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Nicaragua - Lavoratori bananeras: Intervista a Victorino Espinales Reyes
Come d'accordo ti invio l'intervista al rappresentante
sindacale dei bananeros che racconta della lotta in corso. All'intervista
ho partecipato in prima persona poiché sono recentemente tornato da un
viaggio di una ventina di giorni laggiù.
L'intervista è stata effettuata da un amico, Giorgio Trucchi, che vive in
Managua il 15 gennaio, lo stesso dicasi per l'aggiornamento della
situazione con la mail sotto riportata.
Spero che molti possano leggerla e che qualcuno possa
sostenere l'appello.
Ciao Maurizio
Ciao a tutti,
giorni fa avete ricevuto l'intervista con Victorino Espinales Reyes,
presidente della Fondazione che riunisce
più di 3 mila lavoratori ed ex lavoratori colpiti dagli effetti del
Nemagòn e degli altri pesticidi a base di
DBCP.
Spero abbiate avuto 5 minuti per leggerla e per rendervi conto di quello
che é successo e continua a succedere
in Nicaragua e della solitudine in cui versano queste migliaia di
persone.
La scommessa, oggi, é quella di riuscire a portare a termine il processo
contro le multinazionali che
permetterebbe, non solo una giusta indennizzazione per quello che queste
persone hanno subito, ma anche
di creare un precedente a livello latinoamericano che potrebbe far
scattare una reazione a catena data,
finalmente, l'esistenza di una legge specifica "esportabile"
anche negli altri paesi.
In una riunione avuta oggi, 1 febbraio 2001, con Victorino Espinales,
sono venuto a conoscenza di due episodi:
il primo, tragico, che riguarda la morte di altre 4 persone nel giro di
due settimane che porta, ora, il totale
a 104;
il secondo, pieno di speranza, che é la decisione di, durante tutto il
mese di febbraio, far partire le notifiche
giudiziarie alle multinazionali, di cui si parlava nell'intervista, le
quali, come dice la Legge 364, avranno
90 giorni per depositare una grossa somma in una banca in Nicaragua come
cauzione per la copertaura
delle spese processuali e per gli eventuali indennizzi che verranno
assegnati alle migliaia di persone coinvolte.
Per la Fondazione, adesso, é però giunto il momento di presentare le
prove.
Come riportato nell'intervista si dovranno far visitare, in due
laboratori diversi e riconosciuti dal Ministero
della Sanità, almeno 3500 persone (di queste, attualmente, solo 700 hanno
fatto l'esame sulla sterilità).
La Fondazione ha stimato un costo per persona di almeno 600 cordobas (46
dollari - Lit. 97.000) per
sostenere i 5 esami più importanti che sono:
Biometria Ematica Completa;
Esame generale
Urina;
Esame generale
Feci;
Glucosio;
Espermatogramma.
In base ai risultati verrano raccomandati altri esami specifici, non
compresi per ora nel preventivo, in base
alle malattie che ogni persona ha contratto (Reumatest, Acido Urico,
Prova Epatica, Profilo dei Lipidi,
Creatinina, Amilasa, Toxotest, Urocoltivo, etc)
Se calcoliamo che le persone sono almeno 3500 si ottiene una cifra
astronomica solo per presentare
le prove prima dell'inizio del processo: 2.100.000 cordobas circa (
159.939 $ - Lit. 335.871.900).
Non solo; questa cifra dovrà essere raccolta entro la fine di maggio data
in cui, la legge, prevede
la scadenza dei 90 giorni abili per la presentazione delle prove mediche
ed il già menzionato deposito della
cauzione da parte delle multinazionali.
La fretta é dettata dal fatto che, le imprese statunitensi, si stanno già
muovendo minacciando la chiusura
delle loro attività lasciando migliaia di lavoratori disoccupati e di
conseguenza, il governo del Dott. Alemàn,
comincerà presto a far sentire il suo peso sulla Fondazione.
Cosa si chiede?
