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Comunicato del subcomandante Marcos
- Subject: Comunicato del subcomandante Marcos
- From: "disobbedientimolise at libero.it" <disobbedientimolise at libero.it>
- Date: Mon, 14 Apr 2003 17:17:48 +0200
L'unità è pluralità e rispetto. Pubblichiamo il testo del comunicato indirizzato dal subcomandante Marcos a nome dell'Esercito zapatista di liberazione nazionale, alle manifestazioni di sabato 12 aprile, a Città del Messico e in tutto il mondo, contro la guerra. Il comunicato, datato 12 aprile, è stato pubblicato da La Jornada di Città del Messico domenica 13 aprile. Al popolo del Messico. Ai popoli del Mondo. Fratelli e sorelle: Oggi, in tutto il mondo, si stanno svolgendo mobilitazioni per ripudiare la guerra di Stati uniti e Gran Bretagna contro il popolo dell'Iraq. Vogliamo quindi iniziare il nostro comunicato con un saluto a tutti gli esseri umani che, nel mondo e in altre parti del Messico, manifestano per dire "no" alla guerra del potente. Non si può respingere una guerra senza identificare chiaramente chi la sta conducendo, come se fosse possibile condannare un crimine prestando attenzione a non citare e non far arrabbiare l'assassino. Là, in alto, dove il denaro è Dio e padrone, celebrano una vittoria che non è altro che un imbroglio macchiato di sangue arabo che, non dimentichiamolo, è sangue umano, sebbene i grandi monopoli dell'informazione vogliano convincerci del contrario. Là, in alto, il signore della paura si frega le mani, pensa che adesso potrà regnare senza che più nessuno lo possa sfidare. Pensa che il principale obiettivo di questa guerra, la mondializzazione della paura e della sottomissione, sia stato raggiunto. Là, in alto, il ciclope del potere è felice perché il suo sguardo gioisce del sangue, del sangue dell'altro, del sangue del diverso. Se il potere del denaro pensa di aver vinto l'umanità, è perché guarda solo a se stesso ed ai suoi cloni nani che pullulano nei vertici dell'Organizzazione delle Nazioni unite e nei diversi governi del mondo, tra i quali il governo del Messico. Ora, mentre si festeggia la caduta di Baghdad, i governi che inizialmente si erano opposti alla guerra, mostrano il loro vero volto negoziando tra loro la spartizione del bottino. Perché la guerra è un affare, ed il dopoguerra è un affare. E, in affari, nessun imprenditore vuole restarne fuori ed aspira anche solo a qualche briciola del festino che il governo degli Stati uniti prepara per un popolo che, secondo i media, si presenta sconfitto e vinto. Ma il potere si sbaglia. Si sbaglia sempre. La sua guerra attuale non ha mondializzato la paura, non ha globalizzato la sottomissione, se non quella della classe politica. No, questa guerra ha internazionalizzato l'indignazione, il rifiuto, la protesta, il "No". Se si deve riconoscere qualche cosa al governo statunitense attuale, è che in poche settimane ha ottenuto quello che a Hitler costò anni ottenere: far risvegliare il ripudio di milioni di esseri umani in tutto il pianeta. Quindi, quello che ci unisce non è solo il "No" alla guerra. Stiamo manifestando anche per far sapere ai governi del mondo che non abbiamo paura e che non siamo vinti. Al posto della paura e della sconfitta, è l'indignazione che oggi si veste di tutti i colori e parla in tutte le lingue, cammina ovunque ed arde nel cuore di uomini, donne, anziani, giovani e bambini. Ma dobbiamo sapere che il presente festino di morte e distruzione non provoca solo rifiuto e indignazione. Il fondamentalismo che, usando come alibi il Dio dei cristiani, conduce questa guerra, farà nascere altri fondamentalismi. Nella logica del codice genetico del potere, il terrore è un figlio siamese a due teste ma con uno stesso passo: il passo della distruzione. Il caos di domani sarà il risultato del "nuovo ordine mondiale" che, in questi giorni terribili e vergognosi, hanno guidato i missili "intelligenti" caduti in Medio Oriente. Non c'è miglior immagine del "nuovo ordine mondiale" dei saccheggi e dal ceos nelle città "liberate" dalle truppe statunitensi e britanniche. "Liberate", così i potenti hanno definito le città che oggi sono formate dai