Fw: [gc] Contro-laudatio per Michelle Bachelet a Roma
- Subject: Fw: [gc] Contro-laudatio per Michelle Bachelet a Roma
- From: "nello margiotta" <nellomargiotta55 at virgilio.it>
- Date: Fri, 19 Oct 2007 23:58:19 +0200
----- Original Message -----
From: Gennaro
Carotenuto
Sent: Tuesday, October 16, 2007 11:47 AM
Subject: [gc] Contro-laudatio per Michelle Bachelet a
Roma Contro-laudatio per Michelle
Bachelet Oggi la presidente cilena Michelle
Bachelet è a Roma, incontrerà le massime cariche dello stato, sarà elogiata da
tutta la stampa nazionale e sarà chiamata ad inaugurare l'anno accademico a Roma
Tre. Domani, mercoledì, riceverà a Siena una laurea Honoris Causa in Medicina.
Ma merita davvero tanti onori? Quando lo scorso anno si sollevò l'intero mondo dell'educazione cilena,
scesero in piazza perfino i bambini delle elementari,
l'Università -caso unico al mondo- restò assolutamente silente.
Le università cilene, giardino di delizie e di opportunità per i giovani
benestanti, con un modello totalmente privatistico ed escludente tramandato da
Pinochet a Bachelet, con rette stratosferiche, tra i 7-8.000 e i 15.000 Euro,
restavano tranquille. Esplodevano invece le scuole medie, dove centinaia di
migliaia di adolescenti sanno di essere esclusi in partenza, per censo, dagli
studi superiori. E' esattamente l'opposto dell'Università pubblica e gratuita di
Salvador Allende, che l'apartheid sociale voleva superare. Che modello di
Università rappresenta Michelle Bachelet oggi a Roma Tre e domani a Siena? La si
premia per quel modello di Università? L'università è una cartina tornasole di una presidenza conservatrice. A un
anno e mezzo dall'insediamento nel palazzo della Moneda, il sistema neoliberale
alla cilena resta intatto. Lo "stile Bachelet" -pallida attenzione al
progressismo e ai diritti civili e mantenimento pieno del modello economico
neoliberale- si è tradotto in pochi gesti simbolici, una sconfitta politica nel
tentativo di rendere legale la prescrizione della "pillola del giorno
dopo" e nel pagare (causando un piccolo scandalo) con una donazione
personale della Presidente la partecipazione della nazionale
gay di calcio ai mondiali. Poca cosa. In campagna elettorale la Bachelet aveva venduto una sorta di neoliberismo[1]
dal volto umano. A quasi due anni di distanza, proprio educazione e
salute sembrano rappresentare i due talloni d'Achille del
governo. Con il programma AUGE (finanziato finora con un quinto della cifra
promessa), non essendoci la volontà politica di garantire cure sanitarie
gratuite ed opportune alla popolazione, che altrimenti smetterebbe di fare
inenarrabili sacrifici per pagare la salute privata, sono state
scelte dal mazzo una cinquantina di patologie, per le quali lo stato si fa
carico ed escluse le altre. Il presidente dell'Ordine dei Medici, Carlos
Villarroel, definisce AUGE un progetto discriminatorio e largamente
insufficiente. Di fronte a questi fatti, qual'è il motivo per il quale
l'Università di Siena concede a Michelle Bachelet una laurea h.c. in medicina?
Il ministro Fabio Mussi non ha nulla da obbiettare stavolta? In questa sede è possibile fare solo brevi cenni ad alcuni dei nodi del
perché il governo di Michelle non può non essere criticato. L'esercito,
modernissimo, professionale, armato fino ai denti, continua a dragare il 4.5%
del PIL. E' il triplo della media latinoamericana (1.5% in media anche per paesi
fantasiosamente accusati di militarismo). Secondo Washington il nemico
strategico della macchina da guerra cilena sarebbero niente di meno che i
movimenti indigeni boliviani (sic!), un paese pauperrimo con appena 20.000
soldatini di leva e un bilancio in difesa pari a 1/20 (un ventesimo, il 5%) di
quello cileno. All'estremo Sud, la più dimenticata guerra del mondo, quella che
da 150 anni conduce il Cile contro gli indigeni mapuche, segna
ogni giorno maggiori strette repressive e centinaia di prigionieri politici.
