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BOLIVIA: I mille volti della sedizione
- Subject: BOLIVIA: I mille volti della sedizione
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- Date: Mon, 26 Nov 2007 15:30:37 +0100
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Il governo ritira le forze di polizia, cercando di far calmare la situazione; ma i violenti si scagliano contro gruppi di poliziotti, bruciano veicoli e gli stessi uffici. Una delle auto di un dirigente dell’opposizione, che stava dirigendosi a Sucre, viene fermata e al suo interno viene trovata una mitraglietta UZI. A Santa Cruz, altri violenti lanciano candelotti di dinamite contro alcuni locali; di notte irrompono negli uffici di una ripartizione pubblica, rompono vetri e distruggono il mobilio. Il comitato civico presieduto da Marinkovich dichiara guerra, incolpando il governo per la violenza che loro stessi hanno scatenato e convoca un’assemblea per informare i suoi iscritti che non ci sarà pace durante il lavoro del governo attuale. Il presidente Evo Morales, a La Paz, richiama alla calma. Annuncia che ci sarà un’inchiesta e i colpevoli verranno puniti. Esalta l’approvazione della nuova Costituzione Politica dello Stato e segnala che la parola finale sarà del popolo che si esprimerà attraverso un referendum. Questi sono i fatti occorsi in questo nero fine settimana. Nonostante il fatto che i media diano una versione diversa dei fatti: la stessa del Comitato Civico di Santa Cruz, guidato da Branco Marinkovic. Le stesse facce Nel 1953, prima che si festeggiasse un anno dalla Rivoluzione Nazionale – guidata da un MNR alla ricerca del cambiamento -, i gruppi reazionari cominciarono a provocare violenza, dando la colpa al governo per le loro azioni sanguinarie. Questo metodo è stato usato anche negli anni seguenti e ebbero fine sono quando il partito MNR ha imboccato una strada diversa da quella verso il processo di trasformazione. Nel 1959, la rivoluzione cubana ha incitato le stesse reazioni e la violenza è esplosa nella perla dei Caraibi. Dalla Casa Bianca, tutti i presidenti degli Stati Uniti hanno propiziato, finanziato, guidato e, molte volte, operato direttamente i delitti più gravi. Quando in Cile, nel 1970, Salvador Allende ha assunto la presidenza, le signore dell’alta borghesia orchestravano manifestazioni per permettere ai giovanotti addestrati di lanciarsi contro la popolazione che chiedeva un cambiamento, brandendo catene, colpendo con oggetti vari e roteando cinturoni con grosse fibbie. Così si crearono le condizioni per il terribile golpe di Pinochet. Il successo della rivoluzione sandinista, nel Nicaragua del 1979, è stata un’altra esperienza che si è cibata della violenza finanziata dalla stessa fonte, amministrata dall’ambasciatore (Usa, ndt) Negroponte. Le “operazioni occulte”, per le quali venivano uccisi campesinos, studenti e quanti lavoravano per il cambiamento, sono state la costante fino a quando non venne decapitata la direzione della rivoluzione. Il Venezuela di questi anni continua mostrandoci la stessa faccia criminale di quanti si oppongono al cambiamento. Il presidente Hugo Chavez si scontra, quasi ogni giorno, con la sedizione di una destra preistorica che non si arrende davanti a nessuna considerazione. E’ stato persino vittima di un colpo di stato, evitato grazie all’immediata mobilitazione popolare. E ancora, dopo tanta trasgressione, il presidente Chavez è stato chiamato a dimostrare, attraverso una consultazione popolare (dopo cinque o sei già fatte) che lo approvava una maggioranza che, ogni volta, era più grande. Manovre riciclate In tutti i casi, la violenza non è azione messa in pratica da gruppi di potere. Si cerca, sempre, un settore sociale, professionale o regionale etnico o religioso che abbia una qualche domanda insoddisfatta. I gruppi sediziosi infiammano la richiesta, incitano a darle carattere di urgenza, patrocinano e finanziano la mobilitazione e provocano il governo affinché reprima i gruppi manifestanti. Sanno che, in tutto il governo popolare, c’è resistenza ad usare la forza. Generalmente i commandos violenti oltrepassano gli schieramenti