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Dossier Venezuela: il perche' di un golpe
- Subject: Dossier Venezuela: il perche' di un golpe
- From: "Nello Margiotta" <animarg at tin.it>
- Date: Fri, 12 Apr 2002 15:00:15 +0200
breve raccolta di articoli da cui si possono evincere le motivazioni del golpe di oggi a Caracas Nello Fonte: http://www.cnnitalia.it/2000/MONDO/mediooriente/08/10/chavez/ Da Saddam arriva Chavez: "Uno schiaffo agli Usa" 10 agosto 2000 Articolo messo in Rete alle 05:04 ora italiana (03:04 GMT) BAGHDAD (CNN) -- Al suo arrivo, previsto per oggi, il presidente venezuelano Hugo Chavez sarà il primo capo di stato a giungere a Baghdad per incontrare Saddam Hussein dall'inizio della Guerra del Golfo. L'iniziativa di Chavez è particolarmente apprezzata dal regime iracheno e assai poco gradita agli Stati Uniti. Il portavoce del dipartimento di Stato, Richard Boucher, ha definito "decisamente irritante" il fatto che la prima visita in Iraq compiuta da una capo di stato estero sia fatta da un presidente democraticamente eletto, com'è appunto Chavez, riconfermato recentemente alla guida del Venezuela. Un portavoce iracheno da parte sua ha invece descritto l'inziativa del presidente venezuelano come "un nuovo schiaffo sulla faccia dei governanti americani". Chavez è impegnato in un tour di dieci giorni che lo porterà in tutti i Paesi appartenenti all'Opec, l'organizzazione che riunisce alcuni degli Stati esportatori di petrolio. Tra le ragioni del viaggio c'è quella di invitare personalmente i vari leader al vertice previsto a Caracas il prossimo 27 settembre. Nella capitale venezuelana verrà infatti celebrato il 40esimo compleanno dell'Opec a cui però si pensa non sarà presente Saddam. Chavez sostiene la necessità che l'Opec tagli la produzione giornaliera di barili di petrolio per mantenere alti i prezzi del greggio. Finora Chavez è stato in Arabia Saudita, il principale produttore di petrolio mondiale, Emirati Arabi, Qatar e Kuwait. ------------------------ Fonte: http://www.tightrope.it/USER/CHEFARE/archivcf/cf53/chavez.htm Venezuela LA "RIVOLUZIONE PACIFICA" DI HUGO CHAVEZ Mentre scriviamo il presidente venezuelano Chavez va ad incontrarsi con Saddam, primo capo di stato straniero a visitare 1?Iraq dalla guerra del Golfo del ?91. Quando, per tutta risposta, dal Pentagono qualche uomo dell?imperatore fa sapere che gli USA "stanno perdendo la pazienza", la risposta del Caudillo è a tono: "Io, se voglio, vado pure all?inferno". Di un altro imperdonabile peccato si era già macchiato il suo governo: quello di aver rotto dichiaratamente l?isolamento di Cuba non nascondendo anzi la propria ammirazione per Fidel e per l?esperienza rivoluzionaria cubana. ------------------------------ Fonte: http://www.cnnitalia.it/2000/MONDO/mediooriente/08/11/chavez/index.html Chavez sfida gli Stati Uniti: a passeggio con Saddam 11 agosto 2000 Articolo messo in Rete alle 08:27 ora italiana (06:27 GMT) Il primo capo di Stato a Baghdad dopo la guerra Gli Stati Uniti hanno accusato Chavez di fornire all'Iraq una splendida carta propagandistica per uscire dall'isolamento politico nel quale è ancora tenuto a nove anni dalla fine della guerra (nessun capo di Stato fino a questo momento aveva visitato la capitale irachena, dove si era recato solo il segretario generale dell'Onu Kofi Annan). "Che cosa ci possiamo fare se gli americani si seccano? - ha ironizzato ieri il leader venezuelano - Noi abbiamo una dignità, e il Venezuela è un Paese sovrano. Ha il diritto di prendere le decisioni che ritiene nel proprio interesse". I risvolti politici della vicenda sono stati evidenti nel fatto che, come ha rivelato ai giornalisti il viceministro degli Esteri venezuelano Jorge Valero, Chavez ha offerto a Hussein appoggio perché sia messo fine all'embargo che grava sul Paese dal 1990: "Il presidente Chavez ha sostenuto la posizione venezuelana a sostegno di ogni accordo contro qualsiasi tipo di boicottaggio o sanzioni che siano applicate contro l'Iraq o contro qualsiasi altro Paese del mondo". Aperture sul petrolio L'Iraq sembra aver risposto all'apertura venezuelana accettando l'impostazione di Caracas sulla politica petrolifera. In particolare il Venezuela propone che si fissi un livello del prezzo del petrolio (Chavez pensa a 25 dollari al barile) che farebbe scattare automaticamente un aumento della produzione se le quotazioni salissero, o farebbe scattare una diminuzione della produzione se i prezzi scendessero sotto alla soglia prevista. "Siamo d'accordo con ciò che va proponendo Chavez", ha dichiarato Abdulillah al Tikriti, capo della sezione economica del ministero iracheno del Petrolio. Gli Stati Uniti sono il primo cliente dell'industria petrolifera venezuelana e, fino a poco tempo fa, il Venezuela era noto all'interno dell'Opec per la scarsa adesione alle restrizioni imposte dal cartello dei Paesi produttori. ---------------------- Fonte: http://www.fuoriluogo.it/arretrati/2001/gen_8.html I repubblicani sono intenzionati anche a cambiare atteggiamento verso la politica di Hugo Chavez: il presidente del Venezuela è uno dei più fermi oppositori al Plan Colombia, ha appena venduto petrolio a un prezzo ridicolo a Cuba ed ha assunto una posizione intransigente sull?andamento del prezzo del greggio all?interno dell?Opec. Dopo due anni di politica estremamente cauta condotta dai democratici nei suoi confronti (proprio per l?importanza del paese nel settore energetico), i repubblicani accusano Chavez di appoggiare i gruppi guerriglieri di tutta la zona andina (in particolare il gruppo colombiano dell?Eln) e percepiscono la sua politica come ulteriore elemento di instabilità. ------------------ Fonte: http://www.equilibri.net/americhe/venezuelasciopero.htm Le Riforme della discordia e la Ley Habilitante Il 13 Novembre 2001 in diretta televisiva, Chavez ha annunciato il passaggio di un vasto pacchetto di riforme economiche. Leggi frutto della politica di decreti presidenziali, che includono ben 49 riforme che modificano, a volte anche radicalmente, i più differenti settori dell'economia del paese: i più controversi sono quelli relativi alla Legge sulla terra e a quella sugli Idrocarburi. La legge sulla Terra, permette al governo di confiscare e ridistribuire terreni privati coltivati che eccedano una certa dimensione e che siano giudicati improduttivi, la legge da' inoltre allo stato il potere di controllare l'utilizzo agricolo dei terreni. Inoltre gli agricoltori dovranno mostrare i titoli di proprietà delle terre che utilizzano a iniziare dal 18 Dicembre (8 giorni dopo l'entrata in vigore della legge) onde evitare l'espropriazione. Il Miami Herald riportando uno studio fatto dall'Istituto Nazionale Agricolo del Venezuela stima che quasi il 95% dei proprietari terrieri nel paese non possiede titoli legali delle proprie proprietà. La legge sugli Idrocarburi capovolge 20 anni di liberalizzazione nell'industria del settore. Nella riforma è prevista la maggioranza del governo nella proprietà di tutte le nuove joint ventures legate al settore petrolifero, e viene inoltre decretato l'innalzamento delle royalties che le compagnie straniere devono allo stato, passando dall'attuale 16,6% al 30%, stabilendo un nuovo record nel settore.Una manovra che va in piena controtendenza rispetto al trend mondiale, negli ultimi anni infatti le potenti compagnie petrolifere erano riuscite, in molti dei paesi produttori di petrolio, a far scendere le royalties che andavano corrisposte ai governi. Una misura che stando ad alcuni commenti riportati dal Financial Times inciderebbe sullo sviluppo di molti progetti, rendendoli da un punto di vista