di Annalisa Melandri - www.annalisamelandri.it
L’ Honduras dei golpisti riammesso nel Parlamento Latinoamericano
Con 135 voti a favore e 53 contrari e nonostante la forte e ferma opposizione del Venezuela e di tutti i paesi dell’ ALBA, (Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America), ma soprattutto nonostante le continue violazioni dei diritti umani che avvengono ancora in
Honduras dopo il colpo di Stato del giugno del 2009 contro il governo di Manuel Zelaya, (legittimato dalle elezioni farsa del novembre dello stesso anno)
il paese centroamericano viene riammesso, sebbene con riserva, nel Parlatino, il Parlamento Latinoamericano che ha sede a Panamá.
La decisione è avvenuta durante la XXVI Assemblea Ordinaria dell’ organismo regionale e
dimostra la prevalenza di istanze conservatrici e filo-imperialiste all’ interno del medesimo.
Sebbene tra gli obiettivi principali del Parlatino ci sia “la difesa della democrazia” e tra i suoi propositi il ripudio delle violazioni dei diritti umani, la condanna di ogni azione imperialista in America latina (il colpo di Stato in Honduras é avvenuto con il sostegno e
l’ avallo degli Stati Uniti) e l’ appoggio incondizionato alla democrazia partecipativa, questa risoluzione legittima di fatto il governo di Porfirio Lobo, e cioè il volto “democratizzato” del suo predecessore Roberto Micheletti, il golpista della prima ora, quello che per intendersi, il 28 giugno 2009 dette disposizione all’ esercito di prelevare il suo presidente Manuel
Zelaya, all’ alba e in pigiama e di metterlo su di un volo diretto in Costa Rica, cacciandolo dal paese.
Un atto di pragmatismo notevole quello che si è svolto in questi giorni a Panamá. Quanto accaduto in Honduras nel giugno 2009, ma soprattutto quanto continua ad accadere giorno dopo giorno nel silenzio più totale della comunità internazionale, ha testimoniato
in maniera contundente l’ incapacità dei governi latinoamericani di sinistra di fronteggiare situazioni di crisi. Nonostante le voci di condanna, le minacce e gli anatemi che il Venezuela di Chávez e tutta l’ area ALBA hanno lanciato per mesi, nonostante la condanna dell’ UNASUR (Unione Nazioni Sudamericane) che di fatto resta divisa al suo interno sulla posizione da prendere rispetto all’
Honduras, l’ ennesimo golpe latinoamericano condito con stelle e strisce è stato accettato abbastanza passivamente.
A dimostrazione che, se indubbiamente è vero che la regione vive nuovi fermenti e che la sua economia si sta spingendo su binari diametralmente opposti (soprattutto in senso geografico) a quelli percorsi a ritmo serrato appena qualche decennio fa, con l’ entrata in
scena di nuovi partner commerciali quali la Cina e alcuni paesi del Medio Oriente, è anche vero che a volte tale inversione di paradigma ha connotazioni fin troppo ideologiche e che si muove esclusivamente su di un piano economico ma non ancora sufficientemente efficace su quello politico-militare.
L’ impero riesce ancora a sferrare i suoi colpi e a creare i suoi baluardi. L’ Honduras è soltanto l’ ultimo in ordine di tempo. Ottenuto nel giro di una nottata. Manuel Zelaya, il presidente legittimamente eletto dal popolo honduregno, “Mel” come era affettuosamente chiamato dai suoi sostenitori, aveva pericolosamente virato a sinistra. La sua decisione di condurre il paese in area ALBA
non poteva essere accettata da Washington.
Parlando con un linguaggio da guerra fredda potremmo dire che gli Stati Uniti non potevano permettere ulteriori infiltrazioni comuniste in area caraibica. Soltanto che siamo nel 2010 e non nel 1960 o negli anni delle dittature militari e della guerra sucia e che di Manuel Zelaya tutto può dirsi tranne che sia comunista. Nel caso del colpo di Stato in Honduras, gli Stati Uniti hanno agito quasi con le stesse strategie politiche e militari di allora. Perfino alcuni degli uomini utilizzati in questa circostanza sono stati gli stessi. John Dimitri Negroponte, tanto per fare un nome, uomo chiave della strategia anticomunista degli Stati Uniti in America centrale, ex capo della CIA in Vietnam e già ambasciatore in Honduras tra il 1981 e il 1985, fondatore dei Contras
nicaraguensi e a capo degli squadroni della morte del Battaglione 3–16 in Honduras insieme al militare honduregno Billy Joya. Lo stesso Billy Joya, accusato di aver commesso diversi crimini in quegli anni nel suo paese contro studenti e civili, nominato poi da Micheletti suo consigliere personale subito dopo il colpo di Stato.
