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Intervista a Walter Wendelin, militante Askapena espulso dal Venezuela
- Subject: Intervista a Walter Wendelin, militante Askapena espulso dal Venezuela
- From: annalisa melandri <annalisamelandri at yahoo.it>
- Date: Wed, 12 May 2010 21:21:02 +0000 (GMT)
| Intervista a Walter Wendelin 
			di Annalisa Melandri www.annalisamelandri.it Il 28 marzo scorso, l’internazionalista basco di origine tedesca Walter Wendelin al suo arrivo a Caracas è stato fermato dalle autorità venezuelane, espulso dal paese e mandato in Spagna senza avere nessuna richiesta di estradizione, mandato di cattura o carico pendente con la giustizia spagnola. Walter, militante del movimento internazionalista Askapena, la Sinistra Abertzale (nazionalista), era diretto in Venezuela per illustrare ai politici e ad altri internazionalisti il processo democratico che la Sinistra Indipendista basca sta portando avanti da alcuni mesi chiamato Zutik Euskal Herria (Euskal Herria in piedi).  “E’  stata
 una questione prevalentemente politica e scorretta  dietro la quale si 
nasconde la mano occulta dell’esecutivo spagnolo” ci spiega Walter in 
questa intervista nella quale ci fornisce come strumento di analisi la 
sua  visione rivoluzionaria e militante rispetto a quanto accaduto, 
invitando a non “confondere mai il nemico”, essendo note   le 
difficoltà che deve affrontare il processo rivoluzionario in Venezuela e
 come questo sia oggetto di molteplici attacchi sia sul fronte interno 
che esterno. A.M: 
Walter, ci puoi raccontare come si sono svolti i fatti nell’aeroporto di
 Caracas?  W.W. – Semplicemente si
 sono presentati agenti del Servizio Bolivariano di Intelligence, la 
antica DISIP, chiedendomi  di seguirli  per rispondere  ad alcune 
domande. Mi  hanno anche detto che poi mi avrebbero accompagnato dove 
ero diretto.  Ho avvisato quindi le persone che  mi stavano aspettando 
all’uscita dell’aeroporto  informandoli che mi trovavo all’ Helicoidal, 
l’edificio del SEBIN.  Lì ho parlato con gli agenti e con il  personale 
del servizio di Immigrazione. Purtroppo  alla fine mi hanno invitato ad 
abbandonare il paese senza spiegazioni ufficiali;  sono stato portato 
 in un hotel per passare la notte ed il giorno seguente accompagnato 
all’aeroporto. Loro stessi hanno provveduto a cambiare il biglietto. 
Hanno cercato di farmi firmare una  dichiarazione di espulsione, cosa 
che non ho fatto perché quanto riportato non corrispondeva al vero. Il 
fatto di non averla firmata d’altra parte non ha comportato nessun tipo 
di problema. Siccome viaggiavo con i miei documenti  era chiaro però che
 non si trattava di una espulsione regolare come hanno constatato anche 
le autorità francesi all’arrivo all’aeroporto di Parigi dove sono stato 
interrogato per circa un’ora su quanto accaduto.  Poi ho proseguito il 
mio viaggio verso Gasteiz. A.M. – Hai qualche 
carico pendente  o un mandato di arresto da parte della giustizia 
spagnola? W.W. – Se avessi avuto 
qualcosa in sospeso con la giustizia venezuelana, spagnola o francese, 
o qualche mandato di cattura da parte  dell’Europol o dell’Interpol non 
potrei rispondere  a queste domande tranquillamente da casa come sto 
facendo adesso. Quindi si tratta di una  questione meramente politica e 
scorretta  dietro la quale si cela la mano occulta  dell’esecutivo 
spagnolo. Per impedire che in Venezuela e nel resto del mondo si 
conoscano i fatti e le analisi di  quanto accade in Euskal Herria, i 
Paesi Baschi, da un punto di vista non gradito al governo,  vengono 
utilizzate queste modalità poco serie e poco degne che dimostrano tutta 
