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Il caffè affonda l'America centrale



Prezzo al minimo storico a causa della sovrapproduzione. Chiude la metà dei
produttori dell'istmo
GIANNI BERETTAL http://www.ilmanifesto.it
a caduta del prezzo internazionale del caffè sta avendo effetti devastanti
in Centro America (Guatemala, Honduras, El Salvador, Nicaragua e Costa
Rica). Paesi che, sommati al Messico, forniscono quasi il 10% della
produzione mondiale (al quarto posto dopo Brasile, Vietnam e Colombia).
L'offerta sopravanza di un decimo la domanda dei paesi ricchi consumatori,
grazie a una guerra fra paesi poveri per collocare la maggior quantità
possibile del cosiddetto grano d'oro sul mercato internazionale. Fino al
1989 funzionava il sistema di quote governato in qualche modo
dall'Organizzazione internazionale del caffè (Oic, cui aderivano paesi
produttori e consumatori). Ma uno dei primi atti di George Bush padre alla
Casa bianca (erede della deregulation del suo predecessore Ronald Reagan) fu
di far saltare quell'accordo uscendo dalla Oic (da allora pressoché
inoperante). A nulla valse qualche anno dopo la nascita dell'Associazione
del paesi produttori di caffè (Appc, una sorte di Opec del caffè) per la sua
parziale rappresentatività e scarsa autorevolezza. Da allora ciclicamente si
producono alti e bassi nel prezzo alla borsa di New York, fino al minimo
storico attuale di 42 dollari il quintale oro (di 100 libbre).

A Città di Guatemala abbiamo incontrato Pedro Brol, il piu grande fra i
produttori privati di caffè: in vista della riunione della Appc di maggio,
il Brasile sta negoziando col Vietnam (invitato permanente ma non membro)
una riduzione della produzione; il Brasile si impegnerebbe così a tenere nei
magazzini per l'anno successivo un quarto del suo prossimo raccolto; e il
Vietnam a tagliare di un terzo le sue piantagioni; ma il mercato non ci
crede e il prezzo resta basso.

Pedro Brol (il cui nonno italiano Brollo emigrò da Treviso in Guatemala
all'inizio del secolo scorso), per ogni quintale oro di caffè, che gli costa
60 dollari produrre, ne riceve solo 41 dall'importatore, nonostante sia
stato premiato per la sua qualità arabica particolarmente elevata. «Ormai
quasi la metà degli altri produttori individuali guatemaltechi ha
abbandonato le sue piantagioni; io resisto perché ho mezzi propri e non
dipendo dai crediti delle banche; prevedo che potrò resistere sotto costo
ancora per il prossimo raccolto, ma poi...»

Pedro Brol (che era dalla parte dell'esercito durante il passato conflitto
guerrigliero, a difesa della propria azienda) non ha licenziato nessuno dei
suoi dipendenti (quattromila, di cui il 35% fissi e il resto stagionali); li
paga 32 quetzales al giorno (circa 4 dollari, poco piu del salario minimo di
legge); la sua piantagione di San Francisco Cotzal (1000 ettari
sull'altipiano indigeno Ixil per 30.000 quintali oro di caffè) deve restare
in perfetta efficienza; basterebbe infatti abbandonarla per un solo anno per
perdere tutto; e ci vorrebbero dai 6 agli 8 anni per ripristinarla. In
questa lotta di sopravvivenza, la metà dei produttori in tutto l'istmo
centramericano ha ormai chiuso: e centinaia di migliaia di contadini hanno
perso il loro lavoro. Se a questo si aggiunge la siccità, che pregiudica i
raccolti dei cosiddetti grani basici, si spiega la carestia che colpisce la
regione. «Dobbiamo fare in modo che gli Stati uniti rientrino nell'Oic»,
sentenzia Brol. Ed è quanto i caficultori centramericani hanno chiesto a
George Bush figlio nella sua recentissima visita a San Salvador; che almeno
li ha ascoltati, preoccupato per il nuovo disperato flusso di emigrazione
centramericana verso gli States. Del resto, a poco servirebbe l'accordo
stipulato in gennaio fra i paesi produttori per ridurre la produzione a
vantaggio della qualità, conclude Brol, riferendosi al passaggio dal caffè
tipo robusto a quello nettamente migliore di arabica, che alcuni paesi
produttori vorrebbero intraprendere (l' arabica, precisa Brol, ha bisogno di
alte quote e di pioggia, su cui pochi possono contare). Insomma,
servirebbero di nuovo meccanismi di regolazione per arginare lo strapotere
oligopolico delle multinazionali del settore. Se non fosse che, in questo
strano mercato, il costo della tazzina del caffè non risente minimamente
dello sprofondamento del prezzo internazionale (anzi, col passaggio all'euro
tendenzialmente è aumentata).

C'è un'eccezione, nella crisi di queste piccole economie di dolci (caffe,
zucchero, cacao, banane) centramericane: il caffè organico. Poco lontano
dall'azienda di Brol, a Chajul, il parroco Rosolino Bianchetti (originario
di Brescia) ha organizzato da una decina d'anni la cooperativa Val Vaq
Quyol, che riunisce centinaia di minuscoli produttori indigeni di caffè.
Fornisce la rete del commercio equo/solidale. Certo, una nicchia, pur in
espansione, che però non ha quasi risentito di questa feroce guerra fra
produttori di caffè del sud del mondo.


Nello

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possible

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