Piero Sansonetti lo chiama Castro, ma per milioni resta
Fidel
Fidel, sì Fidel, che problema è Fidel.
Perfino come chiamarlo è un problema, un discrimine, un Rubicone. Piero
Sansonetti, direttore del quotidiano del PRC Liberazione, è molto attento a
scrivere sempre Castro. Non scrive mai Fidel, come tutti i cubani, e centinaia
di milioni di sfruttati di questo pianeta lo continuano a chiamare. E' una
cartina tornasole potentissima. Per star bene in società, con i Gianni Riotta,
i Lucio Caracciolo, i Pierluigi Battista, gli Omero Ciai, è necessario dire
"Castro", e nonsiamai farsi scappare "Fidel". Chissà, forse Sansonetti conosce
Emir Sader, il filosofo brasiliano, tra i fondatori dei
Fori Sociali Mondiali. In un magistrale
articolo intitolato "come diventare un ex-intellettuale di sinistra" Sader lo
mette al primo comandamento: "non chiamare mai più Fidel, Fidel. Da oggi in
poi chiamalo sempre Castro".
Con Nello
Margiotta, Sabatino Annecchiarico, Mirko del Medico e Fabio
Amato:Continuano, su questo sito e sulla stampa nazionale (la
polemica è dilagata sulla stampa che una volta quelli del partito di
Sansonetti definivano "borghese", dalla Repubblica al Giornale, che se la
ridono grassamente), gli eco del caso Nocioni-Liberazione-Cuba. Il giorno 2
giugno Sansonetti ha dedicato un editoriale al tema. Difende a spada tratta la
Nocioni e butta il bambino cubano con l'acqua sporca. Lo fa con argomenti
della superficialità di un Gianni Riotta: "Cuba ci piaceva negli anni '60, ma
adesso... che noia 'sta Cuba".
di
Gennaro
CarotenutoA Sansonetti Cuba piaceva -e lo scrive- negli anni '60,
quando Fidel baciava Leonid Breznev, appoggiava l'invasione della
Cecoslovacchia e non aveva fatto un passo per uscire dalla schiavitù da
monocultura del colonialismo. Vendeva lo zucchero all'URSS invece che agli
USA, niente di rivoluzionario. A Sansonetti piaceva quella Cuba, quella
isolata, la pedina della guerra fredda dove pure non c'erano desaparecidos e
alla quale furono risparmiate le peggiori tragedie imposte dagli Stati Uniti a
quell'emisfero, i morti per fame, tortura e malattie curabili.
Ne
traspare così, in ogni riga, una profonda ignoranza delle cose cubane e
latinoamericane. Certo, se la fonte di Sansonetti è la Nocioni, sta fresco
Piero. Non ha quindi idea della fine dell'isolamento economico, della fine
della schiavitù da monocultura, della solidarietà che Cuba dà, in misura molto
maggiore di quella che riceve, a mezzo mondo. Non ha neanche un'idea del
perché, a 18 anni dalla caduta del muro di Berlino, Cuba non si sia arresa.
Lui, direttore di un quotidiano comunista, di un partito comunista non si
spiega i motivi di tanta caparbietà, anzi, per lui Cuba è "inconciliabile e
opposta" con quello che lui considera "sinistra moderna". Non ha idea dei
problemi di fondo ai quali i cubani continuano a dare una risposta altra,
socialista, se la parola non gli causa scandalo o noia, e fa finta di non
avere idea di quello che attenderebbe i cubani qualora fossero restituiti alla
liberaldemocrazia alla maniera di Haiti o Portorico. Non ha idea, o fa finta
di non avere idea, Sansonetti che metà dei latinoamericani non vive come in
Svezia, ma con meno di due dollari al giorno. E che l'alternativa alla
Rivoluzione non è la Svezia, ma le mafie di Miami. Non ha idea Sansonetti, o
finge di non avere idea, che milioni di latinoamericani poveri hanno accesso a
cure mediche opportune solo per merito dei medici cubani e della solidarietà
di Cuba. Tutto questo non conviene a Sansonetti conoscerlo, già che Cuba è
incompatibile e opposta con la sua idea di sinistra. Temo che Cuba se ne farà
una ragione se Sansonetti (leggere per credere) di Cuba salva solo la
maglietta con Che Guevara.
Il fatto è che Piero Sansonetti non è in
buona fede, e dispiace dirlo. A meno che il cornuto (in senso direttoriale,
per carità) non sia l'ultimo a saperlo, per esempio fa finta di non sapere
degli aspetti poco chiari della collaborazione tra Angela Nocioni e la
Repubblica. Non è un argomento di secondo piano.
