Fw: Ricordo di Gino Donè, "el italiano del Granma"
- Subject: Fw: Ricordo di Gino Donè, "el italiano del Granma"
 - From: "nello margiotta" <nellomargiotta55 at virgilio.it>
 - Date: Wed, 26 Mar 2008 16:17:51 +0100
 
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From: Aldo GARUTI  
Sent: Wednesday, March 26, 2008 2:36 AM 
Subject: Ricordo di Gino Donè, “el italiano del Granma” Nella notte tra sabato 22 e domenica 23 marzo 2008, a San Donà di Piave (Venezia), si è spento nel sonno Gino Donè Paro, “el italiano del Granma”. Con lui se ne va un 
pezzo di 
Storia e di leggenda.   
Nato 
il 18 maggio 1924 a Monastier di 
Treviso, dopo 
aver combattuto come partigiano tra le file della Resistenza nella laguna 
veneziana, è stato l'unico 
europeo a partecipare alla Rivoluzione 
cubana.  Finita la Seconda Guerra Mondiale, spinto dalle condizioni di necessità, emigra nel continente americano e, passando prima per il Canada, nel 1951 si ritrova nella capitale cubana, a L’Avana, a lavorare come tecnico carpentiere alla costruzione dell’allora Grande Plaza Civica, che diverrà poi la celebre Plaza de la Revolución. Nel 1952 
conosce e si 
fidanza con la cubana Norma Albertina Turino 
Guerra, che 
sposerà 2 anni dopo, giovane 
rivoluzionaria di Trinidad amica di Aleida March (che, a sua volta, diverrà la 
seconda moglie di Ernesto “Che” Guevara). Abituato a lottare, come antifascista, 
contro le ingiustizie, gli abusi e i maltrattamenti e a difendere le cause 
nobili, non gli risulta difficile capire la realtà cubana, nel mezzo della 
tirannia di Batista, né identificarsi con i veri 
patrioti. Quale integrante del Movimento “26 de Julio” (indicato, in sigla, come “M-26-7”, dalla storica data del 26 luglio 1953 dell’eroico assalto castrista alla Caserma Moncada a Santiago de Cuba), nella tempestosa notte tra il 24 e il 25 novembre del 1956 s’imbarca tra gli 82 ribelli del battello “Granma” (contrazione dal nome inglese “Grandmother” dato dal precedente proprietario) che, con pioggia battente e mare mosso, parte dal porto fluviale alla foce del rio Tuxpan (Messico) alla volta di Cuba, dando inizio all’epica spedizione rivoluzionaria dei "barbudos". Quella notte la Capitaneria di porto aveva proibito la navigazione, ma già si era in ritardo sui tempi, si rischiava di far saltare appoggi e coordinamento con la struttura della resistenza a Cuba, il Movimento 26 Luglio, e c’era il rischio che fossero scoperti dagli agenti di Batista. Insomma, si doveva assolutamente salpare. Con due anni in più di Fidel e quattro del Che 
e alle spalle l’esperienza combattente partigiana, “El italiano” (così 
era chiamato) aveva compiti d’istruttore militare.   Sulla piccola imbarcazione (che 
avrebbe potuto trasportare al massimo una ventina di persone ma che, invece, era 
stracolma di 
corpi stipati) il suo grado militare 
(solo nominale) era quello di tenente del Terzo Plotone, comandato dal capitano 
Raúl, fratello di Fidel. Gli 82 spedizionieri 
sbarcano (o meglio, si arenano) già provati, dopo una penosa traversata di 7 
giorni (invece dei tre previsti, a causa delle pessime condizioni del 
mare e del 
pericoloso sovraccarico umano del natante), il 2 dicembre, nell’Oriente cubano, 
nei pressi di Niquero, a Las Coloradas, in una zona paludosa impraticabile 
popolata da fitti grovigli di mangrovie, ove le condizioni erano assolutamente 
proibitive per il desembarco, tanto da dover 
abbandonare anche parte dell’equipaggiamento. Nel tentativo di trovare 
rifugio sulle vicine alture, vengono quasi immediatamente individuati e 
subiscono una disastrosa decimazione per opera delle soverchianti forze 
dell’esercito batistiano, che li attacca subito con l’appoggio di aerei e 
carri blindati nell’agguato di 
Alegría de Pío (nome beffardo per un 
massacro).   Lì si disintegra 
il gruppo.   Alcuni perdono la 
vita, altri cadono prigionieri e poi sono assassinati.   La maggioranza prende direzioni 
differenti, secondo le circostanze.   
