Fw: [gc] Le democrazie latinoamericane esigono a Barack Obama, la fine delle ingerenze, il rispetto del diritto internazionale e la fine dell'embargo contro Cuba
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- From: "nello margiotta" <nellomargiotta55 at virgilio.it>
- Date: Sun, 19 Apr 2009 15:29:08 +0200
----- Original Message -----
From: Gennaro Carotenuto
Sent: Sunday, April 19, 2009 8:42 AM
Subject: [gc] Le democrazie latinoamericane esigono a Barack Obama,
la fine delle ingerenze, il rispetto del diritto internazionale e la fine
dell'embargo contro Cuba Le
democrazie latinoamericane esigono a Barack Obama, la fine delle ingerenze, il
rispetto del diritto internazionale e la fine dell’embargo contro
Cuba
Cristina Fernández de Kirchner,
presidente argentina, ha sintetizzato al suo omologo statunitense Barack Obama
quello che tutto un continente pensa: “la fine dell’embargo contro Cuba non può
essere un punto di arrivo di un percorso ma una precondizione” per iniziare a
costruire relazioni di mutuo rispetto nel Continente. Non sarà solo l’affabilità
e perfino l’umiltà che sta dimostrando Barack Obama in queste ore a Trinidad e
Tobago, per il Vertice delle Americhe, a sanare le ferite storiche di 170 anni
di dottrina Monroe. Non sarà con una richiesta di voltare pagina e di “un nuovo
inizio”, pur necessari, che si potranno lasciare alle spalle decenni di
destabilizzazioni, colpi di Stato, complotti, assassinii, invasioni, crimini
contro l’umanità, spoliazioni, imposizioni di patti leonini contro il Continente
attraverso quell’aberrazione che è stata il “Consenso di Washington”, quel
meccanismo perverso per il quale politiche e politici di paesi democratici o
dittature potevano essere sommerse o salvate solo con l’imprimatur di una
potenza straniera. Non sarà con il
ristabilimento di relazioni diplomatiche, con il Venezuela oggi (ed è un grande
successo del Vertice di Trinidad), con Cuba forse domani, che recupererà
credibilità il paese che per 60 anni ha imposto e tuttora sponsorizza
all’America latina e al mondo il Fondo Monetario Internazionale come strumento
di dominio neocoloniale. Forse però se davvero
–afferma Obama che è venuto per ascoltare e imparare- saprà fare tesoro dalle
parole dei dirigenti popolari che in questi giorni sta iniziando a conoscere,
Lula, Chávez, Evo, Daniel, Cristina, Rafael Correa… si potrà aprire una tappa
nuova e più equilibrata nei rapporti tra America latina e Stati Uniti. Se
davvero Barack Obama capirà quanto prezioso è il regalo che ha ricevuto da Hugo
Chávez, una copia de “Le vene aperte dell’America latina” di Eduardo Galeano, il
martirologio latinoamericano, allora capirà che tutto deve passare dal suo
essere in grado di cominciare a modificare una politica di Stato del suo paese
verso il Continente che non solo nel decennio infame di George Bush si è sempre
basata sulla rapina, sul colonialismo, sul razzismo e sul disprezzo dei processi
democratici altrui. E allora sarebbe un buon
inizio se il presidente degli Stati Uniti facesse tesoro delle parole del
Presidente argentino Cristina Fernández de Kirchner: “la fine dell’embargo
contro Cuba non può essere un punto di arrivo di un percorso ma una
precondizione” se davvero gli Stati Uniti vogliono trarre conseguenze del loro
stesso ammettere, sono parole di Hillary Clinton, che la loro “politica è stata
un fallimento”. Se quella politica è un fallimento, oltre ad essere ingiusta e
criminale, Obama tragga le conseguenze e cancelli l’embargo oggi accettando
semplicemente di rispettare le ben 17 risoluzioni in merito delle Nazioni Unite
che gli Stati Uniti continuano a violare. Se la democrazia statunitense non è in
grado di lasciarsi alle spalle unilateralmente un atto unilaterale fallimentare
e sbagliato come l’embargo allora ben poco ha il diritto di chiedere a Cuba e al
Continente. E se così sarà su di un
altro punto forse domani commentatori in buona fede dovrebbero essere chiari. E’
a un decennio di lungimiranza del presidente venezuelano Hugo Chávez (senza
dubbio beneficiatosi della forza tranquilla del Brasile alle sue spalle) che si
deve il superamento dell’isolamento di Cuba in questi anni e oggi il
riconoscimento del fallimento di questo da parte della Casa Bianca. Un risultato
politico straordinario che avrebbe come conseguenza da parte degli Stati Uniti
l’imparare con 200 anni di ritardo a rispettare i paesi vicini perché, ancora
con le parole di Cristina Fernández: “sarebbe bene che gli Stati Uniti
smettessero di inviare loro consiglieri nei nostri paesi (a organizzare golpe,
depredare, corrompere e violare e far violare i diritti umani) già che noi non
inviamo nostri consiglieri a Washington a condizionare la loro politica”.
