Fw: [gc] Venezuela, la dittatura che non c'è
- Subject: Fw: [gc] Venezuela, la dittatura che non c'è
- From: "nello margiotta" <nellomargiotta55 at virgilio.it>
- Date: Mon, 3 Dec 2007 22:01:15 +0100
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From: Gennaro
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Sent: Monday, December 03, 2007 12:28 PM
Subject: [gc] Venezuela, la dittatura che non c'è Venezuela, la dittatura che
non c'è I risultati ufficiali resi noti stanotte a
Caracas, dicono che i NO alla trasformazione in senso socialista della
Costituzione bolivariana del 1999, voluta dal presidente Hugo Chávez, avrebbero
vinto con una differenza di appena 124.962 voti su quasi nove milioni, ottenendo
il 50.7% di voti contro il 49,3% di Sì. Dato decisivo è stato la crescita
dell'astensione, al 45% contro il 30% circa di tutte le consultazioni importanti
degli ultimi anni. Il presidente Chávez ha riconosciuto la sconfitta, ma non ha avuto bisogno di
invitare alla calma i suoi giacché anche quella di ieri è stata una giornata
elettorale tranquilla a Caracas, e un esercizio di democrazia piena, inclusiva,
alla quale da meno di un decennio a questa parte partecipano anche gli esclusi
di sempre. IL 51% NON BASTA Il risultato del referendum induce a due riflessioni
importanti, la prima politica, la seconda mediatica. Il voto di ieri ha detto
che la proposta integrazionista bolivariana, sia sociale che regionale
latinoamericana, raccoglie il consenso dei due terzi dei venezuelani, mentre la
trasformazione in uno stato socialista perde spezzoni di consenso soprattutto
nell'ala socialdemocratica del movimento. E' come se il progetto bolivariano
avesse ieri segnato il suo confine massimo, la sua linea di massima
espansione. Le prossime settimane diranno se sarà più forte la possibilità di
riassorbimento dell'ala socialdemocratica nel movimento bolivariano, o se
premierà l'avanguardismo dell'ala rivoluzionaria, che sostiene che non c'è
rivoluzione per via elettorale. Tale ala è stata finora sempre controllata dai
ripetuti successi e dagli evidenti miglioramenti materiali nelle condizioni di
vita delle classi popolari in questi anni di governo bolivariano. Il dato politico più significativo è stato allora rilevato dallo stesso
presidente nel suo discorso di stanotte: "in una situazione di sostanziale
pareggio è preferibile aver perso piuttosto che aver dovuto sostenere e gestire
una vittoria così importante con un margine così stretto". E' un riflesso
allendista e ancor di più berlingueriano: "la
rivoluzione per via elettorale non si può fare con il 51% dei voti". Durante la
campagna elettorale cilena del 1970 i Quilapayun cantavano: "questa volta non si
tratta di fare un presidente (che può e deve governare con il 51% dei voti), ma
di fare un Cile ben differente". Anche in Venezuela ieri non si trattava di fare
un presidente, ma di trasformare il paese. Cosa che non si può fare in pace e in
democrazia -che piaccia o no, la caratteristica principale del chavismo- con un
margine ristretto di voti. Ciò detto, non può passare una lettura riduzionista della sconfitta di ieri.
Chávez ieri ha fatto il passo più lungo della gamba e riassorbire il
contraccolpo della sconfitta non sarà facile. Invece di consolidare il processo
è partito all'assalto del cielo e per il momento ha dovuto
rinunciare. La sconfitta elettorale rappresenta ora un'incognita e probabilmente non era
necessario sottoporvisi per intuirlo, ma in questi anni un elettoralismo
esasperato è stato l'arma legittima e legittimante per difendersi dalla continua
manipolazione ed aggressione contro il movimento bolivariano.
