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Aggiornamento n.14 dall'Ecuador



AGGIORNAMENTO ECUADOR N.14

Hola Peacelink,
La scorsa settimana sono passato per Quito dove ho
incontrata l’economista Susana Chu Yep del Centro de
Derechos Economicos y Sociales CDES, che ha
partecipato al Genos Social Forum e mi ha raccontato
del viaggio del Senatore Verde Francesco Martone
(vecchio conoscitore dell’Ecuador dove ha documentato
lo storico leviantamento del 2000 come inviato
speciale del Manifesto) di cui vi allego questa sua
relazione che mi sembra particolarmente interessante.
Saluti latinoamericani
Cristiano morsolin
Ibarra (Ecuador), sabato 29 settembre 2001
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Morsolin Cristiano, e-mail: utopiamo@yahoo.it
Fundacion “CRISTO DE LA CALLE”, 
Calle Maldonado 14-119 y Guillermina Garcia , Ibarra -
Ecuador
Telefono (00593) 6.641056	 ( 7 ore di differenza
dall’Italia)
Directora: Claudia Ibadango, e-mail:
cristodelacalle@yahoo.com 
Telefono : (00593) 6.953955
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 “Mi poncho no es blindado, pero mi corazon si” “il
mio poncho non e’ blindato, ma lo e’ il mio cuore” sta
scritto su un muro dalle parti della Lizardo Garcia,
nel quartiere di Quito pieno di negozietti di
artigianato e di Internet Café’ per turisti di
passaggio. A ricordare forse la rivoluzione dei Poncho
e degli Elmetti del gennaio 2000 o la repressione
sanguinosa del levantamento seguente?  E poi macchie
di vernice nera, e spray che traccia scritte quasi
incomprensibili “cuIDado a la OCP”, “OCP= Olvidaron
Consulta Previa”, “Oro Nero muerte lenta”,  e cosi’
via. Tornare in Ecuador  un anno e mezzo dopo il
levantamiento del 21 gennaio 2001, e ritrovare un
paese in ginocchio. Attraversare l’Ecuador con ancora
negli occhi e nella mente le immagini del dramma di
Genova e l’odore nauseante dei gas lacrimogeni, le
pozze di sangue della scuola Diaz, l’incubo di
Bolzaneto, per riflettere, studiare, confrontarsi e
cercare conferme. Per meglio capire come per crescere
ed essere credibile il  movimento antiglobalizzazione
nel Nord del mondo dovra´necessariamente coniugarsi
con le mobilitazioni nel Sud, conoscerne le ragioni e
le proposte. Un Sud devastato dal debito estero e
dalla speculazione finanziaria e dal ruolo di
“lebensraum” di risorse strategiche, prima fra tutte
il petrolio, imposto dalle imprese multinazionali e
dal Fondo Monetario Internazionale. Un Sud succube
degli interessi dell’Impero,  di cui l’Ecuador sembra
essere l’icona, insieme agli altri paesi dell’America
Latina, Argentina in testa. Altro che  una
raffigurazione simbolica del Male , qui Wall Street,
Washington ed il Pentagono, sono i tre assi cartesiani
lungo i quali si muove forzatamente  il destino dei
popoli. Ed a ricordarcelo ogni momento e’ il nostro
portafoglio, non piu’ sucre nelle tasche dei cittadini
ecuadoriani, ma dollari, da cinque, da uno, pennies e
dime, perche’ per i pezzi piu’ grandi e’ difficile
avere il resto. Mi dicono che ai cittadini ecuadoriani
hanno dovuto fare un corso per riconoscere le faccione
dei padri dell’indipendenza americana. L’unica cosa
che e’ rimasta all’Ecuador, l’ultima briciola di una
delle prerogative della sovranita´di uno stato, quella
di battere moneta, e’ stata il conio di alcune
monetine, da mezzo dollaro o giu’ di li’. Chissa’ se
alle migliaia di Ecuadoriani emigrati venga  garantito
 il diritto di reciprocita´´, chissa´se mai quelle
monetine potranno essere usate negli States, magari
nelle slot machine di Las Vegas per cercare fortuna o
i soldi per pagarsi un viaggio di ritorno. 
