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COLOMBIA, BOLIVIA, PERÙ E I PIANI USA DI LOTTA ALLA DROGA
I contadini della Ande, ostaggi e vittime
(da Le Monde diplomatique)
Gli Stati uniti hanno intrapreso una vasta campagna militare in America
latina. Decisione emblematica: nel settembre 1999, l'amministrazione Clinton
e il presidente colombiano Andrés Pastrana si impegnano a realizzare
congiuntamente un «piano per la pace, la prosperità e il rafforzamento dello
stato» - detto Plan Colombia - che mira a sradicare la produzione di cocaina
nel paese. Scritto in inglese, sotto l'occhio vigile del dipartimento di
stato americano, e senza la minima consultazione del Congresso colombiano,
questo piano preannunciava la strategia americana nel resto della regione:
offensive militari contro i movimenti di guerriglia - ma non contro i
paramilitari, che traggono profitto almeno altrettanto dal narcotraffico - ,
spostamenti di popolazioni, distruzione di terre coltivabili, repressione di
una classe contadina che sprofonda nella miseria. Dalla Colombia alla
Bolivia, dal Perù all'Ecuador, i contadini non hanno ormai altra scelta, per
sopravvivere, che produrre coca...
dal nostro inviato speciale MAURICE LEMOINE
Era l'8 luglio 2000 quando sono comparsi gli aerei, tra il sole e la bruma,
alle sei e mezzo del mattino, seguiti dagli elicotteri della polizia
colombiana incaricati di proteggerli. Quattro elicotteri che volavano a
bassissima quota. Hanno fatto il giro del cerro Lerma, stretta montagna,
ritta verso il cielo come un dito sottile. E hanno cominciato a sparare, con
le mitragliatrici. Su cosa? Vai a sapere, non c'è nulla sul cerro. Sui
guerriglieri? Grazie a Dio, lo scontro armato non è arrivato fino a qui. No,
semplicemente hanno sparato.
Volevano spaventare la popolazione. Poi, in picchiata come uccelli
predatori, gli aerei hanno lanciato il loro veleno, per poi risalire e
inabissarsi nuovamente. Una nube chimica si è abbattuta sul caffè, sulle
banane, sulla yucca. «La coca? Ma quale coca? Ditemi, c'è forse della coca
qui?».
Ci sono duecento abitanti a Santa Ines, vereda (1) appollaiata nel mezzo del
Macizo colombiano, il massiccio da cui partono le tre catene montuose e i
tre grandi fiumi del paese. Ma a Santa Ines la vita è un buco. Da Sucre, il
borgo assiepato lontano, a fondovalle, è impossibile venire in macchina. Per
salire, bisogna prendere il sentiero di montagna e raggiungere il camino
real, talmente regale che un cavallo avanza alla velocità di un mulo e un
mulo si trascina ancora più lentamente. Tanto per dire: sono otto mesi che
alla vereda non si vede un medico. A 4.000 pesos la visita, più il costo dei
medicinali, non vale neanche la pena che venga (2). Qui non c'è denaro, né
elettricità.
Nei giorni successivi, gli aerei hanno ricominciato le loro irrorazioni.
Sulle presunte piantagioni illecite. Ma potevano tutti giurarlo sulle testa
della Vergine: non c'è più coca. Per niente. Davvero. Insomma, pochissima.
E, comunque, molto meno di prima. Dopo che l'esercito, una prima volta, ha
estirpato le piante, si sono tutti dati al caffè.
Ma, con questa «pioggia» innaturale, le piantagioni di caffè si seccano.
Anche la yucca, le banane, il mais e i fagioli. Lo stesso vale per la coca,
naturalmente. La terra non vuole più produrre. Le scimmie muoiono
avvelenate: i finqueros hanno potuto constatarlo.