Non certo di coprire la spesa (a meno che qualcuno non abbia appena vinto
all'Enalotto!!!), ma di agire
in due direzioni, sempre che ne abbiate voglia, tempo ed interesse:
far girare il più possibile l'intervista e queste righe che state
leggendo contando sul fatto che, io qui e
l'Associazione Italia-Nicaragua, con cui collaboro, in Italia a partire
da fine mese, seguiremo l'andamento
della situazione e vi terremo informati;
donare quello che volete per aiutare, anche in piccola parte, a sostenere
le spese per le visite sanitarie
delle persone che saranno parti in causa durante il processo.
I versamenti li potrete fare sul c/c bancario n° 19990 intestato
all'Associazione Italia-Nicaragua presso
la Banca Popolare di Milano Ag.21 Corso di Porta Vittoria 28, Milano;
specificando SEMPRE la causale "Lavoratori Bananeras".
Se vi é più comodo potete anche andare direttamente all'Associazione
Italia-Nicaragua in Via Saccardo 39
a Milano.
Qué màs?
Solo un grazie per il tempo che spero abbiate usato per leggere queste
due lettere.
Hasta siempre
Giorgio
Intervista a Victorino Espinales
Reyes
(Presidente della Fundaciòn dei Lavoratori delle Bananeras in
Nicaragua Colpiti dagli Effetti del Nemagòn e Fumazone)
(Effettuata da Giorgio Trucchi).
“Può fare la storia della produzione del banano in Nicaragua?”
“Possiamo dire che la produzione del banano in Nicaragua si sviluppa
in cinque tappe.
La prima inizia a principio del secolo, intorno al 1910-1912. E’ un tipo
di coltivazione spontanea e poco curata ed avviene sulla Costa Atlantica,
ma si hanno poche informazioni su quel periodo.
La seconda tappa è durante gli anni ’60. La produzione avveniva in base
ad un progetto che si chiamava INFONAP (Instituto de Fomento Nicaraguense
a la Producciòn). Cominciò una certa pianificazione, ma non durò molto
perché non rispondeva ai bisogni delle multinazionali. La produzione
veniva gestita dai privati che mettevano i terreni e parte del capitale;
dallo Stato che metteva il capitale e l’esonero dalle imposte e dalle
Multinazionali che mettevano la tecnica, il mercato ed il commercio. Durò
4 o 5 anni . In questo periodo fece l’apparizione l’uso di prodotti
chimici per debellare i parassiti delle piante, ma le quantità erano
minime. A quel tempo io avevo 12 -13 anni ed aiutavo mio padre nelle
piantagioni. Apparve il Nemagòn che è meglio conosciuto come DBCP
(dibromo-3-cloropropano). A quel tempo c’era la Chiquita, ma per noi sono
tutte la stessa cosa. Hanno una casa centrale negli USA e fingono di
essere separate, cose diverse, ma sappiamo che l’obiettivo, il contenuto
e la linea economica è uguale per tutte. Ora, per esempio, la Standard
Fruit si è ritirata, anche se sta per tornare, ma ha la licenza
commerciale, mentre la Chiquita è quella che trasporta. Tornando all’uso
del Nemagòn...veniva immesso nel suolo con grosse siringhe da 2 galones e
mezzo (circa sei litri) facendo tre buchi intorno alla pianta dove
c’erano le radici. Questo serviva ad eliminare i parassiti terrestri come
il gusano barrenillo, il cuerudo ed i funghi.
A partire dal 1968 sparì INFONAP ed intervenne la Standard Fruit Company
(SFC) che, allora, era sconosciuta in Nicaragua mentre era già
presente in Costarica ed Honduras. Cominciò a fare esami alla terra, alle
strutture, alle vie di comunicazione e decise che il Nicaragua era un
ottimo posto in cui investire. Chiaramente quello che gli interessava era
il guadagno e non certo il beneficio sociale e la saluta della
gente.
Per poter cominciare a produrre avevano bisogno di 4 cose: strade
accessibili, terre buone di tipo A; un porto che fosse vicino per lo
scarico e materiale tecnico e per la produzione e una manodopera forte,
instancabile ed a basso costo. La zona di Chinandega, ad occidente del
paese, godeva di tutte queste condizioni.
Chinandega, Posoltega, Chichigalpa, El Viejo, Tonolà, Puerto Morazàn,
Corinto e Villa 25 de Julio, che a quel tempo dipendevano dalla
produzione del cotone, ormai in crisi, si convertirono nelle zone del
banano.