economico poco attraenti. Le riforme varate dal governo e di cui fino alla loro promulgazione si era avuto poco o nessun sentore, hanno causato reazioni negative tanto in Venezuela come all'estero. La comunità economica venezuelana teme che la paura delle nuove leggi porti alla fuga di molti capitali esteri e alla netta diminuzione di investimenti stranieri, soprattutto nel settore cruciale dell'industria del petrolio, mentre la minaccia della confisca di proprietà private potrebbe gettare il settore agricolo nel caos. Ma la manovra effettuata da Chavez è prevista dalla costituzione .L'assemblea nazionale nell'Ottobre del 2000 ha garantito a Chavez la possibilità di legiferare dal 13 Novembre del 2000 al 13 Nov. Del 2001. Chavez ha fatto ricorso alla cosiddetta "ley habilitante" e durante il suo mandato iniziato nel 1998 è già la seconda volta che Chavez vi utilizza questa norma; la prima gli ha permesso di legiferare in aree politiche ben definite all'inizio del 1999. L'utilizzo di questo strumento non è assolutamente inusuale in Venezuela, ne hanno usufruito tutti i diretti predecessori di Chavez: Rafael Caldera e Carlos Andrei Perez. Tuttavia la Ley Habilitante, prima di Chavez, permetteva all'esecutivo di interessarsi ad una complessa ma strettamente definita area della politica. I decreti legge venivano soprattutto utilizzati per velocizzare procedimenti legislativi su cui vi era un vasto consenso politico, ad esempio la creazione del fondo per la stabilizzazione economica nel 1998 sotto il governo Caldera. Il contrasto con i poteri concessi a Chavez è completo. In questa occasione sono stati concessi poteri molto estesi, che permettono all'esecutivo di legiferare attraverso decreti, su un vastissimo spettro di aree - inclusi idrocarburi, imposte sul reddito, pesca, e sicurezza personale-. La responsabilità di tale situazione è stata determinata da due fattori: L'assemblea Nazionale ha aggiornato la legislazione esistente seguendo le linee della nuova costituzione approvata nel 1999, costituzione che aumenta enormemente i poteri dell'esecutivo. L'amministrazione Chavez si considera un governo radicale, con un mandato popolare che legittima riforme di vasta portata. I gruppi di opposizione sono determinati a portare le nuove leggi davanti alla Corte Suprema del Venezuela, una manovra che servirà anche ad aumentare la percezione del Venezuela come paese ad "alto rischio" sul mercato internazionale, dal momento che mancano regole precise per gli investitori. -------------------- Fonte: http://www.iqsnet.it/quindicigiorni/marzo99/sinven.htm Il sindaco di Molfetta, Guglielmo Minervini, è andato a far visita ai molfettesi emigrati in Venezuela. Gli abbiamo chiesto di raccontare a "Quindici" la sua esperienza e le sue impressioni "Il recente cambio di regime politico che ha condotto al governo il militare Chavez sta suscitato diffuse speranze di moralizzazione della vita pubblica, di giustizia sociale e di stabilità economica". Guglielmo Minervini ----------------------- fonte: http://www.larivistadelmanifesto.it/archivio/1/1A19991210.html La Rivista del Manifesto - dicembre 1999 L'enigma Chávez IL VENTO DI CARACAS Maurizio Matteuzzi Giusto un anno fa, la notte del 6 dicembre del '98, nell'immensa e brulicante avenida Bolivar di Caracas el huracán Hugo cominciò a soffiare sul Venezuela. L'ex colonello golpista del febbraio '92, e il suo "popolo bolivariano", che col 57% dei voti l'aveva appena catapultato alla presidenza, si sentivano "il magnifico uragano della patria venezuelana". A notte alta, dal balcone dell'università, Hugo Chávez, 45 anni, faccia criolla su un corpo massiccio, si tolse giacca e cravatta - ma non il basco rosso da parà che indossava la notte del 4 febbraio '92, quando tentò il golpe contro il presidente Carlos Andrés Pérez - si arrotolò le maniche della camicia e cominciò a parlare. Da una parte lui, "il guerriero per la pace e la vera democrazia", "il soldato della patria, il soldato del popolo"; al suo fianco la giovane e bionda moglie Marisabel Rodriguez - sposata dopo i due anni di carcere e l'indulto concesso dal vecchio presidente democristiano Rafael Caldera -, che per l'occasione si era sfilata i suoi anelli per regalarli a una popolana; dietro a lui, in seconda fila, i dirigenti della pletora di partiti e partitini - prevalentemente nazionalisti e di sinistra - del "Polo Patriottico"; di fronte a lui il suo popolo, centinaia di migliaia di descamisados in rappresentanza di quell'80% dei 23 milioni di venezuelani ridotti alla fame in uno dei paesi più ricchi del mondo, che l'avevano appena eletto presidente della repubblica "para limpiar toda esa mierda". Dall'altra parte, fisicamente assenti ma presentissimi, gli sconfitti del "Polo democratico" e "il putrido sacco di tutti i corrotti", con dentro gli esponenti del "patto tacito" fra i poteri forti che dalla cacciata dell'ultimo dittatore militare, il generale Marcos Pérez Jiménez nel '58, aveva governato la democrazia venezuelana per 41 anni filati. L'oligarchia, gli imprenditori pubblici e privati, la banca, la burocrazia, i sindacati, i giudici, i militari, la chiesa cattolica e i due grandi partiti tradizionali del duopolio di governo - i social-democratici di Acción democratica e i social-cristiani del Copei - che da allora si erano alternati ogni cinque anni al palazzo stile rococò di Miraflores, e che nelle elezioni del 6 dicembre avevano raccolto, insieme, la miseria di meno del 9% dei voti. Dopo 40 anni erano stati spazzati via dalla mappa politica, anche se alla Camera e al Senato avevano ancora la maggioranza. E spazzati via non da un golpe militare ma da un indiscutibile "golpe democratico", come riconobbe Jimmy Carter, l'ex presidente americano riciclato in osservatore di elezioni a rischio. E ancora di più sarebbero stati spazzati via qualche mese dopo, nel referendum del 25 aprile sull'Assemblea costituente, l'architrave della campagna di Chavez, e nelle elezioni del 25 luglio, quando i chavisti ebbero 121 deputati costituenti su 131. Insediatasi il 3 agosto, l'Assemblea aveva avviato il calvario del vecchio Venezuela istituzionale. Fregiandosi del titolo di Soberanissima aveva non solo messo mano al futuro - sei mesi per scrivere la ventiseiesima costituzione nei 190 anni di indipendenza e la più lunga coi suoi quasi 400 articoli - ma anche sul presente e sul passato. Proclamando l'"emergenza nazionale", aveva in pratica chiuso il Congresso e la Corte suprema (i 1200 giudici in attività erano stati passati al pettine e 200 licenziati o sospesi per corruzione o incapacità). La vecchia classe politica spodestata, i partiti tradizionali annichiliti gridarono al "golpe bianco". Difficile da dimostrare: il referendum di aprile mandava a riscrivere la costituzione del '61 ma anche a "trasformare lo stato e permettere l'effettivo funzionamento di una democrazia sociale e partecipativa". A giudizio del comandante Chávez e dell'80% di venezuelani poveri-da-sempre o nuovi-poveri (come la piccola-media borghesia, il 20-25% della popolazione, risucchiata nel baratro), erano loro i responsabili del disastro di quello che era stato considerato il mitico "Eldorado" o "il Venezuela saudita", il paese dove "un gallone di benzina costava meno di una bottiglia di acqua minerale" e il dollaro non si muoveva dalla soglia economica e psicologica dei 4.30 bolivares. Ora non c'era più quel paese ma un altro. Dove per un dollaro ci volevano 570 bolivares e ridotto all'orlo della bancarotta economica e della disintegrazione etica e politica, nonostante fosse la quarta economia dell'America latina e il secondo esportatore di greggio