di Geraldina Colotti
«Persona non grata». Con una lettera letta ieri
dalla mediattivista Annalisa Melandri, un gruppo di associazioni e
forze politiche ha accolto così il cardinale honduregno Oscar Andrés
Rodriguez Maradiaga, invitato dalla Comunità di Sant'Egidio a tenere una
conferenza all'Istituto italo-latinoamericano di Roma. Oscar Maradiaga -
dicono le associazioni - in Honduras è soprannominato il «cardimale»,
per aver dato il suo appoggio ai golpisti che, il 28 giugno del 2009,
hanno rovesciato il governo legittimo di Manuel Zelaya, espellendolo in
pigiama in Costa Rica.
Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa e
presidente della Caritas internazionale, ha ribattuto che quella
espressa in Honduras non è stata una sua posizione personale, ma quella
di tutti i vescovi honduregni, sollecitati dalle parrocchie che
chiedevano un pronunciamento: «Oltretutto - ha affermato - in quel
momento io non ero nemmeno in Honduras, ma in Italia, eppure sono stato
definito 'cardinale golpista'». La repressione, le torture, le
sparizioni di oppositori documentate dalle organizzazioni per i diritti
umani?
«La Chiesa ha preso posizione - ha aggiunto Maradiaga, ha
sostenuto il dialogo fra le due parti e oggi appoggia un processo di
riconciliazione in cui venga anche fatta chiarezza delle violenze
compiute». Un processo di riconciliazione con il «governo fantoccio di
Porfirio Lobo» (come lo definiscono i movimenti popolari) eletto dopo
votazioni farsa, che il cardinale considera però un' eccellente prova di
democrazia.
Zelaya, invece voleva «forzare la costituzione, imporre
un altro mandato» ed è stato «rimosso dal suo incarico con il sostegno
del Parlamento e della Corte suprema»: quella stessa Corte che, in un
paese in cui gli spazi di rappresentanza e di agibilità politica per le
associazioni popolari restano una chimera, ha assolto i vertici militari
golpisti e avallato il colpo di stato.
Maradiaga ha tenuto una conferenza dal
titolo «Oltre la violenza e la povertà. Proposte di cambiamento per
l'America latina». Ha parlato di equità e giustizia sociale. Ha puntato
il dito contro «quel 20% che si appropria del'80% del Pil mondiale». Ha
tuonato contro la globalizzazione feroce che protegge le merci e
stritola le persone. Ha condannato barriere ed esclusioni, citando
l'economista francese Jacques Attali (eminenza grigia di Francois
Mitterrand) e l'ultimo libro di Alain Touraine sulla globalizzazione e
la fine del sociale.
Un discorso a tutto campo sui mali del secolo e
sul ruolo della chiesa in America latina, argine contro «il fallimento
del marxismo e quello del neoliberismo». Una preoccupazione - quella di
arginare il socialismo - che ha certo turbato il sonno delle gerarchie
ecclesiastiche honduregne: pronte a far barriera contro la presenza
dell'Alba (l'alternativa bolivariana per i popoli della nostra America)
di Cuba e Venezuela, entro il cui ambito Zelaya aveva intrapreso qualche
timida riforma sociale. E a soprassedere ai tanto decantati ideali di
giustizia sociale.