AINRAM NEWS N. 17 – 2OOO Lettera dell’Associazione Internazionale "Noi Ragazzi del Mondo" Via Lungro, 3 – 00178 Roma (Italia), Telefono: 06/71289053 C/C postale 17195041 - Email: ainram@tin.it
I T A L I A Presidente Internazionale, d. Franco Monterubbianesi, Roma: ainram@tin.it Ufficio Internazionale, Cristiano Morsolin e Teresa Ricci : ainram@tin.it Gruppo di Roma, Rossano Salvatore: edpjs@tin.it Gruppo di Trento, Miriam Boglioni: gruppo_78@consolida.it Gruppo regione Calabria, Emma e Beppe Rozzoni: emma@c-progettosud.it Gruppo Oratorio Redona (BG), Paola Galimberti e d.Patrizio Moioli: trottalemme@katamail.com Gruppi regione Marche,Argeo Funari:Tel.0734/780819 Email: ciccola@tiscalinet.it Gruppo regione Sardegna, Tamara Sanna e Lorenzo: anramsarda@tiscalinet.it Gruppo di Milano, Daniela e Ilaria Nava : daniela.nava@tiscalinet.it Gruppo di Torino, Fausto Sorino: fausto70@yahoo.it Gruppo di Terraccina (LT), Valentina Masocco: comunita21marzo@sarionline.it
E C U A D O R Vice Presidente Internazionale, Gianni Tarquini: anita@accessinter.net Gruppi " ASA" e "Confie" – Quito, P. Giorgio De Checchi : gdechecc@uio.satnet.net Gruppo "Muchachos solidarios" – Quito, Monica Silva e Sulami Ruales: anita@accessinter.net "Jovenes luchadores x ninez mas justa" – Ibarra, Claudia Idabango: cristodelacalle@yahoo.com Gruppo "Mano Amiga" – Riobamba, Amelia Jara e Margarida Guevara: marga@laserinter.net Gruppo "Mano Amiga" – Chone, B R A S I L E Gruppo "Casa do Menor" – Rio de Janeiro, P. Renato Chiera: chiera@abeunet.com.br "Progetto Luar" – Rio de Janeiro, Rita Serpa: rita_serpa@uol.com.br Frei Alamiro: freialamiro@uol.com.br Gruppo "P. Nino Miraldi" – Rio de Janeiro, Regina: r-egina@mailbr.com.br G U A T E M A L A Renè Munoz, Città del Guatemala: congcoop@guate.net C A M E R O U N Gruppo "Maranathà" – Yaoundè, Patrizia Carissimi/e Ragazzi/e del Mondo, Roma, 19 settembre 2000 Ciao! Oi! Hola! Siamo dispiaciuti di non poter fare il campo per animatori a Lamezia per le poche adesioni pervenute, però ci rianima l’entusiasmo vissuto al campo in tenda a Grottafferrata con i ragazzi/e del gruppo di Roma. Giulia (si sta trasferendo a Roma) ci ha raccontato dell’incontro in Ecuador. Renè ha partecipato ad un incontro latinoamericano di sem-terra. Deco e Elaine ci scrivono: "Abbiamo fatto la campagna popolare sul debito. Abbiamo messo un’urna nella Chiesa e un’altra nella scuola dove lavoro. Abbiamo raccolti molti voti, non credevamo così tanti! Il vescovo di Rio di Janeiro non ha permesso di collocare le urne nelle chiese. Ma qui in Duque de Caxias il nostro vescovo Mauro Morelli ha appoggiato con molta forza. (..) Andiamo a prendere Rossano all’aereoporto per stare insieme, nella nostra casa". Frei Alamiro ci scrive : "Il plebiscito-consulta popolare promosso dalla Conferenza Episcopale (CNBB), Conic, Cut, MST e altri gruppi tra il 2 e 7 settembre, è stato molto bello. La maggior parte del popolo non sapeva che abbiamo un debito tanto grande con i banchieri e i governi stranieri. Si parla di 212 biglioni di dollari. Ciò ha provocato una forte reazione da parte di tutta la società e del governo: alcuni a favore, altri contro." Con questa news-letter apriamo stabilmente delle finestre che informeranno sulle diverse realtà latinoamericane. Iniziamo con la caduta di Fujimori in Perù ed un approfondimento di Manthoc con cui stiamo prendendo contatti. Ci soffermiamo anche sul "Grido degli Esclusi" in Brasile. Ainram News n.17 contiene i seguenti materiali:
Abbracci di pace da parte di Cristiano _________________________________________________________________________________________________________ CAMPO A GROTTAFFERATA 8-10/9/2000, GRUPPO di ROMA Introduzione Durante questo campo ci siamo incontrati per approfondire il cammino che ci porterà a Rio de Janeiro. Questo percorso si articola in tre tappe:
In questo campo abbiamo approfondito il momento della conoscenza dell’altro attraverso un gioco in coppia che consisteva nel raccontare momenti passati al nostro compagno sconosciuto. Ci siamo stupiti della semplicità con la quale riusciamo ad aprirci, superando le nostre paure e le nostre difficoltà nel relazionarci. Abbiamo in seguito rappresentato il nostro partner e le emozioni che questo ci ha trasmesso in un disegno astratto, accompagnati da un sottofondo musicale che ci caricava di gioia. Al termine del gioco eravamo un’esplosione di colori e allegria poiché ci siamo sentiti liberi di esprimerci senza la paura di essere giudicati. Anche se il gioco era in coppie si è instaurata una forte intesa fra tutti gli elementi del gruppo e da tanti singoli colori abbiamo formato un mosaico che esprime l’arcobaleno delle nostre diversità. Dopo essere stati divisi in coppia si è dato il via alla seconda attività. Questa consisteva nell’andare alla conoscenza dello spazio secondo metodi alternativi. Infatti un ragazzo veniva bendato per poi essere portato all’esplorazione della natura tramite un compagno-guida. In questo gioco sono differenti le emozioni provate: colui che doveva guidare si sentiva responsabilizzato nei confronti del suo compagno e colui che aveva la benda doveva conoscere il mondo con gli occhi della sua guida, affidandosi completamente a lui. Abbiamo rappresentato il nostro mondo che sogniamo e vogliamo costruire, attraverso collage, ritagliando titoli di giornale che alleghiamo qui di seguito. Siamo andati alla ricerca di una rappresentazione collettiva per unire i nostri sogni e le speranze per il futuro. TUTTI DIVERSI MA UNITI DAGLI STESSI COLORI Cambiate opinione, cambiate punto di vista! Boicotto anch’io, conserviamo il mondo pulito e unito, un regalo bello. Memoria e nuovo Nel silenzio