lunedì 20
dicembre 2010
La non-violenza è il disarmo
unilaterale insegnato dagli amici del giaguaro agli utili
idioti.
(Anonimo)
Sono
impelagato 16 ore su 24 nel montaggio del nuovo
documentario Messico, angeli e demoni nel laboratorio dell’Impero, che deve
essere finito per metà gennaio. Non mi resta quindi molto tempo per scrivere nel
blog cose che abbiano senso. Mi limito perciò a riprodurre testi che mi sono
pervenuti e che reputo degni di attenzione e riflessione. Il primo contributo è
una cronaca originale del 14 dicembre che mette in risalto il ruolo dei
Disobbedienti, o come ora si chiamano. Avendo acquisito a suo tempo parecchia
dimestichezza, tra Italia e Chiapas (il loro Shangrilà), con gli ex-disobbedienti, non fatico minimamente a credere ciò che
viene riferito. Trattasi di
fighetti della piccola borghesia frustrata e vociferante, pseudo sovversivi,
grandi trafficoni imprenditoriali, grandi protagonisti di scontri fasulli a
beneficio di telecamere, cui il fasullone supremo,
Marcos, ha iniettato la dolce, rassicurante droga della non-violenza e del
disinteresse per il potere statale. Eversivi, ma entro i limiti della
compatibilità. Son ragazzi.... Grandi cultori delle
fuffarole affabulazioni del subcomandante dalle
epifanie sparse tra intervalli di due, tre anni, come della vuota retorica delle
“narrazioni” con cui, berlusconianamente, Vendola mena il can per l’aia e gli utili idioti per il
solito cul de sac delle
finte sinistre. La cosa buona del 14 dicembre è che costoro sono stati
politicamente infilati nel magazzino del robivecchi
della storia. Finisce il ruolo di chi si atteggiava a rivoluzionario tenendo il
culo al caldo delle benevola tolleranza del sistema.
Vedi la degenerazione privatistica e istituzionale del Leoncavallo di Milano. Se non metti in discussione il potere
nello Stato, se non lo strappi a chi ne abusa, sei liberissimo di sbraitare
all’indirizzo di quel potere, così rassicurato, tutte le contumelie che vuoi.
Quanto
a Saviano e alle lettere di risposta alle oscenità da
lui scritte su La Repubblica, vi si dicono tante cose giuste, giustamente
indignate e risentite. Ma, a mio parere non si arriva
al nocciolo della questione. Parlando di “torri d’avorio”, di uno che,
trovandosi da altre parti, non si rende conto di cosa succede in strada, nelle
scuole, nelle fabbriche, nel precariato, nella disoccupazione, si è troppo
indulgenti con questo fantastico cialtrone. Eppoi, non si tratta di uno
che ha cambiato casacca, fenomenologia attinente al carattere cattolico di gran
parte del nostro popolo, da Crispi attraverso Sofri
fino a Occhetto, al verminaio DS-PD a Scilipoti. Saviano è diverso, come Assange di Wikileaks che sparge
banalità trafitte da veleni contro i nemici dell’Impero, o come Obama, il finto nero, presentato come Uomo del cambio e
invece operativo delle più feroce reazione. E’ operazione più raffinata. Saviano è un ominicchio creato in
provetta e che procede in perfetta malafede al servizio dei suoi professori
Frankenstein.
Con la casa editrice del guitto mannaro, Mondadori, questo arnese del tanto tossico quanto sciropposo perbenismo
nazionale ha costruito, copiando da inchieste giudiziarie e dal lavoro di
investigatori seri, in piena collaborazione con poteri forti esistenti un
trinomio mediatico, libro-film-televisione, che ne ha
costituito il piedistallo su cui ergersi e farsi adorare, novello salvatore
della nazione. Un idolo perfettamente speculare a Padre Pio, parimenti fondato
su illusionismi, superstizione, bisogno di delega all’elemento taumaturgico.