Dopo qualche giorno, un piccolo nucleo di pochi uomini riesce a riunirsi 
per organizzare la lotta nella Sierra Maestra. Gino 
torna segretamente a Santa Clara, ove nel Natale 1956 
partecipa ad azioni di sabotaggio contro postazioni militari, insieme con Aleida 
March.   E’ conosciuto dagli sbirri della tirannia, la sua 
vita è ormai in pericolo, per cui nel gennaio 1957 
lascia Cuba in 
clandestinità, diretto in 
Messico.   Grazie alla sua 
esperienza come marinaio, lavora sulle navi, gira per vari Paesi come il 
Venezuela, la Grecia e il Vietnam.   
 Vuole però ritornare a Cuba dall'amata moglie 
Norma e, nel 1958, sbarca al porto di 
Cienfuegos.   Immediatamente si 
dirige a Trinidad; pur sapendo che numerosi delatori lo conoscono e possono 
denunciarlo.   Cerca di entrare 
in contatto con il Che, che era nel vicino Escambray.   I soldati di Batista lo 
cercano nel villaggio di Jíquima de Alfonso, ove il suocero aveva 
una coltivazione di tabacco, ma riesce a scampare alla cattura.   Spiega a Norma che è costretto ad 
andare via dal Paese perché la dittatura lo sta cercando in ogni luogo e le 
propone di andare via insieme, ma lei gli spiega che non può abbandonare la sua 
famiglia, né i compagni del Movimento.  
 Salpa, allora, da Nuevitas per gli Stati 
Uniti, con la stessa nave con cui era arrivato dal Messico, e 
non 
rivedrà mai più la moglie, dalla quale divorzia per ragioni di 
sicurezza. Negli Stati Uniti comincia 
una nuova vita e lavora come tassista, 
imbianchino, decoratore, cameriere.   
Il 1° 
gennaio 1959 trionfa la 
Rivoluzione cubana, 
costringendo alla fuga il 
dittatore Fulgencio Batista.   Gino, che si trova a New York, apprende la notizia 
alla radio, festeggiando con gioia.   
Sollecita il visto d’ingresso a Cuba ma gli viene negato, perché esiste 
una legge che priva di residenza chi permane per più di un anno all’estero.   Da sempre uomo schivo 
e riservato, davvero 
modesto, che non ama parlare di sé e neppure, tanto meno, esaltare le proprie 
imprese, decide di non raccontare la sua 
storia al nuovo Console cubano. Si sposa, in seconde nozze, con la 
portoricana Tony Antonia (conosciuta proprio attraverso Norma), con la quale, 
successivamente, si trasferisce in Florida.   Dopo molti anni trascorsi 
nell’ombra, stabilisce un contatto con 
alcuni vecchi compagni di lotta.   
Nel 1995 torna a Cuba, della quale (pur amando l’Italia) si sente sempre 
parte, come figlio adottivo. Senza figli e due volte vedovo, dal 2003 era andato a vivere a San Donà di Piave, in provincia di Venezia, vicino alle nipoti. Sino alla fine ha cercato di proteggere i ricordi e la sua storia da qualsiasi tentativo di spettacolarizzazione. 
