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Come sui media europei si denigra la sinistra latinoamericana
- Subject: Come sui media europei si denigra la sinistra latinoamericana
- From: "Aldo GARUTI" <garut at libero.it>
- Date: Tue, 29 May 2007 18:08:35 +0200
DIRITTO AD INFORMARE E AD ESSERE INFORMATI: come i media main stream, compresi quelli progressisti tipo la Repubblica e L'Unità, denigrano la sinistra latinoamericana e risultano gravemente fuorvianti per l'opinione pubblica nella comprensione dei processi politici in corso, condizionandola con un'impostazione continuamente demonizzante e falsificatoria, mancando altresì ad ogni dovere etico e professionale verso i loro stessi lettori. A.G. La libertà di espressione al tempo di Bruno Vespa, Simona Ventura e RCTV Ma siete davvero sicuri che "libertà d'espressione" è permettere a Bruno Vespa di condurre "Porta a porta" fino a che morte non ci separi? di <http://wpop6.libero.it/cgi-bin/vlink.cgi?Id=ZqPa/a6NsWeIa3uyG%2BcKIWDm7hDt80l//e1jPHeLNULC9JOfObXBLfIZakwqy/kc&Link=http%3A//www.gennarocarotenuto.it>Gennaro Carotenuto Domenica 27 maggio 2007 - 14:06:45 in <http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/storico.asp?s=Media>Media Rispetto al trasferito sul cavo e sul satellite del canale venezuelano RCTV siamo di fronte ad una duplice campagna, di disinformazione e di negazione di un dibattito che sarebbe vitale anche in Italia. E' possibile che gli stessi che approvarono la legge che trasferiva Rete4 sul satellite, oggi utilizzano gli stessi argomenti di Emilio Fede (che a parole disprezzano) per attaccare il governo venezuelano? Vi hanno detto che Marcelo Granier (il padrone della ferriera RCTV), ha in passato più volte dichiarato di proibire ai suoi figli di vedere la stessa RCTV? I vostri media hanno scritto o vi hanno nascosto che negli ultimi tre anni RCTV ha quotidianamente violato la legge di responsabilità civile dei media che limitava pornografia e violenza? E' forse RCTV al di sopra della legge? E' possibile che una mozione presentata dalle destre al Parlamento Europeo, che ha avuto il voto a favore di appena 43 parlamentari europei su 800 in un'aula deserta, venga spacciata per "una censura del Parlamento Europeo contro Chávez"? E' possibile edulcorare un colpo di stato come quello dell'11 aprile 2002 a Caracas, ribattezzandolo "tentata sollevazione popolare"? Lo fa il GR3 delle 8.45 di stamane 27 maggio. Il GR3 è quello stesso media che paragonò Salvador Allende ad Adolf Hitler. E' libertà d'espressione pure questa? In quale paese al mondo è possibile fare costantemente campagna per il rovesciamento VIOLENTO del proprio governo, essere pagati da un paese straniero (vedi documenti Golinger) per farlo e spacciare ciò come libertà di espressione? Cosa succederebbe se in Italia, quella stessa Italia dove non si può trasmettere un documentario della BBC, Canale5 o Rai2 incitassero quotidianamente all'eversione? E' possibile che i giornalisti italiani siano così ignoranti o così malintenzionati da considerare "eversione" e "opposizione" come sinonimi? In Venezuela negli ultimi due anni sono nate più di 300 radio comunitarie di ogni tendenza politica e religiosa. In Venezuela, nell'ultima campagna elettorale, l'80% dei media era ancora controllato dall'opposizione. I media italiani, nel trattare il caso RCTV, hanno preferito non solo omettere questi dati ma mentire ai propri lettori arrivando a sostenere che RCTV fosse l'unico media rimasto all'opposizione. E Globovision? E Televen? E Venevision? E tutti i canali locali? E i grandi quotidiani, El Universal, El Nacional, tutti strenuamente all'opposizione? E "Tal cual" di Teodoro Petkoff? Che giornalismo è quello che omette del tutto di verificare i dati e sposa solo la posizione più conveniente? Cerchiamo di essere intellettualmente onesti. La TV commerciale è oramai così importante nelle nostre società da essere intoccabile e non governabile in nessun modo da organismi democraticamente eletti? La TV è al di sopra della democrazia? Giova ricordare che la programmazione delle TV commerciali è decisa dal potere supremo degli azionisti e degli sponsor che decidono cosa dobbiamo sapere e cosa dobbiamo pensare. Tutto questo non ha nulla a che vedere con la libertà di espressione. Nonostante il "pensiero unico" neoliberale pretenda che perfino l'acqua che beviamo sia una merce, sempre più persone sono convinte che così non possa essere. E quindi che anche quel che dobbiamo sapere e pensare non sia una merce sulla quale fare profitti. E' semmai il "pensiero unico" a violare la libertà di espressione. Magari senza proibirlo, ma riducendolo ad una nicchia di mercato. Come a Caracas l'11 d'aprile 2002, quando il 100% dei canali commerciali fu parte organiza del colpo di stato. Ma proprio quel giorno una minuscola TV di quartiere di una delle peggiori favelas di Caracas, CatiaTV, diede una lezione al mondo, chiamando i venezuelani a non arrendersi al colpo di stato e affermando che "un'altra comunicazione è possibile". Il caso RCTV non riguarda solo il Venezuela, riguarda l'Italia e il mondo. Se la libertà di espressione è solo quella dei Bruno Vespa e dei Marcelo Granier di dominare il mercato ed essere intoccabili, se la libertà di espressione è solo quella degli sponsor che stabiliscono chi e cosa va in onda e chi e cosa non conviene che ci vada, va denunciato che siamo di fronte ad una concezione oligarchica ed antidemocratica della libertà di espressione stessa. A parole si appella a questa, ma solo per monopolizzarla e negare tutte le altre libertà di espressione, a partire da quella di chi non ha voce. Criticano la TV spazzatura, criticano la TV diseducativa fatta di sesso e violenza, sostengono che reality show e simili producono guasti gravissimi sulla società. Ma sarebbero disposti a morire per difendere il diritto di Simona Ventura a condurre l'Isola dei Famosi. <http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/articolo.asp?articolo=1133>http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/articolo.asp?articolo=1133 La Repubblica e l'Unità mentono spudoratamente sul Venezuela COCHABAMBA - Mi arrivano qui a Cochabamba (Bolivia), dove sto partecipando al "V incontro mondiale di intellettuali e artisti in difesa dell'umanità" e potrei anticipare le cose dette da Evo Morales stamattina, o la ricchezza del dibattito, o la forza e la ricchezza comunicativa dei comunicatori boliviani (Evo ha un'approvazione del 66%in crescita ma nei media ha l'80% contro). Ma amici di GennaroCarotenuto.it mi inviano i pezzi di Repubblica e l'Unità sulla fine della concessione di RCTV. E alle balle bisogna rispondere con le notizie. Ci sarà tempo per parlare di cose serie. di <http://wpop6.libero.it/cgi-bin/vlink.cgi?Id=ZqPa/a6NsWeIa3uyG%2BcKIWDm7hDt80l//e1jPHeLNULC9JOfObXBLfIZakwqy/kc&Link=http%3A//www.gennarocarotenuto.it>Gennaro Carotenuto Mercoledì 23 maggio 2007 - 00:11:16 in <http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/storico.asp?s=Media>Media Vediamo: La Repubblica mente: Rctv, [...] è considerata troppo critica dal presidente, che l'accusa anche di aver simpatizzato con il colpo di stato