Berlusconismo puro, come quello di Vendola, a sua volta
costruito dal caro-a-Vespa anticomunista
Bertinotti. Berlusconismo antiberlusconiano,
nella fattispecie, dato che il soggetto viene adoperato
dalle forze che, fuori di qui, puntano al ricambio di un loro rappresentante
ormai logoro, in caduta psicopatica e vagamente incontrollabile.
Finchè ci limitiamo a deplorare che Saviano non capisce, è fuori dai giochi, non cogliamo nel
segno, anzi gli rifiliamo pure un altro po’ di credito. Non fa errori, Saviano, non prende cantonate. Saviano è, fin dalla prima sua apparizione e del lancio del
piano Santo-subito per fottere i minchioni e depistare i benintenzionati, un agente
della controrivoluzione, un mistificatore che si avvale dell’indoratura
verniciatagli addosso dalla più poderosa unanimità mediatica dal tempo di Obama per indorare la pillola velenosa che ci somministra, o
lo stiletto con il quale ci colpisce alle spalle mentre ascoltiamo a bocca
aperta e con la lacrima al ciglio le sue trombonate moralistiche. Ma poi, per riconoscere la caratura dell’autentico bastardo,
oltre a quel mortifero sguardo da Pyscho, non bastano
le sue ininterrotte dichiarazioni di amore per Israele? Ma come, uno che pretende di essere il nemico pubblico numero
uno della criminalità organizzata napoletana, si fa vindice, copertura e
vessillifero della più orrida criminalità organizzata in Stato che sia mai
apparsa sulla faccia della Terra? Chi sta con questo Stato nazisionista è per definizione un delinquente che si fa
felicemente manovrare – e retribuire: Mondadori, Endemol, chissà chi altro - dalla cupola dei delinquenti.
Saviano questo è.
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CRONACA
E SIGNIFICATO DI UNA CRUCIALE FIAMMATA
Per capire
cosa di enorme sia realmente accaduto a Roma martedì 14 dicembre, occorre
tornare a martedì 23 novembre. Il 23/11 è stata infatti la prova generale del 14/12.
Quel giorno, il
23/11, il movimento studentesco universitario romano, egemonizzato dai
Disobbedienti (i quali, non dimentichiamolo, da alcuni mesi sono in sodalizio
con Sel di Vendola, e che
dal mese di Ottobre hanno dato vita con la FIOM alla
rete «Uniti contro la crisi» (vedi l’Appello costitutivo), porta in piazza
decine di migliaia di studenti per protestare contro la "riforma" Gelmini.
L’indicazione che danno i capi dei Disobbedienti (indicazione concordata con
pezzi del ceto politico della sinistra istituzionale e sindacale) è quella di
recarsi sotto il Senato, proprio mentre si vota la "riforma". Un assedio del
Senato tutto virtuale, infatti non succede nulla di
grave. La stessa presenza delle forze di polizia è scarsa, e drappelli di
manifestanti vengono fatti giungere fin dentro
l’androne del Senato stesso.
La partecipazione a quella manifestazione fu
enorme. Al di là delle più rosee aspettative, a
dimostrazione che la rabbia della gioventù neo-proletaria, cresciuta
sottotraccia da un decennio almeno, da impercettibile comincia a quagliare in
vera e propria protesta.
Siccome il grosso dei dimostranti non voleva solo
fare mucchio, da spettatore alla sceneggiata promossa dai disobbedienti, questo
grosso, inopinatamente, spontaneamente, ha lasciato i protagonisti della scenda del finto assalto al Palazzo, e se n’è andato in
corteo per il centro della città, di fatto occupandola.
Due i fatti
avvenuti: il primo una grande partecipazione, il
secondo, che la gran parte degli studenti ( ma anche giovani delle borgate
romane, studenti e no, molti provenienti dalle curve dello stadio ) non ha
voluto seguire come pecore quelli che pensavano di essere alla "guida" del
movimento romano.
Il 14 è successo questo, ma su
una scala di ampiezza e di radicalità decisamente più ampia e devastante.
La
manifestazione del 14/12 è stata promossa dalla rete «Uniti contro la crisi».
