Messico, HASTA LA MADRE



 

HASTA LA MADRE”

LA GRANDE MARCIA VERSO CITTA’ DEL MESSICO

(6-7) 8 MAGGIO


Il giorno 28 marzo a Cuernavaca sono stati assassinati da bande legate al narcotraffico 4 giovani, Juan Francisco Sicilia Ortega, Luis Antonio Romero Jaime, Julio César Romero Jaime e Gabriel Alejo Escalera, un tragico episodio fra i tanti della terribile catena di violenze che insanguina da tempo il paese.


Fra essi il figlio del poeta e scrittore Javier Sicilia, che a seguito del luttuoso evento, si è fatto autore di una iniziativa contro le politiche governative per la lotta al narcotraffico e alla delinquenza le quali, anziché contrastare di fatto il fenomeno, lo hanno esasperato cacciando il paese in un vicolo cieco.


Per comprendere lo scenario indotto da questa politica stralciamo un brano di una lettera scritta a un amico italiano dal noto intellettuale Jean Robert, legato da lunga amicizia con Javier:


<<Un buongiorno da questo Messico tormentato, del quale si sa un poco da dove viene ma nulla di dove sta andando. Vi è uno scenario ufficiale che si dispiega “con piena visibilità”: il potere ha dichiarato guerra alla “delinquenza”. Sottolineo alla delinquenza, non a delinquenti individuati e localizzati, ma alla Delinquenza stessa, come dire, con G.Bush ir, “al male”. Il presidente Felipe del Sagrato Corazón de Jesus è dunque partito in crociata contro un male, il Male. La sua lotta manichea è talmente importante da meritare tutta la scena politica. La prospettiva di vittoria finale è ricacciata nell’escatologia politica: si, egli ammette, le cose potranno peggiorare ancora fin verso il 2015, ma a partire da quella data, vedrete, non cesseranno di raddrizzarsi. Manca un occhio critico esterno su questa tragedia –o questo ritorno del Tragico. La ragione: tutti i concetti politici locali, storici, utilizzati per spiegarci questa storia sono falliti……>>.

CHI VUOLE ESPRIMERE LA PROPRIA SOLIDARIETA’ LEGGA IL RIQUADRO FINALE


LETTERA PUBBLICA DI JAVIER SICILIA


México, DF., 3 aprile 2011

Il brutale omicidio di mio figlio Juan Francisco, di Julio César Romero Jaime, di Luis Antonio Romero Jaime e di Gabriel Anejo Escalera, si somma a quelli di tanti altri ragazzi e ragazze che sono stati ugualmente assassinati in tutto per il paese a causa non solo della guerra scatenata dal governo di Calderón contro il crimine organizzato ma anche per la putrefazione del cuore della mal denominata classe politica e della classe criminale, che ha rotto con i suoi codici d'onore.

Non voglio, in questa lettera, parlarvi delle virtù di mio figlio, che erano immense, né di quelle degli altri ragazzi che ho visto fiorire al suo lato, studiando, giocando, amando, crescendo, per servire, come tanti altri giovani, questo paese che è stato lacerato. Parlarne non servirebbe che a commuovere per quello che già di per sé commuove il cuore della cittadinanza fino all'indignazione. Non voglio neanche parlare del dolore della mia famiglia e della famiglia di ognuno dei ragazzi assassinati. Per questo dolore non ci sono parole – solo la poesia ci si può avvicinare un poco, e voi non sapete di poesia – Quello che oggi voglio dirvi da quelle vite mutilate, da quel dolore che non ha nome perché è frutto di ciò che non appartiene alla natura – la morte di un figlio è sempre contro natura e per questo non ha nome: non si è né orfano né vedovo, si è semplicemente e dolorosamente niente -, da quelle vite mutilate, ripeto, da questa sofferenza, dall'indignazione che queste morti hanno provocato, è semplicemente che siamo “hasta la madre” (essere arrivati al livello di guardia, non poterne più).