al mondo. Il paese della corruzione e dell'impunità, come e peggio di tutti gli altri convertiti nell'ultimo decennio in laboratori del neo-liberalismo puro e duro, con l'aggravante che in Venezuela la democrazia durava da 40 anni. Dove sono finiti i 300 miliardi di dollari incassati dal petrolio negli ultimi 25 anni? E dove finiscono i 25 miliardi che l'oro nero procura ogni anno? Perché oggi il Pil procapite è minore che nel '78? Come mai negli ultimi 20 anni i venezuelani hanno visto evaporare il 70% del potere d'acquisto dei loro redditi e ora sono costretti a vivere o nel limbo incerto dell' economia informale (ormai il 50% del totale) o nella miseria insostenibile dei 234 dollari al mese percepiti dal 96.4% di loro, quando ce ne vogliono almeno 450 per soddisfare i bisogni primari di una famiglia? Perché nell'84 i poveri erano il 32% della popolazione e oggi sono l'80%? Perché la disoccupazione aperta o coperta è ormai al 40%? E il 45% dei bambini e adolescenti non va a scuola o la lascia prima del tempo? Perché i tre quarti dei 23mila reclusi non è mai stato processato, o, secondo la Banca mondiale, "solo il 4% della popolazione ha accesso alla giustizia"? Come è possibile che in un paese in cui il salario minimo equivale a 175 dollari al mese (aumentato da Chávez a 190, ma divorato all'istante dal 40% di inflazione) ci siano dirigenti della Pdvsa, la compagnia petrolifera statale, con salari da 48mila dollari al mese e pensionati d'oro da 24mila dollari? Che le frodi fiscali e doganali facciano sparire nelle banche di Miami o Ginevra 6 miliardi di dollari l'anno, l'equivalente dei due terzi del deficit fiscale del '98? O che molti dei 2000 dirigenti sindacali della poderosa Ctv - la Confederación de trabajadores de Venezuela - e dei 1200 giudici, entrambi figli degeneri ma legittimi del duopolio Ad-Copei e finiti sotto il torchio giustizialista di Chávez, siano diventati milionari vendendo scioperi (mancati), contratti (bidone) di lavoro, sentenze (addomesticate), archiviazioni (di favore)? Numeri e dati che spiegano perché sul Venezuela si è abbattuto el huracán Hugo. Perché l'oligarchia politico-economica, non più del 3.6% della popolazione ma finora detentrice di tutto il potere, teme per la prima volta la "vendetta" dei descamisados. Perché, dopo l'iniziale euforia, da un anno i capitali stranieri siano entrati in sciopero e perché i padroni del vapore grandi e piccoli - gli Stati Uniti di Clinton, di cui il Venezuela dal '96 è diventato il primo fornitore di petrolio davanti all'Arabia saudita; la Spagna di Aznar, che sta pagandosi la sua Reconquista dell'America latina a suon di investimenti - sono estremamente diffidenti e concedono un beneficio del dubbio limitato nel tempo. E perché tanti pasdaran della democrazia iper-formale e del mercato ultra-liberista hanno già emesso la condanna definitiva e inappellabile contro Chávez e le sue velleità anti-liberiste. Vargas Llosa lamenta "el suicidio de una nación", affermando che i "deliri populisti e autocratici di quel risibile personaggio che è il tenente colonnello Hugo Chávez non fanno di lui un democratico" ma solo uno dei tanti "dittatori, despoti e tirannelli" di cui "è piena la storia dell'America latina". L'Economist ammonisce Chávez e la sua Costituente che "i fallimenti del Venezuela sono prima di tutto quelli dello Stato piuttosto che quelli del mercato". El Pais sentenzia che "il Venezuela avanza come una locomotiva senza controllo verso l'abolizione di tutti i controlli propri di uno stato di diritto" e che la nuova costituzione "sarà la prova del fuoco per sapere se la rottura è con la corruzione o con la democrazia". Human Rights Watch teme per i diritti umani, l'Internazionale socialista per la messa in mora di Ad e l'Oit (Organizzazione internazionale del lavoro) per quella della Ctv. Ognuna di queste prese di posizione critiche ha un suo fondamento. Perché il Venezuela e i suoi due partiti da 40 anni sono sempre stati un'anomalia democratica nel panorama dell' America latina. E perché Chávez è un personaggio inquietante, tuttora misterioso e certo - come scrive Newsweek - non potrà essere mai confuso "con uno di quei pallidi tecnocrati" laureati nelle prestigiose università americane della Ivy League e "salutati un decennio orsono come le facce nuove della Latin leadership". Ma è singolare come lorsignori non si siano accorti di quel che stava da tempo accadendo in Venezuela (e non solo là). Quando il 13 ottobre del '97 il presidente Clinton arrivò a Caracas per una visita "di alto valore simbolico" - con il paese già sul punto di affondare -, non lesinò lodi alla "silenziosa ma impressionante rivoluzione" in corso in Venezuela. E nel giugno del '98 fu il presidente dell'FMI, Michel Camdessus, a sbarcare a Caracas e affermare che le riforme economiche intraprese da Caldera - lo smantellamento dei controlli sui prezzi, la privatizzazione delle industrie statali, i consistenti aumenti nel prezzo della benzina - andavano "nella direzione giusta". Eppure a metà del '98, con il crollo del prezzo del petrolio, le previsioni di crescita economica del 6% si erano già ridotte a zero e per il '99 si attendeva una recessione intorno al 10% nonostante il prezzo del petrolio sia più che raddoppiato. Chávez ha passato un anno viaggiando per l'universo mondo a spiegare chi è lui e cos'è la sua "rivoluzione pacifica e bolivariana", a rassicurare investitori e politici, a ribattere alla "selvaggia" campagna di disinformazione, a ribadire la legittimità del "processo democratico", a confermare la sua decisione di far nascere "il nuovo Venezuela", a ribadire che "il mercato non è il Dio che si crede di essere", a denunciare "l' inferno del neo-liberalismo" che "ha devastato il Terzo mondo". Ma chi è Hugo Chávez e perché si parla tanto male di lui? La costituzione, scritta a spron battuto in tre mesi per potere essere posta a referendum il 15 dicembre, è come lui, che la chiama affettuasamente "el muchachito": non facile da decifrare, contraddittoria, complessa, ambigua, inquietante, lirica. Porta da 5 a 6 anni la durata del mandato presidenziale e consente la rielezione immediata, ma non più di una (come negli Usa): per cui Chávez potrebbe restare presidente per 12 anni (hanno fatto lo stesso l'argentino Menem, il peruviano Fujimori, il brasiliano Cardoso, ma in quei casi nessuna obiezione). Abolisce il Senato. Consente al presidente di sciogliere il Congresso. Istituisce il referendum revocativo per tutte le cariche elettive. Dispone che i giudici siano elettivi e che il nuovo codice penale adotti il sistema accusatorio, all'americana. Ridà il voto ai militari, come negli USA ma proibito in Venezuela dal '58. Revoca l'immunità a vita di politici e deputati accusati di corruzione. Riconosce garanzie costituzionali alla lingue e culture dei 500mila indios superstiti. Proibisce la pena di morte, l'ergastolo, la tortura e "qualsiasi pena infamante". Nega l'immunità e la prescrittibilità dei delitti di "lesa umanità". Proibisce invece la privatizzazione del petrolio e della Pdvsa, della previdenza sociale (disco rosso quindi ai fondi privati di pensione). Riduce la settimana lavorativa da 48 a 44 ore. Garantisce la proprietà privata subordinandone tuttavia per legge l'uso "all'interesse sociale". Pone limiti all'autonomia della Banca centrale. Ai tre poteri classici di Montesquieu ne aggiunge un altro, il potere morale, definito da Chavez "la quarta gamba della democrazia", preso dall'ideario del suo idolo Simon Bolívar, col compito di vegliare sui giudici e contro la corruzione. Riconosce l'ambiguo diritto "all'informazione veritiera, opportuna