Qual’era il vero obbiettivo dei promotori? Dietro allo
slogan di "assediare il potere" si voleva in verità fare solo una rumorosa
sfilata, che si sarebbe dovuta concludere
tranquillamente a Piazza del Popolo. La loro recondita speranza? Festeggiare in
piazza, in diretta, la "sfiducia" a Berlusconi, quindi la sua caduta. Infatti, a
parte l’attacco alla sede della Protezione civile nulla di serio era accaduto
fino all’ingresso in Piazza del Popolo.
Tuttavia, come deve ammettere lo
stesso "Manifesto", l’attacco alla sede della Protezione civile mette in mostra
un fatto "sorprendente": il manipolo di assalitori viene riaccolto nel corteo da cui si era staccato, da
scroscianti applausi e grida di giubilo. Un segnale di quello che avverrà poco
dopo, quando dopo l’una si viene a sapere che Berlusconi, la fiducia, l’ha
invece ottenuta.
Quando arriva la "triste" notizia
la piazza lascia esplodere la sua rabbia, lasciando con un palmo di naso
gli architetti della rete «Uniti contro la crisi».
I Disobbedienti invitano
alla calma, dal camion annunciano che si svolgerà l’assemblea, leggi i comizi
dei soliti noti. La piazza se ne infischia. In migliaia cominciano ad imboccare via del Corso, ovvero vogliono dirigersi verso
il Parlamento. La polizia viene colta impreparata,
forse perché, come da accordi coi promotori, la cosa doveva finire lì, con un
happening per la caduta del governo.
I Disobbedienti, «Uniti contro la
crisi» hanno toppato, hanno creduto alle informazioni di PD e Sel che davano per assolutamente certa la vittoria della
Mozione di Sfiducia. E così vengono colti del tutto
impreparati dall’esplosione di rabbia della piazza, non di un manipolo di black bloc, che non si sono visti,
semplicemente perché non c’erano.
Mentre scoppiano i primi tafferugli il grosso del corteo non era infatti nemmeno
entrato in Piazza del Popolo. Mentre i più coraggiosi, in migliaia, tentano lo
sfondamento in Via del Corso, Via del babbuino, e in Via di Ripetta, riuscendo a fare diverse centinaia di metri, le
decine di migliaia che stavano affluendo in piazza, non scappano, non
abbandonano il terreno, premono anzi, dando forza ai più combattivi.
Di qui i tafferugli, la guerriglia, durata alcune ore, fatta di
battaglie campali, spesso vinte dai dimostranti, in gran parte giovani,
giovani senza appartenenza politica, senza adeguata preparazione agli
scontri. Non la perizia ma il numero ha fatto la loro forza, e l’evidente
simpatia e sostegno del grosso della manifestazione.
A cosa dunque abbiamo
assistito a Roma il 14 dicembre? Allo scoppio spontaneo della rabbia della
gioventù neo-proletaria, al fatto che i promotori sono stati scavalcati in maniera oserei dire spettacolare
Oggi giornali e TV,
all’inizio, hanno cominciato con la solita litania dei "provocatori" che hanno
guastato una pacifica manifestazione. Poi hanno dovuto correggere il tiro, hanno
dovuto ammettere, un po’ tutti, che si è trattato di
un’altra cosa, di un’enorme rivolta giovanile. Non un manipolo di violenti
addestrati allo scontro, ma migliaia e migliaia di
giovani, spesso giovanissimi, politicamente inesperti e non intruppati dietro ad
alcuna sigla.
La casta, il potere, tutti i politicanti, nella loro autistica
autoreferenzialità, si sono dati all’esecrazione,
gridando allo scandalo per "l’inaudita violenza". Altri, rasentando il ridicolo
hanno parlato di "infiltrazioni". Pur di negare la realtà, hanno riesumato il
complottismo, parlando di poliziotti in borghese che avrebbero provocato "il casino". E’ triste
vedere che bel web, anche siti di certo non amici del potere, siano caduti in questa trappola. Si vede che non c’erano, e
si vede quanto siano distanti dalla rabbia sociale che monta. E che è solo
all’inizio.