Siamo “hasta la madre” di loro, dei politici – e quando dico politici non mi riferisco a nessuno in particolare, ma a una buona parte di essi, compresi quelli che compongono i partiti - , perché con la loro lotta per il potere hanno lacerato il tessuto della nazione, perché nel mezzo di questa guerra mal progettata, mal fatta, mal diretta, di questa guerra che ha messo il paese in stato d'emergenza, sono stati incapaci – a causa delle loro meschinità, dei loro conflitti, del loro miserabile baccano, della loro lotta per il potere – di creare i consensi di cui la nazione ha bisogno per trovare l'unità senza la quale questo paese non avrà via d'uscita; siamo “hasta la madre” perché la corruzione delle istituzioni giudiziarie genera la complicità con il crimine e l'impunità per commetterlo; perché, nel mezzo di questa corruzione che dimostra il fallimento dello Stato, ogni cittadino di questo paese è stato ridotto a quello che il filosofo Giorgio Agamben, ha chiamato, usando una parola greca, zoe: la vita non protetta, la vita di un animale, di un essere che può essere violentato, sequestrato, vessato e assassinato impunemente; siamo “hasta la madre” perché hanno immaginazione solo per la violenza, per le armi, per l'abuso e, di conseguenza, un profondo disprezzo per l'educazione, la cultura e le opportunità di lavoro onorato e buono, che è quello che fa buona una nazione; siamo “hasta la madre” perché con questa scarsa immaginazione permettono che i nostri ragazzi, i nostri figli, non solo siano assassinati ma, dopo, criminalizzati, resi falsamente colpevoli per soddisfare l'animo di quella immaginazione; siamo “hasta la madre” perché un'altra parte dei nostri ragazzi, a causa dell'assenza di un buon piano di governo, non ha l'opportunità per educarsi, per trovare un lavoro degno e, abbandonata nelle periferie, è possibile recluta per il crimine organizzato e la violenza; siamo “hasta la madre” perché a causa di tutto questo la cittadinanza ha perso fiducia nei suoi governanti, nelle sue polizie, nel suo esercito, e prova paura e dolore; siamo “hasta la madre” perché l'unica cosa che gli importa, oltre a un potere impotente che serve solo per amministrare la disgrazia, è il denaro, lo stimolo della rivalità, della loro stupida “competività” e del consumo smisurato, che sono altri nomi della violenza.

Riguardo a loro, ai criminali, siamo “hasta la madre” della loro violenza, della loro perdita d'onore, della loro crudeltà, del loro nonsenso.

Anticamente avevate un codice d'onore. Non eravate così crudeli nei vostri regolamenti di conti e questi non toccavano né i cittadini né i loro familiari. Ora non fate differenze. La vostra violenza non si può nominare, perché non ha, come il dolore e la sofferenza che provoca, un nome e un senso. Avete perso anche la dignità per uccidere. Siete diventati codardi come i miserabili Sonderkommandos nazisti che assassinavano senza nessun senso dell'umano bambini, ragazzi, ragazze, donne, uomini e anziani, cioè, innocenti. Siamo “hasta la madre” perché la vostra violenza è subumana, non animale – gli animali non fanno quello che fate voi – subumana, demoniaca, imbecille. Siamo “hasta la madre” perché con la vostra brama di potere e di arricchimento umiliate i nostri figli e li massacrate e causate paura e angoscia.

Voi, “signori” politici, e voi, “signori” criminali – lo metto tra virgolette perché questo epiteto si conferisce solo alla gente rispettabile - con le vostre omissioni, con le vostre cause e con i vostri atti state avvilendo la nazione. La morte di mio figlio Juan Francisco ha sollevato la solidarietà e il grido d'indignazione – per cui io e la mia famiglia ringraziamo dal profondo dei nostri cuori – della cittadinanza e dei mezzi d'informazione. Questa indignazione riporta una volta ancora alle nostre orecchie quella famosissima frase che Martí diresse ai governanti: “Se non potete, rinunciate”. Nel riproporla, dopo le migliaia di cadaveri anonimi e non anonimi che abbiamo alle spalle, cioè, i cadaveri di tanti innocenti assassinati e sviliti, questa frase deve essere accompagnata da grandi mobilitazioni della cittadinanza, che li obblighi, in questo momento d'emergenza nazionale, a unirsi per creare un'agenda che unisca la nazione e crei una situazione di governabilità reale. Le reti cittadine di Morelos hanno diffuso la convocazione per una marcia nazionale per mercoledì 6 aprile che partirà alle 5 PM dal monumento della Paloma de la Paz e arriverà al Palazzo del Governo per esigere giustizia e pace. Se noi cittadini non ci uniamo a questa marcia e non la riproponiamo costantemente in tutte le città, in tutti i municipi o rappresentanze del paese, se non siamo capaci di questo per obbligarli, i “signori” politici, a governare con giustizia e dignità, e voi, “signori” criminali, a ritornare all'uso dei vostri codici d'onore e a limitare la vostra ferocia, la spirale di violenza che avete generato ci porterà su una strada piena di orrore e senza ritorno. Se voi, “signori” politici, non governerete bene e non prenderete sul serio il fatto che viviamo in uno stato d'emergenza nazionale che richiede la vostra unità, e voi, “signori” criminali, non conterrete le vostre azioni, terminerete per trionfare ed avere il potere, ma governerete e regnerete su un mucchio di ossari e di esseri impauriti e distrutti nell'anima. Un sogno che nessuno di noi vi invidia.