In alto, nella parte più fredda della montagna, c'è una fonte. I rapaci
d'acciaio non se ne sono preoccupati. E l'acqua, che lo si voglia o no, la
bevono tutti. Così ha fatto il marito di Blanca Olivares «ha la febbre,
dolori di stomaco e un forte mal di testa. E conati di vomito». Lo stesso i
suoi figli (per non parlare dei suoi ventisei polli, passati tutti a miglior
vita). Cinquantadue malati nella vereda, alcuni dei quali incapaci di
alzarsi. Encefaliti, dolori addominali, diarree, vertigini, nausea. «Il
virus che colpisce l'uomo viene dalle fumigazioni - afferma un contadino - .
Come si dice, l'aria è inquinata».
La spiegazione può sembrare un po' empirica. Ma trova conferma nelle parole
di Luis Eduardo Céron, il medico di Sucre, salito infine a Santa Ines il 18
luglio. «Ho visitato i pazienti. Presentano tutti gli stessi sintomi. Si
tratta di intossicazioni provocate da organofosforati.
Nessuno deve essere ricoverato, ma le possibili conseguenze dipendono dalla
natura dell'agente tossico. Non sono in grado di fare previsioni, non
conosco il prodotto». A pochi passi, con gli occhi gonfi di lacrime, Marlène
dà sfogo al suo sconforto: «Ero lassù quando hanno cominciato a irrorare e
ho bevuto un po' d'acqua. Ero incinta di sette mesi: ora ho perso il mio
bambino». Scoppia in singhiozzi: «ho diciotto anni, era il mio primo figlio
e lo aspettavo con gioia». Si accascia, mordendosi le labbra: «Me l'hanno
ucciso». La Colombia produce l'80% della cocaina mondiale. Per raffinare un
chilo di cocaina pura, ci vogliono 500 chili di foglie di coca. Il governo,
per eliminare le piantagioni, effettua queste operazioni di irrorazione, per
le quali usa una vasta gamma di prodotti chimici, come il Paraquat e il
Triclopyr, o altri, infinitamente più nocivi e illegali: l'Imazapyr,
l'Hexaxinona, il Tebuthiron. Dal 1986, è il Glifosato a fare faville. Si
tratta del famoso RoundUp della Monsanto, che lo descrive come il pesticida
più rispettoso dell'ambiente. Un'opinione che non sembra condivisa dal
procuratore generale dello stato di New York, che ha costretto la ditta ad
eliminare la dizione «biodegradabile» e «ecologico» dalle sue pubblicità.
Non lontano da Santa Ines (in linea d'aria), Rio Blanco emerge a malapena
dalla nebbia. Nei dintorni, non è difficile scovare il papavero.
I grandi fiori rossi a quattro petali si stagliano sui pendii o, mescolati
alle piantagioni di mais, tentano maldestramente di nascondersi.
Ma, ormai, tutte le piante assumono qui un colorito giallastro, malaticcio.
Anche qui sono passati gli aerei ed hanno irrorato la loro peste sui campi,
l'acqua, gli animali e gli esseri umani. Volavano ad alta quota, questa
volta: «Non scendono a bassa quota, hanno paura di farsi sparare addosso dai
guerriglieri (3)». Le avvertenze tecniche sul Glifosato precisano che non
può essere spruzzato, senza conseguenze nefaste, da un'altezza superiore ai
dieci metri. Le dosi utilizzate - 13,5 litri per ettaro - superano, e di
molto, i massimi indicati: 2,5 litri (4). Sin dai tempi più lontani, gli
indigeni yanaconas di Rio Blanco vivevano coltivando frumento. Con l'aumento
del prezzo dei semi e la concorrenza delle importazioni americane, i mulini
di Popayán (Cauca) sono scomparsi.