Arrivo a Quito e subito balzano agli  occhi le grandi
contraddizioni e la forza micidiale della Trimurti del
neoliberismo. O meglio di una, la piu’  spietata, il
Fondo Monetario Internazionale. L’FMI, che, leggo sul
Manifesto, verra’ protetto con cura, come un pupo in
fasce,  da una muraglia di acciaio per permettere lo
svoglimento del prossimo Annual General Meeting a
Washington, poco ha potuto di fronte al pronunciamento
della Corte Costituzionale che ha dichiarato
incostituzionale l’aumento dell’IVA dal 12 al 14
percento, una delle condizioni poste dall’FMI per la
concessione , lo scorso aprile, di un prestito di
aiuto di 300 milioni di dollari  al paese. Come a dire
che tutta la retorica del buon governo, del rispetto
della legge che trasuda dai documenti ufficiali della
Banca mondiale e del Fondo Monetario Internazionale si
infrange contro la realta’ nuda e cruda: quello che
l’Fmi chiede di fare al governo ecuadoriano e’ contro
la costituzione del paese. Nientedimeno. Lasciando
aperto il campo ad un’ ipotetica grave crisi
istituzionale il presidente Noboa aveva dapprima
contraddetto il  pronunciamento del Tribunale
costituzionale. L’aumento dell’IVA, quel 2 percento,
che pagheranno soprattutto i piu’ poveri, sarebbe
servito  per pagare i debiti del paese. Va ricordato
che proprio grazie alla dollarizzazione il paese ha
visto un aumento delle importazioni del 64%,
soprattutto nei beni di maggior consumo. Proprio
quelli sui quali piu’ pesa l’IVA. Poi di fronte al
pericolo di una nuova ondata di scioperi, il 10
agosto, il giorno della Nazione, Noboa annuncia al
paese che l’IVA calera´ e che comunque il FMI non
cambiera’ la sua politica nei confronti del paese. 
Tanto a metterlo all’indice ci avrebbero pensato i ben
piu’ implacabili mercati finanziari, che, punzecchiati
dalle ricorrenti voci di dimissioni del ministro delle
finanze Jorge Gallardo, hanno sentenziato che il
rischio paese dell’Ecuador e’ aumentato proprio in
conseguenza della decisione del Tribunale 
Costituzionale. Gli analisti della Morgan Stanley 
hanno infatti dichiarato che “l’FMI vede l’aumento
dell’IVA come segnale fondamentale dell’impegno del
governo ecuadoriano per migliorare la sostenibilita’
dei conti nel medio termine...e pertanto crediamo che
l’FMI sara’ sempre piu’ frustrato dalla mancanza di
consenso nazionale sulle riforme in Ecuador”. E
comunque una volta accettato “obtorto collo” la
riduzione dell’IVA, il Presidente Noboa si e’
affrettato a chiarire che questo 2 percento in meno
significhera’ una riduzione ulteriore delle spese
sociali, ed un aumento dello sfruttamento petrolifero,
il nuovo vaso di Pandora, la cornucopia piena di oro
nero che dovrebbe salvare il paese. “Dopo aver
privatizzato il petrolio, privatizzeranno anche il
sole” diceva un attivista dei movimenti sociali nella
Cumbre Social riunitasi qui a Quito, nella Casa della
Cultura il 9 agosto scorso.  Gia’ si parla infatti di
vendere al  miglior offerente ed in anticipo i
giacimenti di petrolio del paese, di quello di
migliore qualita’. Solo che la costituzione dice che
le riserve naturali restano di proprieta’ dello stato
fintantoche’ sono sottoterra, e solo dopo essere
estratte possono essere di proprieta´delle imprese,
anche straniere.. Un dettaglio non di poco conto, per
un paese che ogni giorno corre sul filo del rasoio, e
che sguazza nelle zone d’ombra della legalita’ e della
costituzionalita’. Zone d’ombra nelle quali le ragioni
della politica intesa come servizio del pubblico
interesse e riaffermazione dei diritti fondamentali di
cittadinanza   cedono quotidianamente  il passo a
quelle del mercato. Lo stato di diritto sempre
ostaggio  del mercato. Come mi dice con disarmante 
serenita’ Susana Chu Yep, del CDES (Centro de Derechos
Economicos y Sociales) che ho rivisto dopo le giornate
di Genova: “ La regola del gioco in questo paese e’ di
essere al fuori delle regole del diritto e della
legge”.   
