfruttamento delle vaste risorse petrolifere del
Venezuela. «Inizialmente nei media molte persone lo hanno criticato - dice
Jimenez - accusandolo di essere solo un demagogo con le sue promesse. Ma
quando lui ha cominciato a creare norme rivoluzionarie ed ad attuarle,
quelle stesse persone hanno cominciato a combatterlo».
In politica estera, le mosse di Chavez sono state altrettanto coraggiose. Ha
espresso ammirazione nei confronti di Fidel Castro. Ha rotto l'embargo
contro le visite di stato a Saddam Hussein. E ha giocato un ruolo chiave
nell'unire l'Opec per gestire la produzione di petrolio allo scopo di
stabilizzarne il prezzo. Queste scelte non lo hanno fatto benvolere dagli
Stati uniti. Per la verità, la politica estera di Chavez è incredibilmente
bolivariana. Non solo sogna un'industria petrolifera integrata a livello
regionale, ma parla anche di un'organizzazione per un trattato sud-atlantico
(South Atlantic Treaty Organization) che conterebbe tra i suoi membri solo
paesi dell'America latina e africani, e che dovrebbe servire a proteggere la
sicurezza comune dei paesi del Sud. Non ha nascosto il suo scetticismo sulla
proposta dell'amministrazione Bush dell'area di libero commercio delle
Americhe. I suoi collaboratori dicono che l'Alca in Venezuela non otterrebbe
la vittoria in un referendum.
Eppure Chavez ha i suoi critici anche a sinistra. Alcuni dicono che è troppo
aggressivo nello stile personale e troppo rapido nel bollare chi lo critica
legittimamente come "nemico del popolo". Altri dicono che egli è troppo
dipendente dal sostegno dei gruppi lealisti all'interno dell'esercito, e
questo sarà difficile da mantenere date le origini di gran parte dei suoi
ufficiali nella classe media. «Queste persone devono vivere tutti i giorni
in mezzo a gente della classe media che odia Chavez» dice un suo sostenitore
che ha chiesto l'anonimato. Altri ancora dicono che lui non è andato oltre
il populismo carismatico, per avere un programma ben articolato di
cambiamento. Come spiega Anibal Quijano, «il `chavismo' ha bisogno di essere
convertito rapidamente in un processo genuinamente democratico e liberato
dalla relazione mistica delle masse disperse e disorganizzate con un
caudillo dallo stile peculiare di Chavez». Alcuni dicono che, sebbene Chavez
e i suoi alleati abbiano cominciato a depersonalizzare e istituzionalizzare
la rivoluzione mediante la formazione dei circoli bolivariani, questo
risulta piuttosto tardivo.
Rivoluzione e Controrivoluzione Tardivo o no, il governo si sta muovendo per
organizzare il potere popolare. I circoli bolivariani sono visti come
istituzioni di auto-governo, a cui è conferita un'eccezionale autonomia
nella determinazione di progetti e priorità. «La gente deve smettere di
aspettare che il governo faccia le cose per loro. Devono cominciare a fare
da soli, con l'amministrazione locale in un ruolo di supporto» dice Freddie
Bernal, il sindaco del grande distretto a basso reddito Libertador e uno dei
collaboratori più fidati di Chavez.
La rivoluzione è reale, ma anche la controrivoluzione lo è. L'atmosfera di
alta tensione a Caracas ricorda quella di Santiago nel 1973, quando l'élite
e la classe media dimostravano nelle strade chiedendo la rimozione del
governo «dittatoriale» di Salvador Allende accusato di avere introdotto «la
politica dell'odio» in un paese un tempo pacifico. La retorica democratica è
la stessa ma allora come oggi, nel Cile del 1973 e nel Venezuela del 2002,
il problema della destra è che il leader rivoluzionario è stato eletto con
un voto popolare. Inoltre la costituzione rivoluzionaria è stata approvata
democraticamente. E le leggi che affrontano le ineguaglianze sociali sono
state approvate da un parlamento democratico.
Allora come oggi, la destra attua uno sciopero economico, tenendo fermi
centinaia di milioni di dollari di investimenti o portandoli off-shore,
peggiorando così la crisi economica che Chavez ha ereditato dalle precedenti
amministrazioni. Il dilemma della destra è che, se vuole riprendere il
controllo sul Venezuela, dovrà farlo passando sui cadaveri di migliaia di
persone povere. E sul cadavere di Chavez che, come vuole il suo ruolo, sta
giocando non solo per il presente ma per la storia. «L'errore che hanno
commesso l'11 aprile» pare abbia detto, «è di non avermi ucciso. Non lo
faranno di nuovo. E io sono pronto a morire piuttosto che tradire i nostri
princìpi bolivariani».
E gli Usa? Il dilemma degli oltranzisti che governano a Washington è che,
benché non ci sia un modo facile e "pulito" di liberarsi di un presidente
eletto democraticamente, essi non possono permettersi di avere un altro
Fidel Castro nella regione, specialmente un Fidel che regna in un paese che
è il secondo maggiore fornitore di petrolio agli Stati uniti.
Walden Bello è direttore esecutivo di Focuson the Global South, un programma
dell'Istituto di scienze sociali dell'universitàdi Chulalongkorn.
Recentemente si è recatoa Caracas per partecipare al lancio dellasezione
venezuelana del World Social Forum(Traduzione di Marina Impallomeni)