la sua  debolezza ma che non per questo fanno meno  danno e causano meno
 sofferenza. Alcuni media infatti hanno raccolto dichiarazioni 
dell’ambasciata e del ministero degli esteri spagnolo  che affermavano 
che quello era esattamente il tipo di collaborazione che si aspettavano 
dal governo Chávez.    A.M. – 
Qual è la tua opinione sui reali motivi della tua espulsione dal 
Venezuela?  W:W. – Immagino che da 
parte del Venezuela o della sua intelligence si sia voluto compiere  un 
gesto di buona volontà e di collaborazione con il Regno di Spagna dopo 
aver firmato una serie di contratti con importanti multinazionali 
spagnole. Non bisogna dimenticare le pressioni della opposizione 
“escualida” che attacca il governo accusandolo di complicità con il 
“terrorismo internazionale” – FARC, ETA-Batasuna, Iran… - e con tutto 
l’asse del male e che si presenterà alle elezioni legislative in 
settembre o in  ottobre. La situazione elettorale del governo Chávez è 
difficile sia rispetto a questa opposizione che all’ amministrazione USA
 ma anche internamente rispetto allo stesso  chavismo e dalla sua
 vittoria dipende non soltanto il futuro di venezuelani e delle 
venezuelane  ma anche il successo di tutto il processo bolivariano in 
America.  Anche da parte del 
Regno spagnolo ci sono due ragioni che sono abbastanza evidenti. La 
prima è che la Spagna ha dovuto dimostrare al suo padrone,  l’impero 
statunitense  e principalmente alla sua amministrazione e alle sue 
multinazionali  finanziarie,  che nonostante abbia firmato contratti 
con il Venezuela che non garantiscono soltanto sostanziosi  benefici al 
capitale spagnolo ma anche alla rivoluzione bolivariana, non pensa di 
contribuire in nessun modo a  questo processo nemico degli Stati Uniti.   La seconda è che esiste
  una campagna iniziata alcuni mesi fa da parte del Ministero 
dell’Interno spagnolo per criminalizzare, cortocircuitare e impedire il 
processo democratico – ZUTIK EUSKAL HERRIA – che sta portando avanti  la
 Sinistra Indipendentista Basca. Si tratta di una iniziativa unilaterale
 messa in atto in assenza di violenza e secondo  principi democratici 
(come sempre ha fatto la Sinistra Abertzale) che ricolloca i poteri di 
fatto spagnoli un uno spazio prevalentemente  politico dove lo Stato 
spagnolo è ogni giorno più debole e per questo preme per collocare il 
conflitto di interessi politici nei parametri della lotta 
“antiterrorista”  anche sul piano internazionale.  A.M. – 
Walter, tu sei sempre stato molto solidale con la rivoluzione 
bolivariana. Nell’intervista rilasciata a Miguel Suarez di Radio Café 
Stereo fai un appello a non cadere nella “trappola mediatica” che può 
offrire quanto è accaduto a Caracas. Cosa significa?  W.W.- Ho voluto dire 
principalmente che non dobbiamo mai sbagliarci su chi sia veramente il 
nemico e ancor meno per un incidente di questo tipo. Quindi non voglio 
dare importanza all’accaduto  poiché, come ho detto prima, è la 
dimostrazione delle reali difficoltà  pratiche  che soffre il processo 
rivoluzionario in Venezuela a causa del criminale e immorale attacco 
dell’imperialismo yankee, del sub-imperialismo spagnolo e con la 
complicità della borghesia “escualida” con il suo progetto 
capitalista neoliberale.   Detto in  altre parole:
 si deve cogliere la differenza tra gli errori e le debolezze delle 
compagne e dei compagni di lotta e gli attacchi dal nemico, bisogna 
inoltre saper individuare molto bene le quinte colonne nei processi 
rivoluzionari. Facendo tali distinzioni è molto importante non 
aggrapparsi ai propri principi individuali considerandoli come valori 
assoluti, i principi rivoluzionari devono sempre essere collettivi. 