Nello stesso periodo, all'inizio degli anni 90, gli americani hanno
cominciato a cambiare abitudini: alla cocaina hanno aggiunto il consumo di
eroina. Sono allora comparsi nel Macizo alcuni stranieri. Hanno proposto
l'introduzione di nuove colture, i consigli di un tecnico, e concesso un
prestito per le prime spese. Si apriva così l'epoca del papavero. Che,
ovviamente, ha portato con sé «diversi problemi di ordine pubblico», come si
dice qui con un certo pudore. «La gente del luogo non era pronta a gestire
una tale quantità di denaro. È diventato facile comprare un'arma. E alla
fine l'ospedale di Popayán ha smesso di accettare i feriti: ce n'erano
troppi». Ma questa manna ha permesso agli abitanti della regione di
migliorare le proprie condizioni di vita - fino ad allora disumane. E di
poter accedere ad un minimo di benessere. Tuttavia... in seguito a tanto
disordine i dirigenti del resguardo (5) hanno riconsiderato la propria
decisione.
Nel 1998, un'assemblea comunitaria decide di farla finita con questa coltura
diabolica. Viene firmato un accordo col governo per ridurne gradualmente
l'estensione, in cambio di un progetto di sviluppo.
Il 31 dicembre, gli indigeni tengono fede all'impegno preso: zero papaveri.
Lo stesso non può dirsi del governo. Nel resguardo - 2.000 ettari, un po'
malmessi, per 5.000 abitanti - c'è poca terra. Nei dintorni, ce n'è in
abbondanza. Ma è nelle mani degli allevatori della società multinazionale
Cartón de Colombia, che sfrutta le foreste per ricavarne celluloide. Da
quindici anni, il resguardo invoca una riforma agraria. Ma il governo fa
orecchio da mercante. «Non avevamo altra scelta: abbiamo ripiantato il
papavero». Non ettari; piccoli campi. Dal cielo, recando danni enormi alle
colture di sussistenza, è arrivata la repressione. Contro il
«narcotraffico».
A sentire questa parola, tanto i coltivatori di papavero che di coca si
chiudono in se stessi. Anche l'austero presbiteriano di Sucre non si sente
in diritto di condannare i suoi concittadini: «Sono contrario alle colture
illecite. Siamo tutti figli di Dio e queste culture colpiscono altri paesi.
Ma se nessuno deve peccare, nessuno deve nemmeno morire di fame. Ci troviamo
tra l'incudine e il martello.
Gli altri paesi preferiscono ucciderci piuttosto che cercare soluzioni reali
ai problemi dei contadini».
La fama del Plan Colombia è giunta fino a qui. Tra qualche giorno, il 23
agosto 2000, il presidente Clinton elargirà 1.600 milioni di dollari a
Bogotá, di cui 954 milioni costituiscono un fondo supplementare di emergenza
per il 2000-2001, per sconfiggere definitivamente il narcotraffico (e
l'opposizione armata, ribattezzata, per le esigenze della causa,
«narcoguerriglia»). I contadini del Macizo danno libero sfogo alla rabbia.
«Invece di investire questi milioni in armi, perché non li si usa per
comprare terre per gli indigeni e i contadini?
Il governo ha fatto una gran campagna di propaganda sulla pace... Ma che
pace è mai questa, con tutta questa miseria?». Da quando gli aerei hanno
ripreso le loro danze infernali, i loro prodotti non hanno più alcun valore
sul mercato, nessuno li vuole comprare: hanno la fama di essere contaminati.
«Non ci lasceremo certo morire. Un giorno, il vaso traboccherà». Benché
evasivi sull'argomento, non sono tutti irrimediabilmente ostili nei
confronti degli insorti.
Negli ultimi sei anni di irrorazioni (300 milioni di dollari l'anno), sono
stati colpiti 110 mila ettari. Risultato: dai 50 mila ettari del 1995, la
coltura della coca ha raggiunto quota 120 mila alla fine del 1999! Il
papavero, dal canto suo, passa da zero a 6000 ettari.
Ma a Washington e a Bogotá non importa nulla. Gli Stati uniti hanno posto
una condizione per il loro appoggio agli «sforzi di pace» del presidente
Andrés Pastrana: la continuazione delle irrorazioni chimiche.