La Nocioni ha tutto il
diritto di andare a lavorare in un quotidiano che millanta che il perfido
idiota Fidel Castro voglia proibire lo sport nazionale, il baseball, a Cuba
(sic!). Ma lo faccia una volta per tutte! Non offenda i lettori di Liberazione
con articoli che non sono altro che mafiosissimi messaggi trasversali per
accreditarsi a La Repubblica. E' ovvio che per sparare simili balle non c'è
bisogno di essere "attenti, bravi e informati", come Sansonetti descrive la
Nocioni. A Repubblica basta Omero Ciai.
Irridere l'avversario politico,
presentarlo come un demente (del genere rappresentare Bush con la faccia da
scimpanzé), rappresenta di più chi tali strumenti usa che non l'avversario
politico deriso. Ma questo è lo stile della Repubblica e della Nocioni.
L'esempio del baseball e la derisione del padre di una vittima del terrorismo
statunitense, Giustino di Celmo, testimoniano che Repubblica, Ciai, come
Liberazione, Nocioni, irridono l'avversario politico, ma soprattutto offendono
l'intelligenza dei loro lettori. Quale lettore è così stupido da credere che
Fidel possa proibire il baseball? Ma soprattutto perché irridere a Giustino di
Celmo che ha avuto il figlio Fabio fatto a pezzi dal terrorismo di marca
statunitense?
Pagherei di tasca mia per sapere perché, per criticare
l'America Latina, c'è bisogno di ricorrere sempre o alle balle o al folklore.
Mai ai fatti, che pure ci sarebbero.
No, non è in buona fede Piero
Sansonetti quando afferma che Nocioni ha raccontato Chávez ("Hugo Chávez",
Sansonetti, non "Ugo Chavez", possibile che non sai come si scrive?), Morales,
Tabaré, Ollanta. Omette di dire, come se fosse un dettaglio, che la Nocioni
neanche per sbaglio dice qualcosa di meno che negativo su Chávez e su ognuno
degli altri. Con la penna rossa dell'eurocentrismo più miope, spocchioso, e
razzista non gliene va bene nessuno. Li deride, li smonta, li tratta senza
rispetto, offensivamente, altro che indipendenza di giudizio, Sansonetti.
Ammetterà infatti che è abbastanza improbabile che l'inviata di Liberazione
coincida al millimetro con le campagne diffamatorie del Corriere della Sera o
del País di madrid. Manca solo che esprima nostalgia per Fujimori, Menem e
Fernando Enrique Cardoso e Sansonetti troverebbe pace. Non avrebbe "un
quotidiano libero" come pretende, ma "IL quotidiano Libero".
E'
possibile non notare che la Nocioni da anni non si differenzia in nulla dalle
campagne di stampa orchestrate da Washington contro i governi integrazionisti
latinoamericani? Per esempio per denunciare un falso riarmo di Chávez, uno
degli strumenti chiave con i quali si vuole preparare l'aggressione al
Venezuela bolivariano.
Forse ha torto Sabatino Annecchiarico -in una
delle lettere che pubblico- a pensare (a pensar male si fa peccato,
Sabatino...) che anche in questo caso girino soldi. Ma quando si dice che
girano soldi non si parla in astratto, visto che da Freedom House a Reporter
senza frontiere, si dichiara apertamente che ci sono molti soldi a
disposizione di chi accetta di calunniare i governi integrazionisti
latinoamericani. Quella di Sabatino, non è un'illazione. In quegli ambienti i
soldi girano per davvero, domandare a Carlos Alberto Montaner o a Robert
Menard.
E' in profonda malafede Sansonetti quando paragona la Cuba
attuale alle dittature latinoamericane che hanno insanguinato gli anni '70 e
'80; solo un po' meno peggio dice. E' in malafede quando sostiene che la
Nocioni sia una delle pochissime giornaliste occidentali a potersi muovere
liberamente. A Cuba girano liberamente 2.7 milioni di turisti l'anno,
Sansonetti, affittano macchine, vanno in giro da Oriente a Occidente. C'è chi
torna condannando tutto e c'è chi torna ammirato. Solo la Nocioni non vede mai
nulla che le piaccia. E' dunque in malafede Sansonetti quando spaccia per
indipendente il giornalismo della Nocioni. E' indipendente una giornalista che
da mesi punta a cambiare casacca? Sarebbe libera la Nocioni a La Repubblica di
scrivere che "Cuba va"?