Se il decennio Bush è il
decennio infame (l’ultimo di una lunga serie), nella positiva ricomposizione
delle relazioni tra Venezuela e Stati Uniti che si avvia oggi, non può non
essere chiaro chi tra Bush e Chávez (o tra Bush e Morales eccetera) sia stato
l’aggressore e chi l’aggredito. E non può non essere chiaro che chi in questi
anni tra i commentatori, gli opinionisti, gli pseudo-inviati e i falsi esperti
del sistema di disinformazione mainstream ha costruito una retorica vuota
irridendo all’indio o al negro o all’operaio presidente, dileggiando il processo
d’integrazione latinoamericana e insultando o demonizzando (sposando per esempio
la tesi costruita a tavolino, falsa e tendenziosa, dell’asse del male
latinoamericano di Donald Rumsfeld o glissando sul golpe dell’11 aprile 2002) il
rifiuto del neoliberismo da parte dei movimenti popolari del Continente e i
dirigenti da questi espressi va additato all’opinione pubblica per quello che è
stato: uno che tra aggredito e aggressore stava dalla parte
dell’aggressore. A questo, al ristabilimento
delle relazioni col Venezuela bolivariano, al nuovo inizio con Cuba al quale
dare contenuti dovrà necessariamente accompagnarsi un altro passaggio: la fine
di un rapporto acritico con la Colombia che si dissangua e col violatore di
diritti umani Álvaro Uribe. Il vertice ha testimoniato che chi è isolata oggi
nel Continente non è certo il cosiddetto “asse bolivariano” né tantomeno Cuba
che ha il pieno appoggio di tutti i paesi del Continente ma è la Colombia. Se
gli Stati Uniti davvero vogliono smettere di dividere per imperare (ci si
perdoni lo scetticismo) dovranno smettere di appoggiare incondizionatamente i
crimini contro l’umanità di Álvaro Uribe e di spalleggiare e finanziare il
paramilitarismo che oltre al narcotraffico per conto delle multinazionali
dell’agroindustria espelle ogni giorno migliaia di contadini dalle loro terre.
Inoltre vi è un terreno immediato di confronto: devono oggi evitare di
appoggiare quella politica di lotta al narcotraffico portata avanti da Felipe
Calderón che non sta portando ad altro se non ad una “colombizzazione” del
Messico. Obama afferma di essere lui
stesso “un prodotto del cambiamento”, come l’operaio Lula presidente brasiliano,
o l’indigeno Evo Morales presidente della Bolivia. Non può dimenticare che il
cambiamento del quale afferma di essere un prodotto è dovuto al fallimento etico
ed economico del sistema neoliberale che purtroppo Obama continua a
rappresentare nel Vertice delle Americhe come ha già dimostrato di fare nella
visita in Messico che lo ha preceduto. Se davvero vuole “un nuovo inizio”
non può continuare a vendere un sistema, quello neoliberale, che dovunque è
stato applicato ha causato fame, morte, precarietà e distruzione per molti e
ricchezza per pochissimi e ha ridotto il suo stesso paese ad avere un cittadino
su sei senza assistenza sanitaria. Se davvero vuole un nuovo
inizio prenda atto della dichiarazione di Ecuador, Venezuela, Cuba, Bolivia,
Nicaragua, Honduras e Repubblica Dominicana –i paesi membri dell’Alternativa
Bolivariana per le Americhe (ALBA)– che non voteranno la dichiarazione finale
del Vertice delle Americhe scritta settimane fa e dall’insopportabile odore di
muffa, non solo per l’esclusione di Cuba, ma perché nessuna critica esprime sul
sistema economico e di dominazione che ha causato la crisi economica mondiale.
Se Obama è davvero “un prodotto del cambiamento” legga Galeano e sappia che non
bastano sorrisi e strette di mano per riparare ai crimini storici commessi dagli
Stati Uniti d’America in America latina. Al “nuovo inizio” deve dare
contenuti. --~--~---------~--~----~------------~-------~--~----~ Hai ricevuto questo messaggio in quanto sei iscritto alla Newsletter del sito "Giornalismo partecipativo" Per annullare l'iscrizione a questo gruppo, invia un'email a
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