un urlo dal Sud: AIUTO Vogliamo pace. Un dovere: battere la povertà Un mondo di viaggiatori verso la libertà Per costruire un mondo migliore: ribelliamoci con la non-violenza La pace ha molti colori: giustizia, dialogo, cooperazione, ecumenismo, pluralismo tra le culture e le fedi. Un mondo più tradizionalista, con più spazio agli ambienti naturali. Per un mondo migliore, stiamo procedendo a piccoli passi! Insieme per raggiungere un grande scopo: un mondo migliore! "contro tutte le intolleranze, contro chi soffoca le speranze" "Io non sopporto la gente che non sogna"….Cirano. Vivere liberi: non c’è bisogno di molti cambiamenti, ci accontentiamo di un mondo con più amore, più rispetto e sicuramente meno indifferenza per poter vivere più liberi. Il mondo che sogniamo: una società in cui Noi ci apriamo agli altri naturalmente e completamente. Il mio mondo: no guerra, SI amore, gioia, pace, solidarity e libertà Tutti insieme con i miei amici e colleghi di lavoro sono riuscito a dire che finalmente siamo tornati quasi liberi dalla violenza e così insieme riuscire a fare il mondo pulito da qualsiasi cosa tutto quello che ci circonda e deve per forza cambiare! W l’umanità, il mondo si cambia, siamo noi il mondo! Pensiamo ai popoli non a chi li governa. Se gli esseri umani diventassero uguali per chi uguali non li considera. Basta con i governi fantoccio! I paesi del Terzo Mondo hanno già pagato il peso delle oligarchie e di politici parassiti che rubano la ricchezza. I paesi del Terzo mondo vanno aiutati a crescere nel rispetto dei diritti umani. Vivere felici, occhio al potere, non dimenticare! W la non-violenza, la famiglia unita. Facciamo la pace nel mondo. Tanti popoli insieme, tra profumi e colori, vita, pace, sogni e speranze Vivere in una società civile. CONCLUSIONE Abbiamo condiviso una bellissima esperienza che ci ha legato non solo nel divertimento. Infatti ci ha permesso di consolidare il gruppo e di far nascere al suo interno la voglia di impegnarci per costruire un mondo più giusto. Desideriamo trasmettere il nostro entusiasmo agli amici e alle amiche di Rio e di Casa do Menor, raccontandovi con foto e slogan la nostra voglia di andare avanti e di crescere insieme. SILVIA , AMBRA, ARIANNA, CARLOTTA, CHIARA, CRISTIANO, DAMIANO , DANIELE, EMILIO, FLAVIA, ISABELLA,ROBERTO, FRANCESCO, LUCA, IRENE, ELISA, NICOLA, RODOLFO, ROBERTO, CARLO , DIEGO, GIUSY.
Aggiornamento PERU’ Fujimori no renunciò , el pueblo lo sacò P er fortuna c'è una fine per tutto. Anche per gli incubi. Sono bastati sei minuti, domenica mattina, all'ingegner Alberto Fujimori per annunciare la conclusione della sua feroce dittatura tecnocratica, la convocazione di nuove elezioni e lo scioglimento dei terribili servizi segreti. Il potere del "chino" era tanto decomposto e impresentabile da essere clamorosamente delegittimato persino da Washington, l'amico del "norte" che l'aveva inventato e consolidato nel corso di dieci interminabili anni.Travolto dallo scandalo suscitato dal video che mostra Vladimiro Montesinos, l'uomo forte del regime, mentre compra, soldi alla mano, uno dei deputati necessari al raggiungimento della maggioranza parlamentare, per la prima volta nella sua fulminante carriera, Fujimori si arrende. La divulgazione del video mentre Alejandro Toledo, leader pulito (ma altrettanto liberista) dell'opposizione, si trovava negli Stati uniti per rafforzare un sostegno già esplicito, lascia trasparire con chiarezza chi gioca il ruolo chiave nel terremoto peruviano. E' la prima volta, a quanto se ne sa, che Fujimori prende una decisione senza consultare l'esercito controllato da Montesinos, cioè lo scudo capace di respingere ogni pressione internazionale indignata dalle sevizie carcerarie o da brogli spudorati. Per questo le conseguenze interne di quanto avviene in queste ore sono tutte da chiarire, ma sarebbe un tremendo errore sottovalutare, con fine politicismo, quelle decine di migliaia di persone che in ogni angolo del Perù festeggiano gridando che Fujimori "no renunciò, el pueblo lo sacò". FONTE : CARTA, LUNEDI’ 18 SETTEMBRE – WWW.CARTA.ORG
MANTHOC - Perù, bambini lavoratori e sindacalisti Yessica e Alfredo girano il mondo portando una denuncia scomoda contro l'ipocrisia che pretende di risolvere con proclami semplicistici la realtà del lavoro minorile nei paesi poveri "Nessuno ci offre un'alternativa concreta, non siamo trattati come soggetti sociali pensanti..." di STEFANO ISCHIA Yessica Margot Coronacion Palina, 11 anni, delegata di Lima, lavora in un laboratorio di bigliettini di auguri Alfredo Quispe Fernandéz, 15 anni, delegato nazionale del Manthoc, operaio in una ferramenta Patricia Rivera Guerra, 29 anni, collaboratrice adulta del coordinamento di Lima del Manthoc I: Due parole per spiegare cosa è l’associazione Manthoc, il movimento dei bambini e adolescenti lavoratori. A: Il Manthoc prese il via nel 1976 per promuovere il protagonismo dei bambini e adolescenti lavoratori e ha decine di appartamenti in 27 località del Perù. Ci sono 5000 ragazzi lavoratori organizzati. Ma ci sono anche altre organizzazioni simili, con altre esperienze sostenute dal Manthoc e allora si raggiungono anche i 10 mila ragazzi. Nasce con una prospettiva di valorizzazione critica del lavoro infantile. Non per dire no. Al contrario, per dire sì al lavoro infantile ma in una condizione di dignità, con una salute buona, con alimentazione. Con una educazione realmente gratuita: scuole dove si non esiga una divisa scolastica come te la richiedono nella scuola pubblica. Una scuola molto differente, alternativa, per i ragazzi lavoratori: che si adatti alla nostra realtà. Vogliamo un’assicurazione sociale di