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Ribelli nel Cochabamba
- Subject: Ribelli nel Cochabamba
- From: "Nello Margiotta" <animarg at tin.it>
- Date: Mon, 5 May 2003 16:06:32 +0200
http://www.ilmanifesto.it/oggi/art53.html Sulle Ande della Bolivia dove si coltiva la coca e si lotta per l'acqua GIUSEPPINA CIUFFREDA DI RITORNO DALLA BOLIVIA Sarà l'energia particolare delle Ande o quella della coca qui rigogliosa a fare del Cochabamba una terra di ribelli. Speciale per la sua natura ammaliante, la regione è infatti l'epicentro dei movimenti sociali indigeni che nello scorso febbraio hanno messo in crisi il governo del presidente Gonzalo Sanchez de Lozada, detto «Goni»: qui è nata infatti la Coordinadora del agua y la vida, che ha vinto la battaglia contro la privatizzazione dell'acqua, e anche la Federazione dei cocaleros, i contadini che da anni resistono alla eradicazione della pianta della coca. In Bolivia la coca viene coltivata in due zone: nelleYoungas vicino La Paz e nel Chapare, una delle provincie del dipartimento di Cochabamba, dove vivono 45mila famiglie, sei figli di media. E' qui che si è concentrata la politica di eradicazione. La regione è oggi un territorio militarizzato e il confine è sorvegliato dall'esercito e dai cani addestrati. Passato il varco, si viaggia attraverso un paesaggio andino denso di foreste tropicali con ampie zone ancora vergini, un bellezza che contrasta con il degrado e la sporcizia delle costruzioni. L'85 per cento della popolazione è indigena e coltiva da sempre la coca di cui mastica le foglie essiccate. La Bolivia è diventata uno dei lati del triangolo mondiale della droga insieme a Perù e Colombia solo dagli anni Settanta. La coca infatti non è cocaina da sniffare (lo è il cloridrato di cocaina, preparato industriale elaborato a partire dal principio attivo della coca) ma una pianta officinale con molte proprietà. «La coca è sacra per noi popoli andini come per voi cristiani è la Bibbia. Può dare una conoscenza profonda ed aiuta nel lavoro fisico». Chi parla è Marcelo, un piccolo indio gobbo dal volto sereno. E' stato colpito dal fulmine, letteralmente, ed è diventato sciamano. Ricorda che gli spagnoli costrinsero gli indigeni nelle miniere e solo alcuni sopravvissero grazie alle sacre foglie. Perché la coca, narra la leggenda, è un regalo di una Dea vergine che la donò agli Incas insieme alla quinea, un cereale: la coca per allieviare la pena e, per sfamare il popolo, la quinea, un alimento completo che un'impresa Usa ha tentato di brevettare. Sono i bianchi a mutare la natura della pianta, e Marcelo ricorda un'antica profezia: «...quando il bianco vorrà fare lo stesso e oserà utilizzare come voi queste foglie, gli succederà tutto il contrario: il suo succo che per voi è forza e vita, per i vostri padroni sarà vizio ripugnante e degeneratore, e mentre per voi indios sarà un alimento quasi spirituale a loro causerà stupidità e pazzia». A Lauca Ñ una località vicina al villaggio di Chimorè, a metà aprile si riunisce lo stato maggiore dei cocaleros, 284 delegati delle federazioni. Sono presenti anche due deputati del Mas, Jorge Ledezma e Louis Salva, e i massimi dirigenti contadini del Chapare: Feliciano Mamani e Leonida Zurita. Le denunce delle violenze subite dall'esercito e dalle Umopar, le forze speciali antidroga attive dal 1988, veri e propri racconti di amarezza, si alternano a dichiarazioni politiche e di mobilitazione. «Non c'è giustizia per i poveri» è la frase più usata, in castigliano e in quechua, e anche «Ci trattano come animali». Nessun processo è stato iniziato infatti contro i militari che hanno ucciso o mutilato durante le proteste che si sono susseguite nei diciotto anni di resistenza (33 i morti e 200 i feriti soltanto nella sollevazione antitasse dello scorso febbraio). Ad Epifania hanno ucciso il marito, Josè non può più lavorare. Efrain ricorda il fratello, studente di ingegneria, per il quale i genitori avevano fatto sacrifici enormi. Esteban Garcia ha la faccia deturpata, la mandibola fracassata da un proiettile (verrà operato in Italia, grazie all'interessamento dell'ospedale Giovanni Bosco di Torino e del deputato verde Mauro Bulgarelli, che ha partecipato a una carovana italiana di solidarietà con gli indigeni e i contadini della Bolivia organizzata dalla Federazione dei Verdi e da una serie di associazioni tra cui Ya Basta, Beati i costruttori di Pace, Rayos del Sol e Carta). Fructuoso Erbas è stato colpito a terra, mentre portava in strada caschi di banane invendute ed ha una gamba tagliata. Affermano tutti che l'eradicazione forzata li lascia senza reddito e le altre colture suggerite - banane, mandarini, arance - non funzionano perché non c'è mercato: a Chimoré un casco di banane viene svenduto per meno di due boliviani, circa 25 centesimi di euro. Gli aiuti - 35 milioni di dollari in cinque anni da Usa e Ue - non varcano il confine. I contadini vogliono continuare la coltura della coca, mezzo ettaro a