Non basta una fiammata a cambiare il corso delle cose. Ma la fiammata del 14/12 lascerà una traccia indelebile. E’
il segno che stiamo entrando in una una fase, e che non ci si entra tranquillamente, ma
per strappi e fratturazioni, sociali e politiche.
Questa fiammata è il segno che il risveglio sociale, tanto atteso, è in corso,
avanza sotto i nostri occhi. Guai alle classi dominanti chi non vogliono
prenderne atto. Guai a chi si agita per cambiare la realtà e pretende di
rappresentare un’alternativa, e tenta di fare finta di
niente.
Quello che si sta faticosamente mettendo in movimento non è solo
rabbia, contiene incipiente l’alternativa futura. E,
rispondendo a chi in questo blog si chiedeva "dove stavate compagni operai?"
(vero è che il plotone della FIOM, il 14 /12 a Roma erano poco più di un
centinaio), vorrei rispondere: abbia un po’ di pazienza, non sono lontani i
tempi in cui anche milioni di lavoratori scenderanno in piazza e smetteranno di
piagnucolare. Sempre sono i giovani i primi a
protestare, ad indicare la strada.
E questo è il fatto nuovo, come ad Atene,
Parigi, Dublino e Londra, anche a Roma questa strada è stata indicata. Non sarà
questo potere putrido a potere fermare ciò che si sta mettendo in moto.
PiEmme
http://www.unicitta.it/2010/12/16/lettera-di-saviano-agli-studenti/
Lettera
di risposta degli studenti di Bologna.
" Signor
Roberto Saviano, siamo le centinaia di persone che
ancora oggi, ad un mese di distanza dalla nostra
occupazione, continuano la lotta contro il governo Berlusconi, il ddl Gelmini ed
in generale le politiche di austerity portate avanti da questa classe
politica.
Ma siamo anche centinaia di persone scese a Roma il 14 per sfiduciare dal basso il governo.Siamo quegli studenti, operai, comitati
territoriali, migranti, tutti colpiti da questa crisi e che hanno deciso di
usare la loro legittima forza collettiva contro chi ancora una volta si nascondeva dietro zone rosse a difendere i suoi privilegi
mentre a noi viene rubato ogni giorno il nostro futuro.
Non siamo a Genova
mentre i black-block e il '77 sono spettri che animano
la sua coscienza.
Siamo in migliaia e migliaia,altro
che poche centinaia di idioti. Accenda almeno la televisione la prossima volta,
visto che sappiamo che non verrà a vedere in piazza la realtà dei
fatti.
Siamo parte di quella rivolta generazionale europea che da Londra a
Parigi, da Roma ad Atene, non accetta più che in pochi decidano il futuro di
tutti loro.
Non siamo violenti noi. E' violento chi rinchiude migranti nei
Cie, chi fa bruciare operai come alla ThyssenKrupp, chi manganella senza sosta studenti in tutta
Italia, chi rifila contratti a progetto, chi fa diventare le scuole e le
università centri di disciplinamento svenduti alle esigenze delle aziende.
Siamo il futuro di questa società, al di fuori di logiche parlamentari e
compatibili. Sappiamo già che saremo delegittimati nelle nostre idee e nelle
nostre pratiche; quelli che lo faranno, saranno nostri nemici.
Bologna, Lettere e Filosofia
Occupata"
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Lettera a
Roberto Saviano
La popolarità t’ha fatto proprio male perché oggi mi rendo conto che il
mondo della cultura ha perso Monicelli e ci sei rimasto tu.
Mi dispiace dei
tuoi guai e ti capisco, perfino, ogni volta che punti lo sguardo in alto per
cercare un contatto con il mondo che in questo momento ti è impedito.
Ti sei
scelto una lotta dignitosa, l’ho fatta anch’io contro la mafia, la fanno in
tanti tutti i giorni, solo che tu ora hai qualcuno che
ti fa da scudo mentre altri non hanno che un sanpietrino per difendersi.
Perché i nemici sono
pericolosi sempre. La lotta contro i poteri fiacca le giornate, la vita,
talvolta, si lo ammetto, anche la fantasia. Ma qui c’è gente che non sta a sentire neppure quelli che sono stati eletti ad icona come
te.
