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Il generale Mario Montoya coinvolto nel massacro di San José de Apartadó
- Subject: Il generale Mario Montoya coinvolto nel massacro di San José de Apartadó
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- Date: Mon, 1 Mar 2010 21:44:45 +0000 (GMT)
Il generale Mario Montoya coinvolto nel massacro di San José de Apartadó
di Annalisa Melandri
www.annalisamelandri.it Tre ufficiali colombiani hanno accusato il
generale in ritiro Mario Montoya, ex capo dell’Esercito ed attuale
ambasciatore della Colombia in Repubblica Dominicana, di aver
partecipato alla pianificazione dell’Operazione Fenix condotta nella
regione dell’Urabá e culminata in quello che è conosciuto come il
massacro di San José de Apartadó. Esattamente cinque anni fa, il 21
febbraio del 2005, a San José de Apartadó, venivano brutalmente
massacrate otto persone appartenenti alla locale Comunità di Pace. Si
trattava di cinque adulti e tre bambini, Natalia e Santiago Muñoz,
rispettivamente di 6 anni e 18 mesi e Deiner Guerra di 10 anni,
sgozzati con i machete dopo aver assistito all’omicidio dei loro
genitori. Deiner era figlio di Luis Eduardo Guerra Guerra, il più
importante leader della comunità, ucciso barbaramente anche lui.
Secondo la recente confessione dei tre
ufficiali dell’esercito, resa nel corso del processo che proprio in
questi giorni vede implicati 10 militari per responsabilità dirette nel
massacro, sarebbe stato proprio Montoya (all’epoca comandante della
Prima Divisione) ad autorizzare la Brigata XVII ad avvalersi di guide
paramilitari, circa 60 uomini in tutto, per la perlustrazione della
zona.
Tutti, fin dai primi giorni successivi alla
vicenda, dal presidente della Repubblica fino all’ultimo
funzionario, fecero la loro parte per garantire l’immunità dei militari
implicati nella strage e per sviare le indagini. Sebbene già il giorno
seguente il sacerdote gesuita Javier Giraldo e i membri della comunità
di Pace avessero denunciato le responsabilità dell’esercito e di un
gruppo di paramilitari, lo stesso presidente Álvaro Uribe incolpò
pubblicamente invece la guerriglia delle FARC. Fu negata anche la
presenza di truppe dell’esercito nella zona il giorno 21 febbraio,
presentando carte geografiche e documenti militari in seguito
dimostrati come falsi. Il processo ai dieci militari coinvolti ha
rischiato di decadere per decorrenza di termini in quanto le udienze si
sono tenute con alcuni mesi di ritardo per la scomparsa dagli uffici
della Procura Nazionale di Medellín dove erano custoditi, di 9
fascicoli che contenevano le prove proprio contro i militari.
Fu proprio il paramilitare Diego Fernando
Murillo Bejarano, alias “Don Berna” a dare l’avvio al processo
confessando, nel maggio del 2008, che il suo gruppo “Bloque Héroes de
Tolová” insieme a militari della XVII Brigata dell’Esercito colombiano
aveva compiuto il massacro.
Confessione avvalorata da quella depositata
appena tre giorni dopo, del capitano in ritiro Guillermo Armando
Gordillo Sánchez, arrestato nel novembre del 2007 che ha ammesso la sua
partecipazione all’Operazione Fenix.
Mario Montoya, dopo i fatti di San Josè de
Apartadó fu promosso capo dell’Esercito della Colombia e i paramilitari
“Don Berna” e “Salvatore Mancuso” furono estradati da Uribe negli Stati
Uniti per timore di ulteriori rivelazioni.
Adesso, dopo che Montoya ha recentemente
dato le sue dimissioni per lo scandalo dei “falsi positivi” (circa
2000 giovani assassinati da militari e fatti passare come guerriglieri
uccisi in combattimento) e dopo la sua “premiazione” come ambasciatore
nella Repubblica Dominicana, l’ulteriore confessione di un altro
paramilitare, Daniel Rendón Herrera, alias “Don Mario”, davanti
all’Ufficio di Justicia y Paz (il programma di smobilitazione dei
paramilitari) aggrava ulteriormente la sua posizione. “Don Mario”
accusa infatti l’ex generale di aver ricevuto 1.500 milioni di pesos
da Miguel Arroyave, soldi che gli furono consegnati per ottenere,
nella guerra contro un altro gruppo paramilitare, l’appoggio
dell’esercito al Bloque Centauros al quale egli apparteneva.