civili morti e dagli edifici distrutti. Non si deve dimenticare che l‚argomento che ha accompagnato Dio in questa guerra era quello della "libertà". Ma è stato subito chiaro che la libertà che ci offre il potere, e quelli al suo servizio, è la libertà di scegliere se venderci ed arrenderci o morire. "Sei libero", ci dicono i potenti ed i loro governi; "Puoi scegliere il bastone o la carota". La classe politica messicana si è affrettata a dare l'esempio, nascondendosi dietro "sensatezza" e "prudenza". I partiti politici ufficiali (non dimentichiamo che esistono organizzazioni politiche che non stanno allo sporco gioco dei governi) scelgono la carota. Non gli importa che la carota sia di plastica, come le ossa che si danno ai cani per giocare e perché affilino i denti per meglio mordere gli "estranei". Oggi, nel "nuovo ordine mondiale" inaugurato con la guerra in Iraq, gli "estranei" sono tutti gli uomini, donne, giovani, bambini ed anziani che non si arrendono. E gli esseri umani che non si arrendono, è bene che lo sappiano a Washington, continuano ad essere la maggioranza. Negli ultimi anni, ci hanno detto che definire "imperialismo" o "impero" l'affanno di conquista e distruzione che anima i potenti, non era che "vetero marxismo", "nostalgia sessantottina", "argomento vecchio". Eppure, senza che importi molto la definizione che gli si dà, il denaro ha posto in luce tutte le lotte ribelli che gli si oppongono. Si potranno cambiare le definizioni e le parole potranno cercare o meno di nascondere ciò che definiscono, ma il fatto irrefutabile e brutale è che esiste un piccolo gruppo di potenti che vuole conquistare tutto il pianeta e metterlo al loro servizio. E ci sono anche altri piccoli gruppi di potenti che vogliono la stessa cosa. Le bandiere che rappresentano gli uni o gli altri non hanno importanza, perché il loro stendardo comune continua ad essere quello del denaro. Ma se la guerra dei potenti è mondiale, è mondiale anche la ribellione. Le mobilitazioni di oggi sono contro la guerra dei potenti, la si chiami come si vuole. Non importa che il loro nome sia George W. Bush, Tony Blair, José María Aznar, Vicente Fox, pardon, coppia presidenziale, Diego Fernández de Cevallos, Jesús Ortega o Manuel Bartlett. Non importa che stiano sotto la bandiera del partito repubblicano, democratico, laburista, conservatore, del Pri, del Pan, del Prd o dei nani messicani che, come ha detto non so chi, hanno iniziato fin da piccoli. Oggi, la classe politica messicana tenta di capitalizzare il sentimento di ripudio suscitato da questa guerra, ma sta bene attenta a non nominare chi l'ha perpetrata, per questo non hanno voluto manifestare davanti all'ambasciata statunitense per non perdere i loro visti di turisti e non offendere quelli che comandano veramente in Messico. Se i politici messicani fingono costernazione per la guerra in Medio Oriente, è semplicemente perché si sono resi conto del rifiuto quasi unanime della popolazione messicana. Ed il "quasi" è circoscritto agli impresari messicani ed alcuni commentatori di radio e televisioni, il cui unico rammarico è che la guerra ha tardato tanto prima di simulare la vittoria. E' un calcolo sporco e meschino quello che ha ispirato la posizione della classe politica messicana di fonte a questa guerra. Vedendo crescere il disincanto del popolo messicano a causa delle loro corruzioni e crimini, i partiti politici si sono sforzati di protestare contro la guerra, ma sempre afoni nel riferirsi a chi comanda. Ora la coppia presidenziale si dice delusa, perché il governo statunitense non ha capito che la discussione del suo appoggio aveva solo lo scopo di recuperare alcuni punti negli indici di popolarità. Il Pri ha fatto quello che sa fare molto bene: dall'alto, dire "chi lo sa", e da sotto applaudire ad un metodo che riecheggia la sua lunga storia di autoritarismo, lo stesso che lo ha mantenuto al potere per più di 70 anni e che poi lo ha allontanato. Il Pan ha passato una seria crisi di identità, perché tra i suoi dirigenti era corsa la voce che se avessero condannato esplicitamente il governo degli Stati uniti, avrebbero potuto essere accusati di tradimento