Non hai il diritto di insultare chi combatte e bisogna che qualcuno ti
dica che dalla consapevolezza di una lotta giusta sei passato ad un delirio di onnipotenza un po’ antipatico. Dovresti dare
un limite numerico – che so: tre all’anno? – ai i tuoi sermoni dall’alto della tua posizione privilegiata di
stipendiato endemol e mondadori.
Quanti anni hai? 28? 30? E quanti anni
avevi quando hai cominciato a vedere il mondo attraverso il filtro della tua
scorta? 26? Troppo pochi per capire e te lo dice una
che a quarant’anni ancora ha tanto da imparare.
Ti dico io una cosa che
qualcuno avrebbe dovuto dirti molto tempo fa. Ti stanno usando. Sei funzionale
al potere. Nella tua maniera di difendere lo “Stato” tirando fuori parole degne
della peggiore retorica, tutto schierato con la magistratura e con la polizia,
sempre calato nel ruolo della vittima dei poteri forti e
primo a lanciare sassi contro chi alla vista di quegli stessi poteri alza
la testa.
Li conosco quelli come te, borghesi intellettuali che non hanno mai
fatto nulla di particolarmente trasgressivo e che improvvisamente si vedono
ricucito addosso un abito ribelle che non gli
appartiene.
Vedi com’è? Che ti torna subito la tentazione di parlare con la
voce di chi tiene tutto in ordine, il tormentone dell’autorità che bisogna
rispettare, perché falcone, perché borsellino, perché bla bla bla.
L’hai mai frequentata una piazza? Lo sai perché i
ragazzi portano i caschi? Hai presente una testa spaccata da un colpo di
manganello come fosse un cocomero? Lo sai che quando le manganellate partono
prendono chiunque? Te incluso se fossi nei paraggi e senza scorta.
Troppo
comodo parlare dalla tua posizione. Troppo comodo immaginare di non poter essere
contraddetto perché ti hanno eletto santo.
E sai che c’è? Che quello che hai
scritto tu, girato su repubblica dalla tua agenzia letteraria, con tanto di
bollino siae, è solo il lamento griffato di un ragazzo
che in un colpo solo tradisce la lotta della sua gente, quella delle famiglie
che resistono all’immondizia, delle vecchie e nuove generazioni che lottano per
non diventare manodopera della camorra. Un ragazzo che a parole dice di sapere
cosa avviene quando i “poteri” ti criminalizzano, usano
la macchina del fango, ti isolano per farti fuori. Nella pratica invece tutte
queste cose sembrano sfuggirti.
Tu davvero non conosci la storia, figuriamoci
l’anarchia. E ti presti al gioco di chi mette al bando un Pinelli al giorno per nascondere i crimini efferati compiuti
da stragisti fascisti collusi con quello Stato del quale tu parli a senso
unico.
Te lo dico da donna meridionale: se non hai assaggiato la precarietà,
se le tue prospettive di futuro sono migliorate, lascia stare. La vita di quelli
che invece di una scorta hanno al seguito i creditori è cosa ben diversa.
La
tua lettera è proprio brutta perché da un santo come te mi sarei aspettata una epistola diretta ai parlamentari finiani e dell’idv che hanno
votato la fiducia al governo. Avresti potuto usare mille parole. Avresti potuto
dirigere meglio la tua indignazione. Avresti potuto perfino raccontare le
tantissime persone in piazza senza stare su un piedistallo. Immaginando di
essere uno di loro, uno come tanti, semplicemente uno
che sceglie un altro modo per lottare, rispettabile ma non per questo
preferibile per tutti. Avresti potuto dire che quanto era successo non ti è
piaciuto senza usare supponenza, senza immaginare di essere superiore a quelli
che conducono lotte in modo diverso dal tuo.
Non credo ci sia molto altro da
dire: i ragazzi del movimento fanno movimento. Si
confrontano. Hanno sicuramente punti di vista
differenti. Se lo diranno. Ce lo diranno. Ma tu…tu sei semplicemente un’altra cosa.
CIAO
FULVIO,SONO DODO,DI
TORINO.