Cinque di loro, e venti familiari, sono in questo momento in sciopero della
fame, nell'indifferenza della Bachelet, dei media e di chi la descrive e la
premia come "la sinistra responsabile latinoamericana". La Bachelet non ha in
programma alcuna conferenza stampa in Italia; che sia per non rispondere a
scomode domande su cosa abbia fatto davvero il suo governo per i diritti umani
in Cile? Nel passato mese di agosto, il più grande sciopero generale dalla fine della
dittatura, convocato dalla gloriosa Central Unica de Trabajadores (CUT) per
mettere in discussione il modello neoliberale si è concluso con una selvaggia
repressione, approvata e pubblicamente difesa dalla presidente, che ha causato
760 arresti. I dati ufficiali parlano di una disoccupazione
ferma all'8%. Ma da questo numero, apparentemente incoraggiante, sono esclusi
centinaia di migliaia di sottoccupati, precari, temporali, mal pagati, in
condizioni sindacali che sono le stesse imposte col ferro e col sangue dalla
dittatura militare. Altre 140 persone sono state arrestate l'11 settembre:
volevano deporre una corona di fiori in un posto proibito: la
porta della Moneda della calle Morandé da dove passò il corpo di Allende. Tra
loro vittime e familiari di desaparecidos dei quali la Bachelet farebbe
parte. In febbraio il caos provocato dal nuovo piano di trasporti della capitale, il
Transantiago, aveva simboleggiato meglio di tutto la cultura
politica del governo Bachelet, tagliando fuori dai servizi pubblici interi
quartieri popolari, perché non redditizi. Per settimane, decine di migliaia di
lavoratori furono costretti a percorrere a piedi anche molti
chilometri per raggiungere il mezzo di trasporto più vicino al quale non
conveniva più raggiungere capillarmente i quartieri popolari. Il profitto come
unico valore dunque, altro che "governo dei cittadini", lo slogan giocato dalla
Bachelet quando entrò in carica l'11 marzo 2006. FINE DELL'INNAMORAMENTO Se la stampa internazionale, in maniera tediosamente
banale, disinformata e disinformante, continua ad elogiare Michelle Bachelet, il
malessere dei cileni non smette di aumentare. I dati parlano chiaro. Durante
buona parte dell'anno 2006, Michelle Bachelet fu il Presidente latinoamericano
con il miglior indice di approvazione: aveva il 71% di appoggio
secondo il Barometro Iberoamericano di Governabilità. Ma negli ultimi
12 mesi la pazienza dei cileni verso la presidente ha avuto un rapido declinare.
Oggi è rovinosamente passata al penultimo posto per
approvazione su 22 paesi. Appena il 19% dei cileni continua ad
approvare la sua gestione: il 52% ha cambiato opinione. Solo il paraguaiano
Nicanor Duarte va peggio di Bachelet, mentre al capo opposto si
trova quello che a Washington chiamano "asse del male
latinoamericano", l'ecuadoriano Rafael Correa, Hugo Chávez, Evo
Morales, tutti tra il 50 e il 60% di approvazione popolare, in compagnia di un
alleato di ferro di Washington, il colombiano Álvaro Uribe. Non solo, ancora l'11 marzo 2006, l'85% dei cileni continuava in qualche modo
a credere nel modello. Oggi solo il 39%, meno della metà, continua ad avere
fiducia nel futuro economico del paese. E' possibile che la Bachelet abbia avuto
la ventura di diventare Presidente al momento della maturazione della società e
che non sia peggiore di chi l'ha preceduta, ma è anche vero che questi dati sono
sicuramente viziati in positivo dal controllo totale dei media del paese che non
fanno che ripetere un messaggio tuttora costantemente favorevole al sistema
neoliberale. In Cile non esiste né una televisione, né un grande giornale (tipo
La Jornada) che critichi il governo e il modello. Eppure oggi la Bachelet è
impopolare in Cile e in America Latina. In un anno e mezzo è passata di
fallimento in fallimento verso i propri elettori di centro-sinistra e di trionfo
in trionfo verso le oligarchie per le quali è la perfetta garante della
prosecuzione del modello neoliberale. Possibile che in Italia, media, governo,
università, non se ne sia accorto nessuno? [1]
Sui temi del neoliberismo cileno si vedano: G. Carotenuto, «Cile: il laboratorio
neoliberale dell'ingiustizia», Latinoamerica, Anno XXIV, n. 88,
luglio-settembre 2004; G. Carotenuto, «Cile: il kamikaze del neoliberismo. Il
Trattato di Libero Commercio tra Cile e Stati Uniti»,
Latinoamerica, Anno XXIV, n. 86-87, gennaio-giugno 2004; G. Carotenuto,
«Cile - El cobre che fu nostro», Latinoamerica, Anno XXIV, n. 85,
ottobre-dicembre 2003. Se
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