Pubblichiamo il testo dell’intervento del subcomandante Marcos, domenica 14 ottobre, alla chiusura del primo incontro dei popoli indigeni d’America. La traduzione è del comitato Chiapas «Maribel» di Bergamo.
Autorità tradizionali della Tribù Yaqui di Vicam; leader, rappresentanti,
delegati, autorità dei popoli originari d’America presenti in questo primo
Incontro dei Popoli Indios d’America; uomini e donne, bambini ed anziani della
Tribù Yaqui; osservatori ed osservatrici del Messico e del Mondo; lavoratrici e
lavoratori dei mezzi di comunicazione.
Sorelle e fratelli:
Grandi sono
le parole ascoltate in questo incontro. Grandi sono i cuori che hanno partorito
queste parole. Il dolore dei nostri popoli è stato raccontato da chi lo subisce
da 515 anni: la sottrazione e il furto di terre e risorse naturali, ma ora con i
nuovi abiti della «modernità», del «progresso, della «civiltà», della
«globalizzazione». Lo sfruttamento di centinaia di migliaia di uomini, donne,
bambini e anziani, che riproducono i tempi e i metodi delle encomiendas e delle
grandi haciendas dell’epoca in cui le corone d’Europa si imponevano a ferro e
fuoco. La repressione con la quale eserciti, poliziotti e paramilitari
rispondono alle rivendicazioni di giustizia della nostra gente, come quella che
le truppe dei conquistadores usavano per annichilire intere popolazioni. Il
disprezzo che riceviamo per il nostro colore, la nostra lingua, il nostro modo
di vestire, i nostri canti e balli, le nostre credenze, la nostra cultura, la
nostra storia, nello stesso modo di 500 anni fa, quando si discuteva se eravamo
animali da addomesticare o bestie feroci da annichilire, e ci si riferiva a noi
come inferiori. Le quattro ruote della carrozza del denaro, per usare le parole
dello Yaqui, ripercorrono la strada fatta del sangue e del dolore dei popoli
indios del continente. Come prima, come 515 anni fa, come 200 anni fa, come 100
anni fa.
Tuttavia, qualcosa è cambiato.
Mai la distruzione era stata
tanto grande ed irrimediabile. Mai era stata tanto grande e incontrollabile la
brutalità contro terre e persone, e mai era stata tanto grande la stupidità dei
malgoverni che subiscono i nostri paesi. Perché quello che stanno uccidendo è la
terra, la natura, il mondo. Senza logica di tempo e luogo, terremoti
catastrofici, siccità, uragani, inondazioni si presentano su tutto il pianeta. E
si dice che sono «catastrofi naturali», quando in realtà sono state provocate,
con accurata stupidità, dalle grandi corporazioni multinazionali e dai governi
al loro servizio nei nostri paesi.
Il fragile equilibrio della natura che ha
permesso al mondo di andare avanti per milioni di anni sta per rompersi di
nuovo, ma ora definitivamente.
E in alto non si fa niente, se non
dichiarazioni ai mezzi di comunicazione e formare inutili commissioni.
I
falsi capi, i malgoverni, sono idioti che adorano gli anelli della catena che li
soggioga. Ogni volta che un governo riceve un prestito dal capitale finanziario
internazionale, lo mostra come un trionfo, il pubblicizza su giornali, riviste,
radio e televisione. I nostri attuali governi sono gli unici, in tutta la
storia, che festeggiano la loro schiavitú, la ringraziano e la benedicono. E si
dice che è democrazia il fatto che il Comando della distruzione sia a
disposizione di partiti politici e caudillos.
«Democrazia elettorale» è come
i prepotenti chiamano la lotta per entrare nell’affare di vendere la dignità e
portare avanti la catastrofe mondiale. Là in alto, nei governi, non c’è speranza
alcuna. Né per i nostri popoli indios, né per i lavoratori della campagna e
della città, né per la natura. E per accompagnare questa guerra contro
l’umanità, si è costruita una gigantesca bugia.
Ci si dice, ci ripetono, ci
insegnano, ci impongono, che il mondo ha percorso la sua storia per arrivare a
dove comandasse il denaro, quelli in alto vincessero e noi, il colore che siamo
della terra, perdessimo. La monarchia del denaro si presenta, così, come il
culmine dei tempi, il fine della storia, la realizzazione dell’umanità. Nelle
scuole, sui mezzi di comunicazione, istituti di ricerca, libri, la grande bugia
riaggiusta la storia e ciò che tiene in mano: il luogo e il tempo, cioè, la
geografia e il calendario. In queste terre, che chiamarono «nuovo mondo», loro
ci imposero la loro geografia. Da allora ci fu «nord», «sud», «oriente» e
«occidente», accompagnati da segni di potere e barbarie.
