Fw: [gc] Honduras, il punto della situazione tra gorilla, diplomazia e movimenti
- Subject: Fw: [gc] Honduras, il punto della situazione tra gorilla, diplomazia e movimenti
- From: "nello" <nellomargiotta55 at virgilio.it>
- Date: Mon, 6 Jul 2009 15:33:17 +0200
----- Original Message -----
From: Gennaro Carotenuto
Sent: Monday, July 06, 2009 12:31 PM
Subject: [gc] Honduras, il punto della situazione tra gorilla,
diplomazia e movimenti Sul sito in particolare: Honduras,
testimonianza:“Sembrava di essere a Genova. Prima festa poi ho visto uccidere il
ragazzo”
Il
sicario di Roberto Micheletti. La storia del torturatore Joya Améndola, braccio
destro del presidente di fatto
Domani a Radio3Mondo, Radio3 RAI, ore 11.30 intervista a
Gennaro Carotenuto sul golpe in Honduras. Honduras,
il punto della situazione tra gorilla, diplomazia e movimenti
Canale Honduras, a
questo
link tutti gli aggiornamenti
sul golpe in Centroamerica! Si chiamava Isis Obed
Murillo, aveva 19 anni e una faccia da bambino. Lo hanno ammazzato con un colpo
alla nuca mentre si allontanava dalle recinzioni dell’aeroporto di Tegucigalpa
presidiato da mezzo esercito honduregno armato fino ai denti. Lo ha ammazzato un
soldato che, secondo innumerevoli testimonianze, si è inquadrato, ha mirato e ha puntato proprio
alla nuca di Isis secondo uno schema che è di tutti i regimi repressivi: colpire
per terrorizzare, “shock and awe”. Con Isis si conta almeno un
altro morto, molti feriti con colpi di arma da fuoco, decine di persone
picchiate selvaggiamente e un numero imprecisato di arresti che starebbero
continuando in queste ore, piena notte in Centroamerica. Oggi però il “Fronte
contro il colpo di Stato” è convocato ancora e “chissà – come ci ha detto nella
notte P.T. nell’intervista pubblicata in esclusiva – se prevarrà
l’indignazione o la paura”. La repressione di una folla
pacifica che ha sfidato lo stato d’assedio e che qualcuno ha calcolato in mezzo
milione di persone (più prudentemente centomila, 40.000 perfino per le autorità
golpiste), non è il solo fatto politico sul fronte internazionale e sul fronte
interno della crisi honduregna. Per tutto il giorno di domenica si sono
succedute notizie la più importante delle quali è forse la dissociazione della
polizia dalla repressione. Con un comunicato ufficiale la polizia honduregna ci
tiene a far sapere che la responsabilità è tutta dell’esercito. Non si schiera
contro il golpe ma si prepara per essere un’alternativa accettabile in caso di
caduta del regime. Se il Cardinal Maradiaga al
contrario fa quadrato con i golpisti (per la tristezza di chi lo aveva
considerato un papabile se non progressista almeno non allineato), altri
spezzoni della classe dirigente honduregna vorrebbero trattare la resa ma non
hanno ancora la forza per farlo. Qualcuno, tra questi l’ex presidente Carlos
Flores, avrebbe preferito uscire dal paese per non essere travolto da eventi in
evoluzione ora per ora. Quello che è certo è che il popolo honduregno, i
movimenti sociali, indigeni, popolari e sindacali, stano offrendo una
sensazionale dimostrazione di resistenza non violenta
al colpo di stato anche quando questo si rivela brutale come
nella tradizione centroamericana. La presenza di un torturatore come Billy Joya Améndola come braccio destro del
dittatore Roberto Micheletti contribuisce a rendere ancora più chiaro e
ineludibile il quadro sui veri argomenti del governo golpista che si arrocca
sulla difesa della costituzione scritta nell’82 dal dittatore Policarpo Paz
(accusando Zelaya di averla violata) per il quale il braccio destro di
Micheletti lavorava come sequestratore, torturatore e sicario. Chi si appella
alla presunta violazione della legalità da parte di Mel Zelaya con la
convocazione di un referendum consultivo per l’Assemblea Costituente, o ripete