A partire dagli anni ’70 iniziò già un’altra fase in cui le
multinazionali strutturarono il territorio in base ai propri bisogni. Le
terre restarono in mano ai privati, spesso alleati del dittatore Somoza,
e le multinazionali le affittavano solamente ma, in effetti, erano quelle
che avevano in mano il controllo di tutto: la tecnica, il mercato ed il
commercio/trasporto. Il padrone della terra era solo un alleato, ma
erano la Dole, come trasportatrice e la SFC, come produttrice, che
controllavano il settore.
Si ebbe anche un grosso cambio all’interno della produzione. Il lavoro
era più tecnicizzato; migliorò notevolmente la produzione in termini di
qualità e quantità; s’impiantarono nuovi tipi di sistemi d’irrigazione
con cannoni alti 3 metri che sparavano il liquido ad 80 metri di
distanza. Allo stesso tempo, però, peggiorava la situazione dei
lavoratori che dovevano fare turni massacranti con un salario misero ed
un’alimentazione pessima.
A partire da questo periodo si cominciò ad utilizzare in modo massivo e
continuato il Nemagòn, sia con le siringhe che con i cannoni
d’irrigazione con una pressione a 160 libbre. In questo modo notammo che
venivano controllati i parassiti terrestri ma anche quelli aerei e che le
piante divennero molto più alte, frondose ed il casco di banane passò a
pesare da 110-120 libbre (55 Kg) a 160-170 libbre (80Kg) ottenendo, per
ognuno, fino a 2 casse e mezzo di banane. Ad un certo punto, però,
notammo che, oltre a controllare ed uccidere i parassiti, uccideva
qualsiasi forma di vita animale che si aggirava tra i banani: galline,
uccelli, rospi, serpentelli, formiche. La cosa cominciò ad insospettirci,
ma mai immaginammo e mai nessuno ci avvisò dei rischi e che il prodotto
potesse provocare danni alle persone; mai ci diedero un corso o delle
informazioni per come proteggerci, o che metodi usare per prevenire i
danni che causava.
Un’altra cosa che scoprimmo fu che il prodotto veniva cosparso solo di
notte e poi capimmo che era molto volatile e ad alte temperature,
evaporava prima di poter rendere effettivo il suo potenziale.
Si continuò così fino alla fine degli anni ’70. Nel 1979 ci fu la
Rivoluzione Sandinista con la caduta del dittatore Somoza e la confisca
delle sue proprietà e di quelli che erano i suoi maggiori alleati
all’interno della Guardia Nacional.
Le bananeras, però, non furono mai confiscate perché i proprietari non
erano schierati con Somoza ed il suo partito, ma lo appoggiavano in
quanto era l’unico modo per poter operare in Nicaragua in quel tempo. Uno
solo, Alfonso Deshon Callejas, era un vero somozista ed era stato
vicepresidente della repubblica.
Nel 1980, come lavoratori, chiedemmo al Governo che intervenisse nelle
bananeras per difendere i nostri diritti che erano continuamente
calpestati. Il Governo sandinista decise, quindi, di non espropriare le
terre, ma di prendere in mano la politica economica, commerciale,
amministrativa e produttiva del banano e le multinazionali, nel 1982,
abbandonarono il paese senza pagare un contratto di 4 anni e mezzo per la
produzione già effettuata.
Lo Stato formò, allora, due imprese: la EMBANOC che si occupava della
produzione e la BANANIC INT. che era la commercializzatrice. A
causa dell’embargo USA e della guerra con la Contras si riuscirono sì ad
aprire nuovi mercati, ma crollò la produzione che passò da 6 milioni e
mezzo di casse per anno a 2 milioni degli anni ’80.
Nel 1990, dopo la sconfitta elettorale del FSLN e l’elezione di Dona
Violeta Barrios de Chamorro, si cominciò la quinta fase della storia del
banano nel nostro paese. Il nuovo Governo, come prima cosa, sospese un
processo contro la Standard Fruit iniziato dal Governo sandinista nel
1987 presso la Corte Suprema dell’Aia per lo sfruttamento ai lavoratori
nicaraguensi durante gli anni ’70 e per il mancato pagamento
dell’usufrutto delle piantagioni.
