Mauricio Fines ha vinto le elezioni politiche in Salvador, celebrato la storica vittoria della sinistra negli ultimi 20 anni nel paese centroamericano. Ha ottenuto il 51,2 dei voti contro il 48,7 ottenuto dall'ex capo della polizia, Rodrigo Avila, del partito Arena. Un reportage dal paese centroamericano in festa.
Tutte. Bisogna dargli atto, le hanno provate tutte pur di non far vincere
Mauricio Funes, il candidato dell’Fmln, il frente Farabundo Martì di Liberazione
Nazionale, il primo partito di ex guerriglieri che si propone come forza di
governo. Questo paese che ha fatto del neoliberalismo più feroce la sua
religione, dove la terra, le ricchezze e il governo, sin dai tempi della
conquista spagnola, sono nelle mani di 14 famiglie e dove i pueblos indigeni
sono stati praticamente estinti, è stato governato negli ultimi vent’anni da un
partito che rappresenta la destra più reazionaria di tutto il centroamerica:
l’Arena, l’Alleanza Repubblicana Nazionalista. Gli anni che hanno seguito il
trattato di pace tra la guerriglia dell’Fmln e il governo, nel ’92, sono stati
anni di desaparecidos e omicidi politici, di svendita di tutte le ricchezze
minerarie alle corporation Stelle e strisce che in cambio hanno inquinato e
avvelenato intere regioni. Il narcotraffico è entrato con i suoi capitali nelle
aule di governo e con la violenza nelle strade delle città [si marcia su una
media di un migliaio di morti all’anno]. Eppure, quest’oggi, domenica 15 marzo
del 2009, il Salvador è riuscito a voltare pagina. Ho visto, qui a
Sensuntepeque, donne uscire dalle case e piangere per la gioia, gente che
ballava per le strade e caroselli di auto con giovani che sventolavano le
bandiere rosse del Frente. Ho visto un ex guerrigliero cui le squadre della
morte hanno tagliato entrambe le due mani, reggere la sua bandiera tra i denti e
non ho avuto il coraggio di fotografarlo.
Oggi la storia la scrivono loro.
Con i seggi scrutinati per il 95 per cento, Mauricio Funes ha battuto il rivale
«arenero», Rodrigo Avila, ottenendo il 51,3 per cento. Persino il tribunale
elettorale [in teoria indipendente ma nei fatti saldamente in mano all’Arena] lo
ha appena proclamato presidente del Salvador.
L’Arena le ha provate tutte
pur di non consegnare il Paese a Funes e recuperare quei sei o sette punti
percentuali di svantaggio che i sondaggi le assegnavano. Telegiornali a senso
unico, pressioni dalla stampa che qui come in tutta l’america centrale è il
passa veline della destra, che accusava in ogni pagina Funes di essere un amico
di terroristi come le Farc o, addirittura Al Quaida, sino ad insinuare che, in
caso di sua vittoria, gli Usa chiuderebbero il rubinetto dei fondi che gli
immigrati spediscono a casa. Un quarto delle famiglie, qui in Salvador, riesce a
sopravvivere solo grazie al denaro che dei figli o dei genitori che lavorano
negli Stati Uniti. Ma un partito come l’Arena non si limita alle calunnie
politiche. Sono passati anche ai fatti: 5 morti e 2 desaparecidos, [e parliamo
solo di fatti a accertati] sono costate all’Fmln la vittoria di Funes. Vittime
che si aggiungono al centinaio di omicidi politici negli anni in cui Avila, il
candidato presidente arenero, era il capo della polizia.
Nel dipartimento di
Cabaña, dove ho seguito le elezioni al seguito di una delegazione di osservatori
internazionali, l’Arena ha messo in scena una vera e propria commedia teatrale
dal titolo «Come ti tarocco l’elezione». Il sipario si apre con le pressioni e
le intimidazioni agli osservatori. «Purtroppo in questo paese gli animi sono
molto accesi. La polizia è poca e i comunisti senzadio tanti. Non possiamo
garantire la vostra sicurezza. Vi consigliamo di andarvene e comunque state
molto, ma molto attenti a quello che fate». Parole e musica del responsabile di
Sensuntepeque del Tribunale Elettorale Nazionale. Che ha subito aggiunto che,
per fortuna e come ultima istanza, c’è sempre la Humo pronta. La Humo è uno
speciale distaccamento composto da poliziotti e volontari addestrati del
dipartimento. Senza tante perifrasi: una squadra della morte. L’ultimo atto il
giorno delle elezioni con gli areneri che girano per le strade vicine ai seggi
con rotoli di dollari [il colon è fallito negli anni ’90, ora vale solo il
dollaro Usa] in mano. Un voto a Sensuntepeque costa 20 dollari. A San Salvador,
dove evidentemente sono più ricchi, 50. L’Arena, lo avrete capito, problemi di
denaro, così come di coscienza, non ne ha. E poi c’erano i carri bestiame
provenienti dalla vicina frontiera con l’Honduras. Camion stracarichi di
contadini honduregni ammassati, un «regalo» agli amici dell’Arena. La forza
lavoro sfruttata diventa forza elettorale sfruttabile. «Sono dei veri e propri
schiavi della terra che i fazenderos pagano soprattutto con alcol. Poveri
disgraziati cui hanno tolto anche il coraggio e la dignità di scrivere ‘mierda’
nella scheda elettorale» mi ha spiegato schifato un giornalista honduregno che
li ha riconosciuti. Ho contato perlomeno una ventina di camion nei dintorni del
«parque», la piazza centrale di Sensunte peque dove si sono svolte le elezioni.
E questo è probabilmente il motivo per cu i l’Fmln, che ha vinto il tutto il
resto del Paese, ha perso qui, nel dipartimento di Cabaña, in zona
«frontieriza». «Ma chissenefrega – mi ha commentato alle 11 di notte un ragazzo
con un enorme tamburo sottobraccio che ho trovato per le strade di una
Sensuntepeque ancora in festa-. Oggi ha vinto il Frente. Oggi ha vinto il
Salvador anche contro tutti i loro brogli». Con un nutrito gruppo di amici
musicisti, va a piazzare il suo tamburo sotto le finestre della camera da letto
del suo sindaco arenero. E cominciano a suonare quella vecchia canzone degli
Inti Illimani che tutti noi ci ricordiamo.