che cinque anni fa l'aveva spodestato per due giorni. Amor di verità obbliga a rispondere: RCTV non è accusata "da Chávez" di aver simpatizzato, ha organizzato il golpe. E' molto facile verificare, ci sono le registrazioni, ma Repubblica preferisce mentire e non fa il suo dovere, semplicemente non verificando. E' evidente l'intenzionalità di trasformare fatti storici noti in un "punto di vista". La Repubblica mente: Così, dopo la manifestazione di sabato scorso che aveva raccolto l'adesione di migliaia di partecipanti e attirato l'attenzione internazionale, oggi il corteo è sfilato davanti alle sedi alle sedi in Venezuela dell'Unione europea (Ue) e della Organizzazione degli Stati americani (Osa) e il movimento di protesta ha ricevuto la solidarietà di associazioni di difesa della libertà di stampa di tutto il mondo. Amor di verità obbliga a rispondere: Tanto la UE come l'Organizzazione degli Stati Americani ha affermato che è un fatto interno venezuelano e che il governo venezuelano è nel suo pieno diritto nel non rinnovare la concessione. La Repubblica mente: Secondo un sondaggio dell'istituto Datanalisis il 70% dei venezuelani disapprova l'oscuramento di Rctv. Amor di verità obbliga a rispondere: Il sondaggio è stato commissionato da RCTV e palesemente falso. Secondo la legge italiana, La Repubblica sarebbe obbligata a dire chi commissiona i sondaggi, ma lo evita. Contro Chávez la legge non vale. La Repubblica mente: La decisione di non rinnovare la concessione, infatti, avrebbe come effetto quello di limitare alla sola Globovision il panorama audiovisivo nazionale anti-governativo. Con l'aggravante che Globovision è un canale che si vede solo nella capitale. Amor di verità obbliga a rispondere: E' la balla più clamorosa. I grandi canali commerciali dell'opposizione che trasmettono in tutto il Venezuela sono quattro. RCTV, Globovision, Venevision e Televen. Inoltre in ogni stato ci sono canali locali dell'opposizione. Repubblica, in totale malafede cancella due canali nazionali e tutti i locali. Molto simile è il pezzo dell'Unità, probabilmente preso dalle stesse fonti, tutte dell'opposizione. Né l'Unità né la Repubblica ricordano che RCTV non viene chiusa, ma trasferita sul cavo e sul satellite. Entrambe fanno credere che sia una decisione illegale di Hugo Chávez. Soprattutto né l'Unità né La Repubblica citano il punto di vista venezuelano, il ricchissimo dibattito sulla responsabilità sociale dei media, il fiorire di centinaia di media indipendenti nel paese, né il fatto che non esiste solo la libertà di stampa ma anche il diritto costituzionale a essere informati in forma non inquinata. Questo cronista era a Caracas ed è andato e ha raccontato in questo sito la marcia dell'opposizione. Né La Repubblica né l'Unità erano presenti. Hanno fatto male il loro lavoro, mancando ad ogni dovere etico verso i loro lettori. Questi, è ora che si sveglino e si facciano sentire. BASTA BUGIE SULL'AMERICA LATINA! <http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/articolo.asp?articolo=1130>http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/articolo.asp?articolo=1130 La "chiusura" di RCTV in un Venezuela tra Fellini e il Reggaeton di <http://wpop6.libero.it/cgi-bin/vlink.cgi?Id=ZqPa/a6NsWeIa3uyG%2BcKIWDm7hDt80l//e1jPHeLNULC9JOfObXBLfIZakwqy/kc&Link=http%3A//www.gennarocarotenuto.it>Gennaro Carotenuto Domenica 20 maggio 2007 - 18:25:50 in <http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/storico.asp?s=America+Latina>America Latina CARACAS - L'industria del falso digitale è tollerata in Venezuela. Come in tutto il mondo. Ma in poche capitali del mondo trovi decine di bancarelle che vendano come il pane Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni, L'Orfeo Negro di Marcel Camus, La voce della Luna di Federico Fellini e tutta la cinematografia latinoamericana, dalla Notte dei forni di Pino Solanas, a Garage Olimpo di Marco Bechis. Negli ultimi anni di vita, il dittatore spagnolo Francisco Franco inondò il paese di eroina per distruggere una generazione ribelle. Chissà se il "dittatore" venezuelano Hugo Chávez fa lo stesso col cinema d'autore, alimentando le bancarelle dei buhoneros (ambulanti) di Caracas. "E' il libero mercato, stupido", direbbe Bill Clinton, e anche il cinema d'autore chiede la gente di Caracas. Intanto mi fanno notare in strada bambine di 13-14 anni con i pantaloni non più sotto la vita, non più mettendo in mostra la marca degli slip, ma oramai sbattendo in faccia un ciuffetto di pelo pubico come ultima frontiera. Lo hanno visto milioni di volte in televisione. Sono bombardate dalla televisione commerciale con il Reggaeton -l'ultimo e più volgare dei generi pseudomusicali commerciali- dove le donne vengono chiamate "culitos". Tra poco, a 15 o 16 anni al massimo, chiederanno ai genitori delle enormi tette come regalo. In Venezuela bastano poche centinaia di dollari. Se non hai dei seni enormi sei brutta e nessuno ti vorrà, è il messaggio continuamente diffuso dalle televisioni commerciali. Le cliniche private vendono pacchetti a prezzi stracciati: liposuzione, rinoplastica, mastoplastica, tutto per via ambulatoriale e in giornata. Anche questo è libero mercato, anche questa è (considerata) libertà d'espressione, ma soprattutto anche questa è battaglia per le idee, per i cuori, per l'immaginario collettivo. E non è un caso che il Venezuela sia ai primi posti al mondo per le gravidanze adolescenziali. Al mio tassista hanno raccontato (ma la notizia purtroppo è infondata) che il governo vuole proibire il... "filo interdentale". E' sinceramente preoccupato, dove andremo a finire con un governo che proibisce tutto. Cerco di capire cos'abbia Chávez contro la pulizia della bocca, e capisco che il filo-interdentale non è altro che il tanga. Qualcuno ha proposto di limitare il mostrare ad ogni ora del giorno video musicali -soprattutto il Reggaeton- che per tutta la loro estensione mostrano in primo piano solo un paio di natiche agitandosi: donna=culito. Domando al mio tassista se è cattolico. Mi guarda e si fa il segno della croce. Affondo: "signore, se Chávez farà davvero questo, il Papa sarà molto contento". Sabato è andata in scena, per le strade di Caracas, la manifestazione dell'opposizione contro il mancato rinnovo alla scadenza naturale della concessione via etere del canale commerciale RCTV. Si trasferirà sul cavo e sul satellite. Il canale, che appoggiò apertamente il colpo di stato dell'11 d'aprile 2002, fa finta di non sapere che l'etere è pubblico e fa finta di non sapere che esiste una responsabilità sociale dei media e che inondare il mercato televisivo di sesso e violenza non è esattamente lo stesso che "libertà d'espressione". Per strada, nel corteo, c'è parecchia bella gente e vengono usati molti degli argomenti che da dieci anni usa Emilio Fede in Italia per evitare che Rete4 finisca sul satellite. L'organizzazione è capillare. Hanno riempito la città di maxischermi che ritrasmettono liberamente la manifestazione. Ed è grazioso sentire e vedere a tutto volume in ogni grande piazza di Caracas fare liberamente discorsi sulla mancanza di libertà di espressione. Bugiardi, e bugiardi