| Il terzo giorno dal ritorno di 
      Mel Zelaya in Honduras è stato pesante come i primi due dal punto di vista 
      della Resistenza popolare che sta pagando senza arretrare prezzi 
      altissimi. Di fronte alle grandi manifestazioni popolari per il ritorno 
      del presidente e all’isolamento internazionale, la dittatura ha risposto 
      con l’unica arma che conosce, la repressione. Coprifuoco quasi continuo, 
      almeno tre morti confermati da martedì, ma c’è chi ne calcola una decina, 
      centinaia di arresti, feriti e denunce di sparizioni, soprattutto nella 
      periferia della capitale Tegucigalpa dove l’esercito entra con difficoltà, 
      tenuto in scacco dalla Resistenza. Chi si aspettava che il ritorno di 
      Mel Zelaya potesse sbloccare rapidamente la situazione è però rimasto 
      deluso. È in corso un dialogo finora di basso profilo che, per 
      sintetizzare, si limita a definire chi gestirà il processo elettorale 
      previsto tra due mesi esatti, il prossimo 28 novembre. Per Mel Zelaya è 
      fondamentale il ritorno al governo, e quindi la sanzione della sconfitta 
      del golpe. Il dittatore di Bergamo Alta Roberto Micheletti invece tira a 
      campare, tra lacrimogeni e pallottole, fino alle elezioni.
 In questo 
      senso i quattro candidati che hanno appoggiato il golpe, Elvin Santos del 
      Partito Liberale, Porfirio Lobo, del Partito Nacional, Felícito Ávila, 
      democristiano e Bernard Martínez, di Innovación y Unidad, dopo avere 
      incontrato Micheletti ieri pomeriggio, sono andati nell’Ambasciata 
      brasiliana. È stata una riunione di piccolo cabotaggio, che non ha 
      sbloccato la situazione e alla quale non hanno partecipato i due candidati 
      che invece sono alla testa della Resistenza contro il golpe, César Ham, 
      del Partito di Unificazione Democratica, e soprattutto Carlos Reyes, il 
      candidato delle sinistre alla presidenza.
 Di fronte a uno iato così 
      enorme tra una politica di bassissimo profilo e movimenti sociali che 
      stanno scrivendo una pagina storica, potrebbe aver ragione Fidel Castro 
      che sostiene che in Honduras si vive una situazione 
      pre-rivoluzionaria.
 Intanto, anche se la stampa italiana non se n’è 
      accorta, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite la questione 
      honduregna ha tenuto banco. Ben 12 capi di stato, oltre allo stesso 
      segretario generale Ban Ki-Moon, hanno parlato di Honduras chiedendo 
      l’immediato ritorno al governo di Mel Zelaya.
 
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