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Dal venezuela all'Argentina la bancarotta sudamericana
- Subject: Dal venezuela all'Argentina la bancarotta sudamericana
- From: "Nello Margiotta" <animarg at tin.it>
- Date: Thu, 1 Aug 2002 09:10:14 +0200
L'Fmi ha fallito, le riforme non sono bastate non si vedono ricette per la salvezza di MAURIZIO RICCI http://www.repubblica.it Non è più solo l'Argentina, prigioniera di una crisi senza sbocco: è l'America latina che affonda. Le monete del continente colano a picco, a cominciare dalla più importante, il real brasiliano, nonostante la debolezza del dollaro. In Uruguay, l'unico modo di frenare la fuga dei depositi è stato la chiusura delle banche. Perù, Paraguay, Bolivia, Ecuador, Venezuela vedono ripartire l'inflazione, mentre lo sviluppo perde colpi. In parte, è l'effetto contagio della crisi argentina, che fa fuggire i capitali esteri da tutto quello che si trova a sud del Rio Grande. Ma la crisi viene da più lontano: nel 2000 l'economia del continente era cresciuta del 3,8 per cento, un ritmo già abbastanza basso per economie in sviluppo. Nel 2001, la crescita è rallentata sotto l'1 per cento e, quest'anno, andrà probabilmente peggio. Non è la prima volta che il continente traballa, dalla grande crisi del debito degli anni '80. La novità è che nessuno sembra avere la ricetta della salvezza. "Negli anni '70 - dice Riordan Roett, economista alla Johns Hopkins University di Washington - c'era una risposta pronta: la democrazia. Negli anni '80, la risposta era: riforme di mercato. Adesso, abbiamo esaurito le risposte". Quella del Fondo monetario internazionale non ha funzionato. I suoi economisti sono stati smentiti per l'ennesima volta: avevano scritto che le riforme degli anni '90 - bilanci pubblici più austeri, abbattimento delle barriere doganali e delle politiche stataliste - avrebbero consentito ai tassi di cambio delle monete di "assorbire parte di qualsiasi choc esterno" e, dunque, "fornire una piattaforma su cui può essere costruita una ripresa forte e duratura". Sta avvenendo il contrario e il risultato è che la tempesta non solo investe le economie, ma sta ridisegnando anche la mappa politica di un continente storicamente irrequieto. Il cosiddetto "Washington Consensus" è un insieme di ricette di politica economica, fondato su tre comandamenti fondamentali: austerità di bilancio, privatizzazioni, liberalizzazione del movimento di capitali e di merci. Anche se, poi, Fmi e Tesoro americano lo hanno applicato indiscriminatamente in tutto il mondo, a cominciare dall'Asia, fu pensato, alla fine degli anni '80, per l'America latina, con i suoi paesi soffocati da deficit di bilancio, imprese statali decotte, inflazione rampante. E, a sud del Rio Grande, ha anche funzionato, nella prima metà degli anni '90, risanando bilanci, domando l'inflazione, rilanciando lo sviluppo. In parte, era illusione ottica: i bilanci, come in Argentina, si risanavano grazie agli introiti irripetibili delle privatizzazioni. Ma c'erano benefici concreti: in Perù, prima delle privatizzazioni, mettere un telefono costava 1.500 dollari e si potevano aspettare anche anni. Oggi, costa 50 dollari e bastano un paio di giorni. Lo stesso è, almeno in parte avvenuto per l'elettricità, le fogne, l'acqua potabile. Ma la modernizzazione si è fermata, spesso, ai confini dei quartieri residenziali. "Se sei un povero contadino - ammette l'ex presidente boliviano, Jorge Quiroga - e noi hai né acqua, né fogna, il fatto di avere tre distinte compagnie per le telefonate interurbane e tu non hai il telefono non fa chiaramente un briciolo di differenza". Soprattutto, le riforme non hanno modificato la debolezza storica del continente, rispetto, ad esempio, all'Asia: l'incapacità dei guadagni provenienti dalle esportazioni e del risparmio (interno, chi può porta i suoi soldi all'estero) di diminuire la dipendenza dell'economia del continente dal capitale straniero. Quando la fonte si è inaridita (fra il 1999 e il 2001, gli investimenti esteri sono scesi da 105 miliardi a 80 miliardi di dollari), lo sviluppo si è fermato. Anche se ci sono differenze fra paese e paese, il 44 per cento dei latinoamericani è, esattamente come dieci anni fa, sotto la linea di povertà (2 dollari al giorno): come numero assoluto, sono meno del 1990, ma più del 1987. I disoccupati, nello stesso periodo, sono raddoppiati. Al netto dell'inflazione, il reddito medio che entra nelle famiglie, fra il 1996 e il 2000, è diminuito. Il risultato è che la politica delle riforme di mercato non solo sembra esaurita, ma viene apertamente contestata. Non sono più solo Chavez in Venezuela e Duhalde in Argentina gli unici leader che sembrano pronti a ripercorrere le ricette populiste di venti anni fa. In Brasile, in testa ai sondaggi, c'è un vecchio leader no global come Ignacio Lula da Silva. In Bolivia, l'astro emergente è Evo Morales, capo dei cocaleros, i coltivatori di coca. In Perù, il centrista Alejando Toledo ha licenziato il ministro delle Finanze vicino a Wall Street, Pedro Kusczinski. E' il frutto di una protesta popolare che monta e scende nelle strade: le dimostrazioni di piazza hanno portato al blocco della privatizzazione di due compagnie elettriche in Perù, di una compagnia telefonica in Paraguay, di 17 società elettriche in Ecuador. Ma a scendere per strada a contestare il modello neoliberale non sono solo i poveri. L'anno scorso, un sondaggio condotto in 17 paesi ha mostrato che il 63 per cento dei latinoamericani non pensa che le privatizzazioni abbiano portato benefici. Difficile concludere che si trattasse solo di contadini poveri. La novità è che la grande disillusione sulle politiche di modernizzazione coinvolge quelle classi medie che ne dovrebbero essere le principali beneficiarie e le prime sostenitrici. Sono loro, non i poveri, che, in Argentina, andavano a fare la spesa nei supermercati e nei centri commerciali, dove, in un anno, gli incassi sono diminuiti fra il 25 e il 30 per cento. Sono i pochi, fortunati, salariati dell'economia uscita dal "sommerso" i destinatari del blocco dei licenziamenti imposto da Chavez in Venezuela. Sono i professionisti, gli impiegati, i tecnici quelli che stanno ritirando i depositi dalle pericolanti banche di Montevideo. Fra il 1992 e il 1998, dicono gli indici degli economisti, gli squilibri di reddito fra ricchi e poveri, in America latina, sono aumentati: può essere la spia di uno svuotamento delle classi medie, divise fra i pochi che hanno fatto il salto fra i ricchi e i molti ridiscesi al confine della povertà. Ad Arequipa, in Perù, nelle dimostrazioni contro le privatizzazioni, si sono risentiti gli slogan marxisti degli anni '60. I politici sudamericani hanno fiutato questo clima di radicalizzazione populista. Da Bogotà a Buenos Aires, indici di borsa e tassi di cambio mostrano ormai lo stato di salute non solo del sistema finanziario, ma anche del grande esperimento delle "riforme di mercato", in atto da dieci anni. ************************************************** Nello change the world before the world changes you because another world is possible
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