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Da ADISTA n.77, in anteprima, articoli di Claudia Fanti sulle elezioni brasiliane
- Subject: Da ADISTA n.77, in anteprima, articoli di Claudia Fanti sulle elezioni brasiliane
- From: Serena Romagnoli <md1042 at mclink.it>
- Date: Sun, 10 Oct 2010 09:09:45 +0200
- Thread-topic: Da ADISTA n.77, in anteprima, articoli di Claudia Fanti sulle elezioni brasiliane
www.comitatomst.it LA CANDIDATA DI LULA NON SFONDA AL PRIMO TURNO. E ORA PER I MOVIMENTI RIPARTE IL DIBATTITO 35811. BRASILIA-ADISTA. Si è infranto contro il successo personale di Marina Silva il sogno di Dilma Roussef di vincere le presidenziali in Brasile già al primo turno, il 3 ottobre scorso. Con il suo inatteso 19% dei voti, l'ex ministra dell'Ambiente di Lula, uscita dal governo in polemica con le sue devastanti politiche ambientali e candidatasi con il Partito Verde, potrà quindi fare da ago della bilancia in vista del ballottaggio del prossimo 31 ottobre tra la candidata voluta da Lula, prima con circa il 47% dei voti, e l'ex governatore di Sao Paulo José Serra (già ministro prima della Programmazione e poi della Salute del governo Cardoso), fermo al 32,6%. Diversi sono i fattori che spiegano il mancato trionfo al primo turno dell'ex ministra della Casa Civile (cioè capo di gabinetto di Lula). Il sociologo Emir Sader, per esempio, include nella sua analisi l'alto numero di astensioni e di voti nulli e bianchi, pari ad oltre il 25% dell'elettorato, ma anche gli effetti delle campagne denigratorie condotte dalle destre e lo scandalo di corruzione che ha coinvolto l'attuale capo di gabinetto Erenice Guerra, stretta collaboratrice della Roussef, oltre, naturalmente, alla forte affermazione di Marina Silva, in cui convergerebbero, insieme ai voti degli ambientalisti, soprattutto della classe media urbana dei grandi centri, anche quelli di militanti di sinistra che hanno voltato le spalle al Pt, dei socialdemocratici delusi, e pure della comunità evangelica e dei cattolici integralisti che accusano Dilma Roussef di essere favorevole all'aborto e al matrimonio gay (il vescovo di Guarulhos, dom Luiz Gonzaga Bergonzini, ha ad esempio esortato i fedeli cattolici della sua diocesi a non votare per Dilma perché sarebbe a favore dell'aborto). L'ago della bilancia La questione centrale, quindi, è quella della posizione che assumerà Marina Silva, la quale ha dichiarato che la sua decisione dipenderà dalle proposte programmatiche sullo sviluppo ecologicamente sostenibile e su altri punti da parte dei due candidati al ballottaggio e che non necessariamente coinciderà con quella del Partito Verde, il cui presidente, José Luiz Penna, ha già espresso la sua preferenza per Serra. E proprio a colei che è stata la più stretta collaboratrice di Chico Mendes, di cui ha raccolto l'eredità (nonché la deputata più votata del Brasile nel 1990 e la senatrice che ha raccolto il maggior numero di voti nel 1994), ha rivolto un accorato appello Maurício Abdalla, docente di filosofia della Ufes (Universidade Federal do Espírito Santo) e assistente del Movimento Fé e Política e delle Comunità ecclesiali di base. Secondo Abdalla, Marina Silva era "la candidata ideale: donna, militante, ecologista e socialmente impegnata con Œil grido della Terra e il grido dei poveri', secondo l'espressione di Leonardo Boff", che non a caso l'ha attivamente sostenuta. "Si dice prosegue, rivolgendosi alla candidata del Partito Verde che hai scelto il partito sbagliato. Può essere. Ma, d'altro lato, cosa è certo in questo confuso tempo di partiti gelatinosi, di alleanze surreali e di pragmatismo iperbolico? Chi può tirare la prima pietra rispetto alle scelte di partito?". Tuttavia, secondo Abdalla, Marina Silva è stata usata dalle destre per spingere Serra al ballottaggio e guadagnare tempo: "Ti hanno dato lo spazio che la tua causa non ha avuto mai, che la tua lotta con i seringueiros e contro le élite rurali non è mai riuscita ad ottenere sui mezzi di comunicazione". E la strategia ha funzionato. "Non accettare - le chiede - questo cavallo di Troia". "E non lasciare che i tuoi elettori credano che tu sia più vicina a Serra che a Dilma". "Dilma, ammettiamolo, non è la candidata dei nostri sogni. Ma Serra è quello dei nostri più terribili incubi. Aiutaci a sconfiggerlo". A non dubitare che la leader ambientalista finirà per orientarsi "verso il lato dal quale proviene", quel Pt che ha aiutato a costruire, è proprio il teologo Leonardo