Chi scrive non ha mai avuto una storia di
militanza in partiti, tantomeno comunisti. Ma non prova alcuna compassione ed
anzi profondo fastidio per i contorcimenti di Sansonetti quando dichiara: "La
sinistra che lavora per immaginare e costruire un modello libero dal dominio
liberista, un modello non violento, costruito sulla critica e la riduzione del
potere, sull'esaltazione dei diritti - contrapposti ai doveri, alle sanzioni,
alla gerarchia - non può che considerare il regime cubano il contrario di se
stessa". Mentre Sansonetti, dalle sue ricche case d'Occidente, fantastica su
questo modello, 300 milioni di poveri e indigenti latinoamericani, ridotti
all'inedia dal neoliberismo, e affamati e ammalati oggi, non in un lontano
futuro, lo aspetterebbero volentieri a Cuba il modello immaginario di
Sansonetti. Con Fidel.
Sabatino
Annecchiarico scrive a
Sansonetti: Ho letto l'articolo "Cuba, si salvi chi può…" del 30 maggio
scorso scritto dalla presunta inviata all'Avana, Angela Noccioni e non posso
dissimulare che sono rimasto inorridito a lettura finita ponendomi la seguente
domanda: è possibile che in Italia un giornale, pur piccolo ma di tiratura
nazionale, possa pubblicare un'intera pagina di notizie infondate, calunniose,
offensive, grottesche e che lo faccia come se nulla fosse?
Mi scusi,
Direttore. Dopo di aver riletto il citato articolo mi sono ricordato della
notizia riportata dalla
Cnn lo scorso 8 settembre riprendendola da Miami,
(AP) "Dieci giornalisti del sud della Florida sono stati pagati migliaia di
dollari dal Governo Federale per trasmissioni che avevano lo scopo di
danneggiare il presidente cubano Fidel Castro" (solo per citare un caso su
tanti noti a tutti). Tra questi figura l'editorialista e conduttore di
programmi di Radio Martí, Pablo Alfonso, che ha incassato dal 2001 al 2006 la
bella cifra di 175 mila dollari solo per produrre notizie anticastriste,
oppure la giornalista freelance Olga Condor, che ricevette 71 mila dollari per
simili servizi giornalistici.
Pure mi sono ricordato di Reporters Sans
Frontières, -inseriti tra le Organizzazioni Non Governative- e dei loro
consistenti finanziamenti percepiti dallo Stato francese, dai grandi gruppi
economici e finanziari capitalisti, dall'estrema destra cubana della Florida e
dal Dipartimento di Stato nordamericano (attraverso la famigerata NED, creata
da Ronald Reagan). Un finanziamento che lo stesso Robert Ménard, presidente a
vita di Rsf, ha dichiarato di avere ricevuto, asserendo nel mese di novembre
del 2004 durante un Forum su Internet organizzato per il settimanale "Le
Nouvel Observateur": « la mia organizzazione percepisce annualmente
finanziamenti per 4 milioni di dollari».
Suppongo che Lei sia al
corrente, vista la sua professione, del finanziamento di 80 milioni di dollari
per il biennio 2007-2008 elargito dal governo degli Stati Uniti tramite la
famigerata Commissione per l'Assistenza a una Cuba Libera (Commission for
Assistence to a Free Cuba). Un finanziamento firmato dalla stessa Condoleezza
Rice il 10 luglio del 2006 anche per onorare giornali e giornalisti in ogni
angolo al mondo che collaborano con le politiche di diffamazione nei confronti
del governo di Cuba e del popolo cubano.
Visto la non indifferente
cifra messa a disposizione dall'Amministrazione Bush, come riferito sopra, e
visto lo sforzo economico di Liberazione, certamente non diversa a molte altre
testate giornalistiche della carta stampata in Italia, mi sorge spontaneamente
un'altra domanda (lecito porsi delle domande davanti a un dubbio in un paese
democratico come quello italiano, vero?): avete forse pensato di poter
attingere anche voi da quella fonte di finanziamento per rilanciare il
quotidiano Liberazione?
Qualora il mio dubbio risulti infondato e me lo
auguro anche per il bene della libertà di stampa italiana (soprattutto in un
quotidiano di orientamento comunista come dovrebbe essere Liberazione), rimane
sempre un'altra domanda: perché inviare una giornalista a Cuba per scrivere
quello che altri già hanno scritto in tutte le salse pur di usufruire di quei
finanziamenti? Non le pare che sarebbe stato sufficiente aver fatto un
"copia-incolla" direttamente dalla redazione, riprendendo vecchie notizie
spazzatura?
Signor Direttore, consideri che personalmente escludo a
priori ogni forma di ingenuità giornalistica in un ambito professionale come
il suo, altrimenti non avrei parole in merito.