Dall’altra parte troviamo la manipolazione mediatica.  Ne è esempio  il 
titolo di un giornale  venezuelano che parlava di “detenzione illegale 
di un etarra”. Senza entrare nel merito della valutazione dei principi 
deontologici dei giornalisti, né della loro etica professionale, che 
lascia molto a desiderare, dobbiamo stare molto attenti all’influenza 
che hanno le loro menzogne e le loro mezze verità, che vengono ripetute 
mille volte, come disse Goebbels, per trasformarle in verità, nelle 
nostre valutazioni, analisi ed opinioni. Coloro che strumentalizzano i 
mezzi di comunicazione per i loro propri interessi personali  in quanto 
élite capitalista hanno una strategia stabilita per colpire la lettura 
critica di coloro che pensano di  avere una visione progressista. A.M.: 
 Walter,  tu quasi  giustifichi quanto accaduto a causa della situazione
 molto difficile che si vive in Venezuela dove il governo è stretto tra 
il Regno spagnolo da un lato e le pressioni molto forti dell’ 
opposizione interna dall’altro. Ovviamente, a molti di noi,  militanti, 
attivisti e solidali con le lotte di liberazione dei popoli, la tua 
espulsione ci ha spaventato da una parte e ci ha fatto riflettere 
dall’altra… la Spagna, inoltre, continua ad essere un partner economico 
molto importante per tutti i paesi dell’America latina. Come pensi si 
possa coniugare la stabilità di un paese nell’ambito delle relazioni 
internazionali e gli scambi commerciali con la solidarietà 
rivoluzionaria?  W.W. – Soprattutto va 
tenuto presente  che non può esserci alcuna stabilità in un mondo nel 
quale il Capitale ed il suo sistema sono egemonici poiché questi attori 
 fanno la  guerra contro qualsiasi altra alternativa oppure  se la fanno
 tra sé  per l’egemonia. Il capitalismo è proprio questo per 
definizione. Non esiste nessuna formula o strumento etico che lo possa 
evitare.  Tuttavia  a volte la tensione diminuisce oppure durante brevi 
periodi si crea una apparente stabilità.   Il blocco socialista e 
l’Unione Sovietica  hanno obbligato il capitalismo a sviluppare questi 
aspetti di stabilità (attraverso l’equilibrio nucleare, il modello 
keynesiano, la carta dei diritti umani e fondamentali dell’ONU, tra gli 
altri) ma da quando il modello socialista è stato fatto implodere,   la
 strada è stata spianata verso la competitività totale.     Ciò significa un 
aumento di instabilità globale, espressione della quale sono i focolai 
di guerre  che sono aumentati considerevolmente ed aumenteranno ancora 
di più nei tempi a venire. Altra espressione è la cosiddetta lotta 
“antiterrorista” contro “l’asse del male” internazionale. Pertanto si 
deve considerare la stabilità come un obiettivo tattico imprescindibile 
in alcuni momenti  di un processo di resistenza di un paese  di fronte 
all’imperialismo, ma  mai come un fattore  positivo o strategico in un 
mondo capitalista. Questo crea contraddizioni logiche di valutazione 
rispetto a quando sia  necessario o imprescindibile e benefico al 
processo rivoluzionario e quando invece favorisca  il grande capitale. 