Venne sciolto EMBANOC ed il controllo delle proprietà restituito ai
proprietari.
Nel 1992 ritornò la Chiquita Brand. ed il prossimo agosto tornerà la
Standard Fruit.
La produzione cominciò a migliorare. Nel 1992 si risollevò a 3 milioni e
mezzo di casse per anno e l’anno scorso arrivò a 5 milioni.
Oggi, purtroppo, si è tornati esattamente alla situazione degli anni ’70;
le multinazionali sono quelle che definiscono le regole della produzione,
del commercio, dell’aspetto tecnico-amministrativo ed i privati,
proprietari delle terre, sono solo figure decorative. Non possono
produrre senza l’appoggio delle multinazionali ed inoltre si devono
sobbarcare l’aspetto della contrattazione e della gestione della
manodopera.
In tutto ci saranno tra i 3800 ed i 4200 lavoratori dei quali, solo 600,
fanno parte della vecchia guardia; gente che ha 45-50 anni e che non
regge più questo tipo di lavoro. La maggior parte dei nuovi sono
giovanissimi ed hanno tra i 16 ed i 22 anni e sono quelli che io chiamo
“la nueva clase obrera”. Vivono ancora condizioni di lavoro pessime.
Hanno contratti a termine che vengono rinnovati se si comportano bene e
non creano problemi; guadagnano circa 1 dollaro per le 8 ore di lavoro e
possono raggiungere i 3 dollari facendo fino a 10 e più ore. E’
gente che, quando avrà 30 anni ne dimostrerà 50. Il vitto è pessimo e
poco nutriente. Ci sono stati dei miglioramenti rispetto ai carichi di
lavoro, ma è un’inezia rispetto alle condizioni generali. Tutti lo sanno,
ma nessuno fa nulla.
Come si arrivò a capire che la causa delle tante malattie di cui
soffriva la popolazione delle bananeras era il Nemagòn?
Nel 1990, una volta caduto il Governo Sandinista, andai in Guatemala
ad un Convegno Ecologico. In quel tempo lavoravo ancora con la CST
(Central Sandinista de los Trabajadores) e con la ATC (Asociaciòn
Trabajadores del Campo) e quindi riportai tutto quello che avevo visto e
sentito. Là mi resi conto che in altri paesi, come Costarica, Honduras,
Guatemala, si stavano facendo indagini e ricerche sulle cause che stavano
facendo ammalare e morire centinaia di persone che avevano lavorato nelle
bananeras. Vidi che le malattie erano le stesse di cui soffrivano anche i
miei compagni di lavoro. Scoprii, inoltre, che i prodotti Nemagòn e
Fumazone, entrambi a base di DBCP (dibromo-3-cloropropano), erano stati
vietati negli USA già negli anni 70 e che quindi, le imprese produttrici
e quelle applicatrici e commercializzatrici, lo avevano impiegato
ugualmente in Centroamerica nonostante, negli USA, alcune persone
avessero già vinto cause milionarie per i danni ricevuto dal contatto con
questi prodotti. Si parlava di indennizzi di 1 o 2 milioni di
dollari.
Immediatamente ci mettemmo al lavoro per poter far causa alle ditte
produttrici del Nemagòn, come la Shell Oil Company, la Dow Chemical e la
Occidental Chemical Inc, ed alle imprese applicatrici come la Standard
Fruit C.
Nel 1990 si aprì il processo negli USA e portammo tutti gli esami fatti
ai lavoratori ed alle lavoratrici. C’erano buonissime possibilità di
vittoria, ma purtroppo, i nostri stessi compagni leader dei sindacati,
con il beneplacito del Governo e degli avvocati, giunsero ad un accordo
extragiudiziale con le Compagnie produttrici e ricevettero 28 milioni di
dollari in cambio di una firma su un documento che declinava qualsiasi
responsabilità delle imprese per i danni subiti dai lavoratori a seguito
del contatto con i pesticidi a base di DBCP.
A questo accordo parteciparono solo 812 lavoratori degli oltre duemila
che avevano fatto causa. Gli altri, rendendosi conto dello sporco gioco
che si stava facendo alle loro spalle, rifiutarono l’offerta.