previdenza, non solo per i ragazzi lavoratori ma in generale per tutti anche per i nostri genitori lavoratori. Troppo facile dire no al lavoro minorile: il lavoro non è una causa della povertà ma una conseguenza. Se un ragazzo, un bambino, non lavora cade nella droga, si unisce a bande, si prostituisce. Non si può dire no e basta, senza dare alcuna alternativa. Ecco perché 25 anni fa è nato Manthoc e non per ragioni di assistenzialismo. I: Chi ha fondato il Manthoc? Con che idea? A: Nasce su iniziativa dei giovani della Joc (Gioventù operaia cristiana), nasce con la preoccupazione dei bambini lavoratori di 20 anni fa, tempo di dittatura nel ’76, quando a causa del colpo di stato molte imprese licenziarono migliaia di lavoratori. Si decise di non farlo dirigere da adulti per favorire il protagonismo dei ragazzi e, ancora oggi, si basa sulla pedagogia di noi stessi nel senso che noi stessi insegniamo ad altri ragazzi ed educhiamo gli adulti. In modo che noi apprendiamo qualcosa dagli adulti e gli adulti apprendono qualcosa da noi in una pedagogia mutua, orizzontale. I: La tua vita, la tua occupazione professionale quali sono? Quali lavori hai svolto? A: Ho quindici anni. Vivo in Ayacucho 2700 metri sul livello del mare. La mia è una famiglia contadina che viveva in campagna. A causa della guerriglia siamo andati a vivere in città. Adesso lavoro in una ferramenta. Iniziai, però, a lavorare, come molti nel mio Paese, per poter andare a scuola, per mangiare, per poterci educare, a 7 anni, vendendo borse al mercato, lustrando scarpe, nei ristoranti, facendo pane, vendendo verdure e frutta. In Perù più di due milioni e mezzo di bambini e adolescenti lavoratori lavorano per poter aiutare l’economia famigliare. Non perché i nostri genitori ci obbligano ma perché il nostro Paese sta passando una crisi economica e l’altro motivo è perché il lavoro fa parte della nostra cultura perché il lavoro non lo vediamo solo dal lato economico ma fa parte della nostra vita, ci valorizza, ci dà dignità. Se dà dignità alla persona adulta perché non può dare dignità a noi? Altrimenti il lavoro non avrebbe uno sviluppo all’interno di una società. In Per ci sono 25 milioni di abitanti di cui 11 sotto i 18 anni. Due milioni e mezzo sono i bambini o adolescenti lavoratori provengono dalle periferie e dalle favelas. Sono addetti al trasporto sui fiumi nelle aree amazzoniche, molti aiutano i genitori nei campi. Altri, invece, aiutano al mercato nelle forme più diverse: chi si alza alle 5 per pulire i polli, chi vende borse o frutta. Spesso dobbiamo inventarcela la merce da vendere: la crema da scarpe, gli spazzolini da denti, le bibite… Le bambine aiutano le mamme al mercato. E ancora: c’è chi vende i giornali, chi lustra le scarpe, chi vende il pane, chi fa il trasportatore, chi il bigliettaio nei combi (furgoncini adibiti al trasporto di persone ndr.). In situazioni difficili bisogna avere fantasia. Molti poi sono gli orfani e allora sono i fratelli maggiori che allevano i più piccoli. I: Yessica, il tuo lavoro… Y: Vivo Lima, lavoro in un laboratorio che realizza biglietti di auguri e simili ma a sei anni vendevo caramelle e lecca lecca, lavoravo sei, sette ore al giorno, andavo a scuola ma non riuscivo a fare i compiti né a giocare. Anche mio padre e mia madre lavorano ma quello che guadagnano non è sufficiente per la famiglia, nemmeno per l’educazione perché la scuola ti richiede molte cose soprattutto la divisa, molto cara, e per fare lo sport, l’educazione fisica, devi averne due di divise. Al Manthoc, invece, lavoro ma riesco anche a fare i compiti e a giocare come tutti i bambini. Manthoc ha aperto una scuola dove la divisa non conta, importa solo apprendere. Del resto che valore ha il vestito? Ne avrà molto di più la cultura no? Noi non siamo costretti a lavorare, noi vogliamo lavorare; lavorare ci fa crescere, ci dà dignità. I: Ma tu a scuola ci vai? Y: Sì. Tutti noi fratelli ci andiamo. Io faccio la sesta, sto terminando la scuola elementare e il prossimo anno vado alle medie. I: Quindi vai a scuola e lavori. Y: Sì: scuola e lavoro. Ci sono due turni: uno alla mattina e uno al pomeriggio. Lavoro in laboratorio dalle 9 alle 14 e ho un mio orario. Ci sono quelli che lavorano la mattina e studiano al pomeriggio e quelli che lavorano il pomeriggio e studiano la mattina. I: Come hai conosciuto il Manthoc? Y: Grazie a un’amica di mia madre e pure mia. Io lavoravo e lavoravo, molte ore, da mattina presto fino al pomeriggio. Molto piccola a sfruttata, e la gente in Perù pensa quando ti vede a vendere caramelle: "Guarda la poverina" però non comperano. A: Io l’ho conosciuto al tempo in cui facevo il lustrascarpe. Sono stato invitato da mio fratello, che era nell’organizzazione, e mi disse: "Guarda, faccio parte di un’organizzazione che non è composta da adulti, ma da bimbi e adolescenti lavoratori, figli di operai cristiani. A una riunione mi spiegarono che non era un’organizzazione assistenzialista o che ti forniva alimenti o generi vari ma, invece, era un movimento che ti insegnava a valorizzarti come persona e dove non erano gli adulti a insegnare ma gli stessi ragazzi, da ragazzo a ragazzo, come una sorta di evangelizzazione. Del resto teniamo Gesù come modello perché aiutava il padre falegname e in cucina la madre. I: Com’è organizzato il Manthoc? A: Di fatto da noi gli adulti aiutano soltanto, siamo noi che ne tiriamo le redini, che convochiamo le assemblee, che discutiamo gli argomenti, che protestiamo con il governo per ottenere un lavoro in condizioni più giuste. Noi vogliamo un lavoro dignitoso e che sia rispettato proprio in perché siamo lavoratori. In questo senso dobbiamo smetterla con il luogo