E quanto costerebbe la legalita’ costituzionale in
Ecuador, in caso la decisione di abbassare l’Iva
risultasse poco gradita ai mercati ? Il conto e’
presto fatto: 80 milioni di dollari in meno da parte
della Banca mondiale, 90 milioni in meno dalla Banca
Interamericana di Sviluppo, 50 dalla Corporacion
Andina de Fomento, e ben 104 in meno dal Fondo
Monetario. Internazionale. Un effetto domino che
potrebbe trascinare anche il negoziato con i creditori
del  Club di Parigi. 
Non e’ il caso di illudersi, l’Fmi certamente fara’
pagare con gli interessi la decisione del Tribunale
Costituzionale. Basta guardare alla vicina Argentina
per capire che non c’e’ nuovo corso , ne’ perestrojika
nelle stanze del Fondo Monetario, checche’ ne dicano i
nostri governanti e le pubblicazioni patinate di
propaganda. Di fronte ad un debito totale che supera
il 130 miliardi di dollari le condizioni poste
all’Argentina per il nuovo  pacchetto di salvataggio
di 8000  milioni di dollari , che si vanno ad
aggiungere ai precedenti per un totale di 22 miliardi
di dollari (negoziato da Horst Koehler con il vice
ministro dell’economia argentino – ironia della sorte
– Marx, e con l’amministrazione Bush e guarda caso con
 i ministri delle finanze del G8)  sono, di nuovo,
come sempre, la totale liberalizzazione dei settori
produttivi e la drastica riduzione delle spese sociali
(ma quanto ancora si puo’ raschiare il fondo?),
insieme ad un impegno di applicazione di politiche
neoliberiste per ben dieci anni. Ora vien da pensare
di nuovo alla retorica dell’FMI sulla democrazia ed il
rispetto della “rule of law”,  delle regole
fondamentali del diritto. Quale sistema democratico
pero’ potrebbe pero’ accettare un ipoteca di ben dieci
anni sul suo programma economico e finanziario? Quale
possibilita’ di alternanza di governo e di politica
economica e di sviluppo potrebbe esistere a tali
condizioni?  O forse ancora la politica, di nuovo, 
dovra’ accettare passivamente le ricette imposte da
altre istituzioni  ed essere solo un minuscolo
accessorio rispetto alle esigenze degli investitori
stranieri e delle imprese multinazionali? 
Torniamo all’Ecuador e mettiamo  un nuovo pezzo nel
complesso mosaico della crisi del paese, quello del
fallimento e della messa in liquidazione della Banca
Filanbanco,  un nuovo scandalo alla sudamericana, che
ha marcato un ulteriore grave colpo alla credibilita’
della Presidenza Noboa.. Filanbanco e’ solo l’ultima
delle banche fallite e salvate solo in parte
dall’intervento dello stato, utilizzando per questo
parte dei fondi concessi dall’FMI. La memoria storica
riporta che   il fallimento del Banco del Progreso, e
di altre istituzioni finanziarie, con il conseguente
congelamento dei conti fu uno dei prodromi del
levantamento del 21 gennaio 2000, che avrebbe portato
Noboa al potere. 
Solo che il Filanbanco gestiva e garantiva il 71%
delle operazioni di commercio estero del paese, ed era
di proprieta’ di una delle famiglie piu’ importanti
del paese, gli Isaias. E, ciligina sulla torta,
tramite il Filanbanco il governo tramite il Seguro
Social aveva depositato milioni di dollari  con gli
interessi dei quali pagava anche le pensioni, e non
solo. Ora il Filanbanco e’ in liquidazione, il
pagamento delle pensioni congelato, dopo che il
governo aveva emesso ben 300 milioni di dollari in
obbligazioni per cercare di salvarlo. Ben poca cosa di
fronte ad un deficit ipotizzato nell’ordine del
miliardo e mezzo circa di dollari. Anche un’ asta di
liquidazione ando’ deserta. Ed ora quel che resta e’
un indebitamento pubblico maggiore di 300 milioni di
dollari, gia’ perche’ quelle obbligazioni ora le
dovranno pagare non gli Isaias, ne’ i ministri del
governo Noboa, ma gli Ecuadoriani, come se non ne
avessero gia’ abbastanza. 