TI MANDO LA MIA RISPOSTA A SAVIANO.FALLA GIRARE,PER FAVORE.
LETTERA A SAVIANO
Caro Roberto Saviano,sono
uno dei tanti che ha letto la tua «lettera aperta»,con tanto di bollino siae, ai «ragazzi del movimento».
Non sono uno
studente,non ho scritto nessun libro di successo,non
vivo interpretando il ruolo di santo-icona, ho 33 anni e faccio l'operaio
metalmeccanico.
Ho sempre pensato che la politica va praticata «dal
basso»,nelle piazze,nelle strade,con tutti,e le tue
parole non sono nuove,nel corso degli anni le avrò sentite migliaia di volte,le
solite cose scontate sulla violenza,sui provocatori,sugli infiltrati,i buoni,i
cattivi ecc...
Forse i tuo stare su un altare ti
impedisce di vedere ciò che ti circonda.
Dietro a
quelli che tu chiami «cento imbecilli» c'è tutta la nostra rabbia.
La rabbia
di chi la precarietà la vive realmente,giorno dopo
giorno,di chi si deve tenere stretta anche la marginalità perchè basta un attimo per passare dalla precarietà alla
povertà più nera,di chi vede i propri diritti di lavoratore frantumarsi contro
il muro delle logiche aziendali,con la complicità di sindacati che definire
"venduti" è usare un eufemismo.
La rabbia di chi,in
mezzo a mille difficoltà, cerca di darsi una formazione culturale in paese in
cui i governi negano i fondi per l'istruzione pubblica,la ricerca ecc... ma non
han problemi a trovarli quando si tratta dell'ennesima missione militare "di
pace" in giro per il mondo.
La rabbia di chi deve stare sempre zitto e a
testa bassa,legato al guinzaglio del permesso di
soggiorno,la rabbia di chi ha visto crollare la propria casa,ha perso tutto e da
tempo sente solo le false e odiose promesse di quei nani e quelle ballerine
tutti presi dal loro,perenne, mercato di voti e dignità.
La rabbia di chi
vede il suo territorio avvelenato da tonnellate di rifiuti,o da quintali di cemento.
La Rabbia di chi un futuro,a queste condizioni,non lo avrà mai.
A Roma c'era la
rabbia di tutte queste persone,quelle che tu ti
affretti a ridurre a "cento imbecilli".
Questa rabbia è esplosa,e guarda,a tutti noi ha messo coraggio e non paura,è stato
qualcosa di liberatorio che ci ha dato fiducia per le mobilitazioni
future.
«Adesso parte la caccia alle streghe; ci sarà la volontà di mostrare
che chi sfila è violento."
A forza di vivere sulla
tua torre d'avorio non ti rendi conto che questo sistema DA SEMPRE criminalizza il dissenso quando questo,come a Roma, si
manifesta realmente.
Forse non sai che la repressione ha forme
molteplici,e non c'è bisogno di mettere in atto nessuna
«strategia della tensione» per attuarla.
Noi la repressione la viviamo
quotidianamente sulla nostra pelle e non si tratta solo della guardia che ti
pesta,inizia nei rapporti di lavoro attraverso la
sottomissione indotta dalla scadenza del contratto.
E' una forma di
repressione anche negare un istruzione,superficializzando la cultura,riducendola a nozioni utili
per quelle aziende che assumeranno i futuri,e sfruttabili lavoratori
interinali.
Così come è repressivo criminalizzare il
dissenso,quando esso si manifesta in forme ben poco piacevoli non solo al
governo ma anche ai quei sinistri oppositori la cui forma principale di
opposizione e dar aria ai denti,sputando sentenze,sicuri dei propri giudizi in
tasca,creando divisioni tra «buoni» e «cattivi»,blaterando il solito sermone
trito e ritrito sul 77,i caschi,ecc... ,scrivendo «lettere aperte» sui
giornali.
Caro Saviano,forse non sai che molta gente il diritto di
parola,e quello di esistere,se lo devono conquistare,anche con la violenza.
Pubblicato
da Fulvio
Grimaldi
alle ore 11:39