tutti i media internazionali che riprenderanno acriticamente il punto di vista di RCTV, dando per scontato che contro Chávez qualunque menzogna è lecita. E' bene ricordare che, nell'ultima campagna elettorale venezuelana per le elezioni presidenziali del 3 dicembre 2006, le commissioni di Osservazione Internazionale verificarono che i quattro quinti di tutti i servizi televisivi, radiofonici e articoli di giornale, di quella campagna elettorale era favorevole all'opposizione. Ciononostante, istituzioni internazionali prestigiose (perché controllate dal governo degli Stati Uniti?) come "Freedom House", possono definire il Venezuela come un paese "non libero" dal punto di vista della libertà di stampa e collocarlo addirittura al 161° posto al mondo. Incredibile: il Venezuela viene collocato dalla "Casa della Libertà" perfino dopo l'Afghanistan, dove è noto che i giornalisti siano in condizione di realizzare il loro lavoro in tranquillità, sicurezza e senza pressioni di sorta. Nonostante tale dato dimostri quanto sia sfacciata e indimostrabile la collocazione del Venezuela, e nonostante sia palese l'intenzionalità diffamatoria di classifiche come quella di Freedom House, a tali istituzioni anche i media italiani fanno da grancassa concedendo loro un'autorevolezza difficilmente spiegabile. Se lo dice Freedom HouseŠ Intanto il quotidiano El Nacional di domenica (più o meno comparabile a Il Giornale o Il Tempo in Italia), dedica un intero fascicolo alla manifestazione di sabato. E' strapieno di interviste a partecipanti alla manifestazione. Stranamente sono tutti chavisti pentiti: "ho votato per Chávez ma adesso ho paura per la libertà" dice un impiegato. "Ho votato per Chávez, ma non pensavo mi levasse le mie telenovele" dice una casalinga alla quale fanno anche un bel box in prima pagina. Nel mezzo grandi articoli e commenti sulla superiorità del settore privato, sui pericoli dei media pubblici, del ruolo dello stato ed esaltando il valore dell'indipendenza dei media privati. Giro pagina e l'intero fascicolo ha al centro un paginone redazionale, pagato con i soldi pubblici dello stato Zulia, governato dal capo dell'opposizione, Manuel Rosales. Questi compare in tutte le quattro pagine, sempre con le forbici in mano, sempre inaugurando qualcosa. Viva l'indipendenza della stampa privata venezuelana. <http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/articolo.asp?articolo=1129>http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/articolo.asp?articolo=1129 Gente di Caracas. La restituzione di voce, le bugie dei media e le svastichine di Teodoro Petkoff di <http://wpop6.libero.it/cgi-bin/vlink.cgi?Id=ZqPa/a6NsWeIa3uyG%2BcKIWDm7hDt80l//e1jPHeLNULC9JOfObXBLfIZakwqy/kc&Link=http%3A//www.gennarocarotenuto.it>Gennaro Carotenuto venerdì 18 maggio 2007 - 20:17:41 in <http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/storico.asp?s=America+Latina>America Latina CARACAS - La capitale del Venezuela deve piacerti piano piano. All'inizio prevale lo choc; è una città difficile e neanche è detto che succeda mai che ti piaccia. Sono oramai molte volte che la visito, per periodi più o meno brevi e solo adesso comincio a sentirla meno ostica e a provare affetto. Anche se i contrasti intollerabili degli anni '90 vanno lentamente riducendosi, continuano a choccare. E a volte ad impaurire. Ma è solo una scorza, sotto la quale pulsa un'umanità meravigliosa. L'opposizione sta chiusa nei quartieri per ricchi e il resto della popolazione si ingegna per cambiare il destino collettivo di questo paese. Non c'è una sceneggiatura già scritta, ma la voglia di partecipare, di interrogarsi, di mettersi in gioco, è già di per se stessa una rivoluzione. A volte succede in maniera cosciente, a volte ingenua, ma quasi sempre traspare la buona fede di chi non vuol tornare indietro a quando il Venezuela era di pochi. Uno dei motivi del mio attuale soggiorno è tenere un Laboratorio di Storia Orale. In pochissimi giorni (l'organizzazione, pur ammirevole è stata precipitosa) si sono iscritti a frotte. Sono oltre sessanta ma soprattutto, ho di fronte a me la classe meno omogenea che mi sia mai toccata nella vita. Dai 16 ai 70 anni, uomini e donne, impiegati, studenti, docenti, ma anche operai, artisti, moltissimi afrodiscendenti, con livelli culturali diversissimi, stimoli diversi, progetti diversi, aspettative diverse. Ognuno opina, dice la sua, si scontra, su come la Storia Orale possa essere uno strumento di restituzione di voce e di liberazione. Le lezioni -di 4 ore- sono dei lunghi eventi nei quali sto imparando più di quello che posso dare. Ieri, magicamente, a partire da una domanda di una partecipante, si è composto con il contributo di tutti un progetto affascinante sulla salute e la malattia, prima che il popolo bolivariano decidesse che questa fosse un diritto. Curanderas, medici tradizionali indigeni e africani, medici allopatici con le loro miserie e la loro generosità. Storie di ospedali clandestini nelle case di guaritori, storie di malati e di familiari di malati. Sarà bellissimo seguirle. Guardo la mia classe, così diversa e diversificata, mi metto io stesso in gioco, mi stimolano e mi mettono in difficoltà. Li guardo ed esprimo un desiderio: vorrei che le mie classi italiane avessero la metà degli stimoli che hanno loro. Mi piace pensare che nessuno possa fermarli, nessuno possa zittirli. Dopo la lezione vado in giro per le strade, e sento sempre più vicina Caracas. Mi soffermo come sempre ai chioschi dei giornalai. I titoli dei giornali, quasi tutti dell'opposizione, fanno bella mostra: titoli forti, truculenti, che in genere puntano sulla microcriminalità. "Tal cual", il tabloid quotidiano diretto da Teodoro Petkoff, per l'ennesima volta utilizza l'elemento grafico della svastica nazista per attaccare il governo. Nessuno ci fa caso più di tanto. Vado in Hotel e accendo la tv. Alla CNN, in studio, in diretta da Miami, sta parlando proprio Teodoro Petkoff: "Il Venezuela bolivariano è un paese totalitario, è un paese dove non c'è libertà di stampa, è un paese dove si parla di socialismo del XXI secolo ma dove in realtà si sta correndo verso il socialismo del XX secolo. Siamo sempre più simili all'Unione Sovietica al tempo di Stalin". Cambio canale. I canali dell'opposizione, in piena libertà, lanciano lo stesso messaggio di Petkoff: totalitarismo, mancanza di libertà di espressione. Sono solo meno raffinati. Spengo. Torno in strada. La svastica con la quale Teodoro Petkoff stigmatizza il governo, mi fa ancora l'occhiolino liberamente esposta dal chiosco del giornalaio all'entrata del Metro. Nessuno squadraccia chavista è passata a zittirla. Penso alla mia classe, nella bella casa coloniale del Ministero della Cultura che ospita il mio corso, e alla voglia che hanno di mettere tutto in discussione; me compreso ovviamente. Continuo a passeggiare in questo caos tutt'altro che sotto controllo e penso a Teodoro, questo brillante intellettuale di sinistra, conosciuto in Italia per essere l'unica voce intervistata (continuamente) sul Venezuela. Per quotidiani come La Repubblica, per Omero Ciai, è l'unica voce, l'unico numero di telefono caraqueño che