Boff, il quale, opponendo al progetto neoliberista rappresentato da José Serra - sostenuto dalle forze del capitale più reazionarie e più sottomesse all'impero - quello della democrazia sociale e popolare del Pt, a cui "il governo Lula ha dato corpo", invita ora il Partito dei Lavoratori ad "aprirsi umilmente al discorso ambientale" assumendo strategicamente la questione della natura sollevata da Marina Silva e facendo proprio un atteggiamento di "nuova benevolenza nei confronti della Madre Terra". "Sogniamo - scrive Boff - una democrazia sociale, popolare ed ecologica che riconcilii l'essere umano con la natura per garantire un futuro comune felice per noi e per l'umanità". Un dibattito necessario La speranza, a sinistra, è che si ripeta quanto già avvenuto al secondo turno delle elezioni del 2006, quando un'ampia mobilitazione centrata sul confronto tra i due distinti modelli rappresentati da Fernando Enrique Cardoso e da Lula ha condotto quest'ultimo a una vittoria schiacciante. Dopo una campagna elettorale in cui la grande assente è stata la politica, in cui si è parlato di tutto tranne che di programmi, si può riaprire così un nuovo spazio di dibattito per i movimenti sociali. I quali, fortemente ridimensionati dagli otto anni di governo Lula, "in parte cooptati e in parte o delusi o disorientati dall'abilità negoziatrice e carismatica del presidente", come segnala Aldo Zanchetta (Mininotiaziario America Latina dal basso, 18/9), non risparmieranno energie a favore di Dilma Roussef, se non altro perché la vittoria di Serra significherebbe la chiusura del dialogo e la criminalizzazione delle proteste sociali. Così, se il più importante dei movimenti, quello dei Senza Terra (Mst) non si è esplicitamente schierato con Dilma al primo turno, si impegnerà attivamente per assicurarne la vittoria al ballottaggio. Come aveva infatti spiegato il leader del Mst Gilmar Mauro in un'intervista rilasciata al Correio da Cidadania (27/9), non era possibile, nel quadro dell'attuale frammentazione della sinistra, riunire l'intero movimento sociale attorno a una candidatura unica. Non potendo schierarsi con Dilma a causa della mancata realizzazione della riforma agraria da parte del governo Lula e del suo chiaro appoggio all'agrobusiness, ma non potendo nemmeno voltare le spalle alla propria base, in gran parte lulista, il Mst ha finito così per non schierarsi con alcun candidato, neanche con quelli più allineati al progetto di riforma agraria difeso dal Mst (a cominciare da Plinio Arruda Sampaio), i quali, ha affermato un altro dei più importanti leader del Mst, João Pedro Stedile, non sono riusciti "ad aggregare forze sociali attorno a sé". Una posizione, questa, che non ha convinto tutti. "Come potrebbero le tre candidature della sinistra (Plinio, Ivan Pinheiro e Zé Maria) aggregare forze e acquisire peso elettorale scrive per esempio il sociologo Antonio Julio de Menezes se un leader di uno dei principali movimenti sociali come João Pedro Stedile dichiara, senza alcun impegno a favore di queste candidature, che esse non sono decollate?". In ogni caso, evidenzia Gilmar Mauro, il principale dibattito a cui è chiamata la sinistra è quello intorno a una sua ricostruzione più unitaria. Non serve un nuovo partito, né una nuova proposta, ma "dibattito, autocritica, analisi": è necessario, ha concluso, "creare una metodologia per il dibattito politico che ci permetta un accumulo sufficiente di forze al momento di creare nuovi strumenti". Il migliore risultato della sinistra Nelle elezioni del 3 ottobre, in cui i brasiliani sono stati chiamati ad eleggere, oltre al successore di Lula, 27 governatori, 513 deputati, 54 senatori e centinaia di rappresentanti locali, "la sinistra - scrive Emir Sader (Alai, 4/10) - ha registrato il migliore risultato elettorale della sua storia". I partiti che sostengono il governo Lula hanno vinto le elezioni in 14 Stati. E questo migliora il rapporto di forze a favore del governo federale, in caso di vittoria della candidata del Pt. Al Senato la maggioranza che sostiene Dilma Roussef ha eletto 54 senatori (rispetto ai 39 del 2006), mentre l'opposizione è scesa da 35 a 25. Alla Camera i deputati eletti da partiti che costituiscono la base del governo Lula hanno ottenuto la maggioranza (161 deputati federali contro i 95 dell'opposizione). Il Pt sarà il partito con il maggior numero di deputati, seguito dal Pmdb. E le forze legate ai movimenti sociali del campo hanno eletto anch'esse molti