E la militarizzazione della lotta. D'altronde, questa strategia non ha dato
risultati eccellenti in Perù (si veda il box nella pagina precedente) e in
Bolivia? Bolivia, luglio 2000, regione del Chapare. Alberto bofonchia, con
lo sguardo perso nel vuoto. O nel tempo... Tempo fa, ancora aveva quattro
ettari coltivati a coca. «Avevamo tutti di che mangiare, ballavamo, con le
tasche piene di soldi». Il 9 maggio 1990, i presidenti Jaime Paz Zamora e
George Bush sottoscrivono un accordo per la prevenzione totale dell'uso
illecito di droghe. I successivi governi boliviani, docili perché dipendenti
dai sussidi di Washington, intraprendono la distruzione delle piantagioni.
Ma gli aiuti promessi ai contadini per i programmi di sviluppo non sono mai
arrivati (6). Loro resistono.
Tanto che, nel 1994, un virtuale stato di guerra regna nella «zona rossa»
del Chapare (7). I sindacati dei cocaleros minacciano di imbracciare le
armi. Per scongiurare una guerra civile, il potere fa alcune concessioni.
La sottoalimentazione fa perdere la memoria! Il 7 agosto 1997, l'ex
dittatore Hugo Banzer viene democraticamente eletto alla presidenza del
paese. Sono parecchie le cose che deve farsi perdonare e si mostra
particolarmente attento a non contrariare Washington. Un Piano Dignità
(precursore del Plan Colombia) mette gradualmente fine alla politica di
estirpazione indennizzata praticata fino ad allora (2500 dollari per ogni
ettaro sradicato di propria volontà). «Dal 1978 al 1997 - si giustifica José
Decker, vice-ministro dello sviluppo alternativo dal 1997 - avevamo speso
per gli indennizzi più di 100 milioni di dollari. Per un paese povero come
il nostro, si tratta di troppo denaro perduto, soprattutto in termini di
strade o scuole».
Una Forza militare di azione comune si va ad insediare nel cuore delle
comunità indigene. Le violenze e gli scontri si susseguono.
Tra l'aprile e il novembre 1998, quattordici contadini e due poliziotti
perdono la vita. Ma, dei 38 mila ettari di coca censiti nel 1994, ne restano
(ufficialmente) solo 5.500 nel maggio 2000. Un successo indiscutibile.
Salvo per il vecchio Alberto (e i suoi compagni contadini). I trecento
frutti dell'aranceto gli fruttano 18 bolivianos (circa 5.000 lire).
Quanto all'ananas...«Ne vendiamo cinque per un boliviano (300 lire)».
Eppure, l'ananas è una delle piantagioni-prodigio - banana, maracuja, cuore
di palma, papaya, pepe e citricos (arance, limoni, ecc.) - del piano di
sviluppo che dovrebbe accompagnare lo sradicamento.
La regione pullula di progetti e dei loro promotori - con tanto di
automobili di lusso, computer, aria condizionata. Unico risultato visibile,
il miglioramento di qualche strada o la costruzione di ponti. Per quanto...
Su una pista piena di buche, dossi e pietre, che martirizzano la sua auto,
Pauline Metaal, responsabile del programma Coca-droga-sviluppo presso il
Centro di documentazione e informazione Bolivia (Cedib) si chiede: «Qual è
il criterio? Forse la pista è stata migliorata. Prima, era certamente
peggiore. Ma, la si può forse definire una buona strada?». Per il resto,
imperversano i consueti «elefanti bianchi» dello sviluppo.
Ancora e sempre, il petrolio L'industria lattiera Milka, per esempio, primo
grande progetto a cui partecipava il Programma delle Nazioni unite per il
controllo internazionale delle droghe (Pnucid). La sua installazione a
Ibigarzama non è stata preceduta da alcuno studio accurato. Con una
potenzialità di 50 mila litri al giorno, si è partiti con una produzione di
...