e imparziale" e - cedendo alle pressioni della Chiesa cattoilca - nega il diritto all'aborto (se non quello terapeutico) previsto nella bozza preparatoria. La nuova costituzione è stata salutata da Chávez come "una delle più avanzate del mondo". Quelli a cui piace mettono l'accento sui suoi aspetti democratici in campi come la rigenerazione morale dello Stato, i diritti civili e umani, i diritti degli indiani, la protezione ambientale, le riforme giudiziarie, la lotta alla corruzione e la fine dell'impunità, la "civilizzazione" dei militari inseriti nella società civile, il mix fra Stato e mercato, il rifiuto dell'onnipotenza del neo-liberalismo e la salvaguardia della sovranità statale sulle ricchezze nazionali e sulle aree sociali più deboli. Ma ancor prima di nascere ha già molti nemici dentro e fuori il Venezuela. Il milieu politico tradizionale, ovviamente, che la bolla come "la nueva moribunda" e "la peggiore della nostra storia". Il business locale e la Pdvsa perché "ci riporta a un passato statalista che credevamo di esserci lasciati alle spalle", dice Federcamaras, la Confindustria venezuelana. L'Inter-American Free Press Association perché l'articolo sulla "informazione veritiera" prefigura la censura. Il business internazionale, perché, ha scritto il Financial Times, - a parte qualche segnale positivo: lotta alla corruzione e all'evasione fiscale, riduzione delle dimensioni del governo e delle spese di bilancio, garanzie alla proprietà privata e agli investimenti stranieri - la sua "miscela di populismo e statalismo" non risolverà i problemi istituzionali e "per certi aspetti riporterà il Venezuela ancora più indietro". I depositari del marchio della democrazia, a Washington, a cui non piacciono né Chávez né la sua costituzione perché entrambi mostrano inequivocabili segni di populismo e autoritarismo, di anti-liberalismo e statalismo: il Dipartimento di Stato segue la situazione in Venezuela "con crescente preoccupazione". Chávez va avanti per la sua strada, ma il terreno è minato e il tempo corre contro di lui. All'interno minaccia "l'opposizione dell'oltretomba" ricordando che "la voce del popolo è la voce di Dio e la voce dell'oligarchia è la voce del diavolo". Dice che appena approvata la costituzione "il Congresso sarà sciolto automaticamente" e annuncia elezioni a inizio 2000 per la nuova Camera, in cui, se si confermerà la Chávezmania che l'accredita di un indice di gradimento dell'80%, l'opposizione sarà ridotta praticamente a zero. All'esterno manda segnali rassicuranti. A Clinton è andato a dire che la sua "rivoluzione pacifica" è "così democratica che più democratica non si può"; ad Aznar che "in Venezuela non c'è nessun rischio di dittatura, confische della proprietà privata, di golpe o di esplosione sociale". La notte di un anno fa lungo l'avenida Bolívar di Caracas richiamava irresistibilmente quella del dicembre '45, quando il colonnello Juan Domingo Perón, con la bionda Evita al fianco, parlò in maniche di camicia ai descamisados argentini davanti all'obelisco dell'avenida 9 de Julio di Buenos Aires. Chávez come Perón? È uno dei tanti accostamenti che durante il '99 hanno accompagnato l'uragano Hugo. Ma "Chávez non è Perón", dice il politologo messicano Jorge Castañeda, una delle teste pensanti della "nuova sinistra" in America latina (né pienamente socialista né esageratamente liberista), e spiega che le "semplificazioni" rischiano di oscurare "quella che può costituire una novità nel panorama politico latino-americano". Pericoli di autoritarismo? Di ritorno del populismo? Certo, ma "senza una presidenza forte, che riesca a collocarsi sopra e al margine delle potenti élites latino-americane non sarà possibile rispondere alle grandi sfide della regione: diseguaglianze, debolezza fiscali e politiche degli Stati, incompiuta costruzione nazionale, povertà e distruzione dell'ambiente". Se "tornare all'autoritarismo civile o militare sarebbe nefasto, una presidenza debilitata e paralizzata non lo sarebbe di meno". Se Chávez non è Perón, chi è? Tranquilli, "noi non siamo golpisti né gorilla", ha detto una volta. Però rivendica il golpe del '92 - che definisce "doloroso ma necessario" quando parla con interlocutori stranieri o "quel glorioso 4 febbraio" quando si rivolge ai suoi descamisados - e riconosce (a El Mundo) che "se allora non avessi preso il fucile oggi non sarei presidente". Un populista? Un dittatore in pectore? Un comunista camuffato, amico di Castro e circondato da ministri che sono o sono stati di sinistra? Un anti-capitalista o un anti-liberista? Un sognatore bolivariano e un visionario terzomondista? Un militaraccio della prima ora? Lui chiama il suo governo "un'alleanza politica di centro-sinistra", dice (al New York Times) che destra e sinistra sono concetti superati e che "se voi tentate di stabilire se sono di sinistra, di destra o di centro, se sono socialista, comunista o capitalista, bene, io non sono niente di tutto questo ma ho un po' di tutto questo". All'accusa di "militarizzare" la società civile replica con accenti riecheggianti la breve stagione dell'unità Povo-MFA del 25 Aprile portoghese del '74 - che "il popolo e le forze armate marciano nella stessa direzione". La storia non ha ancora incasellato Chávez. Nel giro di un anno su di lui se ne sono dette di tutti i colori. Hitler e Mussolini, per cominciare. Ma era troppo. I più autoctoni Perón e Vargas. Il nuovo Castro. Nasser o Gheddafi. Il semi-dittatore peruviano Fujimori. Il generale nazionalista Velasco Alvarado, anche lui peruviano. Un altro peruviano, finito male, il populista Alan García. Torrijos, "il generale della dignità" panamegno. Un Tony Blair tropicale. Una qualche reminiscenza di De Gaulle. "Chávez è un minestrone ideologico", disse l'ex presidente Pérez al manifesto. Forse. Tutto è possibile, i giochi sono aperti. Forse si può già dire che Chávez non è uno dei tanti business-friendly presidents alla Menem, Salinas, Cardoso, Fujimori. Ma ancora è presto per sapere cosa sarà e comunque, al di là delle sue intenzioni, cosa riuscirà a fare di fronte al condizionamento interno e internazionale. Per il momento il molto demonizzato Chávez sembra essere un effetto. L'effetto di una reazione di rigetto del neo-liberalismo su scala continentale, un bisogno e una speranza di una gran massa di popolo. Anche se la reazione di rigetto non è uguale ovunque e i generali golpisti come il paraguayano Lino Oviedo e Hugo Bánzer, attuale presidente boliviano, non sono la stessa cosa del radicale Fernando de la Rúa in Argentina o del socialista Tabaré Vázquez, in Uruguay. Per il resto Hugo Chávez Frías resta ancora un enigma. Come ha scritto Gabriel García Márquez, dopo un viaggio aereo con lui dall'Avana a Caracas, "quel che mi colpì fu la sensazione di avere viaggiato e conversato piacevolmente con due uomini opposti. Uno a cui la sorte implacabile offriva l'opportunità di salvare il suo paese. L'altro un illusionista che poteva passare alla storia come uno in più dei tanti despoti". ---------------- Fonte: http://www.axiaonline.it/promemoria/mercati_emergenti/report_Venezuela.htm MERCATI EMERGENTI Venezuela a rischio se il petrolio cala 24/1/02 La pesantissima crisi argentina coinvolge le sorti dei principali Paesi Sudamericani. In gioco c?