famiglia, per l'uso tradizionale, per farne tè (mate) e per nuovi possibili sbocchi, come cosmetici e farmaci, e chiedono al governo una pausa nell'eradicazione, il ritiro dell'esercito, delle forze speciali e della Dea americana. Per Leonida Zurita la distruzione della coca è una falsa lotta al narcotraffico perché i trafficanti non sono i contadini, ma si trovano nelle alte sfere del potere locale e negli Stati Uniti. E ricorda le otto tonnellate di cocaina trovate in una caserma e connesse al genero dell'ex presidente Banzer, il neo fascista italiano Deodato. Ma, lamenta, gli alti livelli non vengono mai toccati. Una successiva visita nel carcere San Sebastian a La Paz, dove sono detenuti donne e uomini condannati sulla base della legge antidroga 1008, lo conferma: nessun «pezzo grosso», solo piccoli spacciatori e manovalanza varia. Oppure scattano operazioni sconcertanti, come il recente arresto a La Paz, a casa di un deputato del Mas, del colombiano Francisco Cortez, «Pachito», indicato come dirigente delle Farc, una delle guerriglie colombiane, in missione tra i cocaleros. Ma Pachito è un noto leader nazionale del sindacato dei contadini colombiani, l'Anuc, associato a Via Campesina, e per la sua liberazione ha lanciato un appello urgente il Collettivo degli avvocati, prestigioso gruppo di Bogotà guidato da Alirio Uribe, vice presidente della Federazione mondiale dei diritti dell'uomo. Degli alti livelli intoccabili fa parte anche la Coca Cola. La multinazionale ha sempre negato di utilizzare la coca, ma un recente articolo di Narconews cita il sottosegretario boliviano Ernesto Justiniano, che afferma di aver autorizzato l'esportazione di 159 tonnellate di coca verso gli Stati uniti «per la produzione della bevanda Coca Cola». L'ingiustizia nel trattamento, che ha stimolato lo slogan Eradicare la Coca Cola, le condizioni di lavoro e l'essere di fatto uno dei simboli degli Stati Uniti, accusati di aver fomentato anche una serie di golpe nel paese, ha fatto sì che a febbraio durante la sollevazione contro l'aumento delle tasse, proprio davanti allo stabilimento della Coca Cola di El Alto, a La Paz, si siano radunate quattromila persone. Che sono state prese a fucilate la mattina da cecchini appostati sui tetti della fabbrica, e nel pomeriggio dieci minuti dopo che un elicottero delle forze aeree boliviane vi era atterrato. Sette i morti tra cui Titu Intipampacau, un giovane studente. Il racconto è del parroco, padre William, e di Julia, la sorella di Titu. Ma le rivendicazioni non si fermano alla coca. I cocaleros lanciano infatti una piattaforma economica fondata sulla giustizia e sulla sovranità nazionale per soddisfare i bisogni fondamentali di una popolazione esigua, otto milioni di abitanti sparsi su un territorio vasto e ricco di risorse, che vive per il 70 per cento sotto la soglia di povertà. Indigeni e coca li troviamo anche a Cochabamba città, il capoluogo della regione. E'il terzo anniversario della «Guerra dell'acqua» e nella piazza principale si ricorda l'evento anche con una cerimonia che distribuisce foglie di coca, da masticare insieme. La comunione indigena è accompagnata da comizi politici estemporanei in cui si cimentano i giovani. La vicenda è nota perchè è la prima vittoria al mondo di una popolazione contro una multinazionale, la International Water Holdings (di proprietà della statunitense Bechtel e dell'italiana Edison), che avrebbe dovuto gestire per 40 anni la fornitura di acqua nel Cochabamba attraverso il consorzio Aguas del Tunari. La rivolta è scoppiata dopo l'aumento delle tariffe del 200-300 per cento e la decisione di abolire gli usi civici. In Cochabamba infatti viene ancora utilizzato lo straordinario sistema idrico creato dagli Incas che forniva l'acqua delle Ande a tutto l'impero. Le comunità contribuivano alla costruzione e alla manutenzione. Un sapere che ha resistito agli spagnoli e alle dittature. Le decisioni della Coordinadora sono state prese nel salone dove oggi si commemora la battaglia. Un video mostra gli scontri nelle strade con l'esercito, protagonisti i giovani. Victor Hugo Dassa, 17 anni, muore ucciso da franchi tiratori. Richard Ledezma, studente di medicina, viene ferito alla testa in modo tale che solo oggi sta cominciando a reimparare faticosamente l'alfabeto. Juan racconta della gente, tantissima, che in strada ballava e cantava. Ramiro critica il consumismo e afferma che chi sceglie di lottare deve essere disposto anche a cambiare qualcosa nella propria vita. Presiede l'incontro Oscar Olivera, leader riconosciuto della Coordinadora, anche se preferisce definirsi «uno dei tanti che hanno lottato», che sottolinea il carattere profondamente democratico della sollevazione. Ora la Coordinadora deve affrontare il ricorso presentato dalla multinazionale, che pretende 25 milioni di dollari per profitti mancati, ma non è sola perché ben 300 associazioni di 50 paesi sostengono la sua difesa.
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