Comunicato del subcomandante Marcos



L'unità è pluralità e rispetto. Pubblichiamo il testo del comunicato
indirizzato dal subcomandante Marcos a nome dell'Esercito zapatista di
liberazione nazionale, alle manifestazioni di sabato 12 aprile, a Città del
Messico e in tutto il mondo, contro la guerra. Il comunicato, datato 12
aprile, è stato pubblicato da La Jornada di Città del Messico domenica 13
aprile.

Al popolo del Messico. Ai popoli del Mondo.
Fratelli e sorelle:
Oggi, in tutto il mondo, si stanno svolgendo mobilitazioni per ripudiare
la guerra di Stati uniti e Gran Bretagna contro il popolo dell'Iraq.
Vogliamo quindi iniziare il nostro comunicato con un saluto a tutti gli
esseri umani che, nel mondo e in altre parti del Messico, manifestano per
dire "no" alla guerra del potente.
Non si può respingere una guerra senza identificare chiaramente chi la sta
conducendo, come se fosse possibile condannare un crimine prestando
attenzione a non citare e non far arrabbiare l'assassino. Là, in alto, dove
il denaro è Dio e padrone, celebrano una vittoria che non è altro che un
imbroglio macchiato di sangue arabo che, non dimentichiamolo, è sangue
umano, sebbene i grandi monopoli dell'informazione vogliano convincerci del
contrario.
Là, in alto, il signore della paura si frega le mani, pensa che adesso
potrà regnare senza che più nessuno lo possa sfidare. Pensa che il
principale obiettivo di questa guerra, la mondializzazione della paura e
della sottomissione, sia stato raggiunto.
Là, in alto, il ciclope del potere è felice perché il suo sguardo gioisce
del sangue, del sangue dell'altro, del sangue del diverso.
Se il potere del denaro pensa di aver vinto l'umanità, è perché guarda
solo a se stesso ed ai suoi cloni nani che pullulano nei vertici
dell'Organizzazione delle Nazioni unite e nei diversi governi del mondo,
tra i quali il governo del Messico.
Ora, mentre si festeggia la caduta di Baghdad, i governi che inizialmente
si erano opposti alla guerra, mostrano il loro vero volto negoziando tra
loro la spartizione del bottino.
Perché la guerra è un affare, ed il dopoguerra è un affare. E, in affari,
nessun imprenditore vuole restarne fuori ed aspira anche solo a qualche
briciola del festino che il governo degli Stati uniti prepara per un popolo
che, secondo i media, si presenta sconfitto e vinto.
Ma il potere si sbaglia. Si sbaglia sempre. La sua guerra attuale non ha
mondializzato la paura, non ha globalizzato la sottomissione, se non quella
della classe politica. No, questa guerra ha internazionalizzato
l'indignazione, il rifiuto, la protesta, il "No". Se si deve riconoscere
qualche cosa al governo statunitense attuale, è che in poche settimane ha
ottenuto quello che a Hitler costò anni ottenere: far risvegliare il
ripudio di milioni di esseri umani in tutto il pianeta.
Quindi, quello che ci unisce non è solo il "No" alla guerra. Stiamo
manifestando anche per far sapere ai governi del mondo che non abbiamo
paura e che non siamo vinti. Al posto della paura e della sconfitta, è
l'indignazione che oggi si veste di tutti i colori e parla in tutte le
lingue, cammina ovunque ed arde nel cuore di uomini, donne, anziani,
giovani e bambini.
Ma dobbiamo sapere che il presente festino di morte e distruzione non
provoca solo rifiuto e indignazione.
Il fondamentalismo che, usando come alibi il Dio dei cristiani, conduce
questa guerra, farà nascere altri fondamentalismi. Nella logica del codice
genetico del potere, il terrore è un figlio siamese a due teste ma con uno
stesso passo: il passo della distruzione. Il caos di domani sarà il
risultato del "nuovo ordine mondiale" che, in questi giorni terribili e
vergognosi, hanno guidato i missili "intelligenti" caduti in Medio Oriente.
Non c'è miglior immagine del "nuovo ordine mondiale" dei saccheggi e dal
ceos nelle città "liberate" dalle truppe statunitensi e britanniche.
"Liberate", così i potenti hanno definito le città che oggi sono formate
dai civili morti e dagli edifici distrutti.