è la stabilità di un?area, quella dei Paesi aderenti al Mercosur e al Patto Andino, che potrebbe produrre gravi effetti sul sistema economico mondiale nel caso esistessero delle possibilità di contagio sia economico che finanziario quell'area stessa e l?Argentina. Il Venezuela, assieme a Brasile e Colombia, rappresenta uno degli snodi, sia per la rilevanza economica sia per le implicazioni di politica commerciale, attraverso i quali si potrebbero innescare reazioni sul fronte mondiale. Studiando il Venezuela si scopre che, indipendentemente dall?Argentina, la temperatura a Caracas è già alta per motivi interni. A preoccupare è soprattutto la fragilità politica e strutturale del Paese guidato da Hugo Chavez. Il Presidente populista appare troppo isolato nelle sue decisioni. Nelle scelte di politica economica rischia di indispettire sia il padronato sia i sindacati. Due esempi: la legge che prevede l?esproprio delle terre o quella sulla riforma della pesca che sembra penalizzare più che incentivare l?industria ittica. Dopo la grande manifestazione antigovernativa del 10 Dicembre sono previste nuove mobilitazioni di piazza a cui si sono aggiunte voci di golpe e le minacce di provvedimenti protezionistici da parte di Chavez. Queste ultime dichiarazioni sono legate principalmente al forte calo degli introiti del petrolio, connessi al calo delle quotazioni del greggio, e al forte apprezzamento del Bolivar, la moneta locale, che ha portato a costi di produzione interni nettamente più elevati di quelli all?importazione. Sebbene non si evidenzino direttamente segnali di contagio con l?economia argentina, preoccupa la situazione delle banche. Molti istituti a rischio a Buenos Aires sono fortemente presenti sul territorio venezuelano e questo potrebbe portare a effetti diretti sul fronte del mercato del credito. Non desta preoccupazione al momento il debito pubblico del Venezuela, nettamente inferiore rispetto a quello argentino. Tuttavia le condizioni di incertezza interna potrebbero contrarre in modo significativo gli investimenti diretti provenienti dall?estero. A fronte dei 4.110 milioni di dollari del 2000 nel 2001 e 2002 sono previsti investimenti in calo a 3.500 milioni di dollari nonostante il ruolo di piattaforma logistica che da sempre ha svolto il Paese nei confronti del Nord America. I suoi porti, infatti, sono ad appena cinque giorni di navigazione da Miami. Questi dati, seppure concisi, dimostrano l?elevato rischio in cui versa il Venezuela e l?attenzione che deve essergli riservata dagli osservatori internazionali. A differenza dell?Argentina, infatti, sono moltissime le imprese estere che operano nel Paese e dunque se la situazione precipitasse i rischi di destabilizzazione sarebbero enormi. Appare chiaro che tra i fattori critici è compreso il prezzo del petrolio. Qualora i prezzi dovesse ulteriormente scendere, i rischi di crisi in Venezuela aumenterebbero in modo quasi esponenziale. Fabrizio Spagna ----------------- Fonte: www.patchanka.it/_bakeka/0000013c.htm Differenze tra capitalismo e comunismo cronaca dal Venezuela From: corsaro rosso Remote Name: 212.210.131.158 Date: 10 feb 2002 Time: 09:23 Comments 6/2/02 qui le cose stanno volgendo al peggio. La contra, quei piccolo borghesi che suonano le cacerolas nei loro quartieri perbene, si sono montati la testa. Stanno cercando di provocare per indurre Chavez a reprimere, e provocare il casus belli. La settimana scorsa c'è stata una manifestazione d'appoggio a Chavez di 400mila persone. Oggi non si sa bene che cosa sia successo, però adesso sono in strada molti manifestanti intorno al palazzo presidenziale, e vi resteranno tutta la notte, per appoggiare il governo. Bush sembra che ha fretta e vuole stringere i tempi, cercando di ripetere lo scenario cileno in versione light: agitare la classe media, destabilizzare economicamente, e poi il colpaccio...Per favore, fai circolare il più possibile questa informazione. Nel patio trasero ( cortile posteriore) sembra che non siano tollerati neppure tranquilli governi di sinistra demodé, 8/2/02 Ieri la contra, in concomitanza con un rappresentante dei diritti umani della OEA, ha montato un show mediatico destinato a produrre sensazioni forti. Ha esibito agli operatori TV e affini, un colonnello dell'aviazione che ha dichiarato la sua ribellione al governo. In più asseriva di rappresentare il 70% degli ufficiali! Il tutto era stato montato con l'intenzione di provocare il governo, sperando che il tipo venisse arrestato, a dimostrazione -urbi et orbi- del grado di decomposizione qui esistente e della deriva autoritaria in atto. Fortunatamente nessuno ha abboccato, e sono rimasti a becco asciutto i caceroleros presto sommersi dalla mobilitazione popolare in sostegno a Chavez, che si manterrà vigilante per 3 notti! La cosa preoccupante non sono i pupazzi ma il puparo. É evidente la mano del Dipartamento di Stato e della CIA che vogliono rimettere ordine. Qui si aspettano un crescendo, pensa che il lacchè Toledo, avrebbe organizzato una riunione di presidenti latinoamerani in cui escludeva...Chavez (lo stronzo si atteggia a "indio", ma è un funzionario del Banco Mondiale)! Insomma, è la mano di Bush a rendere esplosiva la situazione. A mio avviso va contrastata, perché se buttano giù Chavez son cazzi più amari per tutti gli altri movimenti. Tieni presente che a complicare le cose, ha contribuito una serie di ostinazioni e di errori del governo di qui, soprattutto di radicalismo e di estremismo iconografico. 9/2/02 L'idea che circola all'estero, è che il Venezuela sia alla vigilia di una salto nel buio, per colpa di quel gorilla del suo presidente che soffrendo di reminescenze tardo-castriste, sta lentamente strangolando la libertà di comunicazione. Gli oracoli neoliberisti descrivono a tinte fosche l'andamento dell'economia e non esitano a vaticinare che tra poco seguirà nel baratro l'Argentina. Questi sono i messaggi martellanti che la CNN fa continuamente rimbalzare all'estero, facendo scempio della verità e mentendo sfacciatamente. Com'è possibile descrivere a questo modo l'economia di un paese che nel 2001 ha avuto il 2.7% di crescita? (il più alto dell'America Latina). Com'è possibile azzardare il semplice paragone con l'infausta Argentina stritolata dall'FMI? Perché occultano che il governo di Caracas è quello che più ha speso per la salute e l'educazione? Sebbene la professione di Chavez, prima di essere eletto e riconfermato in 5 elezioni, fosse quella di tenente colonnello, in Venezuela non ci sono prigionieri politici, non è stato censurato nessun mezzo di comunicazione e non è stato arrestato nessun operatore dell'informazione. L'attuale governo venezuelano, con gli schemi europei degli anni 60, si potrebbe tranquillamente definire di sinistra moderata. E' l'unico governo che è fautore di una politica di contrasto al neoliberismo e ai diktat dell'FMI, ed ha potuto sovranamente disegnare la propria politica economica senza dover far ricorso ai loro prestiti-capestro. É anche l'unico a poterselo permettere in America Latina, grazie soprattutto al buon andamento dei prezzi del petrolio nell'ultimo biennio. La recente approvazione di una legge sui terreni che sanziona con una tassa quei proprietari latifondisti che mantengono improduttive e oziose le loro proprietà, ha scatenato la reazione di questo settore che accusa Chavez di essere un comunistoide. La finalità di quel provvedimento è quella di fomentare la produzione agropecuaria, rimediando ad una situazione insostenibile in cui in un paese con estesi territori non coltivati, si finisce per importare alimenti. Qualche mese fa, Chomsky mise in guardia, segnalando che sinora nessun governo latinoamericano è sopravissuto ad una riforma agraria. Un'altra legge controversa approvata, è quella che regolamenta gli investimenti stranieri nel settore del petrolio e del gas, con società miste con lo Stato venezolano. Anche questo è inaccettabile per i settori che hanno perso il potere e che vorrebbero la