alla patria. Il Prd ha fatto uno sforzo degno di menzione. Continuando così potrebbe aspirare al premio Nobel per l'alchimia biogenetica, perché riuscirebbe ad essere un clone che sintetizza il Pri ed il Pan. I nani, senza una precisa posizione, si sono impegnati a correre da una parte all'altra, cercando di farsi vedere. Oggi la classe politica messicana si dichiara presumibilmente contro la guerra, ma al suo interno si dice che non potrebbe disapprovare questo giorno in vista delle campagne elettorali. Forse, pensano che noi non abbiamo memoria e che potranno ingannarci. Quando la classe politica messicana si è unita contro il riconoscimento dei diritti e della cultura indigeni, non solo ha garantito la continuazione della guerra contro i popoli indios del Messico. Ha pure costruito un muro che la separa dai cittadini di questo paese. Dietro questo muro, i politici si spartiscono intrighi, soldi e tangenti, corruzioni e occultamenti. Solo ogni tanto, ad ogni elezione, si arrampicano in cima alla parete per dirci che possiamo scegliere, fra tutti i cloni, quelli che vogliamo che ci rappresentino e comandino. Qualcuno si chiederà perché non ci siamo uniti alla mobilitazione convocata dai senatori, sostenendo che avemmo dovuto lasciarci dietro le nostre diversità. Per prima cosa, è perché non possiamo farci complici dell'occultamento di chi fa la guerra in Messico e finge orrore per la guerra in un'altra parte del mondo. Secondo, perché sappiamo che i senatori avevano chiesto che fosse vietata la partecipazione degli studenti dell'Università nazionale autonoma del Messico, dei membri del Fronte Popolare Francisco Villa, dei contadini di San Salvador Atenco e di tutti quelli che per loro sono "sporchi, brutti e cattivi". I senatori hanno dichiarato che non avrebbero marciato se l'avessero fatto questi fratelli e sorelle. Quindi, è da lassù in alto che per prima è arrivata la volontà di dividere una marcia che poteva essere unitaria. A noi c'è stato detto che eravamo sporchi e brutti e che il passamontagna occultava la bruttezza e nascondeva la sporcizia; ci hanno detto che eravamo cattivi. Al posto di "malos" [cattivi] hanno usato la parola "malditos" [maledetti]. Non sappiamo se "malditos" sia peggio o meglio che "malos". Quindi, a questa marcia partecipano gli sporchi, i brutti, i cattivi della società messicana e con loro ci sono gli uomini, le donne, i bambini, i giovani e gli anziani dell"Esercito zapatista di liberazione nazionale. Con le mie parole mando a tutti e tutte voi il saluto rispettoso e l'ammirazione dei "malditos" dell'Ezln. Fratelli e sorelle: Vogliamo ringraziare le organizzazioni politiche e sociali che, insieme a noi, hanno convocato questa marcia. Vogliamo anche ringraziare e salutare tutte le persone che non appartengono a nessuna organizzazione politica e sociale che hanno aderito. Forse saremo pochi e nel conteggio fenicio non peseremo molto sulle bilance prostituite degli impiegatucci e dei cagaimagenes al servizio dei politici. Ma loro sanno bene che cosa possono fare 100 patrioti in questa terra. Forse a questa marcia saranno in più di 100. Quindi, invece di ridere, dovrebbero preoccuparsi. E noi dovremo rallegrarcene. Alle organizzazioni politiche e sociali che oggi partecipano a questa marcia ed alle altre in altre parti del Messico, diciamo che l'Ezln non vuole egemonizzare ed omogeneizzare la ribellione in Messico. Noi sappiamo bene che la ribellione ha molti colori e molte strade. A tutte queste organizzazioni offriamo uno specchio. Se ci rispettano, saranno rispettate. Per molto tempo ci sono venuti a dire che la frammentazione del movimento sociale è letale per la lotta per la trasformazione della società. Chi sostiene questo, la maggior parte delle volte è chi pretende di capeggiare ed egemonizzare il movimento, per poi consegnarlo per qualche soldo, sostenendo congiunture e condizioni sfavorevoli, e sostituire la mobilitazione con la transazione e gli accordi di cupola. Non sappiamo se la pluralità e la diversità delle organizzazioni politiche e sociali porterà alla trasformazione possibile di cui abbiamo bisogno e che ci meritiamo. Ma sappiamo che