Tenendo presente questo possiamo confrontarci ma  sempre sulla base del 
rispetto nei confronti dell’autorità che ognuno ha sul processo.  Vale a
 dire  rispettare il principio di non ingerenza nelle questioni della 
sovranità nazionale. Questa è la base, il fondamento principale della 
solidarietà internazionalista. Per questo dobbiamo rivalutare i principi
 di internazionalismo e solidarietà che attualmente sono concetti 
confusi dallo stesso sistema che fino a pochi anni fa li 
criminalizzava.  Quando si sono resi 
conto che non potevano distruggere la solidarietà internazionalista come
 principio della sinistra,  l’hanno assimilata per stravolgerne il 
contenuto e trasformarla in un valore che include nel suo discorso e 
nella sua ideologia persino l’estrema destra neoliberale. La concezione 
sbagliata del concetto di “solidarietà” è stata promossa dal sistema 
attraverso le ONG, che l’hanno  introdotta  nella sinistra disarmando la
 solidarietà. Oggi la solidarietà si è trasformata in un arma.  Ciò è 
molto pericoloso per la sinistra. Quando cerchiamo di  recuperare la 
solidarietà internazionalista come principio rivoluzionario, persino 
molta parte della sinistra critica e combatte questo concetto  con l’ 
erronea giustificazione che non si deve porre in pericolo la “stabilità”
 e non bisogna dare scuse al sistema per reprimere l’avanzata della 
“nuova sinistra”. Il sistema non ha bisogno di scuse. Le usa se le ha e 
se non le ha,  le inventa, sempre. In sintesi: non si deve, né si può 
mai coniugare la stabilità d un paese con la solidarietà rivoluzionaria.
 Quello che dobbiamo fare – soprattutto da parte della sinistra europea –
 è imparare  a rispettare i processi rivoluzionari di ogni popolo, 
incluso, o soprattutto, se non comprendiamo o ignoriamo le loro 
ragioni.     A.M.- 
Secondo quanto si legge in Rebelión, “l’Ambasciata di Spagna in 
Venezuela ha riconosciuto di aver avuto qualche tipo di influenza nella 
detenzione e nell’espulsione. Hanno rivelato di aver collaborato con le 
autorità politiche venezuelane ed hanno affermato che la detenzione è 
una dimostrazione del tipo di cooperazione che Madrid si aspetta dal 
Venezuela”. Se non avevi alcun carico pendente in Spagna, non ti sembra 
che questo sia un ambiguo ricatto che il governo venezuelano non avrebbe
 dovuto accettare per non creare pericolosi precedenti e soprattutto per
 non mettersi allo stesso livello degli Stati Uniti che, come sappiamo, 
ha approntato “liste nere” di persone che per le loro idee e per le loro
 posizioni coerenti non possono mettere piede nel loro territorio?   W.W. – È un ricatto ma 
per nulla ambiguo, il quale dimostra che non ha nulla a che vedere con 
questioni di giustizia o di legalità ma con interessi politici. Se il 
governo venezuelano avesse dovuto o non avesse dovuto accettare di 
sottomettersi a questo ricatto è qualcosa di cui si può discutere ma in 
ultima istanza sono i venezuelani e le venezuelane quelli che  devono 
decidere e gli altri devono rispettare tale decisione. È pericoloso non 
tanto come precedente – giacché di cose di questo genere ne sono 
accadute numerose e più importanti, soprattutto tra i rivoluzionari 
colombiani, ma anche con i rifugiati baschi ed altri – ma il pericolo 
principale è la demotivazione, i conflitti, le frustrazioni nella stessa
 popolazione rivoluzionaria venezuelana. Il pericolo risiede nel fatto 
che molti rivoluzionari si rassegnino e si ritirino  dalla lotta o che 
confondano  il nemico, i principi e gli obiettivi prioritari della 
rivoluzione bolivariana. Come internazionalista devo evitare che si 
utilizzi questo incidente per promuovere precisamente questo.     Altra questione è che 
attraverso questo incidente  e molti altri sui quali dobbiamo 