Ciai ha in agenda (e critica Gianni Minà che di numeri in agenda ne ha troppi). Penso a Teodoro, e al suo stracciarsi le vesti dai microfoni di CNN, al suo utilizzare la categoria di "totalitarismo", al suo paragonare senza pudore il Venezuela bolivariano all'Unione Sovietica di Stalin. Penso a quanto autorevole è Teodoro e quanto le sue continue interviste a La Repubblica aiutino a comporre il punto di vista dei progressisti italiani sul Venezuela. Di fronte all'assoluta normalità di Caracas, penso che Teodoro si presti al gioco di CNN. Ciai si presti al gioco di Teodoro. La Repubblica si presti al gioco di CNN. Che tutti mentono sapendo di mentire, ma continuano a perseguire lo stesso disegno: calunniate, calunniate, qualcosa resterà. E lo immagino, Teodoro. Lo immagino partire stamane stesso dalla sua bella casa in un quartiere alto borghese di Caracas, prendere il primo volo per Miami, sedersi in un posto di prima classe, pagato da CNN, arrivare a Miami, andare in studio e ripetere in mondovisione il suo discorsetto sul totalitarismo, sull'Unione Sovietica, sulla censura e sulla mancanza di libertà d'espressione in Venezuela, sull'esproprio proletario del canale RCTV traferito sul cavo e sulla necessità di salvare il Venezuela dal comunismo. Poi lo immagino farsi riaccompagnare all'aeroporto e tornare a Caracas comodamente, appena in tempo per chiudere il suo giornale, così coraggioso da mettere un'altra svastichina in prima pagina o da disegnare i baffetti di Hitler sulla foto di Chávez e da strillare quotidianamente davanti al mondo che in Venezuela proprio non c'è libertà di espressione. <http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/articolo.asp?articolo=1128>http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/articolo.asp?articolo=1128 El fascista Hugo Chávez: como en Europa se denigra la izquierda latinoamericana di <http://wpop6.libero.it/cgi-bin/vlink.cgi?Id=ZqPa/a6NsWeIa3uyG%2BcKIWDm7hDt80l//e1jPHeLNULC9JOfObXBLfIZakwqy/kc&Link=http%3A//www.gennarocarotenuto.it>Gennaro Carotenuto Venerdì 18 maggio 2007 - 14:19:44 in <http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/storico.asp?s=Castellano>Castellano La revista Limes, desde hace más de una década es la publicación periódica más importante de Italia dedicada a la geopolítica y una de las más reconocidas de Europa. Pertenece al grupo editorial L'Espresso, el más importante grupo editorial progresista del país. Es el equivalente al grupo Prisa, de España, que edita el diario El País. Y como el grupo Prisa, cuando se habla de gobiernos de izquierda en Latinoamérica, se comporta como otro grupo de derecha más. Lo grave es que la postura demonizante y falsificatoria del grupo L'Espresso se hace referencia para la opinión pública progresista para juzgar los procesos políticos latinoamericanos: y si los medios de centro-izquierda demonizan diariamente Latinoamérica ¿Cómo puede la opinión pública progresista europea no ser condicionada? El último número de Limes (abril de 2007) ya desde el título (Chávez-Castro: La Antiamérica), se propone, durante más de 300 páginas, destruir la imagen de los gobiernos progresistas latinoamericanos, empezando por el venezolano, y contribuir a evitar que alguien los pueda tomar como referencia en Europa. Para llegar a este objetivo, lo más significativo es que la "Rivista italiana di geopolitica" hable muy poco de política y de economía y mucho de otras cosas. Por ejemplo, entre la treintena de ensayos que contiene, no hay ninguno que hable del pago de la deuda con el FMI de parte de la mitad de Latinoamérica. Tampoco hay un sólo artículo que contextualice la actual fase histórica, posterior al quiebre de la ortodoxia neoliberal: ¿Por qué los latinoamericanos no quieren más neoliberalismo? Ninguna respuesta. Estando enfocado especialmente sobre Venezuela, sorprende que no haya ningún artículo sobre el ingreso del país en el MERCOSUR, ni sobre el MERCOSUR en general. Tampoco hay un artículo que nos explique cómo se ha modificado el import-export adentro de la región en los últimos años. No hay ni uno que intente explicar qué diablos es el ALBA, una institución aún naciente, pero que para una revista de geopolítica debería despertar por lo menos algún interés. Es que Limes no se interesa al proceso de integración latinoamericana. Mucho menos hay artículos sobre la cumbre de Mar del Plata, al final de 2005, cuando especialmente la llamada "burguesía nacional" brasileña hizo abortar el ALCA, el Mercado Único de Las Américas tan querido por George Bush. A cambio, el lector se encuentra con un montón de explicaciones sobre por qué Chávez no es popular (¿no es popular?), sobre por qué se pelea (¿se pelea?) con Lula, o por qué los candidatos que se presumen apoyados por Chávez nunca ganan (¿nunca ganan?) las elecciones. En realidad, el único caso concreto sería el del peruano Ollanta Humala, lo que es un tema interesante. Pero hubiese sido igualmente interesante gastar algunas de las 300 páginas para investigar sobre el hecho de que, después de 30 años de rígido "Consenso de Washington", en los últimos años muchos candidatos que contaban con el apoyo descarado de la Casa Blanca han sido rechazados rotundamente por los electores. ¿No es un tema interesante por qué los EEUU ya no logran imponer sus favoritos en el "patio trasero"? También sería interesante entender por qué, en la cultura de Limes, el apoyo de un candidato de parte de Venezuela es una injerencia y el respaldo de parte de Estados Unidos es algo normal y legítimo. En los muchos ensayos dedicados a Venezuela se habla bastante de la figura y de la personalidad del presidente -siempre en negativo- pero nunca se habla del partido de gobierno. Tampoco se habla del proceso de nacimiento del partido unitario, un proceso no tan distinto del que en Italia está llevando al nacimiento del Partido Democrático -que Limes apoya- o de la relación fundamental entre los movimientos sociales venezolanos y el partido. ¿No le interesaba, o no tenían a alguien capaz de escribir sobre estos temas? Y ya que es tan importante el papel de los movimientos sociales en la nueva política continental, desde los Sem Terra (Sin Tierra) a los indígenas o los zapatistas (sobrevalorados o menos) ¿Es posible que haya un silencio total, y es posible que se ignore la relación entre Chávez y estos movimientos como objeto de estudio? Y también: ¿Es posible ignorar que en Bolivia Evo Morales define su gobierno como "el gobierno de los movimientos sociales"? Es decir, se tergiversa, se habla de otras cosas, y desde el inicio, la sensación es que Limes no quiere entender ni explicar lo que está pasando en Venezuela y Latinoamérica. Lo que quieren es lanzar un anatema, condenar y poner un cordón sanitario porque la infección de algo que la centro-izquierda europea no aprecia y más bien teme, no se expanda ulteriormente. Es simbólico en esto el trato hacia Cuba. La mayor parte está construida con artículos reciclados con las memorias de castristas arrepentidos, siempre los mismos nombres, de dudosa credibilidad ética y científica. Son artículos que hubiesen podido ser escritos hace 20 o 40 años. Hablan de