Non si deve dimenticare che l‚argomento che ha accompagnato Dio in questa
guerra era quello della "libertà". Ma è stato subito chiaro che la libertà
che ci offre il potere, e quelli al suo servizio, è la libertà di scegliere
se venderci ed arrenderci o morire. "Sei libero", ci dicono i potenti ed i
loro governi; "Puoi scegliere il bastone o la carota".
La classe politica messicana si è affrettata a dare l'esempio,
nascondendosi dietro "sensatezza" e "prudenza".
I partiti politici ufficiali (non dimentichiamo che esistono
organizzazioni politiche che non stanno allo sporco gioco dei governi)
scelgono la carota. Non gli importa che la carota sia di plastica, come le
ossa che si danno ai cani per giocare e perché affilino i denti per meglio
mordere gli "estranei".
Oggi, nel "nuovo ordine mondiale" inaugurato con la guerra in Iraq, gli
"estranei" sono tutti gli uomini, donne, giovani, bambini ed anziani che
non si arrendono. E gli esseri umani che non si arrendono, è bene che lo
sappiano a Washington, continuano ad essere la maggioranza.
Negli ultimi anni, ci hanno detto che definire "imperialismo" o "impero"
l'affanno di conquista e distruzione che anima i potenti, non era che
"vetero marxismo", "nostalgia sessantottina", "argomento vecchio". Eppure,
senza che importi molto la definizione che gli si dà, il denaro ha posto in
luce tutte le lotte ribelli che gli si oppongono.
Si potranno cambiare le definizioni e le parole potranno cercare o meno di
nascondere ciò che definiscono, ma il fatto irrefutabile e brutale è che
esiste un piccolo gruppo di potenti che vuole conquistare tutto il pianeta
e metterlo al loro servizio. E ci sono anche altri piccoli gruppi di
potenti che vogliono la stessa cosa.
Le bandiere che rappresentano gli uni o gli altri non hanno importanza,
perché il loro stendardo comune continua ad essere quello del denaro.
Ma se la guerra dei potenti è mondiale, è mondiale anche la ribellione. Le
mobilitazioni di oggi sono contro la guerra dei potenti, la si chiami come
si vuole. Non importa che il loro nome sia George W. Bush, Tony Blair, José
María Aznar, Vicente Fox, pardon, coppia presidenziale, Diego Fernández de
Cevallos, Jesús Ortega o Manuel Bartlett. Non importa che stiano sotto la
bandiera del partito repubblicano, democratico, laburista, conservatore,
del Pri, del Pan, del Prd o dei nani messicani che, come ha detto non so
chi, hanno iniziato fin da piccoli. Oggi, la classe politica messicana
tenta di capitalizzare il sentimento di ripudio suscitato da questa guerra,
ma sta bene attenta a non nominare chi l'ha perpetrata, per questo non
hanno voluto manifestare davanti all'ambasciata statunitense per non
perdere i loro visti di turisti e non offendere quelli che comandano
veramente in Messico.
Se i politici messicani fingono costernazione per la guerra in Medio
Oriente, è semplicemente perché si sono resi conto del rifiuto quasi
unanime della popolazione messicana. Ed il "quasi" è circoscritto agli
impresari messicani ed alcuni commentatori di radio e televisioni, il cui
unico rammarico è che la guerra ha tardato tanto prima di simulare la
vittoria.
E' un calcolo sporco e meschino quello che ha ispirato la posizione della
classe politica messicana di fonte a questa guerra. Vedendo crescere il
disincanto del popolo messicano a causa delle loro corruzioni e crimini, i
partiti politici si sono sforzati di protestare contro la guerra, ma sempre
afoni nel riferirsi a chi comanda.
Ora la coppia presidenziale si dice delusa, perché il governo statunitense
non ha capito che la discussione del suo appoggio aveva solo lo scopo di
recuperare alcuni punti negli indici di popolarità.
Il Pri ha fatto quello che sa fare molto bene: dall'alto, dire "chi lo
sa", e da sotto applaudire ad un metodo che riecheggia la sua lunga storia
di autoritarismo, lo stesso che lo ha mantenuto al potere per più di 70
anni e che poi lo ha allontanato.
Il Pan ha passato una seria crisi di identità, perché tra i suoi dirigenti
era corsa la voce che se avessero condannato esplicitamente il governo
degli Stati uniti, avrebbero potuto essere accusati di tradimento alla
patria.