l'egemonia, anche se mascherata da "unità programmatica", non l'ha fatto e, in cambio, ha diffuso lo scetticismo e la disillusione. La pluricitata unità della sinistra, secondo gli zapatisti, non si può costruire con un solo criterio, con una struttura che nasconde il mutuo saccheggio di attività e militanti, l'antropofagia tra proposte politiche, la gara aperta tra chi è più radicale a parole e la gara nascosta tra chi si vende al miglior prezzo. I tentativi per l'unità, costruiti sulla base dell'egemonia, sono sempre finiti in scissioni, frazionamenti e sterili rivalità. L'unità è possibile se si rispetta la pluralità e la diversità. Con questo rispetto di base, è possibile costruire un'agenda comune di discussione e non di accordi. Da questa discussione potrebbe sorgere un nuovo programma in cui potremmo riconoscerci tutti, senza smettere di essere quello che siamo e senza abbandonare le nostre posizioni e le nostre idee. La nostra idea non è di avere una sola organizzazione, ma un movimento di molte organizzazioni, con un accordo di base, la resistenza, e con una bandiera comune, quella della ribellione. I potenti ed i loro complici hanno dichiarato l'11 settembre dell'anno 2001 come lo spartiacque della storia moderna. Dichiarano anche che la guerra attuale è prodotto di quel giorno. Forse, è questa guerra che segna il nuovo secolo. E questo dipende dall'atteggiamento che assumeremo fronte ad essa. Fratelli e sorelle: Forse qualcuno avrà notato che ora menzioniamo in particolare i giovani, citandoli tra gli uomini, le donne, i bambini e gli anziani. Ed ora rivolgiamo un saluto speciali ai giovani ed alle giovani del Messico. Quasi simultaneamente alla caduta delle prime bombe sul territorio iracheno, i giovani, principalmente gli studenti medi e superiori, hanno iniziato le mobilitazioni. Non è importante il loro numero, ma il "no" che hanno gridato. Gli zapatisti riconoscono e salutano la sensibilità dei giovani messicani, qualunque sia il nome che li identifica e la comunità. Per quei capricci delle onde herziane, una trasmissione da Città del Messico è giunta fino alle montagne del sudest messicano. Proveniva da una stazione di quelle che per la maggior parte del tempo parlano del loro elevato potenziale. L'annunciatore di turno in quel momento riceveva informazioni da un giornalista che seguiva le molte mobilitazione contro la guerra in Iraq davanti all'ambasciata statunitense. L'annunciatore, appena terminata la cronaca del giornalista, ha cominciato subito a prodigarsi in tutta una serie di epiteti nei confronti dei manifestanti. "Sono vandali, anarchici, delinquenti", ha commentato. Poi ha titubato, perché il suo vocabolario dei sinonimi sembrava molto ridotto. Dopo aver balbettato ha detto: "Sono giovani", come se fosse il peggior insulto che si potesse rivolgere a qualcuno. "Sono giovani" lo ha detto con astio, disprezzo, con la voglia che i granatieri di López Obrador dessero loro una lezione perché non lasciavano lavorare in pace i grandi magnati che hanno i loro uffici sul Paseo de la Reforma, come se avesse chiesto alla forza pubblica di obbligarli a smettere di essere giovani. Beh, non smettete mai di essere giovani. I calendari, a volte, coprono solo la zoppia e, se non fosse per le feste di compleanno, l'età non conta. Fratelli e sorelle: Ai giovani, alle donne, ai bambini, agli anziani, a tutti i colori con cui si illumina l'umanità, diciamo che abbiamo il diritto di scegliere. Scegliere, questa è la libertà, ma dobbiamo costruire le nostre opzioni, perché quelle che oggi ci presentano hanno come padre il potere e come madre l'avarizia. Possiamo scegliere per un mondo migliore, più giusto, più buono, ma dobbiamo lottare per costruirlo con giustizia e dignità, che sono i due piedi con i quali la pace può camminare e sconfiggere la guerra. Democrazia! Libertà! Giustizia! Dalle montagne del sudest messicano. Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale dell'Esercito zapatista di liberazione nazionale Subcomandante insurgente Marcos (traduzione a cura del gruppo di comunic/azione Disobbediente di Campobasso)
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