las pasiones juveniles de Fidel Castro, de sus lecturas, o de sus relaciones con Nikita Krushev, o Leonid Brezhnev. Es material de desecho, que nada aporta y que quizás algo quita a la comprensión de la Cuba actual y del por qué, 18 años después de la caída del muro de Berlín, la prensa mainstream no haya escrito una línea para explicar por qué Cuba está todavía allí. Y es raro que tampoco se haya encontrado espacio para explicar cómo haya fracasado la política estadounidense de aislamiento de la isla y cómo en 2006 hayan viajado a Cuba representantes de gobiernos de todo el mundo, empezando por el indio Singh. En este plano es significativo el artículo del latinoamericanista del diario La Repubblica, Omero Ciai, anti-latinoamericano recalcitrante, pero de izquierda. Es famoso por escribir páginas sobre la inminente prohibición del béisbol en Cuba por el pérfido Fidel, o que el loco Chávez se esté armando hasta los dientes para conquistar el continente y por tener en su agenda un solo teléfono caraqueño, el de Teodoro Petkoff, la única voz venezolana entrevistada -pero decenas de veces- por el mayor diario de centro-izquierda italiano. También el artículo escrito para Limes sobre la bancarrota económica de Cuba es más de lo mismo, y Ciai lo escribió al menos una docena de veces en los últimos años. Sin embargo, generalmente, cuando un país llega a la bancarrota, sigue el hambre, el levantamiento de la población y la caída del régimen. Si la situación es realmente la que describe Ciai, Limes debería explicar por qué Cuba no cayó aún y no por qué se va supuestamente a caer en las próximas horas. Como he dicho, una tercera parte del número se ocupa de manera denigrante de la figura de Hugo Chávez. El director de Limes, Lucio Caracciolo, un destacado intelectual experto de política internacional, insiste fastidiosamente en hablar de "régimen Chávez". Ya que las palabras son importantes, y que el mismo Caracciolo acepta que no hubo fraude en Venezuela, sería interesante entender por qué no habla de "régimen Lula", de "régimen Bush", ni mucho menos de "régimen Calderón" en aquel México con más de 600 presos políticos, torturados, muertos y tanques en las plazas. Sería interesante entender por qué la revista italiana de geopolítica dedica -correctamente- mucho espacio a las relaciones entre dos de los principales productores de petróleo en el mundo, Venezuela e Irán, pero no hay ni una línea sobre las relaciones entre Venezuela y Colombia, una de las fronteras más calientes del mundo. Lo único que le interesa a Limes sobre las cuestiones fronterizas latinoamericanas es rescatar la opinión del destacado organizador de Escuadrones de la Muerte estadounidense, John Negroponte. Este sostiene -y Caracciolo se asusta- que en los mapas de Latinoamérica, encontrados en los refugios de Osama Bin Laden, toda la región es dibujada en color verde, es decir, controlada por el terrorismo islámico (sic!). Es evidente entonces una voluntad constante de mover el discurso desde los procesos reales al plano del folklore, del exotismo y de la denigración personal. El proyectado gasoducto continental tiene que ser llamado "Hugoducto", porque sólo así puede ser exaltada la presunta megalomanía de Hugo Chávez. Hay un detalle que revela el brutal eurocentrismo de Limes. En la parte sobre América Latina, todas las grandes infraestructuras que los gobiernos de izquierda latinoamericanos quieren realizar, son clasificadas como inconsistentes, inútiles y megalómanas. Sin embargo, en la parte final de la revista, donde se habla de otros temas, hay un artículo sobre grandes obras proyectadas en Europa que, por supuesto, Limes considera realistas, urgentes e indispensables. Hay un evanescente y ofensivo artículo sobre el sincretismo religioso de Evo Morales entre catolicismo y religiones tradicionales aymara. Otro sobre un presunto eje esotérico entre Castro, Chávez y Morales. Sin embargo, no hay nada que hable del "eje del mal latinoamericano" teorizado por Donald Rumsfeld. Una eventual guerra estadounidense contra un país latinoamericano ¿No es un sujeto interesante para Limes? Y tampoco lo es el golpe de estado de abril de 2002 en Caracas, la derrota del cual fue un evento fundacional de la primavera latinoamericana. Sale así una intencionalidad constante, que resulta ofensiva de la inteligencia de los lectores, y que no explica el proceso político latinoamericano. Limes ELIGE hablar de otras cosas. Páginas y páginas para explicar que Chávez, Morales y Lula siguen teniendo relaciones con Estados Unidos. ¡Que descubrimiento! Es sólo una parte de la ultra izquierda europea que, por puro ideologismo, quisiera un bloqueo contra Estados Unidos igual y contrario al bloqueo contra Cuba. Los pragmáticos gobiernos de izquierda latinoamericanos -y si pudiera Fidel sería el primero- no quieren otra cosa que comerciar con Estados Unidos. Sin embargo, quieren hacerlo de manera leal, no con pactos desiguales como era el ALCA. Todo esto a Limes no interesa y no dedica ni un artículo a las relaciones económicas entre Estados Unidos y América Latina, el papel de los TLC o las rutas comerciales Sur-Sur. En fin, no hay nada o casi de geopolítico y mucho de anecdótico ¿Será un caso? ¿CHÁVEZ FASCISTA? La pobreza de Limes es evidente en un ensayo titulado "Bolivarismo y fascismo" (pp. 197-202) firmado por Manuel Caballero, que merece ser analizado. Debía ser el ensayo pesado, pensado, metodológico, alrededor del cual debía rondar todo el número de Limes. Es el ensayo que DEBE DEMOSTRAR que Chávez no es otra cosa que un fascista. Lástima que el Sr. Manuel Caballero demuestra en el ensayo que no pasaría un examen de primer año de Historia Contemporánea. Todo se basa en un par de raros silogismos que testimonian más ignorancia que mala fe. El silogismo inicial sostiene que como Mussolini admiraba a Simón Bolívar, por consiguiente, Bolívar es fascista. El silogismo final (sic!), es que, siendo universalmente conocido que también Chávez admira al fascista Bolívar, entonces Chávez también es fascista. Realmente los lectores de Limes, un público normalmente de buen nivel cultural, merecían más. En el medio hay un párrafo (p.201) titulado "Bolívar y la religión política". La categoría de "Religión política", derivada por el historiador estadounidense de origen alemán George Mosse, es una categoría eminentemente del siglo XX, que se acota al fascismo como producto de la sociedad de masas. Más prudentemente Caballero podría intentar con hacer un paralelo entre las formas participativas bolivarianas y el fascismo. No encontraría mucho. Pero lamentable Caballero no es la persona apta para hacer este análisis ya que él mismo afirma textualmente que "nadie todavía entendió (sic!) en qué consiste la democracia participativa". Perdida la ocasión, Caballero prefiere definir como "religión política" la de Bolívar, torciendo el brazo a más de 40 años de debate historiográfico, y despojando esta categoría tanto del siglo XX como de la sociedad de masas, que son las bases para Mosse para definir esta categoría. Para fortalecer su "pensamiento débil", Caballero tira allí otro silogismo, aun más fuerte que