comune per cui i ragazzi sono il futuro del mondo, noi non siamo il futuro noi siamo il presente! In Perù Manthoc e i bambini lavoratori sono in genere apprezzati dagli adulti perché sanno cosa vuol dire: ci sono passati anche loro. Y: Siamo divisi in gruppi-laboratorio: chi fa braccialetti, chi si occupa del riciclaggio della carta chi a produrre maglierie. Il mio gruppo si chiama Franco Nats ed è composto da 22 ragazzi. Ci eleggiamo i delegati, i tesorieri ecc. I fondi di solidarietà del gruppo: ciascuno partecipa secondo le proprie disponibilità, servono per comperare il materiale scolastico oppure in caso di bisogno, se qualcun ad esempio si ammala. Siamo anche dei promotori di salute a catena, una specie di passaparola. Riflettiamo assieme sulle attività del gruppo, su questioni più vaste come il debito dei paesi come il Perù o sui diritti dei bambini. Ma stiamo assieme anche per giocare. I nostri gruppi sono delle microimprese. Al Manthoc si conoscono molti amici, con i quali si gioca volentieri, ci si può rilassare e nel contempo si lavora in laboratorio di cartoline e lettere di auguri con criteri rigorosi. A iniziare dal lavarsi bene le mani per non sporcare le cartoline e la carta, dalla regolarità e puntualità sul posto di lavoro. Su quest’ultimo aspetto, solo per fare un esempio, ci siamo organizzati all’interno del nostro gruppo di multare chi si presenta in ritardo oppure è assente. Manthoc non è un ente che offre servizi (scuola, mensa ecc.): la coscientizzazione porta all’organizzazione non è l’adesione all’organizzazione che ti dà i servizi. L’organizzazione, dà molta forza. Si impara la solidarietà e la collaborazione. I: Quanto guadagni? Y: Trenta dollari al mese come minimo (un terzo circa del salario minimo ndr.) durante le vacanze lavoro di più e raggiungo anche i 100 dollari al mese. A: Io lavoro soprattutto durante le vacanze in gennaio febbraio e marzo, in questi tre mesi approfittiamo per lavorare al massimo. Lavoriamo tutto il giorno per poi comperare le divise per la scuola, i quaderni, acquisti per la famiglia. Il salario può superare i cento dollari. Quando vado a scuola mi alzo, preparo la colazione, frequento le lezioni, torno alle 1 e 30 cucino e alle 3.30 del pomeriggio vado al lavoro fino alle 7 o le 8 e alla sera studio. Lavoro, dunque, metà giornata e mi pagano sui 30 dollari al mese. In genere, a parità di lavoro, non ci sono differenze di salario tra adulto e bambino. I: E’ sufficiente per il bilancio famigliare? Y: Certo non ci comperiamo il cellulare! Con quello che guadagniamo diamo sostegno alla famiglia. Il salario, come utilizzarlo, lo decidiamo, comunque, noi ragazzi: sono soldi nostri. Posso anche metterli su un libretto al risparmio in Manthoc. I: Quanti sono i ragazzi orfani tra voi? P: A Lima sono un 200 su 1200. I: Cosa rivendicate nei confronti del governo? A: Quanto alla salute, Manthoc ha protestato con il governo perché vuole che i ragazzi e i lavoratori possano godere della previdenza sociale in relazione al nostro lavoro, di un’assicurazione su malattie e infortunio. Il governo non ha accolto la nostra richiesta come assicurazione per tutti i minori lavoratori. Ha ceduto su un altro fronte: ha concesso un’assicurazione sociale gratuita agli studenti. Ma che ne è ai bambini e adolescenti lavoratori? I: Il lavoro minorile è considerato illegale in Perù, come si concilia con le vostre richieste? A: In Perù vige una legge, il Codice dei bambini e adolescenti: la minore età arriva fino a 12 anni. Solo a 12 avremmo diritto a lavorare. Ma il Codice non è adeguato alla nostra realtà. Cito un esempio emblematico e assurdo di questa contraddizione. Fino a 15 o 20 anni fa non c’erano bambini lavoratori di 4, 5 o 6 anni che vendevano caramelle o altro davanti al palazzo del governo alla plaza de Armas a Lima. Adesso, ogni giorno, ci sono bambini che lavorano davanti agli occhi del presidente. I: Quindi tutti i minori di 12 anni non hanno nessun diritto in quanto lavoratori, non dovrebbero semplicemente lavorare. A: No nessun diritto. Ma che fare se un padre porta a casa soltanto l’equivalente di 100 dollari al mese quando il fabbisogno della famiglia è magari del doppio se non peggio? I: Il governo peruviano in questo modo se ne lava le mani, si disinteressa di quello che succede in realtà, cioè dei bambini sotto i 12 anni che lavorano... A: Si disinteressa. I governi internazionali o altre organizzazioni che sono contro il lavoro si sono dati una legge per estirpare i lavoro minorile, ma quando eliminano o tentiamo di eliminare tra i ragazzi lavoratori, cioè tra di noi, delle occupazioni, si tratta solo di quelle molto, molto pericolose come il lavoro in miniera, la ricerca dell’oro o la prostituzione. Così facendo generalizzano: associano il lavoro minorile all’immagine a queste occupazioni a rischio per cui sembra che tutti i lavori siano cattivi. Non offrono assolutamente un’alternativa! Manthoc da quando è nato propone alternative di lavoro: lavorare 4 ore al giorno, in un laboratorio, in un panificio o dove si voglia; le restanti ore rimangono per la scuola o per poter giocare come tutti i bambini. Insomma, è importante avere un orario di lavoro nella settimana. P: Ciò significa valorizzare il lavoro come cultura. Qui non consideriamo soltanto il lavoro del bambino in strada ma anche in casa o in campagna e l’obiettivo-principio è il riconoscimento come soggetto sociale. Da dieci anni il nostro movimento propugna questa causa. Dopo la convenzione internazionale dei diritti del bambino dell’Onu è stata adottata in Perù il Codice dei bambini e degli adolescenti. Manthoc assieme all’organizzazione nazionale dei ragazzi lavoratori