Non c'è vita, scriveva Albert Camus, senza persuasione e senza pace, e la storia del Messico di oggi conosce solo l'intimidazione, la sofferenza, la sfiducia e la paura che un altro figlio o figlia di qualche altra famiglia sia svilito e massacrato, e sa che quello che ci chiedete è che la morte, come già sta succedendo oggi, si converta in una faccenda di statistica e d'amministrazione al quale tutti dobbiamo abituarci.

Perché non vogliamo che sia così, il prossimo mercoledì scenderemo in strada; poiché non vogliamo un altro ragazzo in più, un altro figlio nostro assassinato, le reti cittadine di Morelos stanno convocando a una unità nazionale cittadina che dobbiamo mantenere viva per spezzare la paura e l'isolamento che la vostra incapacità, “signori” politici, e la vostra crudeltà, “signori” criminali, ci vogliono istallare nel corpo e nell'anima.

Ricordo, in questo senso, alcuni versi di Bertolt Brecht quando l'orrore del nazismo, vale a dire, l'orrore dell'istallazione del crimine nella vita quotidiana di una nazione, si annunciava: “Un giorno vennero per i negri e non dissi niente; un altro giorno vennero per gli ebrei e non dissi niente; un giorno arrivarono per me (o per un figlio mio) e non ebbi niente da dire”.

Oggi, dopo aver sopportato tanti crimini, dopo che il corpo lacerato di mio figlio e dei suoi amici ha fatto mobilitare di nuovo la cittadinanza e i mezzi d'informazione, dobbiamo parlare con i nostri corpi, col nostro camminare, col nostro grido d'indignazione perché i versi di Brecht non diventino una realtà nel nostro paese.

Inoltre opino che bisogna rendere la dignità a questa nazione.


LETTERA DI GUSTAVO ESTEVA A JAVIER SICILIA

18 aprile 2011

Perdona, Javier. Come ti ho detto non posso condividere il tuo dolore. Non posso nemmeno immaginarmelo. Posso solo soffrire per il tuo dolore.

Squarciando il velo del linguaggio complice, hai ottenuto che i 40.000 morti iniziassero ad avere il volto e il corpo di Juanelo. Non sono più “danni collaterali...”. Cominciamo a vederli e a viverli in carne e ossa. Le loro morti, che erano diventate abitudine quotidiana, sono diventate improvvisamente insopportabili.

Sei riuscito a esprimere con chiarezza lo stato d'animo generale. Siamo “hasta la madre” (essere arrivati al livello di guardia, non poterne più).

Molte persone che prima non avrebbero mai osato dirlo in pubblico, ora sono state capaci di dirlo a voce alta. Ha assunto legittimità e valore politico un sentimento generale che non ci arrischiavamo ad esprimere.

Mi è parso ammirabile, Javier, il tuo gandhiano appello alla moralità dei criminali e dei politici che ci tengono “hasta la madre”. Non si tratta del perdono cristiano per chi offende, ma del rispetto per la condizione umana dell'altro, al di la delle sue infamie o irresponsabilità.

Siamo scesi in strada a manifestare la nostra solidarietà nei tuoi confronti e il nostro stato d'animo. É stato un autentico movimento, con la sue dispersioni, le sue iniziative molteplici, il suo impulso dal basso, la sua mancanza di leader e di quadri. Credo che sotto nessun aspetto abbia assunto la forma di una mobilitazione, come quelle che dirigono e controllano dall'alto i leader, i partiti, i sindacati – mobilitazioni in cui la gente è mossa come si muove un pacco e le persone stesse rimangono immobilizzate, pendenti dalle istruzioni, dalle indicazioni date dall'alto. Non sei stato un dirigente pronto a portar acqua al suo mulino politico e ideologico. La tua voce è stata un invito feroce e doloroso, con la qualità peculiare della poesia, dove ogni lettura e ogni lettore trovano un senso diverso...In ogni geografia, quindi, l'iniziativa ha assunto un profilo diverso.

È stato splendido, catartico, esprimere liberamente quello che proviamo e vedere tante persone, in luoghi diversi, esprimere una volontà comune. Sappiamo che è stato solo il primo passo. Non si trattava solamente di sfogarci e di inviare un messaggio a chi ha causato la nostra rabbia. Siamo scesi in strada decisi ad agire, sebbene la strada da seguire fosse ancora un qualcosa da definire.