Sono qui  anche per capire meglio i dettagli essere
dell’accordo per la conversione del debito tra Italia
ed Ecuador. Me ne avevano gia’ parlato a Genova,
durante il Forum Andino prima del G8  e poi a Roma  
Suzana,  Menthor Sanchez  della CONAIE (Confederazione
delle Nazioni Indigene dell’Ecuador) e Monica Espinoza
della Campagna Jubileo 2000 Ecuador. 
I nuovi dettagli me li illustrano  Isa Giunta del
CRIC, ONG Italiana attiva da anni in Ecuador insieme a
Terranuova e ad altre 18,  l’Ambasciatore italiano a
Quito , Legnaioli e Nina Pacari, parlamentare indigena
del Movimento Pachatutik-Nuevo Pais. Per coloro che
pensassero che questa cosa della conversione del
debito, il “canje” lo chiamano qui, sia stata cosa
studiata a tavolino nei corridoi del ministero degli
Affari Esteri, vale la pena di ricordare che
nell’accordo siglato tra rappresentanti dei Popoli
indigeni e dei movimenti social del Paese ed il
governo Noboa, ed anche nella proposta della CONAIE
inviata lo scorso anno  al Club di Parigi  c’era
esplicitamente il riferimento a possibili “conversioni
del debito estero  in programmi di sviluppo nelle aree
piu’ povere del paese”. Il “canje” con l’Italia
permettera’ di condonare un totale di 87 milioni di
dollari di crediti di aiuto, che generano debito
concessionale. In cambio il governo dell’Ecuador
deposita 5 milioni di dollari l’anno per 5 anni in un
fondo di sviluppo. Nonostante sulla carta esistano 
garanzie sulla partecipazione della societa’ civile
ecuadoriana e sulla trasparenza, occorrera’ vigilare
attentamente in Ecuador ed in Italia affinche’ le
finalita’ del programma rispecchino le aspettative dei
movimenti sociali ecuadoriani. Aspettative non di poco
conto: Blanca Chancoso e Antonio Vargas,
rispettivamente responsabile esteri e presidente della
CONAIE  vedono nel “canje” una soluzione momentanea
che possa permettere alle comunita’ locali di
partecipare a progetti di sviluppo, educazione,
recupero ambientale su piccola scala. Lo stesso dicasi
per  l’alcalde indigeno di Cotachachi, Auki Tituana,
che incontro nel suo ufficio, adornato di fotografie
di Che Guevara e Fidel Castro.  In odore di
candidatura per le prossime Presidenziali e fautore di
un programma di democrazia partecipativa e di sviluppo
locale basato sui precetti della morale indigena
Quichua, e dell’istituzione del primo cantone
ecologico del continente, Auki mi confida di sperare 
di poter vedere nel “canje”, uno strumento per la
messa in atto di progetti innovativi su piccola scala.
Ma tutti sono d’accordo: il “canje”  non e’ la
soluzione definitiva al problema del debito. Me lo
spiega bene e con passione Alberto Acosta,  esperto di
debito dell’ILDIS e tra i promotori di ATTAC Ecuador:
“Qua bisogna trovare una soluzione organica e
definitiva al problema del debito. Queste sono solo
soluzioni tampone che non cambiano l’essenza del
problema. Bisogna partire dalla definizione di un
nuovo diritto finanziario internazionale e poi
ribaltare i rapporti di forza. Lanciare cioe’ un
modello di negoziato sul debito che sia equo e
trasparente, una sorta di processo di mediazione o
arbitrato internazionale”. Anche Nina Pacari, nella
sua stanza al terzo piano del Palazzo del Congresso, 
e’ d’accordo.  Fa riferimento alla legge italiana
sulla cancellazione del debito ed al possibile ricorso
alla Corte Internazionale diGiustizia dell’Aia per un
pronunciamento sulla illeggittimita’ del debito
estero. Ancora diritto quindi, pero’ stavolta dalla
parte giusta. E proprio per questo si annunciano nel
continente sudamericano una serie di azioni legali e
di tribunali nazionali ed internazionali sul debito
estero. 
Ci provano gli attivisti, gli esperti, gli indigeni a
rielaborare, a rafforzare i concetti fondamentali del
diritto, i DESC,  i Derechos Economicos y Sociales.
Pero’ l’impressione e’ che questa costruzione faticosa
e costante, sia simile ad un castello di sabbia sulla
riva di un mare impetuoso, ad un novello Mito di
Sisifo, che ti riporta sempre all’inizio del percorso.

