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guatemala: Non ce l'ha fatta. Efraim Rios Montt
- Subject: guatemala: Non ce l'ha fatta. Efraim Rios Montt
- From: "nello margiotta" <nellomargiotta55 at virgilio.it>
- Date: Thu, 13 Nov 2003 18:32:12 +0100
Guatemala, 11 novembre 2003 Non ce l'ha fatta. Efraim Rios Montt, l'ex dittatore, il genocida, non e' riuscito a coronare il suo sogno di arrivare, per vie democratiche questa volta, alla presidenza della Repubblica del Guatemala. Non gli e' servito comprarsi parte dei giudici della Corte Costituzionale perche' ammettessero la sua candidatura, in barba alla costituzione che glielo vietava; non hanno risposto come sperava le PAC (Patrullas de Autodefensa Civil, paramilitari), da lui riportate in vita con la promessa del pagamento di una somma a compensazione dei "servizi prestati alla patria durante il confronto armato interno"; non e' bastato distribuire "doni", utilizzando denaro pubblico, a centinaia di campesinos; a nulla sono valse le minacce agli oppositori, le intimidazioni ai rappresentanti dei diritti umani, gli attacchi alla stampa. La prima reazione ufficiale del suo partito, il Frente Republicano Guatemalteco, e' arrivata solo oggi ed e' stata perfettamente in linea con le dichiarazioni della campagna elettorale che dipingevano il generale come vittima di una campagna diffamatoria montata contro di lui dai suoi oppositori. Vittima. La colpa e' degli altri, quindi. Nessun riferimento ai disastrosi 4 anni di governo del partito, segnati da eclatanti episodi di corruzione, dalla violenza, dalla totale mancanza di rispetto degli accordi di pace. Silenzio anche sugli episodi piu' recenti, come il "jueves negro" (24/7) quando centinaia di simpatizzanti (veri e dell'ultimo minuto, convinti dalla ricompensa promessa) e numerosi esponenti parlamentari del Frente, armati e incapucciati, avevano invaso la capitale, tenendola sotto assedio per un' intera giornata. (Del resto, la figlia del generale riferendosi a quella giornata l'aveva ribattezzata "jueves de dignidad"...). Nessuna parola, infine, sulle evidenti manifestazioni di rigetto nei confronti del generale avvenute in varie parti del paese durante la campagna elettorale. Una campagna contro la candidatura di Rios Montt in effetti c'e' stata, anche se non si puo' certo definirla "negra". Gli argomenti per alimentarla, al contrario, erano tanti e tali da garantirne un'auto-alimentazione perenne. Stampa, opposizione e organizzazioni di diritti umani, nazionali e non, pur se mossi da motivazioni differenti, si sono trovati d'accordo sulla necessita' di scongiurare il pericolo dell'elezione del generale. E fino all 'ultimo, anche quando ormai i sondaggi sembravano ricompensare gli sforzi fatti, il timore che l'incubo potesse avverarsi e' stato presente e palpabile in tutti. La paura, piu' che giustificata dalla violenza crescente di quest ultimi mesi, era tanta e tale che alla fine quella che e' stata una giornata elettorale non proprio modello e' stata salutata da un coro unanime di elogi e felicitazioni. Una festa civica, un successo del popolo e della democrazia. Un successo e' stata sicuramente la forte affluenza alle urne, in un paese abituato ad alte percentuali di astensionismo e questo nonostante la mancata approvazione di una legge di decentralizzazione, da tempo annunciata, che ha costretto ancora una volta gli abitanti delle comunita' rurali a farsi ore di viaggio per raggiungere i seggi. Gia' dalle prime ore dell'alba le code erano lunghissime e l'atmosfera di grande attesa. La prima spiacevole sorpresa e' arrivata con l'apertura dei seggi. Molte persone, arrivato finalmente il loro turno, si sono sentite comunicare che il loro nome non appariva nel registro elettorale, e che dovevano fare un' altra fila, riscriversi e tornare alla fila di partenza. La