Il Prd ha fatto uno sforzo degno di menzione. Continuando così potrebbe
aspirare al premio Nobel per l'alchimia biogenetica, perché riuscirebbe ad
essere un clone che sintetizza il Pri ed il Pan.
I nani, senza una precisa posizione, si sono impegnati a correre da una
parte all'altra, cercando di farsi vedere.
Oggi la classe politica messicana si dichiara presumibilmente contro la
guerra, ma al suo interno si dice che non potrebbe disapprovare questo
giorno in vista delle campagne elettorali. Forse, pensano che noi non
abbiamo memoria e che potranno ingannarci.
Quando la classe politica messicana si è unita contro il riconoscimento
dei diritti e della cultura indigeni, non solo ha garantito la
continuazione della guerra contro i popoli indios del Messico. Ha pure
costruito un muro che la separa dai cittadini di questo paese. Dietro
questo muro, i politici si spartiscono intrighi, soldi e tangenti,
corruzioni e occultamenti. Solo ogni tanto, ad ogni elezione, si
arrampicano in cima alla parete per dirci che possiamo scegliere, fra tutti
i cloni, quelli che vogliamo che ci rappresentino e comandino.
Qualcuno si chiederà perché non ci siamo uniti alla mobilitazione
convocata dai senatori, sostenendo che avemmo dovuto lasciarci dietro le
nostre diversità. Per prima cosa, è perché non possiamo farci complici
dell'occultamento di chi fa la guerra in Messico e finge orrore per la
guerra in un'altra parte del mondo. Secondo, perché sappiamo che i senatori
avevano chiesto che fosse vietata la partecipazione degli studenti
dell'Università nazionale autonoma del Messico, dei membri del Fronte
Popolare Francisco Villa, dei contadini di San Salvador Atenco e di tutti
quelli che per loro sono "sporchi, brutti e cattivi". I senatori hanno
dichiarato che non avrebbero marciato se l'avessero fatto questi fratelli e
sorelle. Quindi, è da lassù in alto che per prima è arrivata la volontà di
dividere una marcia che poteva essere unitaria.
A noi c'è stato detto che eravamo sporchi e brutti e che il passamontagna
occultava la bruttezza e nascondeva la sporcizia; ci hanno detto che
eravamo cattivi. Al posto di "malos" [cattivi] hanno usato la parola
"malditos" [maledetti]. Non sappiamo se "malditos" sia peggio o meglio che
"malos". Quindi, a questa marcia partecipano gli sporchi, i brutti, i
cattivi della società messicana e con loro ci sono gli uomini, le donne, i
bambini, i giovani e gli anziani dell"Esercito zapatista di liberazione
nazionale.
Con le mie parole mando a tutti e tutte voi il saluto rispettoso e
l'ammirazione dei "malditos" dell'Ezln.
Fratelli e sorelle:
Vogliamo ringraziare le organizzazioni politiche e sociali che, insieme a
noi, hanno convocato questa marcia. Vogliamo anche ringraziare e salutare
tutte le persone che non appartengono a nessuna organizzazione politica e
sociale che hanno aderito. Forse saremo pochi e nel conteggio fenicio non
peseremo molto sulle bilance prostituite degli impiegatucci e dei
cagaimagenes al servizio dei politici. Ma loro sanno bene che cosa possono
fare 100 patrioti in questa terra.
Forse a questa marcia saranno in più di 100. Quindi, invece di ridere,
dovrebbero preoccuparsi. E noi dovremo rallegrarcene. Alle organizzazioni
politiche e sociali che oggi partecipano a questa marcia ed alle altre in
altre parti del Messico, diciamo che l'Ezln non vuole egemonizzare ed
omogeneizzare la ribellione in Messico. Noi sappiamo bene che la ribellione
ha molti colori e molte strade. A tutte queste organizzazioni offriamo uno
specchio. Se ci rispettano, saranno rispettate. Per molto tempo ci sono
venuti a dire che la frammentazione del movimento sociale è letale per la
lotta per la trasformazione della società. Chi sostiene questo, la maggior
parte delle volte è chi pretende di capeggiare ed egemonizzare il
movimento, per poi consegnarlo per qualche soldo, sostenendo congiunture e
condizioni sfavorevoli, e sostituire la mobilitazione con la transazione e
gli accordi di cupola.