el primero, que revela sus simplistas pero inquebrantables certidumbres. Se encuentra en las manos un viejo y muy conocido ensayo de Umberto Eco (El fascismo eterno), lo descontextualiza y lo utiliza para demostrar que cualquiera que sea crítico del liberalismo no puede ser otra cosa que fascista. Para Caballero todo lo que no es liberalismo es fascismo. Un tal razonamiento lo lleva derecho al neoconservador "Proyecto para un nuevo siglo americano", aquél de la ganancia como principio moral, que fue propedéutico a las guerras infinitas de George Bush. Es para preguntarse si Limes, prestigiosa revista editada por la mayor editorial progresista de Italia, se de cuenta que el pobre postulado de Caballero es completamente interno al neoconservadurismo más extremo -aquel de los Daniel Pipes, para el cual hasta Allende era el nuevo Hitler- al cual Limes está ofreciendo una inmerecida credibilidad en pos de denigrar al odiado Hugo Chávez. "Para combatir al liberalismo -concluye con énfasis Caballero- toda bandera es buena. Si es la del socialismo está bien. ¿Quiénes se olvidan de quiénes eran los nazis?, ¿Qué su nombre no era otra cosa que una abreviación de 'partido nacional socialista'?" Frente a tanta intuitividad no hace falta juntar nada más. <http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/articolo.asp?articolo=1127>http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/articolo.asp?articolo=1127 Lucio Caracciolo, Limes sull'America Latina è inconsistente di <http://wpop6.libero.it/cgi-bin/vlink.cgi?Id=ZqPa/a6NsWeIa3uyG%2BcKIWDm7hDt80l//e1jPHeLNULC9JOfObXBLfIZakwqy/kc&Link=http%3A//www.gennarocarotenuto.it>Gennaro Carotenuto Giovedì 19 aprile 2007 - 17:22:24 in <http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/storico.asp?s=America+Latina>America Latina E' necessaria una riflessione sul numero di Limes (2/2007) in edicola, intitolato "Chávez-Castro, l'antiamerica". Chi scrive ne ha discusso per oltre un'ora nel programma di Radio RAI Radio3Mondo con il direttore di Limes, Lucio Caracciolo, con uno degli autori, Maurizio Stefanini de Il Foglio e con il conduttore, Gian Antonio Stella, firma del Corriere della Sera. <http://www.radio.rai.it/radio3/radiotremondo/archivio_2007/audio/mondo_pomeriggio2007_04_17.ram>La registrazione può essere ascoltata qui. Nel dibattito radiofonico si è parlato moltissimo di Venezuela e del presidente Hugo Chávez. Molto meno del numero di Limes che eravamo chiamati a presentare. Dal punto di vista dell'ascoltatore, e della riuscita della trasmissione, fa lo stesso. Ma avendo chi scrive scrupolosamente letto un volumotto di oltre 300 pagine, Limes appunto, per dovere professionale sento il bisogno di alcune puntualizzazioni. La novità più importante è che la "Rivista italiana di geopolitica", parla ben poco di geopolitica e molto di altre cose. Parla pochissimo di economia. Per esempio ignora un evento capitale come la chiusura dei rapporti con il FMI da parte di mezzo continente latinoamericano. Non c'è un solo pezzo che contestualizzi l'attuale fase storica dopo il crollo dell'ortodossia neoliberale. Dovendosi occupare di Venezuela non c'è un solo articolo sull'ingresso del paese nel Mercosur né sul Mercosur in generale. Non c'è un solo articolo che si occupi di spiegare come si sia trasformato l'import-export della regione negli ultimi anni. Non ce n'è uno che provi a spiegare che diavolo sia l'ALBA, istituzione forse fumosa, ma di un qualche interesse. Si accenna appena a Mar del Plata, quando soprattutto la cosiddetta "borghesia nazionale" brasiliana, fece saltare il tavolo dell'ALCA, il mercato unico delle americhe voluto da George Bush. Invece il lettore si ritrova con un sacco di spiegazioni sul perché Chávez non sarebbe popolare, sul perché non vada d'accordo con Lula (non va d'accordo?), sul fatto che i candidati che si presume siano stati appoggiati da Hugo Chávez non passano negli altri paesi. In realtà l'unico caso concreto è quello del peruviano Ollanta Humala, ed è senz'altro un tema interessante, ma come mai non c'è una riga sul fatto che, dopo 20 anni di rigidissimo "Washington Consensus", da anni moltissimi candidati con l'imprimatur della Casa Bianca vengano respinti con perdite? Come mai gli Stati Uniti non riescono più a imporre i loro uomini nel loro 'cortile di casa'? Dall'interno del Venezuela si parla moltissimo della figura e della personalità del presidente, sempre in negativo, ma non si parla MAI del Partito, e del cruciale rapporto tra movimento e partito, una chiave di lettura fondamentale degli eventi. Non interessava? O non avevate la persona capace di scrivere un saggio in merito? E visto il ruolo dei movimenti sociali nella nuova politica continentale, dai Sem terra agli indigeni agli zapatisti, sopravvalutati o meno, è possibile che ci sia il silenzio totale? Eppure se vi interessa così tanto Chávez come potete trascurare il rapporto tra Chávez e movimenti sociali come oggetto di studio? Insomma, si tergiversa, si parla d'altro e fin dall'inizio si ha la sensazione che non si voglia capire quello che sta accadendo in America Latina e in Venezuela in particolare, ma si voglia lanciare un anatema, condannare, stendere un cordone sanitario perché l'infezione di un qualcosa che non si apprezza e che anzi si teme, non si estenda ulteriormente. Simbolica in ciò è la parte cubana che occupa almeno un terzo del totale. Ma la maggior parte è costruita su articoli riciclati dalle memorie di castristi pentiti, sempre i soliti nomi, sulla scarsa credibilità etica e scientifica dei quali ha scritto benissimo Maurizio Chierici lunedì 16 sulle pagine de L'Unità. Sono articoli che possono essere stati scritti 20 o 40 anni fa e riusati oggi. Parlano delle passioni giovanili di Fidel Castro, delle sue letture o delle sue relazioni con Nikita Krusciov o Leonid Breznev. E' materiale di risulta che anche senza entrare nel merito non fa onore a Limes e -soprattutto- nulla aggiunge e forse qualcosa leva alla comprensione della Cuba attuale e del perché a 18 anni dalla caduta del muro di Berlino la stampa mainstream non abbia scritto una riga per provare a capire perché Cuba è sempre lì. Strano che si sia trovato spazio per tali articoli ma neanche una riga per spiegare come Cuba sia uscita dall'isolamento e come a Cuba nel 2006 si siano recati rappresentanti dei governi di tutto il mondo, a cominciare dall'indiano Singh. Significativo in questo è il pezzo di Omero Ciai, il latinoamericanista de La Repubblica, sulla bancarotta economica dello stato cubano. E' lo stesso articolo che Ciai ha scritto almeno una decina di volte negli ultimi anni. In genere quando uno stato va in bancarotta a questa segue la fame e poi la sollevazione, la rivolta della popolazione e il bagno di sangue oppure la caduta di un regime. Sarebbe interessante spiegare se, visto che ciò non è successo, nonostante da 18 anni venga paventato, è davvero quella descritta da Ciai la situazione di Cuba. Limes sicuramente non si perita di spiegarlo. Pura repressione? Secondo il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, nelle carceri cubane ci sarebbero 280 dissidenti, meno della metà delle persone