spiegazione? Tutt'ora rimane un mistero. Nel migliore dei casi si tratta semplicemente di disorganizzazione. Di che scoraggiarsi, comunque, dopo un'attesa durata ore. E in effetti ad alcuni la dose di pazienza si e' esaurita in quel momento; i piu' morigerati hanno rinunciato a votare, i meno "comprensivi" hanno dato fuoco alle urne. A Chajul, nella regione del Quiche', la folla in attesa era tale e tanto ammassata che quando e' stata aperta l'unica porta del salone in cui si trovavano i seggi, 3 persone sono rimaste travolte e uccise. Gli incidenti sono continuati anche durante lo spoglio dei voti e la comunicazione dei primi risultati. Sempre nel Quiche', a Cotzal, sostenitori del Partito Unionista hanno impedito per ore che le casse con le schede uscissero dalla sede locale del Tribunale Supremo Elettorale. Non erano d' accordo con il risultato ufficiale, che vedeva perdente per soli 21 voti il loro candidato a sindaco e denunciavano a gran voce presunte frodi da parte del FRG, dall'acquisto di voti, alla presenza di persone decedute nel registro dei votanti. Sono dovuti intervenire la polizia e Minugua (la missione Onu per il Guatemala) a sedare gli animi. Insomma, queste elezioni non sono certo state un esempio di efficienza e trasparenza, ma in confronto alle aspettative per lo meno si possono considerare accettabili. Sempre che, naturalmente, si consideri accettabile il "meno peggio". Anche il risultato non rappresenta forse l'opzione migliore per il paese, ma la "meno peggio", appunto, e al momento l'unica possibile. Oscar Berger, il vincitore di questo primo turno, esponente della oligarchia del caffe', non e' nuovo in politica. E' stato sindaco della capitale per il PAN (Partido de Avanzada Nacional) e da quel partito si e' staccato, per ragioni di protagonismo, all'inizio di quest'anno fondando la GANA, Gran Alianza Nacional. Nella sua alleanza, oltre ai settori forti dell'economia guatemalteca, e' ben rappresentato anche l'esercito, nella persona del dirigente del Partito Patriota, Otto Perez Molina, ex generale distintosi nella politca contro rivoluzionaria. Alvaro Colom, secondo, almeno per ora, nelle preferenze, e' un imprenditore del settore manifatturiero, e anche nel suo partito, la UNE (Unidad Nacional de la Esperanza) sono confluite persone con un passato in governi controrivoluzionari, a partire dal suo vice, ex funzionario in governi militari. La maggioranza guatemalteca, la popolazione indigena, continua a non avere, e a non trovare, un rappresentante istituzionale. E continua a rappresentare la parte piu' povera e vulnerabile del paese. Certo, nessuno dei candidati si e' dimenticato di promettere diritti e regali, anche se a volte tali dichiarazioni sono state fatte con un tono e un contenuto tali da non far sperare grandi cambiamenti in positivo nel prossimo futuro. Di certo c'e' che l'eredita' e' quella di un paese difficile da gestire, chiunque si ritrovi a doverlo fare. La poverta', resa ancora piu' evidente dalla crisi del caffe' e del cardamomo, la scia di violenza e cicatrici lasciate da 36 anni di guerra interna, la discriminazione, un esercito esageratamente grande e potente e una polizia poco efficiente, sono tutti problemi che non si risolveranno certo nei prossimi 4 anni. Di buono c'e' che queste elezioni hanno comunque segnato il passo a un nuovo corso, una svolta che si spera democratica. In dubbio rimane la reazione di Rios Montt a questa nuova situazione che lo vede, da gennaio quando perdera' ufficialmente tutti i diritti dell'immunita ', perseguibile per genocidio. I suoi avversari piu' determinati, le organizzazioni di diritti umani, hanno gia' iniziato a muoversi in quel senso. Fabiana Maffeis, osservatrice elettorale internazionale per la Fondazione Rigoberta Menchu' Tum.
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