deputati, ampliando considerevolmente la propria base parlamentare. (claudia fanti) FU VERA GLORIA? UN BILANCIO DEGLI OTTO ANNI DEL GOVERNO LULA 35812. BRASILIA-ADISTA. Le elezioni in Brasile del 3 ottobre scorso hanno fornito inevitabilmente l'occasione per tracciare un bilancio degli otto anni di governo del presidente Lula, il quale lascia l'incarico con una popolarità intorno all'80% (v. notizia precedente). Come sottolinea il giornalista e scrittore messicano Raúl Zibechi, per i brasiliani "opporsi a Lula è come mettere in discussione la legge di gravità. La sua egemonia è talmente forte che in un annuncio pubblicitario del suo avversario José Serra compare anche la sua immagine". Le radici del lulismo È, quello del "presidente operaio", un fenomeno politico a cui è stato pure dato un nome - lulismo - e che si caratterizza essenzialmente secondo l'"Analisi della congiuntura politico-elettorale 2010" elaborata dal Cepat (Centro de Pesquisa e Apoio aos Trabalhadores) in stretta sintonia con l'Instituto Humanitas Unisinos (Ihu) per il forte legame stabilito con la figura di Lula da quello che l'analista politico André Singer individua come sottoproletariato: quella parte maggioritaria della classe lavoratrice brasiliana senza una coscienza di lotta di classe e senza una capacità di costruire dal basso le proprie forme di organizzazione, a causa dell'atomizzazione prodotta dal sistema produttivo. Secondo l'Analisi, il lulismo nasce dall'adesione di Lula a quel "conservatorismo popolare" che riflette il desiderio di superamento della disuguaglianza da parte degli elettori più poveri, ma per mezzo di un intervento dello Stato, non di una mobilitazione sociale che potrebbe destabilizzare l'ordine esistente; e dalla decisione del presidente di percorrere il cammino dell'ortodossia economica, seguendo fedelmente le ricette neoliberiste nella macroeconomia, ma costruendo su tale cammino una politica di sostegno al potere di consumo delle fasce di basso reddito. Il fiore all'occhiello di questa politica è sicuramente l'imponente Programma Bolsa Família, grazie a cui è stato concesso un sussidio familiare tra 7 e 45 euro mensili a oltre 40 milioni di poveri, soprattutto nel nordest, permettendo a circa 20 milioni di persone di uscire dalla povertà estrema. Ma ad esso si deve aggiungere anche il controllo dei prezzi dei generi di prima necessità, l'aumento del salario minimo per 42 milioni di lavoratori, il microcredito, l'ampliamento dei prestiti all'agricoltura familiare e diversi altri programmi sociali. Tuttavia, secondo Dirceu Travesso del sindacato Conlutas, ciò che questa politica ha realmente prodotto non è stata una redistribuzione del reddito, ma "piuttosto un miglioramento salariale dovuto a un contesto di crescita economica, in cui i più beneficiati sono stati i settori privati dell'industria e delle finanze". E anche il Programma Bolsa Familía, come sottolinea Aldo Zanchetta (Mininotiziario America Latina dal basso, 15/9, "se dal lato umanitario è lodevole, politicamente è criticabile appunto per il suo carattere totalmente assistenziale", non essendo accompagnato "da alcuna misura di cambiamento strutturale tale da consentire il riscatto economico personale", cosicché "un futuro governo meno sensibile socialmente potrebbe togliere il sussidio e far riprecipitare i suoi beneficiati nella situazione di povertà estrema". Quanto all'azione del governo a favore dell'agricoltura familiare, al di là di alcuni miglioramenti e al di là dell'insediamento di qualche centinaia di migliaia di famiglie, dal punto di vista della concentrazione fondiaria - denuncia il leader del Mst Gilmar Mauro - tutto è rimasto come prima, avendo ancora l'1% dei proprietari il controllo del 46% delle terre. Insomma, nel suo ruolo di "arbitro al di sopra delle classi", che "cementa l'unità dei contrari", ma concedendo l'egemonia al grande capitale rurale e urbano, il governo Lula, ha evidenziato il sociologo Luiz Werneck Vianna, ha fagocitato tutti: "Il movimento sociale grida, reagisce, ma, giunto al limite, evita di rompere con il governo; la destra si lamenta, protesta, ma cede al governo di coalizione; il capitale produttivo e finanziario reclama ma è contento di Lula". Un bilancio fortemente contraddittorio Il Brasile che Lula ha governato per otto anni sembra avere tanti motivi per rallegrarsi. Come scrive Aldo Zanchetta, "con 200 milioni di abitanti e una superficie di 8 milioni di kmq, è attualmente la nona potenza