Come dici tu, Javier, dobbiamo mantenere viva l'unione che ha iniziato a manifestarsi quel giorno, per rompere timori e isolamenti. L'indignazione non basta. Siamo in emergenza nazionale. E' ora di agire. Dobbiamo fermare questa guerra insensata che perfino i suoi patrocinatori statunitensi riconoscono come perduta; legare le mani a questa classe politica che continua a distruggere quello che rimane del paese; far rientrare l'esercito nelle caserme...

Il tuo discorso del giorno 6 ha puntualizzato il passo seguente da fare. Il tuo coraggioso bisturi ha svelato i tumori: i poteri costituiti; le polizie; i partiti politici; il capitale; i mezzi d'informazione; le chiese; i sindacati...Hai ben delineato le loro omissioni e complicità nel distruggere i nostri ambiti di convivenza, la nostra base, le nostre relazioni di supporto mutuo, e il fatto che ci abbiano fatto sprofondare “nell'orrore della violenza, della miseria e della paura”. Non hai dimenticato, Javier, i nostri propri tradimenti, le nostre proprie responsabilità.

È stato evidente quello che è necessario fare: rammendare il tessuto sociale che hanno lacerato. Hai fatto appello all'ispirazione zapatista per dirci come “dal basso, possiamo fare asembleas constituyentes e recostituyentes (nota: una Asamblea Constituyente è una riunione nazionale di persone del popolo — non rappresentanti — riuniti con l' obiettivo specifico di decidere le nuove regole che governeranno la relazione tra governanti e governati così come il funzionamento e la distribuzione del potere) in ogni colonia, in ogni quartiere, in ogni comunità”. Solo così potremo ottenere un'autentica governabilità e la sicurezza nelle strade e creare un'opportunità di vita diversa per i nostri giovani.

Proponi che quelli che denunci, le élite politiche ed economiche, si compromettano con noi e stringano un patto. Ci dai appuntamento per il giorno 8 maggio, nello Zocalo di Città del Messico. “Poiché viviamo un tempo limite, andiamo anche lì a chiedergli: come pretendete di andare alle elezioni se non siete capaci di mettervi d'accordo tra di voi per difendere la vita dei figli e delle figlie del nostro amato Messico?”.

Mi commuove la proposta, Javier. Questo significa che mi muoverò con te. Spero che molti altri si con-muovano e che il giorno 8 ci siano anche quelli che come me non credono in quei poteri e gerarchie e che provano nei loro confronti una ben fondata sfiducia.

Calderón, probabilmente, continuerà ad aspettare “la gloria del trionfo”. Emergeranno i soliti disaccordi in quelle classi politiche ed economiche che ci tengono sull'orlo del disastro. Facciano o non facciano quello che gli tocca, Javier, noi dobbiamo fare il nostro, ci dovremo dedicare all'immenso compito di ricostituirci. Inizieremo col ricomporre il tessuto sociale lacerato, per salvare quello che resta di questo paese e trasformarlo.



Alla marcia ha aderito, fra gli altri, l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. Marce si muoveranno verso Città del Messico dalle varie regioni del Messico e/o si svolgeranno nelle città del paese; marce di solidarietà si svolgeranno inoltre in varie città del mondo in particolare quelle dove è forte la presenza di emigrati messicani. Ma non solo in queste.

Non sappiamo se a Roma in qualche altra grande città italiana verranno organizzate marce o sit-in di fronte alle Ambasciate del Messico. Lo speriamo. In un contesto certamente diverso anche noi in Italia siamo “hasta la madre” e le parole di Javier Sicilia hanno vigenza anche per i nostri politici e i nostri vari schieramenti criminali.

Anche per questo ha un senso la nostra partecipazione ideale inviando un messaggio anche in Italiano, contenente quello che ciascuno di noi si sente di scrivere. Suggeriamo di inviare il messaggio al seguente indirizzo, ponendo in oggetto “Hasta la madre”:

sara at sosediciones.com

Grazie

Aldo Zanchetta (aldozanchetta at gmail.com) Gaia Capogna (gaia.capogna at tin.it)

Sul sito www.kanankil.it troverete sia in apertura che alla voce America Latina sez Documenti la lettera di adesione del Subcomandante Marcos, la nuova lettera di oggi 2 maggio di Esteva su La Jornada e altri documenti concernenti l’iniziativa.