Tra l’America latina indomita e ribelle dove appare sempre più
isolata e supina la base filo-statunitense della Colombia (alla quale fanno in parte compagnia il Cile e il Perú) e quella del Nord è fondamentale mantenere la fascia caraibica e centrale come una zona che funzioni da avamposto, estremamente militarizzata e controllata, a partire dal Messico, ben oliato da parte degli Stati Uniti ad armi, dollari e militari in risposta alle emergenze del
narcotraffico e dei migranti. Le emergenze servono sempre a qualcosa, si sa.
Costa Rica, Puerto Rico, Panamá, Repubblica Dominicana, isole e isolette sparse nei Caraibi e prossimamente Haití, guarda caso ad appena 90 chilometri da CUBA, (pronta non appena il colera avrà fatto il suo dovere e la spartizione tra le potenze sarà conclusa), permettono di tenere gli occhi
bene aperti verso il Sud indisciplinato. Un altro paese ALBA, oltre al Nicaragua che già ne fa parte, non poteva essere accettato.
Ecco perché l’ aver lasciato correre e soprattutto l’aver legittimato adesso il colpo di Stato con la riammissione dell’ Honduras nel Parlatino anche se con riserva (una delegazione si recherà nel paese a gennaio a verificare la
situazione dei diritti umani), rappresenta un fallimento dell’ Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America.
Lontano da ideologie e sentimentalismi sull’ integrazione latinoamericana promossa dall’ ALBA, c’ è un popolo, quello honduregno, oppresso, che lotta contro una dittatura che ormai in pochi continuano a chiamare tale. Nessuno, di fatto,
ha avuto la forza e il peso politico e militare in America latina di opporvisi.
É ottimista al riguardo Carolus Wimmer, deputato al Parlatino del Partito Comunista del Venezuela: “è ovvio che nel Parlatino è in corso uno scontro politico e ideologico tra le vecchie tendenze di destra e le nuove posizioni progressiste e antimperialiste che poco a poco conquistano spazi. Dobbiamo introdurvi una clausola democratica simile a quella approvata questo sabato nel XX Vertice Iberoamericano. Non dobbiamo mai accattare nessuna forma di golpe. Con un lavoro di coordinazione, oltre alla rappresentazione dell’ ALBA dobbiamo acquistare anche spazi internazionali, e questo lo otterremo senza dubbio in futuro” afferma fiducioso. Più cauto appare invece il deputato Gustavo Hernández, del Partito Patria Para Todos, che afferma senza mezzi termini che con questa risoluzione “non solo ha perso l’ALBA ma la democrazia nel continente”.
Rispetto al XX Vertice Iberoamericano al quale Carolus Wimmer fa riferimento, va detto che Ricardo Martinelli il presidente di Panamá ha proposto il reintegro dell’ Honduras nell’ OEA (Organizzazione degli Stati Americani) dalla quale il paese era stato espulso subito dopo il colpo di Stato. Gli Stati Uniti, che di tale
organizzazione fanno parte, per mezzo del loro rappresentante per la diplomazia in America latina Arturo Valenzuela, fanno sapere che considerano il reintegro dell’ Honduras in sede OEA accettabile soltanto dopo il ritorno di Manuel Zelaya nel paese.
Manuel Zelaya è attualmente Coordinatore Generale del FNRP, l’eterogeneo fronte Nazionale di Resistenza Popolare
che a prezzo di uno stillicidio continuo di vite di militanti, contadini, indigeni e giornalisti sta lentamente cercando la strada della democrazia rappresentativa nella vita politica del paese.
Forse Zelaya prima o poi riuscirà a ritornare in Honduras (per ordine del governo golpista di Micheletti pende sul suo capo un mandato di arresto per abuso di potere, frode e falsificazione di documenti pubblici) e probabilmente si ritaglierà uno spazio politico in opposizione agli stessi poteri che lo hanno cacciato poco elegantemente dal paese quasi un anno e mezzo fa, poteri che nel frattempo hanno ottenuto il reinserimento in tutti i circuiti economici e politici dai quali sono stati esclusi soltanto in parte e per
breve tempo.
Se così dovesse accadere sarebbe un gioco delle parti abbastanza triste e dal risultato scontato. La partecipazione alla vita politica della nazione piuttosto che “in un miraggio che deformi la coscienza del popolo” honduregno, dovrebbe invece “trasformarsi in una trincea di lotta”, come si legge nei comunicati del FNRP.
E solo allora si potrebbe dire davvero che la democrazia ha vinto.