Degli 812 lavoratori, l’85% ricevettero 100 $ di indennizzo; 36 più di
500$; 16 tra 1000 e 1500 $ e solo 5 o 6 ricevettero da 2000 a 3000 $.
Questo dipese dalle conoscenze e dal legame che avevano con il sindacato.
Il resto dei milioni, ancora oggi, non si sa che fine hanno fatto. Dopo
il 1992, con la fine del tentato processo, si persero tutte le
informazioni e con il resto dei lavoratori, decidemmo fondare una nuova
associazione, la ASOTRAEXDAN (Asociaciòn de Trabajadores y Ex
Trabajadores Afectados por el Nemagòn), completamente staccata da partiti
politici e da sindacati come la ATC e la CST.
Quali sono i danni e le malattie più gravi che hanno colpito i
lavoratori e le lavoratrici delle bananeras?
I danni sono tanti ed enormi:
vi sono stati già 110 morti per varie cause e molti altri compagni stanno
solo aspettando la fine dato che i dottori gli hanno già diagnosticato
che non c’è cura.
Stiamo parlando di tumori ai reni, al pancreas, alla milza; cecità
precoce con persone di 40 anni che non vedono quasi più nulla; fragilità
ossea; aumento esagerato della temperatura corporea; atrofia dei
testicoli; ematomi, eruzioni cutanee e deformazioni in tutto il corpo;
perdita di peso; caduta della pelle, dei capelli e delle unghie;
alterazioni nervose; sterilità totale, parziale e danneggiamento degli
spermatozoi che stanno provocando la nascita di bimbi deformi.
Abbiamo già prove che il potere residuo del Nemagòn nel sottosuolo è di
almeno 120 anni.
In tutti questi anni, nei 7 municipi dove sono state sviluppate le
bananeras, sono passati tra gli 8400 ed gli 8600 lavoratori di cui 2500
donne. Inoltre, il problema, è più ampio. Il Nemagòn veniva sparato
con i cannoni d’irrigazione di notte. I primi lavoratori arrivavano alle
4 di mattina e poi ci passavano le mogli che gli portavano il pranzo; i
bambini che venivano a giocare; le famiglie di lavoratori o custodi che
vivevano dentro le bananeras. A tutte queste persone cadevano le
goccioline condensate del pesticida o comunque, in qualche modo, venivano
a contatto con il prodotto comprese le donne che lavoravano
nell’impacchettamento delle banane. Si può quindi dire che il
problema tocca l’intera comunità e tutte quelle famiglie che, ad esempio,
attingono l’acqua dai pozzi, un’acqua che è contaminata dal Nemagòn
Stiamo parlando di almeno 20 mila persone che sarebbero da controllare
con degli esami medici completi. Si calcola che, in ogni famiglia
composta in media da sei persone, almeno quattro sono colpite da malattie
che derivano dal contatto con il Nemagòn.
Nessuna struttura pubblica controllata dal MINSA (Ministerio de Salud) ci
ha voluto aiutare facendo diagnosi alle persone che portavamo. Il
personale ha paura delle ritorsioni del Ministero e di essere licenziato.
Ci dicono le cose di nascosto, ma non sono disponibili a scriverle
ufficialmente. Siamo stati costretti ad andare presso laboratori privati
che sono carissimi. Un esame completo per una donna costa più di 100 $ e
dobbiamo ancora far visitare, per poi poter iniziare con il processo
contro le multinazionali, 1800 uomini e 1000 donne. La maggior parte di
loro non hanno speranza e sono destinati a morire ed oggi stanno già
vivendo una situazione di morte sociale perché nessuno da loro lavoro
quando si presentano senza capelli, senza unghie, senza pelle o perché
non ce la fanno più e si stancano subito. Per questo abbiamo fondato
anche questa Fondazione, la FUNPPANFBAN.
Quali sono gli obiettivi di questa Fondazione?
