PeaceReporter - Dieci anni dopo



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Dieci anni dopo
In Chiapas, Messico, il primo gennaio 1994, l'Esercito Zapatista di
Liberazione Nazionale dichiarava guerra al governo messicano occupando,
armi alla mano, San Cristobal de Las Casas. Al grido di "Tierra y
Libertad", gli indios di origine maya dicevano basta a quattro secoli di
sfruttamento. Quello slogan ha fatto il giro del mondo e lo zapatismo è
diventato l'anima di ogni protesta nel pianeta. Sono passati dieci anni


31 dicembre 2003 - Uno vede gente armata che occupa una città, che dichiara
una guerra impossibile e si chiede: "Perché?".
La domanda, magari, sembra pellegrina, eppure...

Eppure, esattamente dieci anni fa, il 1 gennaio del 1994 era l'unica
domanda possibile, vedendo decine di persone basse, magre, con enormi
fucili tra le mani, occupare con metodicità e rigore San Cristobal de Las
Casas nel cuore della notte.

Ero là, a guardarli. Un po' sbronzo per la festa di capodanno, ma c'ero. Ed
ero il giorno dopo a girare per San Cristobal, facendo domande, cercando di
capire. Qualche risposta la ebbi dal sub comandante Marcos, ancora uomo,
non mito.
La spiegazione che cercavo, però, me la diede una miliziana dell'Esercito
Zapatista di Liberazione Nazionale. Aveva una lunga treccia che spuntava
dal passamontagna nero e mangiava del pane, seduta sotto i portici in
piazza. "Meglio morire per un colpo di fucile, che di fame", mi disse.
Elementare, ma fu come una fucilata diritta al cuore.

Dieci anni dopo, in Chiapas la fame uccide ancora, così come ammazzano la
diarrea, il tifo e la banale assenza di strutture sanitarie. Il Chiapas è
ancora lo stato più povero della Repubblica Federale del Messico. S' arriva
laggiù, si guardano le città e i paesi, si ascoltano le voci del mercato e
viene da chiedersi quale sia davvero la traccia lasciata dalla rivoluzione
zapatista. L'impressione è che la risposta vada spezzata, frantumata. Da un
lato c'è il riflesso internazionale che ha avuto. Qualcuno - specialmente
in questi giorni di celebrazione - vede in questo la parte migliore dello
zapatismo. La sollevazione della Selva Lacandona - per rifarsi al primo
proclama di quel gennaio del '94 - ha rivitalizzato in tutto il mondo una
protesta che sembrava sopita, ha riacceso le speranze di chi si oppone al
mercato selvaggio, di chi vuole il rispetto dei diritti civili, degli
uomini. Ha ragione, probabilmente, chi dice che senza lo zapatismo non
sarebbe nato il movimento "no-global" e ogni opposizione sarebbe stata
domata.

All'interno, invece, tutto è più complesso. Gli Accordi di San Andres,
firmati il 16 febbraio del 1996, dovevano essere il grimaldello per vincere
la lotta iniziata dagli indios chiapanechi. Dovevano sancire, finalmente,
il "riconoscimento alla libera determinazione dei popoli indigeni",
modificando la Costituzione del Messico. Quattro secoli di sfruttamento
sistematico, di negazione al diritto di vivere, di perdita di identità e
"faccia" sembravano terminati. Non è stato così.
In quasi otto anni ci sono stati il massacro di Acteal (1997), la sconfitta
del Partito Rivoluzionario Istituzionale alle elezioni presidenziali dopo
80 anni (2000), la marcia pacifica su Città del Messico (2001) e la nascita
dei Caracoles, quest'anno, cioè dei municipi autonomi zapatisti. Nulla,
però, è davvero cambiato.

Gli Accordi sono finiti nel dimenticatoio. L'Ezln ha rinunciato alle armi,
ma non a lottare, disperatamente. Nella Selva o nell'Alto del Chiapas, lo
zapatismo seguita la battaglia più difficile: dare dignità ad un popolo che
era perduto. Continua a rendere vive migliaia di persone che erano
scomparse dalla geografia e dalla storia.
E' questa la vittoria della rivoluzione iniziata dieci anni fa.
E nessuno potrà più tornare indietro.

Raffaele Crocco

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