Non sappiamo se la pluralità e la diversità delle organizzazioni politiche
e sociali porterà alla trasformazione possibile di cui abbiamo bisogno e
che ci meritiamo. Ma sappiamo che l'egemonia, anche se mascherata da "unità
programmatica", non l'ha fatto e, in cambio, ha diffuso lo scetticismo e la
disillusione. La pluricitata unità della sinistra, secondo gli zapatisti,
non si può costruire con un solo criterio, con una struttura che nasconde
il mutuo saccheggio di attività e militanti, l'antropofagia tra proposte
politiche, la gara aperta tra chi è più radicale a parole e la gara
nascosta tra chi si vende al miglior prezzo. I tentativi per l'unità,
costruiti sulla base dell'egemonia, sono sempre finiti in scissioni,
frazionamenti e sterili rivalità.
L'unità è possibile se si rispetta la pluralità e la diversità. Con questo
rispetto di base, è possibile costruire un'agenda comune di discussione e
non di accordi. Da questa discussione potrebbe sorgere un nuovo programma
in cui potremmo riconoscerci tutti, senza smettere di essere quello che
siamo e senza abbandonare le nostre posizioni e le nostre idee.
La nostra idea non è di avere una sola organizzazione, ma un movimento di
molte organizzazioni, con un accordo di base, la resistenza, e con una
bandiera comune, quella della ribellione.
I potenti ed i loro complici hanno dichiarato l'11 settembre dell'anno
2001 come lo spartiacque della storia moderna. Dichiarano anche che la
guerra attuale è prodotto di quel giorno. Forse, è questa guerra che segna
il nuovo secolo. E questo dipende dall'atteggiamento che assumeremo fronte
ad essa.
Fratelli e sorelle:
Forse qualcuno avrà notato che ora menzioniamo in particolare i giovani,
citandoli tra gli uomini, le donne, i bambini e gli anziani. Ed ora
rivolgiamo un saluto speciali ai giovani ed alle giovani del Messico. Quasi
simultaneamente alla caduta delle prime bombe sul territorio iracheno, i
giovani, principalmente gli studenti medi e superiori, hanno iniziato le
mobilitazioni. Non è importante il loro numero, ma il "no" che hanno
gridato.
Gli zapatisti riconoscono e salutano la sensibilità dei giovani messicani,
qualunque sia il nome che li identifica e la comunità. Per quei capricci
delle onde herziane, una trasmissione da Città del Messico è giunta fino
alle montagne del sudest messicano. Proveniva da una stazione di quelle che
per la maggior parte del tempo parlano del loro elevato potenziale.
L'annunciatore di turno in quel momento riceveva informazioni da un
giornalista che seguiva le molte mobilitazione contro la guerra in Iraq
davanti all'ambasciata statunitense. L'annunciatore, appena terminata la
cronaca del giornalista, ha cominciato subito a prodigarsi in tutta una
serie di epiteti nei confronti dei manifestanti. "Sono vandali, anarchici,
delinquenti", ha commentato. Poi ha titubato, perché il suo vocabolario dei
sinonimi sembrava molto ridotto. Dopo aver balbettato ha detto: "Sono
giovani", come se fosse il peggior insulto che si potesse rivolgere a
qualcuno.
"Sono giovani" lo ha detto con astio, disprezzo, con la voglia che i
granatieri di López Obrador dessero loro una lezione perché non lasciavano
lavorare in pace i grandi magnati che hanno i loro uffici sul Paseo de la
Reforma, come se avesse chiesto alla forza pubblica di obbligarli a
smettere di essere giovani.
Beh, non smettete mai di essere giovani. I calendari, a volte, coprono
solo la zoppia e, se non fosse per le feste di compleanno, l'età non conta.
Fratelli e sorelle:
Ai giovani, alle donne, ai bambini, agli anziani, a tutti i colori con cui
si illumina l'umanità, diciamo che abbiamo il diritto di scegliere.
Scegliere, questa è la libertà, ma dobbiamo costruire le nostre opzioni,
perché quelle che oggi ci presentano hanno come padre il potere e come
madre l'avarizia. Possiamo scegliere per un mondo migliore, più giusto, più
buono, ma dobbiamo lottare per costruirlo con giustizia e dignità, che sono
i due piedi con i quali la pace può camminare e sconfiggere la guerra.
Democrazia! Libertà! Giustizia!
Dalle montagne del sudest messicano.
Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale
dell'Esercito zapatista di liberazione nazionale
Subcomandante insurgente Marcos

(traduzione a cura del gruppo di comunic/azione Disobbediente di Campobasso)