La Asotraexdan, di cui sono presidente, è un’associazione nata
prevalentemente per la lotta dei lavoratori delle bananeras e per poter
fare pressione per l’approvazione di una legge specifica per i colpiti
dall’uso del Nemagòn, cosa che ci permetterà, ora, di fare causa alle
multinazionali. In quanto associazione siamo però limitati in quanto ai
rapporti con altre associazioni straniere che vogliono aiutarci, anche
economicamente, nella nostra lotta e quindi abbiamo dato vita alla
Fundaciòn che ha obiettivi prevalentemente incentrati nell’aiuto concreto
alle persone che non sono più in grado di autosostenersi perché malate e
con un futuro totalmente incerto.
Tra i vari obiettivi abbiamo quelli di un progetto di salute integrale
che comprenda una terapia psicologica riabilitativa e ricreativa per le
persone colpite dalle malattie; la creazione d’impiego attraverso piccoli
progetti produttivi; un progetto di ricerca medica con la creazione di un
laboratorio proprio in modo da non dover dipendere dal MINSA. Tutti i
progetti produttivi saranno a livello municipale ed a conduzione
collettiva. Esiste il problema della terra su cui sviluppare tali
progetti. L’idea è quella che, una volta iscritti regolarmente al
MINGOB (Ministerio de Gobernaciòn) per evitare quello che sta succedendo
alle altre fondazioni che, non essendosi iscritte, ora rischiano la
chiusura in quanto scomode al governo, di chiedere le terre al Governo
stesso. Se non incontreremo la disponibilità dovremo chiedere ai privati
i finanziamenti per l’acquisto.
Una cosa è certa: qualsiasi tipo di progetto produttivo dovrà essere
avviato senza l’uso di prodotti chimici. Cercheremo di lavorare con
prodotti organici, ma di chimici non ne vogliamo nemmeno sentir parlare.
Sarà più difficile e lungo, ma per noi è fondamentale dopo tutto quello
che abbiamo vissuto e continuiamo a vivere.
A che punto è la Legge che inquadra e regola la tematica del
Nemagòn?
Il 17 gennaio del 2001 è stata finalmente pubblicata dopo un’attesa
di più di due mesi in cui il Presidente Alemàn l’aveva messa nel cassetto
e sembrava non volesse firmarla.
E’ stato un parto difficilissimo, ma alla fine ce l’abbiamo fatta.
Ci abbiamo messo più di due anni e contando solo con le nostre forze e
gli aiuti economici di amici. Ci siamo scontrati con le resistenze del
governo, dei sindacati e degli altri partiti perché eravamo troppo
scomodi dopo aver denunciato la vergogna del processo dei 28 milioni di
dollari di cui ho già parlato. Il caso, però, era troppo grosso ed
abbiamo fatto una grande pubblicità, nel paese e fuori, sui disastri
provocati dal Nemagòn e quindi, alla fine, le Commissioni Lavoro e
Diritti Umani del Parlamento hanno spinto affinché la Legge 364 venisse
approvata.
Nell’ottobre scorso siamo rimasti 3 settimane accampati davanti
all’Asamblea Nacional fino all’approvazione della Legge. In molti ci
hanno aiutato con viveri, coperte, tende e sono stati tantissimi quelli
che arrivavano anche solo per darci la loro solidarietà. Abbiamo anche
dovuto minacciare di sfilare nudi per le vie della città mettendo in
mostra i danni che il Nemagòn ha provocato ai nostri corpi, ma per
fortuna non ce n’è stato bisogno.
Voglio risottolineare la totale solitudine in cui ci hanno lasciato le
istituzioni: quello che abbiamo fatto l’abbiamo fatto da soli, altrimenti
saremmo ancora qui a leccarci le ferite.
Quali sono i contenuti della Legge 364?
E’ una legge molto importante, in quanto è l’unica che, nel
Continente, tratta direttamente la problematica del Nemagòn e di tutti i
prodotti a base di DBCP.
In sintesi, dalla data di notifica della denuncia alle Compagnie
Multinazionali, che per ora sono la Dow Chemical, la Occidental Chemical
Corp., la Shell Oil Company, come produttrici e la Standard Fruit
Company, la Standard Fruit and Steamship, la Dole Fruit Company e la
Chiquita Brand Inc., come applicatrici, tali compagnie avranno 90 giorni
per depositare 100 mila dollari come garanzia per gli eventuali
indennizzi ai lavoratori e per coprire parte delle spese processuali. In
caso di mancato versamento il processo verrà spostato negli USA per
eseguire la sentenza che sarà già di colpevolezza in quanto non avranno
rispettato i termini di legge e dovranno rinunciare al “Foro non
Conveniente”.