L'opposizione segna così un punto dopo anni di sconfitte. Continua però ad
essere impresentabile, anche nelle proprie parti meglio spendibili, come
testimonia un movimento studentesco farsescamente preoccupato perché
l'Università resti elitaria e non diventi di massa (sic!). MA LA DITTATURA DOV’È? E veniamo al secondo punto, non meno importante
del primo. Dunque la CNE (la commissione elettorale), non è un burattino del
regime, se tranquillamente verbalizza una sconfitta per poche migliaia di voti.
Dunque Hugo Chávez non è un feroce dittatore se ha tranquillamente riconosciuto
la sconfitta e non ha scatenato le millantate milizie. Balle, tutte balle e
qualcuno -se non fosse troppo in malafede- lo dovrebbe ammettere, dalla stampa
venezuelana a quella internazionale a quella italiana, i Pierluigi Battista, i
Gianni Riotta, gli Omero Ciai, le Angela Nocioni e ainda mais. La sconfitta di strettissimo margine nel referendum svela nella maniera più
chiara la bassezza di un decennio di manipolazioni dell'informazione in senso
antichavista, l'invenzione a sangue freddo di una inesistente dittatura
chavista, la balla della presunta mancanza di libertà d'espressione in
Venezuela. Dov'è la dittatura? Dov'è il regime? Dov'è la repressione? Il
giornalismo all’anglosassone non si faceva con i fatti piuttosto che con le
opinioni? Forza, fuori i fatti! In Venezuela, giova ricordarlo una volta di più, ci sono decine di partiti di
opposizione, le elezioni sono le più monitorate del mondo, continua ad esserci
un semimonopolio mediatico di TV e giornali dell'opposizione, c'è piena libertà
di stampa e perfino piena libertà di mercato. L'opposizione continua ad avere
dalla sua l'appoggio degli Stati Uniti, delle gerarchie cattoliche, della
confindustria locale, dell’FMI e delle multinazionali straniere. Guarda caso gli
stessi soggetti che organizzarono e sostennero il golpe dell'11 aprile 2002.
La sconfitta nel referendum svela allora in maniera chiara che contro la
democrazia venezuelana è stato costruito un cordone sanitario di menzogne teso
ad impedire con ogni mezzo che l'infezione di un governo che ha fatto
dell'integrazione sociale e regionale la propria ragione d'essere si
espandesse. E allora quel che emerge è altro ed è gravissimo. L'antichavismo dei grandi
media di comunicazione è sempre stato un antichavismo
ideologico. In questi anni non hanno mai raccontato il
Venezuela bolivariano, non hanno mai criticato Chávez per i mille difetti o
errori che può avere commesso in questi anni. Quelli non importavano; era più
facile costruire una maschera di bugie intorno al verboso negraccio
dell’Orinoco, più che parlare di cose concrete, del fallimento storico del
neoliberismo, per spiegare cosa fosse la democrazia partecipativa e degli sforzi
sovrumani per restituire dignità a milioni di vittime del modello instaurato in
America latina. Oggi si svela chiara come il sole la grande contraddizione del sistema
mediatico mainstream: i grandi media commerciali non sono mai stati indipendenti
ma rispondono ideologicamente al pensiero unico neoliberale. Siccome il pensiero
unico si è autoattribuito il copyright del termine democrazia chiunque
osi mettere in dubbio che neoliberismo e democrazia siano sinonimi va castigato,
denigrato, demonizzato. E allora proprio la sconfitta nel referendum si converte invece in
un'ulteriore legittimazione per il movimento integrazionista di tutta l'America
latina della democrazia venezuelana e di Hugo Chávez in particolare. E chi in
questi anni ha sparso veleno e menzogne e lo ha descritto come un regime e una
dittatura dovrebbe cospargersi il capo di cenere. Sarà dura... --~--~---------~--~----~------------~-------~--~----~ Hai ricevuto questo messaggio in quanto sei iscritto alla Newsletter del sito GennaroCarotenuto.it Per annullare l'iscrizione a questo gruppo, invia un'email a
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