“Il generale Mario Montoya, grande
generale, esempio di efficienza, uomo sincero che non ha nulla da
nascondere, che tutto ciò che pensa o che crede lo dice, con la
schiettezza che lo caratterizza, uomo intraprendente, ha presentato
la sua rinuncia, senza che nessuno la avesse richiesta... Io gli dissi:
Generale non rinunci per queste difficoltà, la cosa buona è che tutto
sta avvenendo pubblicamente, è stata questa la regola del governo fin dal principio: che nulla resti nascosto. Non rinunci mio generale, questo lo supereremo”.
Questa fu la difesa pubblica del generale
Montoya da parte del presidente della Repubblica Álvaro Uribe, che è
anche Comandate Supremo delle Forze Armate della Colombia.
I familiari delle vittime di San José de
Apartadó hanno chiesto l’immediato mandato di cattura per Mario
Montoya, “esempio di efficienza e uomo che non ha nulla da nascondere”.
Probabilmente molto presto egli si vedrà costretto a rinunciare al suo
incarico e a ritornare in Colombia per rispondere delle pesanti accuse.
Sono gli strani paradossi colombiani. La
giustizia spesso funziona ed eminenti delinquenti politici e militari
prima o poi nelle sue maglie ci finiscono. Vengono resi pubblici
tramite la stampa nazionale i loro crimini e i loro vincoli con il
paramilitarismo. Stampa che è tutta in mano all’oligarchia del paese e
soprattutto alla famiglia Santos, la stessa della quale fanno parte
anche il vicepresidente della Repubblica, accusato da Salvatore
Mancuso di essere vincolato al paramilitarismo, e l’ex ministro della
difesa Juan Manuel Santos. Gli eminenti delinquenti, collusi a vario
titolo con i paramilitari spesso vengono anche arrestati e ricordiamo
per tutti il caso noto dell’ex capo del DAS, i servizi segreti
colombiani, Jorge Noguera Cote, poi console a Milano, accusato di aver
aperto le porte di quella struttura e di averla consegnata ai
paramilitari, per i quali compilava liste di persone da uccidere.
A volte prima ancora che vengano formalmente
avviati i procedimenti penali contro questi para-paramilitari, essi
vengono promossi con incarichi diplomatici, consolati e ambasciate in
vari luoghi del mondo, alcuni considerati “strategici” per i servizi di
sicurezza colombiani.
Lo stesso Montoya fu inviato in Repubblica
Dominicana a sostituire Juan José Chaux arrestato nel maggio del 2009
all’aeroporto di Bogotà per essersi incontrato in più di una occasione
con alcuni dei più importanti capi paramilitari colombiani. Ma non era
soltanto quello probabilmente lo scopo della sua nomina. In Repubblica
Dominicana i servizi segreti colombiani, in combutta con la CIA e con
quelli israeliani, hanno cercato almeno due volte di organizzare piani
per attentare alla vita del dirigente comunista dominicano Narciso Isa
Conde, sempre solidale con le diverse forme di lotta di liberazione del
popolo colombiano e fortemente critico del governo di Uribe, il quale
lo ha accusato pubblicamente in varie occasioni di essere “un
terrorista”. Ma c’è dell’altro...
La Repubblica Dominicana sta diventando in
questi ultimi anni la propaggine caraibica di tutto il traffico di
stupefacenti proveniente dalla Colombia, un narco-stato in cui la
corruzione, proprio come in Colombia, impera nelle strutture
politiche e tra gli alti vertici militari del paese, che restano ai
loro posti nonostante alcuni scandali recenti che hanno visto militari
coinvolti in vicende di narcotraffico con criminali colombiani.
Esistono vincoli criminali tra uomini dei servizi segreti colombiani,
militari e generali dominicani (molti di loro appartenenti alla
Direzione Nazionale del Controllo Anti Droga e alla Marina di Guerra)
e lo stesso generale Montoya.
Tornando alla Colombia, strani
paradossi, dicevamo. Tutti sanno tutto, le notizie sono di dominio
pubblico almeno nel paese e qualcuno finisce anche in galera. Liste di
uomini da squartare con motoseghe, giudici poco malleabili costretti
alle dimissioni, paramilitari utilizzati come guide turistiche per
massacri dell’orrore, soldati ubriachi che giocano a palla con le
teste dei contadini ... ma il Maestro Uribe, il burattinaio, resta al
suo posto, anzi si fa rieleggere (fraudolentemente) e pensa a come
riprovarci per la terza volta...
E si ostinano a chiamarla democrazia ...
Annalisa Melandri http://boicottaisraele.wordpress.com La rivoluzione è un fiore che non muore La revolución es una flor que no muere |