riflettere, possiamo creare un fronte internazionalista contro la 
legalizzazione delle liste nere, la lotta antiterrorista, la 
soppressione del diritto di asilo e tutte le altre espressioni 
controrivoluzionarie che si introducono come principi di uno stato di 
diritto quando non hanno  nulla a che vedere con questo ma sono solo 
formule per imporre interessi del grande Capitale contro qualsiasi 
processo progressista, umano, socialista e rivoluzionario.  A.M. Qual’ era  il 
motivo del tuo viaggio a Caracas? W.W. - Il motivo del 
viaggio era poter incontrare diversi politici e  attori sociali  che 
avevano mostrato interesse per conoscere opinioni ed analisi  differenti
  da quella trasmessa dai mezzi di comunicazione ufficiali e dagli 
 agenti spagnoli sulla realtà del popolo basco. C’era anche 
 l’intenzione di organizzare brigate internazionaliste con giovani 
disposti a formarsi come internazionalisti, la diffusione del  processo 
democratico (Zutik Euskal Herria) iniziato alcuni mesi or son dalla 
Sinistra Indipendentista Basca, caratterizzato dalla  sua forma di dare 
soluzione ai problemi organizzativi, antirepressivi, politici, economici
 e di fare un  bilancio di  questa iniziativa di azioni unilaterali 
verso la risoluzione del conflitto che il governo spagnolo non vuole che
 si conosca, non vuole negoziare, non propone alternative ma considera 
 solo una soluzione finale di accettazione della sconfitta attraverso 
mezzi repressivi, politici, di guerra sporca giudiziale, amministrativa e
 parapolitica.    Diverse entità spagnole
 dicono che stiamo ingannando la gente raccontando menzogne sulla 
esistenza del conflitto e del popolo basco. Questo è di fatto una 
mancanza di rispetto paragonabile solo con il  reale “porqué no te 
callas?” diretto ai venezuelani e alle venezuelane: in questo caso 
 poiché presuppone che i deputati, i parlamentari, i ministri, i 
politici, i dirigenti sociali e la gente in generale non siano  in grado
 di rendersi conto quando qualcuno gli racconta falsità, che non siano 
capaci di riconoscere una verità da una menzogna e che non abbiano le 
loro fonti per replicare … in conclusione  presuppone che siano idioti. 
Qualsiasi politico o politica venezuelana ha un livello professionale 
perfettamente paragonabile a quello di qualsiasi imprenditore, politico o
 diplomatico spagnolo. Qualsiasi cittadino o cittadina formatosi  nel 
processo bolivariano ha più competenze  dei cittadini spagnoli formatisi
  dalla Televisione Spagnola pubblica o privata, o da giornali come El 
País, El Mundo, Hola o Interviu.  In ogni caso questi 
imprenditori, politici o diplomatici spagnoli sono superiori solo in 
 boria reale,  dimostrata dalla nobiltà della quale sono sudditi 
volontari. So  che la mia opinione sul governo spagnolo e la società in 
generale non è molto lusinghiera per loro e che li può oltremodo 
infastidire, ma non posso cambiare tale opinione per un imperativo 
legale o per esigenze di inquisizione. Inoltre, se non fosse perché 
tentano di imporre la loro volontà e le loro decisioni attraverso la 
minaccia ed il ricatto, la violenza e la repressione (anche 
se legalizzata e istituzionalizzata) dove non gli compete – nel Paese 
Basco e sul popolo basco – non avrei motivo di parlare molto di  queste 
cose.      A.M. - "Zutik Euskal
 Herria" (Euskal Herria in piedi) è una proposta della Izquierda 
Abertzale (Sinistra Nazionalista Basca) che propone un ambito 
democratico verso il superamento del conflitto. Cosa ci puoi dire 
sull’argomento?  W.W. – In verità 
parlare di ZUTIK Euskal Herria richiederebbe  un’altra intervista e 
sarebbe molto importante e interessante poter approfondire e chiarire 
cosa è e cosa non è. Riassumendo, si tratta di  una decisione di 