privatizzazione pura e semplice dell'industria pubblica degli energetici. Dopo l'11 settembre, questo tema ha assunto una importanza vitale per gli Stati Uniti. Da quando la sicurezza e la garanzia dei rifornimenti da parte della dinastia waabita dell'Arabia Saudita non è più assoluta, Washington ha aumentato le pressioni e le intromissioni in Venezuela, suo secondo fornitore di petrolio. L'accusa di finanziare la guerriglia colombiana rivolta a Chavez dal capo della CIA, è un fatto di indubbia gravità che mette allo scoperto la volontà di Bush di destabilizzare la società venezuelana fino ad ottenere la caduta di un governo per loro anomalo e scomodo. Chavez è un cattivo esempio, colpevole di opporsi apertamente all'Area di Libero Commercio per le Americhe che dovrebbe annettere all'Impero tutte le economie del continente, fino alla terra del Fuoco. E non perdonano all'ex colonnello venezolano di aver fatto visite di Stato in Libia e Irak, reclamando la fine degli embarghi e la difesa della sovranit· nazionale. Il sindacato padronale venezuelano è arrivato a promuovere un paradossale sciopero in cui pagavano la giornata di lavoro a chi manifestava in strada, ottenendo l'appoggio della residuale burocrazia sindacale che si sente vedova del regime anteriore. I settori che dopo 40 anni furono estromessi dal potere, in combutta con l'alta gerarchia ecclesiastica, e con l'appoggio sempre più esplicito degli Stati Uniti, stanno cercando di?togliere di mezzo un governo legittimo e scomodo, fino a provocare un golpe costituzionale che, salvando le apparenze, rimetta ai posti di comando gente più docile e affidabile. Coloro che sostennero i Somoza, i Pinochet, gli Stroesner, i Batista, i generali argentini, quelli guatemaltechi etc etc, oggi vogliono togliere di mezzo il governo di Chavez legittimamente eletto, colpevole di populismo e di obsoleta difesa della sovranità nazionale. 9/2/02 E' proprio vero che nel patio trasero non può esistere nemmeno un governo di sinistra demodé, ma pur sempre di sinistra. Immaginati, quindi, quanto spazio reale ci sia per chi sogna orizzonti più lirici! Se mettono in ginocchio questa esperienza -che è anche l'unica atipica del circondario e che, sia pure con confusione, non si è allineata con il neoliberalismo si profilano tempi duri per tutti. Mi riferisco ai movimenti sociali più radicali o non istituzionali che stanno lievitando, e che non dispongono nemmeno dello scudo formale della legalità, com'è la peculiarità venezuelana. Chavez ha dalla sua parte tutti i settori popolari, più nelle campagne che nelle metropoli, e tutte quelle forze sociali che erano sempre rimaste escluse, o non erano sufficientemente rappresentate dal vecchio regime che crollò sotto il peso della corruzione, degli scandali e del Caracazo. Esattamente nel 1989, i settori popolari di Caracas e delle altre città, risposero con saccheggi e attaccando le banche, alla pretesa governativa di fare propri tutti i diktat dell'FMI. E' stata la prima rivolta di massa,aperta, illegale che bloccò repentinamente le fantasie fondomonetariste in questo paese, e non solo. Il prezzo che si pagò fu molto caro: migliaia di morti. Qui si incontrarono le forze e la capacità per respingere quel che, disgraziatamente, in Argentina divenne politica di Stato. E' da qui che si originò e prese forma una alleanza civico-militare che venne incubata all'interno delle fila militari -tra gli altri- da gente come Douglas Bravo. Da qui prende le mosse quella ribellione civico-militare, in cui confluivano praticamente tutte le sinistre, che nel 1992 portò Chavez alle porte del potere, senza però trapassarle. Furono necessari altri 6 anni, e la formazione di una grande alleanza politica, perché Chavez diventasse Presidente vincendo le elezioni alla grande. Il suo è un governo che ha rifiutato le privatizzazioni (in primis quella dell'industria petrolifera e del gas), che non favorisce affatto il capitale finanziario volatile, che ha preso posizione contro l' ALCA, che dà la priorità al pagamento del debito sociale arretrato con i salariati piuttosto che al rimborso del debito estero (comunque ancora non è stato insolvente). Chavez ha applicato politiche ispirate a Keynes, finalizzate a una spesa pubblica orientata a stimolare la domanda, e al potenziamento dell'istruzione pubblica e del sistema sanitario. Ha respinto finora la privatizzazione del sistema pensionistico. Insomma, sono politiche di una tranquilla sinistra che, alla luce dei tempi globalizzatori, viene dipinta come ingenua e demodé, però è temuta perché è un ostacolo ai desiderata in voga. Le teorie economiche e le ideologie consentite nello scenario contemporaneo non hanno mai digerito Chavez. Da qui il ricorso ai facili stereotipi del gorilla e ad una propaganda grossolana che a volta lo dipinge come un aspirante dittatore castrista, e a volte come un fascista irrispettoso delle libertà. I settori che sono stati estromessi al potere, quelli che vivevano delle importazioni dagli USA e che non esportavano nulla perché non producevano nulla, quel ceto che viveva della corruzione e delle scremature ai 15 miliardi di dollari della rendita petrolifera, quella trentina di elementi dell'alta gerarchia ecclesiastica che hanno perso privilegi, beh...questa gente sta dando i numeri, e non si rassegna. Costoro non mettono in discussione qualche legge approvata, non propongono modifiche o nuove proposte. No, parlano apertamente di estromettere Chavez, vogliono tornare semplicemente agli anni 80! Siccome sono forze socialmente minoritarie, allora invocano un golpe che restituisca loro il maltolto, o sognano con lo sbarco dei marines! La loro opposizione ha il suo punto di maggior forza nel controllo di tutte le reti televisive (salvo un canale statale) e tutti i quotidiani a tiratura nazionale, che conducono una campagna propagandistica che riecheggia i lontani tempi della guerra fredda. Ti dirò di più, probabilmente Chavez non avrebbe retto il colpo senza l'appoggio della Forza Armata che è organicamente parte del progetto di cambio! Suona come un paradosso per molti schemi mentali, ma come ebbi a dirti in altra occasione, non tutti i militari sono come quelli cileni o centroamericani. A questa classe media nostalgica, non rimane che contare su Bush e sulla sua necessità di rimettere ordine in Venezuela perché deve garantire la massima sicurezza ai propri rifornimenti petroliferi. Soprattutto ora, alla luce dei nuovi eventi bellici, e delle lotte intestine tra i 3mila membri della monarchia saudita in vista della successione al vecchio re Fahd, e con lo spettro del fondamentalismo che si proietta fino a questi ambienti.Tutti questi fattori sono molto inquietanti per gli USA. Quindi ha accelerato l'intromissione e le pressioni perché non può assolutamente permettere che ci siano incertezze sulla vitale questione energetica.Il Venezuela è il secondo fornitore degli USA. Questo è il punto in cui si congiungono gli interessi strategici dell'Impero con gli appetiti della classe media autoctona. E l'intromissione è in crescendo: invio di una commissione della OEA per indagare sui diritti umani; commissione della Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil) per indagare su violazioni dei diritti delle burocrazie sindacali; dichiarazioni sfrontate dell'ambasciata USA di Caracas; provocazioni del rappresentante del vaticano ecc. Il tutto amplificato da un grande sostegno dei media, interno ed esterno, che mira alla destabilizzazione e a fomentare la fuga di capitali e svalutazione. L'ultima accusa del capo della CIA che chiama in causa Chavez come finanziatore della guerriglia colombiana