Questa formula del “Foro non Conveniente” era stato applicato dalla Corte
di Giustizia USA su richiesta delle multinazionali affinché, basandosi
sul fatto che i denuncianti non erano nordamericani e che quindi non
potevano avvalersi delle leggi e delle strutture USA, tutte le cause
venissero spostate nei paesi di origine dei denuncianti contando sul
fatto che, lì, non esistevano leggi apposite.
La legge, inoltre, prevede che le compagnie dovranno, sempre entro i
primi 90 giorni, depositare 300 milioni di dollari, in una banca da loro
scelta, come anticipo sugli eventuali indennizzi che dovranno versare ai
lavoratori.
Vengono anche previste due cose molto importanti e cioè che i lavoratori,
per dimostrare la loro malattia derivante dal contatto con il Nemagòn,
dovranno presentare due certificati medici emessi da cliniche
riconosciute dal MINSA e che si prevedono, come indennizzi cumulabili tra
loro, le cifre di 100mila dollari per chi soffre di sterilità totale;
50mila dollari per chi soffre di sterilità parziale e 25mila dollari per
gli altri tipi di malattia. Chiaramente chi è colpito da più effetti del
Nemagòn potrà sommare i vari indennizzi. Sappiamo che non è molto
rispetto agli indennizzi milionari che alcuni cittadini USA hanno
ricevuto per casi come i nostri, ma siamo in Nicaragua e questo è già un
passo molto importante.
Immagino che le multinazionali staranno muovendosi per difendere i
propri interessi e la propria immagine. Avete già avuto modo di capire
quali saranno le loro mosse dopo l’approvazione di questa legge?
Loro stanno cercando di agire in due modi: il primo è comprandoci. A
me hanno offerto 20mila dollari affinché mi astenessi dalla lotta; ad
altri mille o 5mila dollari, ma non abbiamo accettato e gli abbiamo
risposto che noi non cerchiamo i soldi, ma che volevamo dare un esempio
che potesse servire anche per il resto dei paesi in cui sono avvenute le
stesse cose. Abbiamo voluto dimostrare che in Nicaragua esiste ancora
gente che crede nella classe lavoratrice e nei suoi diritti.
Il secondo tentativo è stato quello di far credere al paese che, con
questa causa milionaria aperta, il mercato del banano sarebbe crollato
lasciando a spasso migliaia di lavoratori. Sappiamo che è falso ed anzi,
le notizie che abbiamo è che il mercato è in espansione.
Esiste un’altra formula piuttosto ambigua che é stata inserita nella
legge e che potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio. L’articolo 13
dice che, per i lavoratori denuncianti che non hanno i soldi per avviare
il giudizio, lo Stato è obbligato a fornire i mezzi e l’assistenza
tecnica e finanziaria necessaria. Nel momento in cui lo Stato paga il
processo potrebbe, poi, farsi passare come beneficiario degli indennizzi;
proprio per questo stiamo cercando il maggior numero di appoggi per
evitare di incorrere in questo rischio.
Dicevi che esiste già un processo aperto. Con l’approvazione della
legge 364 aprirete un’altra causa o continuerete con quella già in corso
ampliando il ventaglio delle imprese denunciate?
Queste sono due possibilità che stiamo studiando attentamente perché
non vogliamo lasciare nemmeno una minima possibilità di scappatoia alle
imprese. Non lo abbiamo ancora deciso ed i nostri avvocati le stanno
studiando a fondo tutte e due.
La causa già aperta, per 10 milioni di dollari, risale al 1998 quando
denunciammo la Dole e la Standard Fruit Company per tutto quello che
avevano fatto, negli anni, ai lavoratori.