E’ sempre li’ il mantra del neoliberismo, a tentare di
azzerare questa sfida quotidiana. 
A quello che e’ stato gia’ detto mancano solo due
pezzi,   la liberalizzazione dei settori produttivi, e
la svendita delle risorse naturali, petrolio in testa.

Anche  queste due prescrizioni sono attuate con cura.
La prima,  la liberalizzazione del settore elettrico,
procede, nonostante le mobilitazioni dei sindacati e
dei movimenti sociali, a colpi di spot televisivi che
ne declamano i vantaggi per il paese. Spot che
tralasciano di sottolineare che una delle
multinazionali, americana ovviamente, che si sta
affacciando sul mercato, e’ la AES, gia’ prima cliente
della Banca mondiale. L’AES, un gigante del settore,
e´coinvolta un numerosi progetti ed affari sospetti,
non ultimo un caso di corruzione in Uganda per
convincere il governo nazionale ad andare avanti con
un progetto idroelettrico, quello di Bujagali, che
potrebbe godere dei benefici finanziari della Banca
mondiale stessa.  
Mentre la privatizzazione del settore delle
Telecomunicazioni procede un po’ piu’ a rilento,
stanno iniziando i lavori per la costruzione dell’OCP,
l’Oleoducto Crudo Pesado e procede il negoziato sulla
Decima Ronda Petrolera. 
Gli schizzi fenetici che disegna su un pezzo di carta
Fernando Villavicencio, gia’ conosciuto nel corso del
levantamento indigeno del gennaio 2000, attivo
sindacalista del settore petrolifero, ora
collaboratore del vicepresidente del Congresso, sempre
del Movimento Pachakutik, fanno impressione. Cerchi
concentrici a descrivere  le concessioni petrolifere
nell’Amazzonia Brasiliana, linee rette per spiegare
come l’Oleoducto Crudo Pesado nasconda una megatruffa
ai danni dello stato, attraverso la speculazione sul
prezzo del greggio pesante e di quello leggero, e poi
nomi, cognomi ed indirizzi dei politici coinvolti nel
saccheggio delle risorse petrolifere del paese. Uno
fra tutti Rene’ Ortiz, gia’ Ministro delle Miniere del
paese ora presidente dell’AGIP Ecuador, l’uomo che sta
dietro l’OCP, l’uomo dell’ex Presidente Mahuad, ora a
Boston dopo essere stato cacciato dal fermento dei
Poncho e degli Elmetti. L’OCP non servira’ solo a
trasportare il “crudo pesado” ma anche ad aprire la
strada allo sfruttamento di tutti i giacimenti
petroliferi dell’Oriente, su un’area di oltre 20
milioni di ettari di foresta amazzonica. Una riserva
di 700 milioni di barili di crudo pesado che – secondo
Fernando – proprio grazie all’OCP ed alla Ronda
Petrolera potrebbero svanire in 12 anni lasciando il
paese senza una delle principali fonti di entrata, e
facendo a pezzi il programma di dollarizzazione. Altra
bella ipoteca, stavolta non imposta dall’FMI, come nel
caso argentino, ma dalle imprese petrolifere. Tra le
mani mi capita anche un documento interno dell’SRI
(Servicio de Rentas Internas) del 2000: riporta
tabelle e cifre. Sono le cifre delle dichiarazioni
fiscali  delle imprese petrolifere straniere operanti
nel paese, Cerco l’AGIP Petroleum Ecuador Limited e
trovo una tabella dove sotto al nome IVA pagato in
ritenuta d’acconto ci sono solo zeri dal’anno 1995
all’anno 2000 e dove alla tabella imposta sul reddito
ci sono note al margine che dicono come nel 1995 1996
e 1998  l’ “impresa non presenti nella sua
dichiarazione movimenti che permettano la generazione
di base imponibile”,  nel 1997 non ci siano
dichiarazioni, e nel 1999 l’impresa abbia dichiarato
di essere in perdita. Anche leggendo l’annuario
pubblicato dall’autorevole rivista economica Gestion,
nel 2000 l’unica cmpagnia petrolifera ad aver avuto un
guadagno rilevante sembra essere la Oxy, mentre
nessun’altra compare nella lista delle prime 25
imprese a livello nazionale. Cosa piuttosto strana per
l’AGIP una impresa che e’ tra le piu’ attive del
paese, soprattutto nella regione amazzonica di
Pastaza. Una voce ricorrente tra gli attivisti dice
che l’AGIP abbia firmato un accordo con il popolo
Huaroani, che vivono nel Bloque 10 quello rilevato
dalla multinazionale ARCO, nel quale si dice
disponibile  a fare una serie di regali agli indigeni,
in cambio del loro impegno  a non avanzare alcuna
rivendicazione o iniziare alcuna azione legale in caso
di danni sociali o ambientali. 