è di una gravità inaudita, e probabilmente segna il punto di non ritorno. É evidente che si vuole sloggiare un gruppo dirigente ostico per rimpiazzarlo con gente più addomesticata e docile, che applichi diligentemente le politiche disegnate a Washington senza fiatare. From: corsaro rosso Remote Name: 212.210.131.81 Date: 07 feb 2002 Time: 23:11 Comments FEUDALESIMO: Hai due mucche. Il tuo padrone si prende una parte del latte. FASCISMO. Hai due mucche. Il governo se le prende entrambe, ti assume per prendertene cura e poi ti vende il latte. COMUNISMO AUTENTICO. Hai due mucche. Il tuo vicino ti aiuta a prendertene cura. Tutti e due vi dividete il latte. COMUNISMO APPLICATO. Hai due mucche. Devi prendertene cura, ma il governo prende tutto il latte. TOTALITARISMO. Hai due mucche. Il governo se le prende entrambe e nega che siano mai esistite. Il latte è bandito. DEMOCRAZIA SUDAMERICANA. Hai due mucche. Il governo se le prende entrambe e ti arruola nell'esercito. DEMOCRAZIA EUROPEA. Hai due mucche. La commissione europea decide quale regolazione deve essere applicata per la mungitura e l' alimentazione. Se non ce n'è neanche una, ne inventa qualcuna. Non ti paga per mungere le mucche. Prende entrambe le mucche, ne fa fuori una, munge l' altra e versa il latte nella fogna. Poi ti richiede di compilare il modulo per la mucca smarrita. CAPITALISMO. Hai due mucche. Ne vendi una e compri un toro. La tua mandria si moltiplica e l'economia prospera. Vendi la mandria e vivi di rendita. CAPITALISMO D'AZZARDO TIPO ENRON. Hai due mucche. Ne vendi tre alla tua società quotata in borsa, usando una lettera di credito aperta da tuo cognato alla banca, quindi esegui uno swap dei debiti con un' offerta pubblica d'acquisto così ti riprendi tutte e quattro le mucche, con l'esenzione tasse per cinque mucche. Esattamente Il latte di sei mucche è trasferito attraverso un intermediario ad una compagnia delle Isole Cayman segretamente posseduta dall'azionista di maggioranza che vende il diritto a tutte e sette le mucche alla tua società quotata in borsa. Il bilancio annuale dice che la società possiede otto mucche, con una opzione su una nona. ---------------- Fonte: http://www.latinoamerica-online.it/archivio2001/sec44.html 25 - 31 ottobre 2001 Altro bersaglio degli strali di Washington il presidente venezuelano Chávez, al quale non vengono perdonate le critiche all'intervento militare in Afghanistan. --------- Fonte: http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Novembre-2000/0011lm18 .01.html EGEMONIA POLITICA e RISPETTO DELLA DEMOCRAZIA Per il Venezuela, «neobolivarismo» alla Chávez In Venezuela, il periodo di transizione volge al termine. In due anni, Hugo Chávez ha riportato uno dopo l'altro una serie di successi elettorali tali da permettergli di spazzare via la vecchia classe politica. Ma le pretese egemoniche del suo partito e le divisioni che provoca tra gli alleati e nella società, gli procurano diffidenza e critiche. Una nuova Costituzione, un ruolo di rilievo sulla scena internazionale, il prezzo del petrolio ai massimi storici: ora è con il terreno economico e sociale che deve misurarsi il carismatico presidente. di PABLO AIQUEL * In uniforme, in abiti civili, con sua moglie, in famiglia o ancora in tenuta sportiva con tanto di mazza da baseball in mano, le foto del Presidente, vendute a circa 3.000 bolivar (più o meno 9.000 lire), vanno a ruba a Plaza Bolivar, nel centro di Caracas. Nei chioschi si moltiplicano ritratti, berretti rossi con la scritta «Con il comandante» e altri gadget. Malgrado siano passati quasi due anni da quando, attraverso le elezioni, ha conquistato il potere, Hugo Chávez si vende sempre molto bene. Il 30 luglio, un'ulteriore vittoria elettorale gli ha confermato la fiducia del popolo dopo una campagna contro Francisco Arias Cárdenas, uno dei suoi ex compagni nel tentato colpo di stato del 1992, contrassegnata da violenze verbali e dall'assenza di un dibattito di fondo. In queste «mega-elezioni», Chávez ha ottenuto più voti che nel 1998 e il suo partito, il Movimento per la V Repubblica (Mvr), ha conquistato addirittura quattordici governatorati, molti comuni e la maggioranza semplice nella neonata Assemblea nazionale (1). Fra questi nuovi governatori e deputati solo pochi erano conosciuti dalla popolazione. Per essere scelti è bastata un'unica carta vincente: la benedizione del Comandante. «Come una squadra di baseball» Ogni domenica, centinaia di persone si radunano presso lo studio dove il presidente Chávez «anima» la sua trasmissione radiofonica settimanale «ÁAló, Presidente!». Alcuni ascoltatori - scelti con molta cura - possono parlare direttamente con il capo dello stato, applaudire la sua gestione e chiedere qualcosa per il loro quartiere, la scuola o l'ospedale. Il tutto seguito da un quasi monologo di due ore. «Voglio essere pedagogo e per questo ci vuole tempo», afferma Chávez durate i discorsi ufficiali, spesso lunghi quanto le sue trasmissioni domenicali. «A volte sono delusa da quello che succede, ma quando lo ascolto ritrovo coraggio» dichiara Anuncia Perafán, assistente sociale in un barrio di Caracas. Dotato di grande carisma, il presidente esercita un fascino indiscutibile sulla popolazione e la sua popolarità raggiunge livelli incredibili. «È vero che in alcuni momenti ha subito un calo di consenso. Ma non è mai sceso sotto la soglia del 60%, osserva il responsabile di un istituto di sondaggi. Non si è mai vista una cosa simile. È un mostro politico, un fenomeno». Tuttavia, anche se la maggioranza della popolazione sostiene Chávez, la fiducia dei settori politici ed economici tradizionali, come quella della maggior parte dei media, tarda ad arrivare. Tutti riconoscono che la «rivoluzione bolivariana» rappresenta la prima rottura politica della storia venezuelana realizzata democraticamente e soprattutto senza violenze. Ma il modo egemonico con cui il Mvr gestisce il potere provoca diffidenze. Il presidente stesso suscita reazioni estremamente contraddittorie (2). «È un personaggio dall'animo scisso. È insieme la destra e la sinistra. In lui coesistono in modo costante tensione idealistica e pragmatismo», spiega Teodoro Petkoff, ex guerrigliero, diventato ministro nel governo di Rafael Caldera e oggi direttore di un giornale (3). Da un lato impressiona l'evidente apertura mentale alla base della Costituzione «bolivariana» del dicembre 1999, decisamente all'avanguardia rispetto a diritti umani e garanzie sociali: tra altre nuove istituzioni, si sancisce, infatti, il potere elettorale e soprattutto quello dei cittadini (4). Ma, da un altro lato, Chávez non ha mai smesso di fomentare divisioni tra i suoi alleati. Francisco Arias, Yoel Acosta e Jesús Urdaneta, suoi alleati durante il golpe del febbraio 1992, hanno ritenuto che il Mvr non lasciasse loro alcuno spazio nel nuovo assetto politico. Così come, più tardi, durante le campagne elettorali, il partito di sinistra Patria para todos (Ppt) è stato implicitamente spinto a lasciare la coalizione del Polo patriottico. Per marcare la differenza tra il «processo bolivariano», nelle mani di un ristretto gruppo di fedelissimi a capo di un'organizzazione politico-militare, e l'opposizione, il presidente usa l'immagine del Libertador Simon Bolivar e la sua teoria «dell'albero dalle tre radici» (5). I suoi pretoriani sono infatti figure della sinistra degli anni '60: Luis Miquilena, capo dell'Assemblea nazionale costituente e del Congresso interinale, è un ex leader comunista, come José Vicente Rangel, ministro degli esteri, o il ministro del petrolio Ali Rodriguez. Ex guerrigliero, quest'ultimo fu il braccio destro di