      La sera del 9 novembre del 2005 avevo 
incontrato Gino Donè a Vado Ligure (Savona), nell'ambito di un'iniziativa 
organizzata dall'Associazione Italia-Cuba, circolo Granma di Celle 
Ligure, Varazze e Cogoleto.   
Dopo aver cenato insieme, alla cubana, abbiamo conversato a tu per tu, a 
più riprese, parlando amichevolmente come se ci fossimo conosciuti da 
sempre.   Dai modi semplici e 
assai 
discreti, era una persona che 
trasmetteva da subito cordialità e simpatia, ma nello stesso tempo denotava una 
straordinario spessore etico e profondità di 
pensiero. Riferiva sui fatti storici che aveva vissuto in prima 
persona e di cui, anzi, era stato protagonista come un uomo qualunque avrebbe potuto raccontare il suo 
ultimo fine settimana.   
Portava i suoi anni (che allora erano già 81) come un giovanotto, 
conservando nello spirito un entusiasmo e una curiosità giovanile, da eterno 
ragazzo.   Ricordo che 
esprimeva, con lucida intelligenza, una visione di portata globale degli 
avvenimenti politici e sociali dei nostri giorni, storici e contemporanei, che 
commentavamo insieme. Era stato, nella sua vita, un vero uomo d'azione, che 
raccontava di rimpiangere di non aver potuto studiare.   Alle domande dirette su di lui, 
sulla sua straordinaria testimonianza storica, preferiva rispondere evasivamente, 
dicendo, modestamente, di essere molto più interessato alle nostre 
vite.   Lo Stato italiano gli ha negato la 
cittadinanza, per molti anni l’avevano addirittura già dato per morto, tanto da 
intitolargli anche sezioni di partito e circoli 
culturali. Quella sera ci siamo fumati insieme 2 o 
3 sigarette Popular che mi ero portato tornando da Cuba il giorno 
prima.   Alla fine della 
serata, nel congedarci uscendo dal locale, con l’allegra bonarietà da popolano 
veneto ha bevuto il vino dalla bottiglia che mi aveva regalato Roberto Casella, 
il segretario della sez. Granma che ha organizzato l'incontro e a cui 
sono ancora oggi grato per avermi offerto un’occasione indimenticabile 
d’incontrare personalmente quest'uomo. Ma più di tutti vorrei ringraziare Gino per tutto 
quello che ha fatto nella sua vita, disinteressatamente, rinunciando agli onori, 
alla gloria e agli agi di una sicura e comoda carriera da burocrate, non 
smettendo, invece, mai di lottare, con abnegazione, in tutti i 
tentativi di ricerca della libertà, 
contro ogni oppressione. Simbolo di 
ribellione alle ingiustizie, 
indipendentemente dalle proprie idee politiche, lascia in eredità uno straordinario insegnamento di 
sobrietà e coerenza etica a tutti noi, uomini e donne del nostro tempo, in un 
mondo in cui tutti cercano, con ogni mezzo, di 
apparire, immersi come siamo in un 
sistema che ci stordisce di bisogni artificiali per farci dimenticare i bisogni 
reali, per dirla con le parole dello scrittore uruguayano Eduardo 
Galeano. Ciao, 
Gino… Hasta la victoria siempre!   Aldo Garuti Gino Donè, un volto 
hemingwaiano     "...soprattutto siate sempre capaci di sentire 
nel profondo di voi stessi ogni ingiustizia commessa contro chiunque in 
qualsiasi parte del mondo."   
(Che Guevara)   “Ci sono uomini che lottano un giorno e sono 
bravi.  Ci sono altri che lottano un 
anno e sono più bravi.  Ci sono 
quelli che lottano molti anni e sono ancora più bravi.  Però ci sono quelli che lottano tutta la 
vita: essi sono gli imprescindibili.”  
(Bertolt Brecht)     Si può 
vederlo e ascoltarne la voce nel video (durata: 8’10”) “Gino 
Donè e la rivoluzione” al 
link http://www.youtube.com/watch?v=Az8GNV41Msg   
 
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