:: Latino Tour di G.W. Bush - Analisi di un viaggio a vuoto
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- Date: Fri, 23 Mar 2007 17:40:35 +0100
------------------------------------------ Associazione Culturale SELVAS.org Osservatorio Informativo Indipendente sulla Regione Andina e il continente Latinoamericano sede legale: Milano - ITALIA :: Latino Tour di G.W. Bush Analisi di un viaggio a vuoto Di Tito Pulsinelli* PDF--> http://www.selvas.org/download/brevi/BushTour220307.pdf Nella foto, il picchetto d’onore colombiano viene perquisito da agenti statunitensi prima dell’arrivo di Bush Il tour latinoamericano di Bush era stato preceduto da una intensa campagna pubblicitaria in cui i “creativi” hanno attirato l’attenzione, toccando tasti davvero insoliti: la lotta di Bush contro la povertà, e quella che avrebbe sempre accomunato Giorgio Washington e Simone Bolivar. Troppo bello per esser vero, troppo contrastante con la cruda realtà di un Presidente che –guerra al terrorismo a parte- ha poco da offrire: 64 milioni di dollari e una scuola per infermieri da aprirsi in Belize, per le esigenze mediche dell’emisfero. A mani vuote, dunque, ma è ripartito con in tasca qualcosa di concreto? Non si direbbe. Accordi definitivi firmati, nessuno. Nella prima tappa a Montevideo è stata ribadita la volontà comune di quagliare qualche accordo commerciale preferenziale. Ma Tabarè Vazquez è frenato dalle resistenze di buona parte della sua compagine governativa e della coalizione sociale e politica che lo ha portato alla Presidenza. In tali condizioni, è difficile forzare la situazione, non può arrivare allo “strappo” con i soci del MERCOSUR senza contropartite più vantaggiose. Traspare l’intento scoperto di Bush di tirare per la giacca l’Uruguay, e trasformarlo in un cuneo per aprire crepe nell’integrazione regionale, però offre solo la promessa di “lavorare duro” sulla questione del protezionismo e della riduzione delle sovvenzioni all’agricoltura. Il secondo scalo è stato a Brasilia, e qui si è avuto il risultato più brillante del tour: il lancio publicitario su scala mondiale dei “combustibili ecologici”: etanolo ed altri derivati dell’agro-energia, di cui i due Paesi sono leader mondiali. I cariocas lo estraggono dalla canna da zucchero, i nordamericani dal mais ma –mistificazioni pubblicitarie a parte- l’etanolo rappresenta solo il 2% della produzione globale di energia. Siamo molto lontani dalla svolta epocale: gli USA puntano alla meta dell’8% e -soprattutto- a smantellare con l’alibi ecologico le barriere contro gli OGM. Bush ha nicchiato sulla richiesta di diminuzione delle imposte per l’accesso dell’etanolo brasiliano. Se ne riparlerà in aprile quando Lula andrà alla Casa Bianca con il proposito di trattare obiettivi più ambiziosi. L’etanolo, però, ha un limite intrinseco: ci vuole 1 ettaro di mais per ottenerne 18,8 litri. Per riempire il serbatoio di un’automobile durante un anno, si sacrifica il consumo annuale di mais di quella stessa persona. La terra alimenterebbe i motori. Agricoltura al servizio dell’industria automobilistica, aumento della denutrizione planetaria, estensione del latifondismo transgenico e delle monocolture. Orizzonte radioso per la Monsanto e pochi altri. Terza tappa in Colombia, a riconfermare il connubio con il governo di Uribe che si trova in cattive acque: sono stati messi a nudo i legami di complicità tra il suo governo e i paramilitares. Bush rinnova il patto strategico con Bogotà, basato sul Plan Colombia e sulla scommessa di poter risolvere l’annoso conflitto sociale interno solo con i mezzi militari. Gli Stati Uniti ribadiscono i “legami carnali” con la Colombia, che rimane l’alleato preferito. Capta ben 5 miliardi di dollari, praticamente l’esclusiva degli “aiuti” finanziari destinati al continente. Questo dato testimonia che la Casa Bianca –anche lontano dal teatro di operazione mediorientale- predilige investire in guerre o guerre civili. Quarta tappa in Guatemala, quasi un’escursione, toccata e fuga. Sul tavolo di discussione c’è la