Riuscimmo, con una sentenza di una giudice e la collaborazione di due
ottimi avvocati, a far mettere sotto sequestro giudiziario preventivo 54
camion, del valore di 40 mila dollari cadauno, pieni di banane che erano
già pronti a varcare la frontiera honduregna ed a bloccare, con più di
2mila lavoratori, le uscite delle varie fincas dove si produce il
banano. Il blocco durò per alcune settimane e le compagnie gridarono allo
scandalo.
Venimmo anche denunciati dalle compagnie stesse, ma il loro obiettivo era
solo quello di arrivare ad un accordo extragiudiziale, cosa che non
accettammo arrivando fino in fondo al processo e la Suprema Corte di
Giustizia ci dette ragione e quindi, ora, siamo totalmente liberi.
Come si risolse la protesta del 1998?
Alla fine decidemmo di togliere i blocchi perché avevamo già
raggiunto il nostro obiettivo che era quello di denunciare quello che
stava succedendo e l’abbandono in cui, tutte le istituzioni, i partiti ed
i sindacati, ci avevano lasciato. Sapevamo, inoltre, che il Governo
avrebbe fatto intervenire la polizia antisommossa cosa che, puntualmente,
si verificò il giorno stesso in cui togliemmo i picchetti.
Non serviva più continuare perché, dopo lo scandalo, avevamo il compito
di cominciare a lavorare seriamente per l’approvazione della legge e
concentrare lì i nostri sforzi.
Per quello che riguarda i camion il Governo fece pressione sul
responsabile della Dogana affinché li facesse passare di nascosto.
Restano, comunque, sotto sequestro e se dovessero tornare glieli
riprendiamo nuovamente. La denuncia, come ti dicevo, è ancora aperta e
vedremo se ampliare questa, estendendola alle altre compagnie produttrici
ed applicatrici del Nemagòn che, in totale, dovrebbero essere circa 20, o
se aprire un nuovo processo.
Come Fondazione ed Associazione state lavorando anche con i
nuovi lavoratori?
Attualmente non rientra nei nostri piani perché siamo concentrati
sulla legge e sulla denuncia che dovrebbe, una volta per tutte, rendere
giustizia, almeno economicamente, alle migliaia di lavoratori e
lavoratrici che hanno subito i danni dell’uso del Nemagòn, ma abbiamo già
in cantiere la formazione di due sindacati municipali che entrino con
forza per la difesa dei diritti dei nuovi lavoratori che, come ho già
detto, sono ancora violati.
Esiste a livello centroamericano un coordinamento dei comitati che
stanno lavorando sulla situazione delle bananeras?
Ci stiamo interessando a questo. Partiamo da tre presupposti:
1)
Il
problema è uguale in tutta l’America Latina ed ha portato gli stessi
danni alla gente. Il fatto è che, in molti paesi, si è fatta poca
pubblicità sulle condizioni di chi ha lavorato o lavora nelle bananeras.
In Centroamerica, ad esempio, si è lavorato abbastanza in Honduras e
Guatemala, ma molto poco in Costarica .
2)
Tutti
i paesi, a parte il Nicaragua, mancano di una legge specifica. L’idea è
di fare una riunione per definire una strategia comune partendo dalla
nostra legge come precedente per far pressione sui governi degli altri
paesi.
3)
Attualmente
esiste una strategia generale, ma mancano i finanziamenti e dovremo fare
di tutto per trovarli.
E’ nata anche l’ipotesi di presentare la nostra legge al Parlamento
Centroamericano affinché l’approvi per tutto il Centroamerica.
Per concludere, chi vi ha appoggiato fino a questo momento?
Abbiamo informato tutte le agenzie e tutte le istituzioni, ma le
risposte sono state poche. Il CENIDH (Centro Nicaraguense para los
Derechos Humanos) si è molto interessato e ci ha appoggiato in molte
delle nostre iniziative di denuncia e la Procuradoria para los Derechos
Humanos ha collaborato , ma non ha mai emesso una risoluzione.
All’interno dell’Asamblea Nacional solo la Commissione del Lavoro e
quella per i Diritti Umani ci hanno aiutati, ma perché coinvolte
direttamente nella formazione della legge.
Alla fine il maggior aiuto è venuto dai singoli; amici e compagni che ci
hanno dato quel poco che avevano, ma che è stato fondamentale per
arrivare fino a dove siamo oggi.