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Dossier e crisi economica: Argentina nel caos



SCANDALI, INDAGINI USA, CONTI IN ROSSO. PRIMI LICENZIAMENTI NEL GOVERNO
OSCAR PIOVESAN
Buenos Aires. Un mese fa analizzando la crisi economica con compagni di
partito il neoministro dell'Economia Riccardo Lopez Murphy sentenziava: «La
crisi si dissolve con sangue, sudore e lacrime». Scenario che temono in
tanti ora che il presidente De La Rua l'ha messo al posto di Josè Luis
Machinea, che in 15 mesi non ha frenato al recessione (al terzo anno
consecutivo; nel 2000 il Pil ha perso lo 0,6%); né la disoccupazione (16%);
né le scadenze del debito estero (8,6 miliardi di dollari quest'anno).
Scetticismo tra gli argentin. Ma il capo di Stato, il neoministro e i guru
finanziari di Argentina e Wall Street si sono invece prodigati in ottimismo.
De La Rua e Murphy hanno anche assicurato: «La convertibilità uno a uno tra
il peso e il dollaro sarà mentenuta a tutti i costi». È il nocciolo della
questione argentina, in una competitività globalizzata in cui gli altri
Paesi emergenti hanno svalutato (in Brasile un dollaro vale due real). «Il
Paese - ha anticipato Daniel Artana, braccio destro di Murphy - è in pratica
uno Stato Usa che non può svalutare contro il dollaro e, se indebitato, deve
ridurre le spese dello Stato per poi diminuire le tasse».
È quello che farà Murphy, un ultraliberista che non è diventato ministro
dell'Economia (venne parcheggiato alla Difesa) all'inizio del mandato di De
La Rua perchè disse: «Bisogna ridurre del 10% i salari». Machinea ha ridotto
gli stipendi statali del 15%, ma ha aumentato le tasse. Risultati: la
ripresa economica è rimasta al palo e gli introiti fiscali fanno piangere.
Tanto che il Fondo monetario internazionale, dopo il rischio di default di
novembre, gli ha fornito in gennaio un «ombrello» da oltre 80 mila miliardi
di lire per pagare le scadenze del debito. Ma i capitali esteri - unica via
per mantenere il cambio fisso - non sono arrivati.
Non sono più gli anni Novanta. quando il presidente Carlos Menem ha
sfruttato le privatizzazioni incassando miliardi di dollari e gli
imprenditori esteri hanno fatto man bassa di imprese locali. Non c'è più
niente da vendere. In febbraio poi ci ha messo lo zampino il Senato Usa: un
comitato presideuto dal senatore Carl Levin ha scavato nei conti di quella
che in Argentina è conosciuta come la «Menem bank»: un istituto di credito
di un suo presunto prestanome che dal 1991 al 2000 con la connivenza della
(solita) Citybank Usa ha riciclato dollari «sporchi» per oltre 9 mila
miliardi di lire (tra narcotraffico, evasione fiscale e mazzette per le
privatizzazioni). Levin ha accumulato venti scatoloni di documenti (con nomi
di 250 imprese e privati) che sta per inviare a De La Rua. Una bomba ad
orologieria (c'è di mezzo anche il finanziamento dei partiti, per cui i
radicali e i peronisti hanno un patto del silenzio) in cui è coinvolto anche
il presidente del Banco Centrale, Pedro Pou».
Una commissione bicamerale indaga su Pou: se non rinuncia entro pochi
giorni, raccomanderà a De La Rua di cacciarlo. Il presidente ha offerto già
il posto a Domingo Cavallo, ideologo della convertibilità e oggi all'
opposizione, già ministro dell'Economia di Menem e - nel 1982 - dei generali
(accollò allo Stato 15 miliardi di dollari di debiti esteri dei privati).
Cavallo sogna la presidenza. Ma ha perso le tre elezioni in cui si è
presentato e spera di rifarsi politicamente, pilotando - come vuole ora l'
Fmi - l'uscita dal cambio fisso (ardua, perché i prezzi dei servizi in mano
alle multinazionali sono indicizzati in dollari) e riattivando l'economia
come implorano gli imprenditori. Soluzione che non va bene alle banche
(imprese e privati sono indebitati in dollari). E molti sperano che Murphy -
che guarda in cagnesco Cavallo perché anche lui sogna la presidenza - tolga
le castagne dal fuoco azzerando il deficit fiscale.

fonte Il Mattino