1500 litri. Mancati profitti, problemi tecnici, assenza di formazione,
mucche che non si adattano, l'industria chiude nel 1998, senza pagare i
dipendenti.
Altri esempi: la comunità di Ivirza sceglie la coltura della maracuja e
chiede un sostegno tecnico. Arriva il momento del primo raccolto: non c'è
mercato. Viene rivolta quindi una supplica ai responsabili del Programma di
sviluppo alternativo. Nessuna risposta. La comunità cerca di trovarsi da
sola sbocchi commerciali. Invano. Si rassegna infine a regalare i suoi
prodotti. Altrove, ci si getta a corpo morto nella produzione di cuore di
palma, ritenuto cinque anni fa un vero prodigio. Ma i prezzi crollano del 50
%. Un'altra comunità cerca di vendere i suoi prodotti a Santa Cruz, capitale
economica del paese. Ma le autorità municipali sostengono - in assenza di un
mercato agricolo - che le aree occupate dai contadini non sono adatte alla
vendita. Bastonati dalla polizia di stato, gli ex cocaleros devono fare le
valigie. «I produttori di mandarini ed arance cruzeños non apprezzano
minimamente che il Chapare faccia loro concorrenza - esclama una vittima,
inviperita - . Poiché finanziano le campagne elettorali, il sindaco li
appoggia».
In mezzo a questo disastro, mentre impazza la tubercolosi, solo la banana
riesce a cavarsela, con una produzione che passa dai 3.083 ettari del 1986
agli 8.300 del 1999. Una produzione che, guarda caso, è in mano ai privati.
Per il resto, i numeri parlano da soli: nel 1998, il Chapare esportava 5,7
tonnellate di prodotti, per un valore di 5,5 milioni di dollari; nel 1999 il
livello delle vendite è aumentato fino a 11,6 tonnellate, ma il guadagno è
stato di appena 4,6 milioni di dollari (8)... Nonostante le eccitate grida
di vittoria di La Paz e Washington, lo sradicamento è l'unica cosa che possa
essere quantificata e mostrata. Sarà un caso?
Un sentiero infame, un calore atroce, vicino a Shinahota. Un viottolo nella
foresta, un gruppo di soldati, machete alla mano, sta sradicando...
i rovi. La coca, l'hanno già estirpata a giugno, colpendo dal cielo e
terrorizzando la comunità. Non hanno molta voglia di inoltrarsi
ulteriormente nella giungla, l'atmosfera si è arroventata, poco tempo prima
sono stati uccisi due soldati. Ma bisogna «mostrare le cifre» (tre ettari al
giorno), alimentare le statistiche, «fare contenti Banzer e Clinton».
Potremmo anche sorriderne se, nella stessa occasione, i soldati, per
«passare il tempo», non avessero saccheggiato tutte le piantagioni vicine -
ananas, banane, arance, yucca - unica speranza di vita per i contadini.
«Devo riconoscere che siamo particolarmente efficienti in alcuni settori -
ammette Decker, evitando di pronunciare la parola «repressione» - . Ma in
altri abbiamo risultati più modesti. Alcune risorse non sono state
utilizzate, per pura negligenza. L'anno scorso [1999], avevamo previsto di
spendere 50 milioni di bolivianos per le comunità.
Siamo riusciti a spenderne appena 9 milioni». Scoraggiato - sebbene si
mostri piuttosto riservato sull'argomento - , si è dimesso nel marzo 2000
dal suo posto di vice-ministro dello sviluppo alternativo.
Ma, intanto, si vorrebbero cacciare i contadini della regione, come se non
ci fossero soluzioni alternative.