industriale mondiale con previsione di divenire in pochi anni la quinta. Assieme alla Russia è l'unica fra le grandi potenze ad essere energeticamente autosufficiente. Dal punto di vista delle riserve petrolifere occupa la settima posizione ma le prospezioni in corso ne pronosticano il passaggio al quinto posto, mentre è al sesto posto per riserve di uranio. È il Paese con la maggiore biodiversità sul suo territorio, e sappiamo quanto questa risorsa conti oggi nello sviluppo delle biotecnologie farmaceutiche e alimentari. Attualmente ha tre banche (Itaú, Bradesco e Banco do Brasil) fra le prime dieci del mondo (non ne aveva nessuna nel 2000). L'impresa mineraria Vale do Rio Doce occupa il secondo posto al mondo per volume di attività e il primo nel settore dei minerali di ferro. Petrobras, l'impresa petrolifera in parte controllata dallo Stato, è la quinta multinazionale per cifra di affari mentre Embraer è il terzo costruttore di aerei". Tuttavia, non ci si può dimenticare che "il Brasile occupa il 75.mo posto nell'Indice di Sviluppo Umano, più in basso di Albania e Panama, e il 43.mo nell'indice di povertà. L'Indice Gini, misura della disuguaglianza di reddito (pari a zero nel caso di una perfetta equità della distribuzione dei redditi) ha un valore superiore al 55%, vari punti peggio di Perú, Messico e Panama". Gli otto anni di presidenza Lula hanno portato a una crescita del 37% (rispetto al 20% degli anni 1994-2002). Ma, sottolinea Paulo Passarinho, economista e membro del Conselho Regional de Economia do Rio de Janeiro, si assiste anche a un forte e continuo indebitamento dello Stato e al sacrificio permanente di aree vitali per la popolazione, come quelle della salute, dell'educazione, dei trasporti e della sicurezza pubblica. Come segnala Frei Betto, il governo nel 2008 ha destinato il 30% del bilancio al mercato finanziario e solo il 5% alla salute e il 3% all'educazione. Più in generale, prosegue Passarinho, sotto il governo Lula si è registrato un aggravamento del "ruolo subalterno dell'economia brasiliana in un mondo sotto l'egemonia della globalizzazione finanziaria". E ciò malgrado le potenzialità di fatto illimitate di un Paese che è ricchissimo di risorse minerarie strategiche; che possiede il maggiore patrimonio di biodiversità della Terra, la foresta amazzonica; che presenta una grande abbondanza di acqua e di terre fertili; un Paese che dispone di tutti i mezzi possibili per assicurare "benessere materiale e accesso all'educazione, alla salute e a servizi essenziali di ottima qualità all'insieme della nostra popolazione". Come denuncia il senatore del Partido Democrático Trabalhista Cristovam Buarque, "il Brasile è ancora un Paese prigioniero dell'economia primaria. È un importatore di conoscenza e un esportatore di beni materiali". E va ancora peggio sul fronte, sempre più decisivo, dell'ambiente: "Che ruolo eserciterà il Brasile - si chiede Leonardo Boff - di fronte al cupo scenario che ci si parerà dinnanzi nei prossimi anni con l'esaurimento dei beni e dei servizi naturali e il moltiplicarsi di eventi estremi in termini di alluvioni, siccità, desertificazione?". La risposta del governo Lula è venuta dai due devastanti megapiani di "accelerazione della crescita", Pac 1 (2007) e Pac 2 (2010-2014), con i loro innumerevoli progetti infrastrutturali, tra cui ben 50 centrali idroelettriche, la maggior parte delle quali in Amazzonia. Per non parlare dei dirompenti effetti sull'ambiente dell'agrobusiness, a causa dell'uso smodato di agrochimici e del disboscamento legato all'ampliamento delle coltivazioni. È in politica estera che probabilmente il governo Lula ha raccolto, anche a sinistra, i maggiori consensi. Sotto il governo Lula, il Brasile è diventato una potenza globale, come dimostra la sua appartenenza al Bric, il quartetto di Paesi emergenti (Brasile, India, Cina e Russia). "Il recupero della sovranità nazionale con la presa di distanza dagli Stati Uniti - scrive Aldo Zanchetta - oltre a rispondere a un vecchio sogno brasiliano di affermarsi come Œpotenza regionale', ha consentito anche ad altri Paesi sudamericani di essere Œprotetti' dall'ingerenza statunitense". "Il lato più equivoco è il processo in atto di una forma di sub-imperialismo regionale, ben diverso da un indiscutibile riconoscimento di potenza regionale, che comunque ha portato a tensioni con gli Stati confinanti", come Bolivia e Paraguay. (claudia fanti) >
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