Nello Margiotta: Ho inviato questa lettera a
Sansonetti:
i reportage da Cuba della vostra inviata Angela Nocioni
assomigliano molto a quelli dell'inviato di Repubblica Ciai, è questo, se può
lusingare l'autrice, non deve essere preso come un complimento; è inutile
entrare nel merito, ma credo che una realtà complessa come quella cubana vada
trattata con minor superficialità e parzialità, soprattutto da un giornale
comunista, altrimenti verrebbe da pensare che è il partito stesso che sta
modificando le proprie posizioni sull' america latina lasciando che il suo
organo di
informazione si allinei a testate come el País e La Repubblica.
Ma allora se ne spieghi il motivo ai lettori e ai militanti"
la
risposta di Sansonetti è stata
sconcertante, definendo la Nocioni come
l'unica giornalista che descrive l'America Latina da persona libera, come se
gli fossero tutti pagati da Chávez o da Fidel; se questo è il PRC credo che
sia meglio pensare ad altro per il socialismo del XXI anche in
europa.
Mirko del Medico: Come
era prevedibile ma non augurabile la "querelle" sugli scritti di Angela
Nocioni devia dal suo percorso, a mio avviso, principale. Anche oggi 3 Giugno
il quotidiano Liberazione ospita le proteste dei lettori (e qualche mail di
solidarietà alla Nocioni) ma è tuttavia evidente lo slittamento dalla critica
principale attribuibile alla giornalista (la sua scorrettezza e il suo
pressappochismo professionale) per approdare alla solita contrapposizione su
Cuba.
Vorrei ricordare a tutti che la Nocioni non scrive solo (male) di
Cuba, ma anche del Venezuela ed in generale di tutti gli sfortunati paesi
latinoamericani sui quali si appunta di volta in volta la sua sgradevole
attenzione. Finire a parlare di Cuba per fazioni contrapposte è un esercizio
sterile e che fa comodo alla Nocioni e al suo direttore che in questo modo
sostanziano le critiche rivolte ai lettori (ma possono una giornalista e il
suo direttore "criticare" i lettori del proprio giornale?).
Il problema non
è la visione di Cuba della Nocioni, il problema è la sua visione del
giornalismo, più simile ad un redattore di Libero che ad uno di un quotidiano
comunista.
Insomma, la Nocioni può pensarla come vuole su Cuba, ma dovrebbe
scrivere i suoi resoconti scandalistici e tronfii, snobbisti e sul filo del
razzismo culturale, su Repubblica, non su Liberazione. E' questo il
punto.
Fabio Amato*: «Come
faccio a parlare di diritti umani a Cuba - ha dichiarato una volta Frei Betto,
teologo della liberazione - quando in America Latina milioni di persone non
hanno conquistato ancora i diritti animali, quelli di avere un tetto, uno
straccio per ripararsi dalla pioggia o dal sole, il cibo di tutti i giorni da
dare ai propri figli e ai più deboli?». Credo che in queste parole ci sia la
chiave per capire perché Cuba, ancora oggi, appassioni e divida così tanto,
anche a sinistra, e quindi la grande reazione di tante e tanti lettori agli
articoli di Angela Nocioni apparsi su Liberazione , giornale in cui si
esprimono liberamente opinioni che non coincidono necessariamente con quelle
del Partito.
Ho conosciuto Cuba 10 anni fa, con me tanti altri da
tutt'Italia, per aver preso parte al Festival mondiale della gioventù e degli
studenti a L'Avana. 15mila partecipanti da tutto il globo. Ne erano attesi
solo la metà. Nonostante ciò, i cubani, come sempre, riuscirono ad
organizzarsi, a rispondere all'imprevisto afflusso, in pieno periodo Especial.