Il Piano Dignità parla esplicitamente di 15 mila famiglie da «dislocare» dal
Chapare. Viene invocata la pressione demografica, la complessità
dell'ecosistema e la necessità di proteggere la biodiversità. Tutte
preoccupazioni di carattere ecologico che vengono dimenticate quando viene
evocata la ricchezza in idrocarburi della regione. La compagnia nazionale
Ypfb - in via di privatizzazione - e le compagnie petrolifere transnazionali
fanno grandi investimenti nell'area. «Il contadino non rientra nel modello
economico», si infuria Evo Morales, deputato di Cochabamba. Leader storico
del sindacato dei cocaleros, sistematicamente accusato dal governo di essere
un «narcosindacalista» (allo stesso modo in cui in Colombia si parla di
«narcoguerriglia») e di «fomentare la resistenza armata», chiarisce il suo
pensiero: «Che potranno mai vendere questi contadini? Praticamente nulla.
Non servono. Ed è tanto più necessario reprimerli quanto più resistono,
manifestano, bloccano le strade in un periodo di crisi; tutte cose ben poco
apprezzate dai grandi investitori».
Tre caserme, progettate dagli ingegneri militari boliviani e dai tecnici
americani del Southern Command (il Comando sud dell'esercito degli Stati
uniti), verranno costruite nel Chapare, a Villa Tunari, Ichoa e Chimore.
Consentiranno di riattivare la nona divisione dell'esercito boliviano, che
sarà incaricata di portare a compimento l'estirpazione.
«Tutta l'America andina - analizza Morales - diventa ostaggio dei
mega-progetti economici e della strategia petrolifera degli Stati uniti».
Il generale Jorge Enrique Mora, comandante in capo dell'esercito colombiano,
dichiara che, attaccando le colture illecite, verrà assestato un duro colpo
alle Forze armate rivoluzionarie di Colombia (Farc), dal momento che la
maggior parte dei loro fondi provengono dalla riscossione di una tassa sulla
coca. Ma, la zona in cui il Plan Colombia porterà la guerra - il Caquetá e
il Putumayo - presenta un altro motivo di interesse. È coinvolta in alcuni
progetti di sfruttamento petrolifero ed è contigua all'Ecuador, anch'esso
produttore di petrolio.
Curiosamente dimenticata dal Plan Colombia, l'avanzata dei paramilitari di
Carlos Castaño, notoriamente coinvolto nel narcotraffico su grande scala
(9), si svolge in regioni caratterizzate dalla presenza di idrocarburi e
nelle quali sono previsti grandi progetti per canali di trasporto e altre
vie fluviali e terrestri. Il che fa fuggire, terrorizzati, decine di
migliaia di contadini, di cui non si è tenuto alcun conto. E nessuno parla,
se non a mezza bocca, del cartello del Sud, organizzazione «narco» diretta
da... militari colombiani.
La lotta contro il traffico di droga colpisce solo i contadini e i loro
alleati naturali, i guerriglieri! Certo, il Plan Colombia prevede una parte
«sociale» per la quale il governo di Andrés Pastrana ha sollecitato l'Unione
europea a fornire un aiuto di 1,3 miliardi di dollari. Dopo aver
tergiversato di fronte all'aspetto militaristico del piano, quest'ultima, il
24 ottobre scorso, ha infine concesso 300 milioni di dollari «per sostenere
gli sforzi di pace del presidente Pastrana», mentre in Colombia i
paramilitari continuano le loro violentissime offensive e la loro politica
di massacri generalizzati, senza che il potere alzi un dito.
Una posizione non molto diversa (eccetto il conflitto armato) da quella che
ha portato alla realizzazione in Bolivia, da parte della stessa Unione
europea, del Programma d'appoggio alla strategia di sviluppo alternativo nel
Chapare (Praedac).
Il fallimento dell'Europa Tale programma, al quale erano stati destinati 20
milioni di euro, ne ha spesi, in due anni, meno del 10%! «È un fallimento
totale - ammette sconfortato un funzionario europeo, coperto
dall'anonimato - . Avevamo fatto una serie di promesse alla popolazione, non
siamo stati in grado di tenere fede ai nostri impegni». Non per corruzione,
sottrazione di fondi, spese inutili; semplicemente nulla è stato speso.