detenute nella base di Guantanamo. Ritenta ancora Omero, ma la prossima volta evita di parlare sempre e solo con i soliti compagni di merende del News Café, al numero 800 dell'Ocean Drive di Miami Beach (per prenotazioni, tel. +1 305 5386397), che millanti essere il posto migliore da dove seguire le vicende latinoamericane. Per un altro terzo -come detto- Limes si occupa in maniera urticantemente denigrante della figura di Hugo Chávez. Anche il più ingenuo dei lettori di Limes può rendersi conto dell'artificialità di questa demolizione sistematica. Anche a Radio3 Caracciolo insiste a parlare di "regime Chávez", palesando un'intenzionalità facilmente leggibile. Visto che le parole sono importanti, sarebbe interessante sapere perché Caracciolo parla di "regime Chávez" e non di "regime Lula" o di "regime Prodi" e men che meno di "regime Calderón" in quel Messico con centinaia di prigionieri politici, torturati, bastonati, morti ammazzati, carri armati in strada. Sarebbe interessante sapere perché la "rivista italiana di geopolitica" dedichi (giustamente) molto spazio alle relazioni tra due dei principali produttori di petrolio al mondo, Venezuela e Iran, ma non ci sia uno straccio di articolo sulle relazioni tra Venezuela e Colombia, una delle frontiere più calde del mondo. Quando ho pagato 12 Euro per acquistare Limes, mi hanno venduto un prodotto che promette di andare "nel cuore del continente latino". Evidentemente quella tra Venezuela e Colombia è una frontiera sulla quale bisogna conoscere molto per scrivere cose utili. E allora per Caracciolo è più facile dar credito ad un grande organizzatore di squadroni della morte come John Negroponte che sostiene che l'America Latina sia oramai disegnata tutta come verde nelle mappe di Al Qaeda (sic!). Emerge una volontà costante di spostare il discorso dai processi reali al piano del folklore, dell'esotismo e della denigrazione personale. Il progettato oleodotto continentale deve essere definito 'Hugoducto', altrimenti non sarebbe esaltata la presunta megalomania di Chávez. C'è un dettaglio che svela l'eurocentrismo brutale di Limes. Nella parte sull'America latina, tutte le grandi opere che i governi di sinistra latinoamericani vorrebbero realizzare sono bollate di inconsistenza e megalomania. Nella parte finale della rivista, nella quale si parla di altri temi, ci sono altrettante cartine con le grandi opere progettate in Europa, oleodotti, corridoi, alte velocità. Queste, ovviamente, sono difese da Limes e considerate realistiche, urgenti e indispensabili. Che il presidente boliviano Evo Morales professi un sincretismo tra cattolicesimo e religione aymara è considerata (Stefanini) una dimostrazione dell'inconsistenza del personaggio. C'è un pezzo che parla addirittura di un presunto asse esoterico tra Castro, Chávez e Morales, ma non ce n'è nessuno che parla del sicuro 'asse del male latinoamericano da colpire' teorizzato da Donald Rumsfeld. Forse che una più volte ventilata guerra statunitense contro un paese latinoamericano non è un soggetto interessante per Limes? E il colpo di stato a Caracas dell'11 aprile 2002? Non era un soggetto utile? Perché in Italia non se ne parla mentre il giorno 11 la BBC ha dedicato un importante speciale all'anniversario? Emerge un'intenzionalità costante che a chi scrive risulta offensiva della propria intelligenza, di quella dei lettori, e fuorviante per la comprensione del processo politico latinoamericano. Lucio Caracciolo, insomma, SCEGLIE di parlar d'altro. Pagine e pagine a spiegare che Chávez, Morales, Lula hanno relazioni con gli Stati Uniti. Davvero una rivelazione esplosiva. E' di una parte dell'ultrasinistra europea l'idea bigotta e impraticabile di un cordone sanitario che isoli gli Stati Uniti. I pragmatici governi di sinistra latinoamericani, e se potesse Fidel sarebbe il primo, non vogliono altro che commerciare con gli Stati Uniti. Ma lo vogliono fare su di un piede di parità, non con patti leonini qual'era l'ALCA. E' indicativo che tra tante mappe e mappine, non ci sia spazio in Limes per un articolo ragionato sulle relazioni economiche tra America Latina e Stati Uniti e sul ruolo dei TLC, sulle rotte commerciali Sud-Sud, magari citando la teoria del sottosviluppo. Insomma non c'è nulla o quasi di geopolitico in Limes e molto di aneddotico. Sarà un caso? CHAVEZ FASCISTA? La pochezza di questo numero di Limes si esplicita in tutta la sua debolezza in un saggio, "Bolivarismo e fascismo" (pp. 197-212), firmato da tale Manuel Caballero, che merita di essere analizzato. Dovrebbe essere il saggio pesante, pensato, metodologico, intorno al quale dovrebbe ruotare tutto il numero di Limes. E' il saggio che DEVE dimostrare che Chávez non è altro che un fascista e chi da sinistra guarda a lui si sta sbagliando. Peccato che il signor Manuel Caballero nel saggio stesso dimostra che non passerebbe un esame di prim'anno di Storia Contemporanea in qualunque università italiana. Ne consiglio la lettura. Il tutto si basa su di uno paio di strani sillogismi e molti svarioni che testimoniano più crassa ignoranza che malafede. Il sillogismo di apertura sostiene che siccome Mussolini ammirava Simón Bolivar di conseguenza Bolívar non poteva essere altra cosa che fascista. Al dunque, siccome è noto che anche Chávez ammiri il fascista Bolívar, l'ovvia conclusione è che anche Chávez non sia altro che un fascista. Nel mezzo c'è un paragrafo (p. 201) per il quale la matita rossa si consumerebbe rapidamente. S'intitola pomposamente, Bolívar e la 'religione politica'. La categoria di 'religione politica', derivata dallo storico statunitense di origine tedesca George Mosse, è una categoria eminentemente novecentesca che si attaglia al fascismo in quanto espressione della società di massa. Più prudentemente Caballero potrebbe arrampicarsi sugli specchi e fare dei paralleli tra le forme partecipative venezuelane e il fascismo stesso. Se fosse in buona fede troverebbe ben pochi parallelismi. Epperò lo stesso Caballero afferma testualmente che "nessuno ha ancora capito (sic!) in cosa consista la democrazia partecipativa". Ma, soprattutto, Caballero ce l'ha con Bolívar. E' Bolívar il fascista da rispedire nelle fogne e non importa che non c'è 'religione politica', almeno nell'accezione del dibattito storiografico al quale Caballero pretende di rifarsi, senza '900 e senza masse. Merita di essere letto il guazzabuglio di Caballero sulla 'religione politica' del fascista Bolívar. L'apparato critico è praticamente inesistente, ma vi si legge una perla autentica. A p. 208 Caballero si preoccupa di spiegarci che lo storico Emilio Gentile non va confuso con Giovanni Gentile. Ne siamo commossi, ma in una nostra tesi triennale un qualsiasi studente risulterebbe più scaltro. In chiusura, a rafforzare il suo ragionamento, il signor Caballero sbatte lì un altro sillogismo, ancora più tranchant del primo, ma che ne rivela le semplicistiche ma incrollabili certezze. Si ritrova tra le mani un vecchio, valido e molto noto scritto di Umberto Eco (Il fascismo eterno), lo decontestualizza e lo usa per dimostrare che chiunque sia critico con il liberalismo non possa essere altro che