Douglas Bravo e, con lui, uno degli ultimi a lasciare la guerriglia, all'inizio degli anni '70. D'altra parte, Luis Dávila, al ministero dell'interno, ha uno dei quattro portafogli affidati ad ex militari; sono ex-guerriglieri, peraltro, anche due terzi dei governatori del Mvr o altri responsabili d'istituti pubblici, sociali o di regolamentazione, designati dal presidente. A oggi, Chávez ha creato un'organizzazione centralizzata in cui tutte le decisioni devono passare per Caracas. È alla Casona, la residenza presidenziale, che il capo dello stato ha spiegato ai «suoi» governatori e ai «suoi» deputati che «il governo è come una squadra di baseball. Io sono l'allenatore. E i giocatori devono seguire le istruzioni, altrimenti saranno espulsi dal campo di gioco». Questo modo di gestire il potere si è manifestato in varie occasioni e con eccessi che non hanno niente da invidiare ai metodi clientelari ed elitari dei suoi predecessori, tanto denigrati dai sostenitori del presidente. Del resto, altre decisioni mirano apertamente a creare organismi fedeli al «processo»: Chávez ha dichiarato di voler «demolire» l'ex Confederazione dei lavoratori del Venezuela, tanto burocratica quanto corrotta, per creare una centrale sindacale «bolivariana»; il governo ha poi deciso di considerare come rappresentanti della «società civile» solo le organizzazioni non governative (Ong) che non ricevono finanziamenti dall'estero. Infine, il 20 settembre 2000, il presidente ha annunciato che avrebbe chiesto al Congresso poteri speciali per affrontare la crisi che scuote il paese, facendo riemergere il fantasma dell'autoritarismo di cui spesso è accusato... Tanto più che i partigiani di Chávez a volte prendono quasi alla lettera la retorica guerriera del movimento e si spingono troppo lontano, come quell'insegnante che ha scritto un libro di istruzione «premilitare» per studenti liceali dal contenuto xenofobo e ultranazionalista (6). Di fronte alle proteste, il governo ha deciso di ritirare il libro dalle scuole e ne ha sospeso le vendite. Smarcarsi dagli Stati uniti Avvisaglie che non hanno oscurato l'immagine di Chávez, almeno non ancora. Il presidente ha saputo spiegare che gli serviva tempo: un miglioramento del livello di vita, soprattutto delle classi povere, non dovrebbe tardare, benché sembrasse un obiettivo lontano ancora fino a poco tempo fa. Chávez ha atteso di avere una maggiore stabilità e una chiara superiorità politica prima di lanciare i suoi programmi sociali, anche se poi, nel maggio 1999, in piena recessione economica, il governo ha decretato un aumento salariale del 20% che ha provocato la rabbia del padronato. Sul piano internazionale, il presidente porta avanti una politica di tipo volontaristico, che incontra un indubbio successo. Si è chiaramente pronunciato per un mondo multipolare e ha favorito gli incontri in due direzioni: da un lato tra partner «petroliferi», con conseguente rafforzamento dell'Organizzazione dei paesi produttori di petrolio (Opec), e dall'altro, in funzione dell'integrazione regionale, con la promozione di un legame tra la Comunità andina delle nazioni (Can) - Colombia, Perù, Ecuador, Bolivia e Venezuela - e il Mercato comune del sud (Mercosur). «È comprensibile che un paese così vicino agli Stati uniti, possa temere di essere completamente assorbito nell'orbita di Washington, spiega un diplomatico europeo. Da questo punto di vista, Chávez è molto sensibile a tutto ciò che può dare un po' di spazio al suo paese. È vero che qualche volta mostra un'inclinazione un po' romantica verso coloro che hanno tenuto testa agli Stati uniti. Ma nelle circostanze attuali, è difficile far evolvere il sistema politico, economico o culturale venezuelano verso un modello libico, iracheno o cubano...» Dai piani economici annunciati, questo non sembra affatto il progetto del presidente: prima della fine dell'anno, apertura del mercato delle telecomunicazioni - che dovrebbe garantire parecchie centinaia di milioni di dollari - , creazione di fondi pensione... Grande viaggiatore, Chávez si è permesso di essere il primo presidente eletto a recarsi in visita, il 10 agosto, da Saddam Hussein, provocando grande irritazione a Washington. I prezzi superiori a venticinque dollari il barile, nonché gli aumenti di produzione per far fronte alla crisi energetica europea, faciliteranno i progetti messi a punto da Caracas per sanare l'economia: riduzione della spesa pubblica, stabilità del corso del bolivar, controllo dell'inflazione. I consiglieri economici del governo sostengono che è arrivato il momento di aprire i cordoni della borsa. Propongono un modello «umanista, autogestito e competitivo» nel quale «il principale investimento è l'istruzione, ossia il capitale umano». E Chávez ha spiegato come vorrebbe spendere in assistenza sociale - scuole, ospedali, case, tecnologia e sicurezza - i circa 2,1 miliardi di dollari che provengono dalle riserve di cambio della Banca centrale del Venezuela (Bcv). Ha assicurato che il 25 dicembre si dovrebbero già poter misurare i progressi dei suoi programmi sociali. Questi prevedono anche un piano specifico di aiuti per lo stato di Vargas (vittima delle inondazioni del dicembre 1999), e un aumento della partecipazione dell'esercito nell'economia. Tuttavia due gravi problemi minacciano il cambiamento «bolivariano»: la disoccupazione e la delinquenza. Più di ottanta persone vengono assassinate ogni fine settimana in tutto il Venezuela, di cui cinquanta circa nella capitale. Inoltre, il governo confessa che il tasso di disoccupazione si avvicina al 15%, mentre il 54,3% dei lavoratori ristagna nella cosiddetta economia «informale». Questa parte della popolazione giudicherà il presidente dalla sua capacità di lottare contro la corruzione, ridurre la delinquenza e migliorare, oltre all'economia del paese, anche la «sua» economia. note: * Giornalista, Caracas (1) Nell'Assemblea nazionale, Camera unica legislativa, il Mvr ha ottenuto 85 seggi su 165; ha una maggioranza semplice e può raggiungere la maggioranza qualificata con i suoi alleati del Movimento per il socialismo (Mas). Ma anche uniti non raggiungono la maggioranza assoluta. Per quanto riguarda i governatori, nove sono del Mvr - tra cui il padre del presidente, Hugo de los Reyes Chávez - , e altri cinque dei suoi alleati. (2) Vedere Gabriel García Márquez, «I due volti del comandante Chávez», Le Monde diplomatique/il manifesto, settembre 2000. (3) Teodoro Petkoff, Una segunda opinion, la Venezuela de Chávez, Edizioni Grijalbo, Bogotá, 2000. (4) Quest'ultimo è composto dal procuratore generale, dall'intendente generale delle finanze e dal difensore del popolo - figura del tutto nuova che ha il compito di proteggere i diritti umani. (5) «L'albero dalle tre radici»: le idee fondamentali del «neo-bolivarismo» si basano sul pensiero di Simon Bolivar, Simon Rodriguez, educatore del Libertador, e Ezequiel Zamora, caudillo federalista della fine del XIX secolo. Questa triade di riferimento si ritrova lungo tutta la preparazione rivoluzionaria, a partire dal 1979, cfr. Alberto Garrido, La historia secreta de la revolución bolivariana, Editorial Venezolana, Caracas, 2000. (6) Il libro di Marjorie Vásquez, Instrucción «pre-militar» (Editorial Biosfera, Caracas), spiegava la differenza tra «gli stranieri desiderabili» (europei) e gli «stranieri indesiderabili» (latino-americani) che «occupano posti di lavoro e letti d'ospedale che spettano ai venezuelani» e le cui «donne offrono il proprio corpo al miglior offerente per fare figli e procurarsi documenti d'identità». (Traduzione di G.P.)
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