Anche questa e’ storia quotidiana in Ecuador, dove sta
iniziando alla chetichella la campagna per le elezioni
presidenziali, con Alvaro Noboa, quello delle banane,
quello che sta sudando freddo per lo sciopero ad
oltranza dei trasportatori del settore, svende a
prezzi stracciati i fiocchi d’avena ai futuri elettori
(ma non funzionavano meglio le scarpe di Achille
Lauro?). Dove la nazionale di calcio non ha fatto uno
di quei miracoli che tanto sarebbero piaciuti   ad
Osvaldo Soriano o Darwin Pastorin, ed e’stata battuta
a Ferragosto  da uno splendido gol di Veron e da un
rigore di Crespo, incuranti del sole midiciale e
dell’altura di Quito. “Si’ se puede” gridavano i
50mila dello stadio Atahualpa di Quito. Dovranno
aspettare la prossima sfida per sapere se saranno
qualificati al prossimo sogno: i mondiali di calcio
del 2002. La frenesia del pallone che fa dimenticare 
tutto, come un buon bicchiere di “trago”, magari di
aguardiente colombiana, dal vago sapore di sambuca. Fa
dimenticare le  due creature, le “guaguite” neonate
soffocate in incubatrice dai gas lacrimogeni lanciati
all’interno dell’ospedale pediatrico di Quito  da un
criminale poliziotto durante la repressione dello
sciopero dei medici e paramedici. Due piccine che
nessuno si e’ azzardato a trasformare in martiri. O 
le fumigazioni di glicosato al confine con la
Colombia, che  secondo i militari  servono per
eradicare le colture di coca  e che invece stanno
avvelenando la terra e gli animi, in quello che i
dirigenti della CONAIE mi dicono somigli piu’ ad un
genocidio camuffato. Tanto per rinfrescare la memoria,
Accion Ecologica puntalizza che le fumigazioni sono
fatte con Roundup-Ultra (Monsanto se non erro), POEA e
cosmoflux, tutti cancerogeni in quantita’ ben 104
volte superiori a quelle permesse negli Stati Uniti,
nell’Imperio. Tutto questo in un paese  dove gli
amici, i compagni  di Accion Ecologica, della CONAIE,
dei movimenti sociali, sono oggetto di minacce di
morte da parte di una fantomatica formazione
paramilitare, la “Legion Blanca”, che e’ comparsa
sulla costa e promette di farsi giustizia da sola.
Forse in un eccesso di zelo hanno preso fin troppo
alla lettera   il Presidente Noboa che dichiara guerra
“trincea per trincea” a quei quattro “rompicoglioni”
che minacciano l’interesse del paese opponendosi
all’OCP, e che accusa le associazioni ambientaliste
internazionali di un complotto per togliere alla
sovranita’ ecuadoriana le isole Galapagos dove i leoni
marini e le fregate sono le ennesime vittime di questo
sistema impazzito. 
Un paese dal quale risultano sterili le polemiche
nostrane su Vertice NATO si’, Vertice FAO no, come
anche vacua la retorica complottarda o quella
pseudorivoluzionaria. Dove le giornate di Genova per
alcuni sono state solo uno sfogo esistenziale di
ragazzi del Nord ricco, per altri un pezzo di un
percorso di riappopriazione dei diritti di
cittadinanza globale. Dove profonde affondano le
radici ed evidenti sono le ragioni dell’impegno
globale contro il neoliberismo. Da dove per i
piu’Genova altro non e’ che la citta’ con la piu’
grande comunita’ di migranti ecuadoriani in Italia, di
parenti che si spera di poter raggiungere presto. E
dove le sparate “legaliste” di Bossi e del governo
Berlusconi sull’immigrazione  fanno venire i brividi a
tutti. Me compreso. 




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