«Ogni volta che promuoviamo un qualsiasi progetto, gli americani obiettano:
"avete 'condizionato' l'aiuto?"». Traduzione: sono sparite tutte le colture
illecite dal territorio interessato? Non è che rimangono uno o due khatus
(10), o addirittura un cato (11) di coca nascosti da qualche parte? «Non
siamo lì per porre condizioni, rispondiamo noi, ma per realizzare un lavoro
sociale! Il ministro degli interni, che è a capo del progetto e non può
rifiutare nulla ai suoi veri padroni, mette sempre fine al dibattito:
"Proibisco il progetto, la coca non è stata ancora completamente sradicata
in questa comunità"».
Va da sé - e tutti gli esperti sono d'accordo su questo punto - che solo
un'estirpazione graduale, abbinata ad un'effettiva ed efficace attuazione di
misure alternative, può spingere i contadini a «stare al gioco». Il successo
dell'esperienza li spingerebbe poi ad estirpare ulteriormente, senza
assumersi il rischio di puntare tutto su un'unica carta. Come possiamo
pensare che l'Unione europea non si scontrerà con gli stessi ostacoli in
Colombia? Come si pensa di poter realizzare un qualsiasi programma di
sviluppo, quando i negoziati con i movimenti di guerriglia vengono sabotati
e la strategia di Washington indica un'unica soluzione:
militarizzazione-estirpazione? Una soluzione su cui l'Unione europea, con il
suo contributo «sociale», per quanto limitato, svolgerà il ruolo quanto mai
opportuno di specchietto per le allodole...
Cifre truccate in Bolivia, dove la tensione ha causato undici morti
nell'ottobre scorso. Cacciata dal Chapare, la coca si sposta verso altre
regioni - Beni, Pando, Tarija, Yungas - , mentre compaiono, nello stesso
Chapare, gruppi di autodifesa di cocaleros, precursori di possibili
guerriglie. Spostamenti di popolazioni previsti - e avviati - in Colombia,
dove la repressione spingerà la coca e i suoi dannati della terra verso
l'Amazzonia, accentuando il disastro ecologico, o verso l'Ecuador,
minacciato di destabilizzazione. A meno che i contadini non decidano - come
hanno già fatto un migliaio di loro, nel 1996, durante le proteste di massa
contro le irrorazioni - di unirsi alla guerriglia.
In mancanza di una reale politica alternativa, la drastica riduzione delle
colture illecite ha provocato, in Perù, una catastrofe sociale.
La carestia opprime la valle dell'Alto Huallaga, dove i contadini emigrano
in condizioni terribili. Anche se, probabilmente, solo in modo temporaneo.
«L'annuncio delle irrorazioni chimiche e del Plan Colombia ha stimolato
nuove produzioni nella regione - sorride senza gioia Ricardo Vargas, di
Azione andina, a Bogotá - . Il prezzo della coca è risalito e, nel giro dei
prossimi quattro anni, il Perù ridiventerà probabilmente un importante
produttore nella regione».
D'altronde, di che altro potrebbero vivere tutti questi contadini?
La concorrenza degli alimenti di base, prodotti industrialmente nel Nord,
dove godono spesso di sovvenzioni per l'esportazione, ha portato ad un
crollo delle loro produzioni alimentari. Dall'apertura delle frontiere, la
Colombia ha perso 700 mila ettari di terre agricole; se, all'inizio degli
anni 90, era autosufficiente per il riso, ormai ne importa 420 mila
tonnellate l'anno. In Perù, il riso vietnamita e il mais brasiliano costano,
nei mercati urbani, dal 20 al 30 % in meno degli stessi prodotti coltivati
nella valle di Huallaga...
E si resta allibiti - bisogna dirlo - dalla patente assenza di studi
americani sulla struttura del mercato degli stupefacenti negli Stati uniti.
La verità è che esternalizzare la guerra santa contro la droga evita il
problema di porsi troppe domande sulle condizioni economiche e sociali
prevalenti nelle città e nei ghetti americani.