questione migratoria. Paradossalmente, mentre Bush atterrava all’aeroporto La Aurora, su di un’altra pista un aereo scaricava 250 emigrati guatemaltechi deportati. Una veloce escursione verso il nordoccidente, nella zona dei maya cakchiquel. Solo 40 minuti di visita ad una coperativa agricola di Chimaltenango, frutto di un finanziamento umanitario degli Stati Uniti che risale agli anni ’80. Poi una puntata di 25 minuti nella vicina Ixmichè, antico centro cakchiquel distrutto durante la conquista coloniale. Incontro e foto con i notabili locali. L’elicottero si innalza nel cielo, i contadini possono finalmente entrare nel centro archeologico, e procedono ad una cerimonia di “limpia”, per purificare ed allontanare i “malos espirititus”. Il Presidente e la sua comitiva, dopo aver sorvolato la selva del Peten, arrivano in Yucatán, nella bianca ed assolata Merida. E’ l’ultima tappa del tour, dove incontra le massime autorità messicane. Non si può pensare che abbiano parlato di libero commercio, visto che il commercio del Messico è al 90% con gli Stati Uniti (più Canada), cioè a senso unico. Avranno parlato della privatizzazione dell’industria petrolifera statale PEMEX? Qui è affiorata visibilmente la vulnerabilità di Bush, visto come un Presidente dimezzato o in uscita. Calderon si è dato il lusso di dichiarare che non si farà usare come un ariete contro Cuba e il Venezuela, e che il Messico praticherà una politica di equidistanza, per cercare di riprendere i contatti perduti con l’America latina. Che bilancio si può trarre? Bisogna considerare che il varo della Banca del Sud ad opera dell’Argentina e del Venezuela –sottoscritto durante il contemporaneo giro di Chavez in sei capitali- e la costruzione di raffinerie venezuelane in Nicaragua, Repubblica Dominicana, Haiti e Giamaica, sono risposte concrete a problemi specifici e concreti. In particolare, l’intesa tra Caracas e Buenos Aires ha una portata che va oltre i limiti delle politiche di corto respiro. La Banca del Sud raccoglierà il 10% delle riserve monetarie dell’area e ridimensionerà definitivamente l’importanza del FMI e della BM nel subcontinente Di fronte ai tentennamenti del Brasile, e alla sua tentazione storica di agire come un sub-impero del sud che cerca l’intesa diretta con quello del nord, si rafforza la tendenza degli altri Paesi sudamericani a sedimentare un contrappeso significativo. Il governo carioca, desideroso di chiudere la Ronda di Doha dell’OMC, è stato criticato per l’eccessiva malleabilità, ed ha destato varie preoccupazioni nel Gruppo dei 20 (G20). La sua massa demografica e la mole della sua economia ne fanno il perno del blocco sudamericano, ma i restanti Paesi piccoli e medi devono necesariamente coordinarsi per evitare che il MERCOSUR oggi, e l’Unione sudamericana domani, ballino solo al ritmo del samba. L’insistenza e il fastidio con cui a Washington denunciano la “diplomazia petrolifera” di Chavez, ridicolizzato come uno che “compra” le alleanze, è davvero singolare. Forse anche paranoica: basta confrontare il prodotto interno lordo degli USA e del Venezuela. In ogni caso, non spiega come l’interscambio tra i Paesi del MERCOSUR sia aumentato del 250% negli ultimi tre anni. Una risposta, forse, la fornisce Daniel Ortega quando rivendica 300 milioni di dollari per i danni provocati ai nicaraguensi (sandinisti e contras) dalla guerra civile sovvenzionata dalla Casa Bianca: “Devono essere capaci di saper finanziare anche la pace e lo sviluppo”. Il consolidamento dell’asse Caracas-Buenos Aires è l’elemento di maggiore proiezione, con più incidenza a breve scadenza sul ritmo e sulla direzione di marcia dell’integrazione regionale, al cui interno si sta configurando una aggregazione che dovrà fare da contrappeso all’elefante brasiliano.
*Analista continentale, ha pubblicato numerosi testi sulla geopolitica latinoamericana per l'Osservatorio Indipendente Selvas.org. (Il presente articolo è utilizzabile con la citazione dell'Autore e della fonte) |
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