dei poliziotti. Cercano di causare uno o due o più morti. E’ allora che alzano la voce che, invariabilmente, paragona il governo del cambiamento alla più esecrabile dittatura. L’emigrazione è anch’essa una manovra provocata dai piani dei sediziosi. In tutta l’America Latina si assiste a un esodo costante della forza lavoro per le condizioni di povertà causati dai gruppi di potere quando si trovavano al governo. A questi risulta relativamente facile accelerare tale flusso migratorio, arricchendola di professionisti e industriali ai quali si facilita la possibilità di lavoro fuori dal paese. La scarsezza di beni di consumo e l’accaparramento di altro serve allo stesso scopo. Il governo è colpevole per queste restrizioni; se si raggiunge un razionamento, tanto meglio. L’inflazione merita uno studi a parte. Basta l’esempio Bolivia. Tra il 1985 e il 2005 – ovvero in vent’anni – si è applicato il modello neoliberale il cui maggior risultato, secondo i suoi stessi sostenitori, è stato il controllo dell’inflazione. Nell’agosto del 1985 un dollaro era cambiato con 1,90 bolivianos; venti anni dopo, il cambio raggiunge gli 8,20 bolivianos. Questo indica che si ha una svalutazione del 430%. In altri termini, la svalutazione media annuale del boliviano è stata del 21,5%. Ma, come asseriscono i sostenitori del modello, quelli erano anni d’instabilità. Ora gridano proprio quando, quest’anno, l’indice indica una rivalutazione. Ma l’inflazione non si placa con la svalutazione del dollaro, sostengono gli assi del neoliberalismo. Vediamo dunque il prezzo del pane. In quell’agosto 1985 è stato fissato il prezzo dell’unità-pane di 60 grammi in 6 centesimi di bolivianos. Venti anni dopo, il prezzo è di 40 centesimi, il che significa più del 650% di aumento, equivalente ad una inflazione del 32,5%. Per cosa gridano quando quest’anno l’inflazione non supererà il 10%? Non è necessario raccontare che la stessa cosa si è usata a Cuba, in Chile e in Nicaragua. E chi ha più di sessant’anni ricorda la stessa manovra nella Bolivia tra il 1952 e il 1956, non è vero? Aspettando un maggior peggioramento? La destra raggruppata nei comitati civici e nelle prefetture in mano all’opposizione è convinta che è arrivato il momento di uscire gli artigli. Non nasconde le proprie intenzioni. Un prefetto ha chiamato i suoi vecchi camerati militari per “salvare la democrazia”, ripetendo il proclama che ha giustificato il golpe di Pinochet in Chile. Il Comitato Civico per Santa Cruz ha convocato e approvato la disobbedienza civile, seguito dal suo “collega” di Sucre. Il governo del presidente Evo Morales si muove con calma. Deve fare così. Ma calma non è sinonimo di inattività né di incapacità. Se il nemico si sbaglia e crede sia così, ne pagherà le conseguenze. Chi non deve sbagliarsi sono gli uomini e le donne che hanno lottato per il cambiamento e attendono che il proprio momento di benessere, stabilità e di vita, venga dalla trasformazione, dalla rivoluzione. I delinquenti che hanno fatto i disastri di questi giorni – ed anche le cose accadute prima – devono essere arrestati, giudicati e puniti. Non ci si può giocare la pace perdonando la violenza. Se necessita, ricordiamo che questa pratica incita a nuovi delitti, basta ricordare cosa è successo a San Julian l’anno scorso. Non deve succedere di nuovo. Il messaggio deve essere preciso. Se aspettiamo che la situazione peggiori, avremo perso il controllo. Il popolo ha speranza nel processo guidato dal presidente Morales. Ci sperano i popoli dell’America Latina. Coltivano la stessa speranza e ammirano il processo avviato in Bolivia. Il sostegno del popolo e l’appoggio di tutti i popoli sono la forza di cui il nostro governo deve nutrirsi per scontrarsi con la destra e vincerla. *Antonio Peredo è senatore della Bolivia. Giornalista e professore universitario fino al 1992 è stato direttore del settimanale Aquí. Storico e fratello di Coco e Inti Peredo, guerriglieri compagni di Che Guevara. In Selvas.org è stato pubblicato di Antonio Peredo anche: La cospirazione multinazionale (http://www.selvas.org/newsBO0507.html)
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