Mnnatsop (Il movimento nazionale bambini e adolesecenti lavoratori formato da 30 organizzazioni) partecipò alla fase di discussione e in quella sede si giunse al limite dei 12 anni. Da lì si iniziò a battagliare per la proposta dell’assicurazione sociale con azioni di protesta dei bambini. I: Allora possiamo dire che Mantrhoc è una specie di sindacato? P: Sì. I : Obiettivi raggiunti? P: Uno tra tanti, l’assicurazione scolare gratuita. I: Anche l’Organizzazione internazionale del lavoro condanna il lavoro minorile fino ai 14 anni, sembra non esserci via d’uscita. C’è pure chi boicotta i prodotti fatti dai ragazzi. A: Molte organizzazioni internazionali, come già detto, hanno generalizzato sul lavoro infantile oppure hanno proposto ai ragazzi: "Ti do i tuoi 200 dollari, smetti di lavorare". Ma non funziona. Sui boicottaggi so che in Europa c’è chi non compera generi prodotti con lavoro minorile, il caso della Nike, ma non viene offerta in cambio nessuna alternativa o soluzione. Nessuna via d’uscita. Sradicare il lavoro minorile è la prima preoccupazione ma anche l’unica. Noi del Manthoc vogliamo essere invece considerati come persone, non come oggetti. Non vogliamo aspettare che della gente adulta ci dica: "prendi i tuoi soldi ma non lavorare". Siamo soggetti sociali non oggetti. Siamo capaci di pensare, siamo capaci di analizzare perché siamo coscienti di ciò che stiamo vivendo. I: Ma le centinaia di migliaia di bambini e ragazzi lavoratori che non fanno parte di Manthoc hanno la medesima coscienza che avete voi rispetto alla realtà socioeconomica del vostro paese? P: Se chiedi a qualsiasi ragazzo che non sia del Manthoc se gli piace il lavoro e perché lavora ti risponderà negli stessi termini. La situazione in Perù è difficile, i bambini e ragazzi conoscono i loro diritti e i loro doveri, è difficile per via della dittatura. Ma tutte le organizzazioni sono attive per proporre e attuare il cambiamento. I: Voi approfondite anche la situazione economica internazionale. A. Solo un esempio, Manthoc ha partecipato alla raccolta di firme della Jubilee 2000 per l’abbattimento del debito estero dei paesi come il nostro perché il nostro presidente (Fujimori appena rieletto ndr.) vuole dare all’estero l’immagine di un eccellentissimo paese medio dove gli insegnanti guadagnano bene, dove c’è occupazione, dove gli stranieri possono investire senza rischio, dove l’economia del paese va a gonfie vele e che il debito con l’estero verrà ripianato. Ma se vivi in Perù sperimenti sulla tua pelle la durezza della realtà.
Mentre gli organismi internazionali, Organizzazione internazionale del lavoro in testa, predicano l’abolizione del lavoro minorile nelle sue forme peggiori (vedasi la convenzione n.182 dello scorso anno) proponendo di fatto un punto di vista occidentale, due ragazzini, una graziosa e disinvolta bimba di undici anni e un adolescente di quindici, rappresentanti di una sorta di combattivo sindacato peruviano, stanno rivendicando in assemblee e pubblici dibattiti di mezza Italia (invitati dall’ong Mlal, Movimento laici America latina di Verona) il loro diritto a lavorare: a un lavoro dignitoso; pagato il giusto; possibilmente assicurato; rispettoso dei diritti dei lavoratori, ancorché minorenni, compreso il diritto alla salute, allo studio, allo svago, al gioco. Soprattutto, però, il diritto a lavorare. Yessica Margot Coronacion Palian e Alfredo Quispe Fernandéz fanno parte del Manthoc, un’organizzazione a metà tra sindacato e cooperativa, fatto e gestito dai minorenni stessi che riunisce in Perù circa 5000 bambini e ragazzi lavoratori dai 7 ai 17 anni. Nella loro semplicità e chiarezza sono un’opinione in controtendenza, una contraddizione per la visione forse semplicistica che si ha in Occidente sulla tematica del lavoro minorile. Lo sono sia per i settori istituzionali che si occupano di politica ed economia internazionale, che per i sindacati italiani (si ricorderà la presa di posizione della Cgil nei confronti del lavoro nel sudest asiatico). Sono, senz’altro anche uno stimolo al dibattito all’interno delle stesse organizzazioni non governative, del mondo del commercio equo e della critica economica del modello neoliberistico. Sono una contraddizione anche in virtù del fatto che Yessica e Alfredo sono in un certo senso rappresentativi dei due milioni e mezzo di bambini e adolescenti lavoratori in Perù. La loro lotta per il diritto a lavorare obbliga a ripensare se non proprio a liberarsi di pre-giudizi di pre-comprensioni occidentali che, in genere, tendono ad accreditare acriticamente, come soluzione ottimale al dramma-problema del lavoro minorile, la pura e semplice estirpazione del lavoro minorile stesso. Quasi fosse un toccasana. Quasi, il lavoro dei bambini, fosse la causa e non la conseguenza della povertà e della miseria. Senza analizzare con sufficiente spessore il tessuto sociale, l’economia informale, l’economia familiare di sopravvivenza di milioni di famiglie. Del resto è comodo per l’Occidente, una volta di più, far ricadere sui poveri la colpa di essere poveri. Quasi non fosse il sistema economico imposto ovunque dallo stesso Nord ricco, (si veda il recente Agoa, o Nafta for Africa, in cui si ripropongono spizzichi di Mai, il famigerato accordo multilaterale sugli investimenti) la vera causa all’origine del fenomeno. Quasi che il neoliberismo economico non fosse esso stesso all’origine della povertà e, quindi, del lavoro minorile. In altre parole, una volta ancora, pare si voglia far passare subdolamente l’opinione che si debba mettere sotto accusa i poveri perché fanno lavorare i loro figli piuttosto che puntare il dito là dove effettivamente si annida la