I sette punti
cardinali dei nostri antenati [sopra, sotto, davanti, dietro, un lato, un altro
lato e il centro] furono dimenticati e al loro posto arrivò la geografia
dell’alto con le sue divisioni, frontiere, passaporti, green cards, minuteman,
la migra, i muri sui confini. Imposero anche il loro calendario: in alto i
giorni di riposo e benessere, in basso i giorni di disperazione e morte. E
celebrano ogni 12 ottobre come «il giorno della scoperta dell’America», quando
in realtà è la data dell’inizio della guerra più lunga della storia
dell’umanità, una guerra che dura ormai da 515 anni e che ha come obiettivo la
conquista dei nostri territori e lo sterminio del nostro sangue.
Insieme a
questo profondo e diffuso dolore, è stata citata anche la ribellione del nostro
sangue, l’orgoglio della nostra cultura, l’esperienza nella resistenza, la
saggezza di nostri vecchi.
In questo Incontro si è guardato indietro e
lontano. La memoria è stata il filo invisibile che unisce i nostri popoli, così
come le montagne che corrono lungo tutto il continente e ricamano queste terre.
Quello che qualcuno chiama «sogno», «utopia», «impossibile», «bei desideri»,
«delirio», «pazzia», qui, nella terra dello Yaqui, si è sentito con un altro
tono, con un altro destino. E c’è un nome per questo di cui parliamo ed
ascoltiamo in tante lingue, tempi e modi. C’è una parola che viene dall’origine
stessa dell’umanità, e che segna e definisce le lotte degli uomini e delle donne
di tutti gli angoli del pianeta. Questa parola è LIBERTÀ.
È quello che
vogliamo come popoli, nazioni e tribù originarie: LIBERTÀ. E la libertà non è
completa senza la giustizia e senza la democrazia. E non può esserci niente di
tutto questo con il furto, il saccheggio e la distruzione dei nostri territori,
della nostra cultura, della nostra gente. Un mondo senza prepotenti, questo è
quello che sembra impossibile immaginare per le persone di oggi. Come se la
terra avesse avuto da sempre chi imponesse il suo potere su di lei e su chi la
lavora; come se il mondo non potesse essere mai giusto. Sono i popoli originari
che guardano al loro passato, che conservano e preservano la loro memoria,
quelli che sanno che è possibile un mondo senza Dominatore né dominati, un mondo
senza capitale, un mondo migliore. Perché quando innalziamo a bandiera il nostro
passato, la nostra storia, la nostra memoria, non vogliamo ritornare al passato,
ma costruire un futuro degno, umano.
Incontrarci è la conquista principale
di questa riunione.
C’è ancora molto da fare, discutere, concordare,
lottare. Ma questo primo passo sarà un vento fresco per il dolore del colore che
siamo del colore della terra. Nel calendario che cominciamo a percorrere, nella
geografia che concordiamo, continua una gigantesca sovversione. Per i suoi modi
e mezzi non ci sono manuali, ricettari, dirigenti di scrivania e accademia.
Invece, c’è l’esperienza dei popoli originari, ma ora con l’appoggio e la
decisione dei lavoratori della città e della campagna, dei giovani, delle
persone adulte, degli altri amori, dei bambini e delle bambine; di tutte e tutti
quelli che sanno che per il mondo non ci sarà un’altra opportunità se questa
guerra la vinceranno quelli che stanno in alto.
La ribellione che scuoterà
il continente non ripercorrerà le strade e le tappe delle precedenti che
cambiarono la storia: sarà un’altra. Quindi, quando cesserà il vento che saremo,
il mondo non avrà terminato il suo lungo cammino e ci sarà l’opportunità di fare
con tutte, con tutti, un domani dove ci siano tutti i colori. A quel tempo del
calendario che faremo, in quel luogo della nuova geografia che realizzeremo, la
luna cambierà lo sguardo con cui nasce e sarà di nuovo il sorriso che annuncia
l’incontro della luce e dell’ombra.
Da Vicam, Sonora, Messico.
Subcomandante Insurgente Marcos
Messico, 14 ottobre 2007