Questo grazie sicuramente alla loro impagabile capacità di fantasia e di
adattamento, che ha fatto anche sì che l'esperienza cubana, pur mutuando molto
dal modello sovietico, si sia distinta per una sua originalità che le ha
permesso di sopravvivere. Eravamo con le famiglie e abbiamo vissuto, senza
filtri né propaganda alle spalle, una settimana insieme a loro. Nelle loro
umili case, ma piene di dignità. La dignità di chi sapeva di vivere un periodo
difficile, duro, ma consapevoli di voler difendere la loro indipendenza e le
conquiste sociali della rivoluzione, negate alla maggioranza dei disperati che
abita il continente latinoamericano. Questo dato, quando si parla di Cuba, non
ne cancella i limiti, ma non può neanche essere rimosso come secondario. Nelle
famiglie con cui abbiamo convissuto c'era di tutto. Dai castristi convinti a
chi già si apprestava ad utilizzare le vie nuove dell'economia del turismo. Da
chi ci raccontava orgoglioso dei suoi figli e delle loro performance
scolastiche a chi ci offriva passaggi nella auto anni 50, quelle che non si
capisce come sia possibile camminino ancora, in cambio dei nostri preziosi
dollari. A Cojimar, il quartiere vicino al porto dove Hemingway amava stare,
siamo stati accolti con una umanità che ci ha commosso, una dignità a noi
sconosciuta. Quartieri poveri ma decorosi, dove tutti i bambini andavano a
scuola, dove se avevi un malore, come capitò a me, c'erano subito medici e
poliambulatori pronti ad assisterti. Gratuitamente. Certo, non è il paradiso,
ma se si pensa ai 50 milioni di statunitensi che se stanno male vengono
lasciati per strada dal paese più ricco del mondo si capisce perché
quest'anomala isola dei caraibi viene vissuta come un tormento dalla
superpotenza mondiale, ansiosa di riprenderla. Se si pensa per un attimo alle
favelas delle metropoli del subcontinente e della violenza e del degrado in
cui sono sommerse, si capisce perché per molti Cuba rappresenta ancora
qualcosa. Sono tornato pochi mesi fa, per una breve visita. Ho avuto modo di
parlare con i dirigenti del Partito Comunista, per chiedere della fase di
transizione che sta vivendo l'isola. Non ho trovato nelle loro parole la
propaganda di un paradiso perfetto, ma la coscienza dei mali che affliggono la
società cubana, della fatica quotidiana di vivere nella doppia economia, del
fatto che senza rimesse dall'estero molti non avrebbero accesso ai beni
disponibili ai soli turisti. Non è stato facile, in piena emergenza e dopo il
crollo di tutte le relazioni commerciali con l'est, aver mantenuto in piedi
uno stato sociale che primeggia nell'America Latina delle società oligarchiche
e violente. Si poteva scegliere di adattarsi al vento liberista, si è scelto
di resistere. E credo sia stato giusto e necessario difendere queste
conquiste. Grazie anche a questa resistenza ora Cuba non è più isolata come un
tempo. Può respirare grazie ai governi progressisti che si sono affermati nel
continente.
Può dar vita , sola al mondo, ad una rivoluzione
energetica capace di sostituire gli apparati elettronici ad alto consumo con
quelli ad alto risparmio energetico. E' anche questa la Cuba a cui tutta
l'America Latina che cambia, da Chavez a Lula, da Morales a Correa, guarda con
piena solidarietà e rispetto, riconoscendo i meriti della sua rivoluzione e
della sua utopia. Un rispetto che però è mancato da parte di Liberazione e di
Angela Nocioni nei confronti di cinque uomini che sono detenuti da otto anni
negli Stati Uniti. Ingiustamente e con un processo iniquo. Una detenzione che
ha a che fare con l'appoggio dei cubani di Miami a Bush più che con le accuse
di spionaggio. Un rispetto che è mancato nei confronti di donne e mogli a cui
è negato da più di otto anni l'elementare diritto di poter vedere i propri
mariti. Ho avuto modo di conoscere Adriana, una di loro. Non cerca fama o
successo, ma solo di poter rivedere suo marito. Lotta per qualcosa in cui
crede, non per se stessa o per benefici materiali.
E' mancato il
rispetto a Di Celmo, ad un uomo che vive a Cuba perché cerca di dare un senso
all'assurda morte di un figlio, e che ha vissuto sulla propria pelle i due
pesi e le due misure che usa l'impero nei confronti degli angoli bui del
mondo. E' questa mancanza di rispetto, che ha suscitato una così vasta
reazione, non i reportage, seppur parziali, dall'isola, e che ha offeso i
sentimenti di tanti compagni. Noi non facciamo di Cuba un'icona. Noi lottiamo
perché sia sovrana e libera, perché possa decidere del proprio futuro, senza
l'ingerenza statunitense che blocca la sua economia e la accerchia,
alimentando una reazione di chiusura. Perché Cuba soffre un embargo unico al
mondo, scandaloso e immorale, contro cui credo sia giusto e doveroso
continuare lottare. Pensiamo che per essere amici e vicini a Cuba non serva
tacere quando non si condividono delle scelte, né essere reticenti sui
problemi attuali. Ma lo facciamo stando dalla sua parte. Dalla parte del suo
popolo e della Rivoluzione.
*Responsabile nazionale Esteri
Prc
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