strategia dello sfruttamento strutturale. E i due ragazzi, nemmeno tanto velatamente, lo fanno intendere. Yessica e Alfredo chiedono di essere ascoltati in quanto persone e lavoratori di fatto. Adesso. Loro non sono "il futuro" di questo mondo, e lo dicono a chiare lettere, ma del mondo sono il "presente". Impossibile, dunque, chiudere gli occhi di fronte alla loro presenza, alla loro presenza su questa terra come lavoratori e come lavoratori che rivendicano diritti. Le loro istanze sono un punto di vista dal basso anche per quanti lavorano nel commercio equo e solidale sempre così attento a relazionarsi in termini di correttezza e rispetto della vita e del lavoro dei produttori. Lo è tanto più ora momento di profonda riflessione dopo la sospensione del progetto dei palloni in Pakistan. MANTHOC Il Manthoc è uno degli organismi peruviani più rappresentativi della realtà dei bambini lavoratori. E’ stato fondato nel 1976, nella parte sud di Lima come reazione ad un stato di cose iniquo che vedeva bambini e adolescenti lavorare duramente in una situazione impensabile per gli europei. In America Latina è il primo movimento del genere. E’ presente in 10 regioni e in 27 città del Perù. In totale riunisce 5000 ragazzi e bambini, dai 7 ai 17 anni, organizzati, che difendono il lavoro infantile, il diritto a un’occupazione dignitosa che lasci tempo anche alla scuola, al divertimento e che consenta una buona alimentazione e l’accesso alla sanità. Ma non è tutto qui, esiste una rete organizzativa di una trentina di organizzazioni, nate in Perù sulla falsariga di Manthoc, che raggruppano altri 5000 minori. Manthoc offre ai ragazzi una scuola e un’educazione alternativa a quella statale, radicata nella quotidianità della realtà; ha una mensa interna; non ha alloggi, a sera i ragazzi tornano nelle loro famiglie. La finalità del Manthoc era ed è quella di migliorare le condizioni di vita dei ragazzi e bambini lavoratori offrendo un’esperienza "organizzativa" che permetta al bambino di prendere gradualmente coscienza della sua condizione, attraverso un percorso di formazione e di riflessione dove è costante la presenza di adulti attenti e sensibili. NON LUOGHI (21 agosto 2000) www.nonluoghi.org/peru.html
Aggiornamento BRASILE
Bassegio – l’esclusione sociale causata dalla politica economica imposta dal Fondo monetario internazionale, il Plan Colombia, il commercio degli alimenti transgenici e gli effetti della globalizzazione". FONTE : MISNA 8/9/2000 GRIDO DEGLI ESCLUSI : 5,5 MILIONI DI PARTECIPANTI Un rappresentante del governo brasiliano ha definito "un insuccesso" il referendum popolare sul debito estero conclusosi domenica scorsa. Eppure la consultazione ha registrato la partecipazione di 5,5 milioni di persone. Organizzato dalla Conferenza nazionale dei vescovi (Cnbb), dal Consiglio nazionale delle chiese cristiane, da sindacati, gruppi e associazioni, il referendum ha confermato la volontà della società civile di avere un controllo popolare maggiore sulla gestione del debito estero, contro gli attuali accordi del Brasile con il Fmi e per la cancellazione del debito interno che grava sui governi locali. "L'opposizione mostra ancora una volta di essere immatura e irresponsabile" ha affermato il deputato Arnaldo Madeira, leader del partito di governo alla camera. "E' una visione ingenua della Chiesa - ha proseguito - che l'opposizione ha finito per assumere, il ritenere che possiamo non pagare il debito e distribuire quel che resta ai più poveri". "Il risultato di questo referendum non ha alcun significato - ha precisato il deputato - perché ha rappresentato le opinioni di una minoranza". Alle parole di Madeira ha replicato ieri il segretario generale della Cnbb, monsignor Raimundo Damasceno Assis. "Il risultato è stato sorprendente - ha dichiarato il presule - e la risposta della società maggiore di quel che ci si aspettava". Carta, 16 settembre
fuochi d’artificio, dibattiti, celebrazioni eucaristiche, concerti hanno affiancato nelle strade le sfilate militari. Lo scopo era quello di protestare contro le politiche economiche generatrici di miseria ed esclusione sociale e dare visibilità per un giorno all’immenso popolo degli emarginati. A San Paolo la messa solenne celebrata dal cardinale arcivescovo Aloísio Lorscheider nel santuario della Aparecida davanti a 40mila fedeli non ha deluso chi si attendeva un attacco alla politica economica neoliberista del presidente Fernando Henrique Cardoso, che il prelato ha definito "antievangelica". "La bandiera della giustizia sociale è una delle prime del Vangelo" ha dichiarato il celebrante nel corso dell’omelia. Clima molto diverso invece a Rio de Janeiro, dove il cardinale arcivescovo Eugênio Sales ha partecipato alla parata militare – segnata peraltro dall’assenza del governatore dello Stato e del sindaco della città – e dove la partecipazione alla sfilata del "Grido degli esclusi" è stata molto scarsa, riuscendo a raggiungere, secondo stime della polizia, solo il centinaio di persone. Intanto ieri si sono concluse le operazioni di voto per il referendum popolare sul debito estero indetto da Conferenza episcopale (Cnbb), Movimento dei Sem Terra (Mst), Centrale unica dei lavoratori (Cut) e da altre entità della società civile. FONTE : MISNA 8 SETTEMBRE 2000 Grido degli Esclusi : LA TESTIMONIANZA DI PE. ADRIANO SELLAGli esclusi sono scesi in piazza ed hanno potuto parlare, rivendicando quello che hanno bisogno per diritto e denunciando quello che sta massacrando la loro vita. La manifestazione Grido degli Esclusi del 7 settembre é diventato un giorno importante per pensare ad una Patria differente da quella presentata dalla sfilata dei militari, commemorando l'Indipendenza del Brasile. "Nascere indebitato, vivere indebitato, morire indebitato... è il destino di tutti i poveri del Terzo Mondo, la fatalità della nostra America. E essere così indebitato equivale ad avere la proibizione di vivere. Il debito estero è la morte interna" ha scritto, tempo fa, il vescovo Pedro Casaldaliga. È proprio questo, quello che i poveri non accettano più e che oggi gli esclusi hanno denunciato: il debito estero sta imporevendo e condennando masse di esclusi alla tomba della fame. Oggi, gli esclusi sono stati protagonisti, innalzando i loro clamori e esigendo uma nova patria: un Brasile senza esclusione. I senza tetto hanno rivendicato il diritto di avere una casa dignitosa per