la menzogna della rielezione (a novembre comunque Zelaya non può e non vuole
ricandidarsi) è erede di Policarpo Paz e complice di Roberto
Micheletti. Al di là delle divisioni
interne che non sono ancora maturate in una fronda che rappresenti un
indebolimento effettivo, la giunta golpista ha dato in queste ultime 24 ore
prova di un ottuso arroccamento. L’isolamento internazionale è netto e non ci
sono indizi che possa indebolirsi. Tuttavia il silenzio di Barack Obama, che
secondo Hugo Chávez sarebbe prigioniero dell’impero, è un indizio di trama nera:
vuole ma non può? Se così fosse, se davvero fossimo di fronte a servizi deviati
statunitensi che non rispondono al presidente incoraggiando sottobanco i
golpisti (molti commentatori lo pensano, chi scrive è scettico) allora il golpe
honduregno sarebbe in realtà anche un golpe contro Obama che si è compromesso
nei giorni scorsi di fronte all’opinione pubblica mondiale insieme al suo
segretario di Stato Hillary Clinton: “Manuel Zelaya è l’unico presidente che
riconosciamo”. Chissà se contano davvero
sulle tradizionali protezioni internazionali (le multinazionali, gli apparati
del complesso militare-industriale statunitense, il sistema monopolista
dell’informazione) i golpisti honduregni o se sono semplicemente accecati
dall’odio verso le classi popolari con le quali un loro esponente come Mel
Zelaya ha inopinatamente dialogato in questi anni. Di certo non hanno potuto
contare sul fronte politico-diplomatico, l’ONU, l’OSA, la stessa UE.
Di fronte allo schieramento
raramente così chiaro della comunità internazionale la risposta è stata una
scandalosa minaccia da parte del ministro degli Esteri golpista Enrique Ortiz
(che da vero gorilla in giornata ha definito Obama “il
negretto”): “Non vorremmo che per il capriccio dell’OSA finisca per
morire qualche presidente”. Bene hanno fatto i presidenti di Argentina, Ecuador
e Paraguay a rinunciare ad accompagnare Zelaya a Tegucigalpa rischiando di
cadere in un’imboscata. Bene ha fatto il presidente legittimo, accompagnato dal
presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite Manuel D’Escoto ad andare
comunque e rinunciare solo di fronte alla materiale occupazione di tutte le
piste dell’aeroporto internazionale da parte dell’esercito. Il XXI secolo non
può essere tempo per colpi di stato né per accettare il fatto
compiuto. Adesso Zelaya è in Salvador
dove il concerto latinoamericano proverà a tessere la tela per trovare la strada
per ritentare il rientro in patria: “Il governo di fatto ha dimostrato di
rappresentare solo se stesso e in una settimana non è riuscito a piegare la
resistenza al golpe arrivando a sparare sul popolo. Perché torni la calma
l’unica maniera è restaurare il governo legittimo, poi si potrà dialogare in
forma cristiana, democratica, umana”. Sbaglia
chi considera
marginale la crisi honduregna. Secondo Cristina Fernández, presidente argentina,
l’impegno diplomatico di questi giorni: “è la cartina tornasole della capacità
di costruire un mondo multipolare e multilaterale con organismi che
rappresentino tutti”. E’ puerile chi sotto
sotto (e sono in tanti) fa il tifo per i golpisti per dare una lezione agli
odiati governi integrazionisti e in particolare a Hugo Chávez. Forse hanno già
deciso da che parte stare e non si pongono il problema se in America latina
torna il tempo dei gorilla. Per loro la democrazia, il voto, la partecipazione
popolare per non dire della giustizia sociale, sono beni
sacrificabili. --~--~---------~--~----~------------~-------~--~----~ Hai ricevuto questo messaggio in quanto sei iscritto alla Newsletter del sito "Giornalismo partecipativo" Per annullare l'iscrizione a questo gruppo, invia un'email a
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