fascista. Per Caballero, tutto quello che non è liberismo è fascismo. Un tale ragionamento non può non riportarci a quel "Progetto per un nuovo secolo americano", quello del profitto come principio morale, che fu propedeutico alle guerre infinite. Mi domando se è possibile che Caracciolo non percepisca come il povero ragionamento di Caballero sia completamente interno al neoconservatorismo più estremo -quello dei Daniel Pipes, per il quale Allende era Hitler- al quale Limes (e il gruppo editoriale l'Espresso), sta oggettivamente facendo da sponda. "Per combattere il liberalismo -scrive con pathos Caballero- ogni bandiera è buona. Se è quella del socialismo, ben venga. O forse si dimentica cos'erano i nazisti? Che il loro nome non era un'abbreviazione di partito nazional-socialista?" Di fronte a cotanta intuitività, credo che non serva aggiungere altro. Stimato Lucio Caracciolo, può un intellettuale raffinato come lei aver pubblicato un articolo di questo livello? A che cosa si deve questo scadimento radicale di contenuti, analisi, selezione, impianto della "rivista italiana di geopolitica", Limes? Devo ancora consigliare alla mia facoltà di confermare l'abbonamento a Limes? <http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/articolo.asp?articolo=1073>http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/articolo.asp?articolo=1073 Parole chiave: <http://www.technorati.com/tags/America+Latina>America Latina, <http://www.technorati.com/tags/Cuba>Cuba, <http://www.technorati.com/tags/Fidel+Castro>Fidel Castro, <http://www.technorati.com/tags/Venezuela>Venezuela, <http://www.technorati.com/tags/Hugo+Chavez>Hugo Chávez, <http://www.technorati.com/tags/RCTV>RCTV, <http://www.technorati.com/tags/Marcel+Granier>Marcel Granier, <http://www.technorati.com/tags/Teodoro+Petkoff>Teodoro Petkoff, <http://www.technorati.com/tags/CNN>CNN, <http://www.technorati.com/tags/Media>Media, <http://www.technorati.com/tags/informazione>informazione, <http://www.technorati.com/tags/disinformazione>disinformazione, <http://www.technorati.com/tags/Limes>Limes, <http://www.technorati.com/tags/Lucio+Caracciolo>Lucio Caracciolo, <http://www.technorati.com/tags/Maurizio+Stefanini>Maurizio Stefanini, <http://www.technorati.com/tags/Gian+Antonio+Stella>Gian Antonio Stella, <http://www.technorati.com/tags/L+Espresso>L'Espresso, <http://www.technorati.com/tags/La+Repubblica>La Repubblica , <http://www.technorati.com/tags/Omero+Ciai>Omero Ciai, <http://www.technorati.com/tags/Radio3Mondo>Radio3Mondo, <http://www.technorati.com/tags/RAI>RAI, <http://www.technorati.com/tags/Bruno+Vespa>Bruno Vespa, <http://www.technorati.com/tags/Emilio+Fede>Emilio Fede <http://www.gennarocarotenuto.it/>http://www.gennarocarotenuto.it REPUBBLICA - ESTERI - 28 maggio 2007 Il canale Rctv era popolarissimo e trasmetteva in Venezuela dal 1953 Il presidente Chavez lo considerava troppo critico nei suoi confronti Caracas, spenta la tv dell'opposizione Incidenti fra manifestanti e polizia Idranti e sfollagente su chi protestava contro la chiusura Proteste per le strade di Caracas contro la sospensione delle trasmissioni dell'emittente Rctv CARACAS - Fine delle trasmissioni per l'emittente televisiva privata Radio Caracas Television (Rctv) che, tra accese proteste di piazza e incidenti, a mezzanotte (le 6 del mattino italiane) è scomparsa dagli schermi venezuelani dopo 53 anni, sostituita dalla nuova Tv di servizio pubblico voluta dal presidente Hugo Chavez, Televisione venezuelana sociale (TVes). Ieri sera davanti alla sede della Commissione nazionale delle telecomunicazioni (Conatel) a Caracas manifestanti scesi in piazza per protestare contro la fine delle trasmissioni della Rctv si sono scontrati con le forze della polizia metropolitana. Secondo la Tv "all news" (di opposizione) Globovision, i dimostranti sono stati attaccati "all'improvviso" dagli agenti che hanno usato idranti e sfollagente. E l'agenzia Reuters riferisce anche di gas e proiettili di gomma, sparati contro le decine di migliaia di manifestanti. Diversa la versione fornita dalla Radio nazionale venezuelana (Rnv) secondo la quale "manifestanti violenti hanno preso di mira il cordone umano creato dalla polizia metropolitana obbligando la stessa a far entrare in funzione i mezzi antisommossa. Dopo alcuni minuti di forte tensione, è ritornata una calma tesa, mentre i media parlano di undici agenti di polizia feriti, alcuni dei quali in modo grave. Molto diversa l'atmosfera fra i sostenitori del governo, che dal Teatro Teresa Carreno di Caracas hanno festeggiato tutta la notte per la nascita della nuova tv, TVes, presentata dalla sua presidentessa Lil Rodriguez come una "emittente pubblica, pluralista, educativa e partecipativa" con la dichiarata ambizione di "cambiare la vita di tutti i venezuelani". La nuova televisione ha inaugurato le trasmissioni con l'inno nazionale, Gloria al Bravo Pueblo, interpretato dall'Orchestra sinfonica nazionale della gioventù venezuelana diretta da Gustavo Dudamel. Sollevando moltissime critiche a livello internazionale e numerose proteste nazionali, Chavez aveva fatto sapere cinque mesi fa di non voler rinnovare la concessione al canale televisivo Rctv e di volerlo sostituire con un'emittente statale per promuovere i valori della sua rivoluzione socialista: già nelle scorse settimane moltissime persone erano scese in piazza - giornalisti, studenti ma anche tanta gente comune - contro la chiusura della televisione, invocando la libertà di stampa, che, secondo la Rctv "è stata calpestata". Giudizio non condiviso dal governo, che appoggiandosi alle leggi venezuelane e a sentenze del Tribunale supremo di giustizia (Tsj), ha rivendicato la decisione come suo diritto per orientare la politica informativa e culturale nazionale. Rctv, un'emittente popolarissima - la sola a coprire tutto il territorio venezuelano insieme a Vtv - andava in onda dal 1953, ed era considerata troppo critica dal presidente, che la accusava anche di aver simpatizzato con il colpo di stato che cinque anni fa l'aveva spodestato per due giorni. "Presto torneremo": così hanno salutato il pubblico i giornalisti e il personale della Rctv, ieri, durante l'ultimo giorno di programmazione. E Marcelo Granier, presidente della società 1BC che controlla la Tv Rctv, ha mandato un messaggio ai venezuelani in cui assicura che, nonostante la scomparsa del segnale dall'etere, "continueremo a lottare con fermezza e convinzione per la libertà e la democrazia". "Con la chiusura di Rctv - ha detto ancora - i venezuelani vedono confermati i propri timori: il governo vince ma non convince, la sua sarà una vittoria di Pirro, perché perde più di quello che guadagna. Perde il riconoscimento internazionale e perde il rispetto del popolo". <http://www.repubblica.it/2007/05/sezioni/esteri/caracas-televisione/chiusura-televisione/chiusura-televisione.html?ref=kwhpt2>http://www.repubblica.it/2007/05/sezioni/esteri/caracas-televisione/chiusura-televisione/chiusura-televisione.html?ref=kwhpt2 Leggi GRATIS le tue mail con il telefonino i-mode™ di Wind <http://i-mode.wind.it/>http://i-mode.wind.it/
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