abitarci e per vivere felici con la propria famiglia. I bambini di strada hanno
chiesto un presente e un futuro felice, potendo dire addio per sempre
all'emarginazione sofferta sulla strada. Sono clamori degli esclusi. Sono diritti non rispettati. Sono necessità fondamentali della vita umana non realizzate. Sono verità macchiate dalla corruzione politica. È la terribile esclusione progettata e realizata dal neoliberismo. Ma la storia farà giustizia agli esclusi. Per questo, non vogliano più pagare questo debito estero que hanno già pagato con la fame, la miseria e la morte prematura di tanti poveri. Gli esclusi hanno gridato fortemente: pagare il debito estero è morire. e noi vogliamo vivere. Belém (Brasile), 7 settembre 2000 , p. Adriano Sella
Aggiornamento GUATEMALA
MENCHU’ : LA VIOLENZA POLITICA REGNA ANCORA NEL PAESE Persecuzioni politiche e sequestri sono ancora una pratica in vigore in Guatemala. Lo ha denunciato ieri il Premio Nobel per la Pace 1992 Rigoberta Menchú in visita a Cuba. Solo la presenza del generale Efrain Ríos Montt (ex-capo di Stato golpista ed oggi presidente del parlamento) nel Congresso della Repubblica – ha continuato la signora Menchú – ha causato un danno terribile al processo di pace. Va ricordato che in seguito alle denunce di Rigoberta Menchú è stato aperto in Spagna un procedimento giudiziario a carico di Ríos Montt e di altri sei militari guatemaltechi condotto dal giudice Guillermo Ruiz Polanco. Per tutti l’accusa è di genocidio e tortura. Il Premio Nobel ha poi definito "preoccupante" il quadro emerso dal rapporto stilato dalla missione Onu in Guatemala (Minugua) e presentato alle Nazioni Unite. Il rapporto denuncia un reale passo indietro nell’applicazione degli accordi di pace firmati nel 1996 dopo 36 anni di guerra civile e attribuisce alla polizia nazionale civile (Pnc) 26 esecuzioni extragiudiziali e oltre 4mila casi di violazione di diritti umani denunciati dal dicembre 1999 al giugno scorso. Il rapporto stilato dalla Commissione per il chiarimento storico sulle vittime della guerra civile – in gran parte appartenenti alla popolazione indigena – ha attribuito all’esercito guatemalteco il 93 per cento dei crimini commessi durante il conflitto armato (1960-1996) FONTE: MISNA , 16 SETTEMBRE 2000 - PER APPROFONDIMENTI: www.misna.it RIGOBERTA MENCHU’: BASTA CON L’IMPUNITA’ I casi dell’ex dittatore cileno Augusto Pinochet e Ricardo Miguel Cavallo, l’ex ufficiale argentino della famigerata Esma, la scuola di meccanica della Marina di Buenos Aires, di cui la Spagna ha chiesto l’estradizione con l’accusa di violazioni dei diritti umani, potrebbero aprire la strada per processare altri ex Capi di Stato e militari che hanno finora goduto dell’immunità. Questo il parere del Premio Nobel per la Pace 1992, la guatemalteca Rigoberta Menchù, che ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale la sua denuncia contro l’ex dittatore e attuale Presidente del Congresso Efrain Rios Montt. "Abbiamo depositato un rapporto di 3 mila pagine presso l’Audienca Nacional do Madrid – ha ricordato la signora Menchù – contro 18 persone coinvolte in casi di genocidio e tortura e attende ora che siano emanati gli ordini di cattura". Secondo la signora Menchù " i genocidari hanno utilizzato le leggi dei loro rispettivi Paesi di appartenenza per non essere sottoposti alla giustizia ed è quindi necessario rivedere i termini dell’immunità parlamentare di cui molti ancora possono beneficiare". Rigoberta Menchù fa parte di un gruppo di Premi Nobel convocati dalle Nazioni Unite per condurre una campagna mondiale per la pace intitolata "Manifesto 2000" che ha per obiettivo raccogliere entro il prossimo dicembre 100 milioni di firme per promuovere la cultura della non-violenza. Tra i punti fondamentali di tale iniziativa, la lotta contro l’impunità. FONTE: Misna , 7 settembre 2000 _______________________________________________________________________________________ Aggiornamento ECUADOR Il Tribunale supremo elettorale boccia il referendum della Conaie? La Confederazione delle nazionalità indigene (Conaie) dell'Ecuador ha annunciato che in questa settimana continueranno le proteste contro la dollarizzazione e le altre misure impopolari decise dal governo. Intanto, però, sembrebbe che il Tribunale supremo elettorale avrebbe rifiutato la possibilità di procedere a una consultazione popolare sulle misure economiche, la legge di sicurezza sociale e l'utilizzo della base militare di Manta da parte degli Usa. Per svolgere un referendum nazionale su questi temi, la Conaie ha raccolto 780 mila firme, ma il Tse sostiene, guarda un po', che molte delle firme non corrispondono ai documenti di identità forniti. La Commissione di ammissiobne del Tribunale costituzionale avrebbe invece emesso parere favorevole sull'obiezione di incostituzionalità presentata dalla Conaie contro la legge Trole II. Entrambe queste notizie sono in attesa di conferma. La dirigente della