cambiamento strategico unilaterale della Izquierda Abertzale per 
riprendere l’iniziativa politica nel paese. È basata sull’analisi e 
sulla presa di decisione collettiva di tutti coloro che appartengono al 
così detto “ambiente terrorista”,  che supera i settemila militanti e 
che si è realizzata  durante molti mesi. Il processo è iniziato con la 
presa di coscienza del fatto che  il governo spagnolo, che aveva 
lasciato il  tavolo delle negoziazioni sulla risoluzione del conflitto 
alla fine del maggio 2007, non solo non era disposto a riprendere i 
dialoghi  ma che era deciso ad applicare una “soluzione finale” 
repressiva e di vendetta. Aveva chiuso tutte le strade per l’ennesima 
volta. La situazione era bloccata.       Non si poteva lavorare 
per  una soluzione sensata, giusta e duratura. D’altra  parte  alcune 
persone avevano analizzato il fatto che  il governo spagnolo si era 
debilitato enormemente nello spazio politico, non aveva capacità per 
confrontarsi politicamente e democraticamente con la risoluzione  ed era
 questo che lo manteneva nella chiusura criminale negando qualsiasi 
offerta che non significasse la sconfitta a causa della  repressione 
politico-giudiziaria ed amministrativa dell’esecutivo.   Quando abbiamo 
cominciato a discutere  ed analizzare questo ci siamo resi conto che 
anche molte altre condizioni oggettive e soggettive erano cambiate o 
erano riuscite a cambiare sostanzialmente di forma. Era chiaro che  per 
procedere verso un Ambito Democratico necessario a  risolvere il 
conflitto politico era fondamentale  agire politicamente  in maniera 
unilaterale per il bene del popolo (vale a dire di noi tutti e di noi 
tutte) e che c’erano le condizioni per poter cominciare a raccogliere le
 forze dello spettro indipendentista e per la sovranità del nostro paese
 in assenza di violenza procedendo alla  costruzione di un nuovo 
soggetto politico per i futuri negoziati  e per la costruzione nazionale
 e sociale. Si è dibattuto fra tutti e tutte e si è arrivati alla 
decisione di procedere in questa direzione senza aspettare accordi o 
azioni del governo spagnolo né di altri.  Il governo spagnolo ha 
agito invece poi rapidamente con la detenzione dei coordinatori e dei 
portavoce del dibattito, dei giovani, dei dirigenti, degli avvocati e 
dei familiari  dei prigionieri e delle prigioniere politiche… sono 
aumentate le denunce di  pene accessorie  ai familiari, le percosse 
nelle carceri, le torture, la  guerra sporca, il terrorismo di Stato. 
Tutto questo per paralizzare il dibattito, dividere, rompere e 
ristabilire lo scenario violento precedente. Ma ancora una volta non 
sono riusciti a fermare l’avanzata della Sinistra Abertzale. Ed è  di 
questa avanzata che continua da più di 50 anni verso  l’ 
autodeterminazione e la democrazia che hanno vero terrore. Per questo 
manipolano, mentono, dicono che la iniziativa è una “trappola”, che si 
tratta sempre della stessa cosa, che è “per debolezza”, o “per tentare 
di evitare la sconfitta”,  “per recuperare l’ opportunità di accedere ad
 un posto di consigliere o sindaco nelle prossime elezioni”… tutto 
questo è una menzogna e lo sanno.  L’obiettivo della 
Sinistra Abertzale è un altro: la risoluzione democratica del conflitto e
 la definizione di  regole di  confronto democratiche e con garanzie 
 con le quali tutti i progetti politici possono difendersi e realizzarsi
 con l’unico limite che  prevede la libera volontà delle persone che 
 vivono in Euskal Herria. Ciò non può non includere anche il progetto 
politico della Sinistra Indipendentista Basca che è INDIPENDENZA e 
SOCIALISMO. . di Annalisa Melandri ringrazio Ciro 
Brescia - Red por Ti America per la collaborazione nella traduzione 
dell'intervista  | 
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