Conaie, Blanca Chancoso, è partita intanto per Parigi, dove cercherà di incontrare rappresentanti del Club di Parigi per discutere il condono del debito estero ecuadoriano. Carta, mercoledì 13 settembre – PER APPROFONDIMENTI: www.carta.org Continua a crescere il "levantamiento progresivo" Con la crescita progressiva della protesta degli indigeni, dei contadini e del Coordinamento dei movimenti sociali comincia a spegnersi l'intempestiva esultanza del governo e dei giornali ecuadoriani. Nonostante l'annuncio chiarissimo di una mobilitazione che sarebbe dovuta crescere in diversi giorni, i giornali e il governo di Quito avevano approfittato dell'avvio intenzionalmente lento del nuovo levantamiento per dichiarare che la protesta non aveva raccolto i consensi popolari registrati in gennaio Ieri invece a Quito si è svolta una marcia dei lavoratori del settore petrolifero e di quello elettrico (quelli che la legge Trole II intende privatizzare). La polizia ha disperso violentemente i manifestanti intenzionati a raggiungere il Congresso. Poco più tardi alcuni dirigenti (Antonio Vargas della Conaie, Napoleon Saltos del Coordinamento dei movimenti sociali, Jorge Loor della Confederazione di Seguro campesino, lo scrittore Pedro Saad, Diego cano e Edgar Ponce, dirigenti dei lavoratori petroliferi ed elettrici, Mesias Tatamuez del Fronte unito dei lavoratori) sono stati ricevuti dai deputati. Vargas ha chiesto ai parlamentari la deroga della legge Trole II e spiegato che la protesta non vuole gettare il paese nel caos ma salvarlo. Oggi il movimento dovrebbe chiedere l'incostituzionalità della stessa legge (che sancisce la dollarizzazione della moneta nazionale e la svendita di ogni risorsa appetibile del patrimonio nazionale) e dell'utilizzo della base militare di Manta da parte degli Stati uniti, uno dei centri strategici del Plan Colombia. La protesta cresce anche in altre parti del paese: a Portoviejo centinaia di studenti sono scesi in strada con striscioni contro la dollarizzazione, mentre in Amazzonia, dove il governo ha mobilitato quasi cinquemila soldati, la Confederazione indigena si è detta pronta a scendere in lotta nei prossimi giorni. Carta, 5/9/2000 Al secondo giorno la protesta ecuadoriana Come annunciato dalla Conaie e dal Coordinamento dei movimenti sociali, le principali organizzazioni che hanno convocato il nuovo levantamiento in corso, la situazione nel paese è ancora piuttosto tranquilla. I primissimi giorni della protesta sono dedicati soprattutto alla discussione sulla protesta contro la legge Trolebus II, quella che favorisce l'acquisto di beni e risorse nazionali da parte di persone o società che risiedono all'estero, le privatizzazioni dell'industria petrolifera (4.500 soldati sono da ieri mobilitati a presidiare le zone amazzoniche petrolifere) e dell'energia elettrica, la partecipazione al Plan Colombia e la mobilitazione strategica, sempre in funzione della strategia Usa sul narcotraffico) della base di Manta. Napoleon Saltos, dirigente del Cms ha detto che la protesta segue secondo i programmi e le marce inizieranno nei prossimi giorni dalle comunità più periferiche per terminare poi nelle città. Saltos ha aggiunto che se oggi il governo ratificasse la deroga alla Legge Trole II, approvata in agosto senza un voto parlamentare, la mobilitazione segnerebbe un primo successo. Per quanto riguarda la legge di sicurezza nazionale, traduciamo un passo dell'articolo 50 che verrà cancellato dal governo: "Le persone fisiche o giuridiche straniere non potranno acquisire o conservare, né direttamente né indirettamente, la proprietà o altri diritti reali di beni immobili, non potranno acquisire l'uso delle acque, impiantare industrie, sfruttare terreni agricoli, domicilio civile né residenza, né firmare contratti sulle risorse naturali non rinnovabili e in generale sulle risorse del sottosuolo e sui minerali o altre sostanze la cui natura sia diversa da quella del suolo in una fascia di 50 km calcolata verso l'interno delle linee di frontiera, le spiagge o il territorio insulare, salvo che in qualcuno di questi casi non si ottenga l'autorizzazione così come prevede la legge". Troppo per una modernizzazione basata soltanto sulla competizione globale, il mercato e l'arrivo di capitali stranieri. Carta, 4 settembre 2000 E' cominciato il nuovo levantamiento ecuadoriano Comincia oggi con uno sciopero a Quito e in diverse altre città la nuova imponente protesta ecuadoriana contro la legge di sicurezza sociale e la Trole II, quella su dollarizzazione e privatizzazioni che originò il levantamiento dello scorso gennaio. Dopo l'annuncio dei giorni scorsi del presidente Noboa: "Reprimeremo qualsiasi minaccia all'ordine costituito", i dirigenti indigeni della Conaie, quelli dei campesinos e del Coordinamento dei movimenti sociali ovviamente non spiegano il piano dettagliato della protesta e del possibile nuovo levantamiento. Antonio Vargas, presidente della Conaie, ha spiegato solo che "nessuno si aspetti di vedere oggi dei morti, la nostra è una lotta per la dignità". La protesta, com'è nello stile del movimento ecuadoriano, sarà completamente pacifica. La prima fase del processo di levantamiento contro il governo Noboa prevede lo sviluppo della partecipazione democratica e dal basso, quindi sono in corso moltissime assemblee, mentre il blocco delle principali vie di comunicazione del paese dovrebbe cominciare la prossima settimana. Per i prossimi giorni è previsto comunque l'avvio di numerose altre iniziative di lotta in diverse città. La scelta dei leader del movimento sembra dunque quella di una progressiva escalation della protesta. FONTE: Carta, domenica 3 settembre 2000 |