Dossier Venezuela: il perche' di un golpe



breve raccolta di articoli da cui si possono evincere le motivazioni del
golpe di oggi a Caracas
Nello


Fonte: http://www.cnnitalia.it/2000/MONDO/mediooriente/08/10/chavez/
Da Saddam arriva Chavez:

"Uno schiaffo agli Usa"
10 agosto 2000
Articolo messo in Rete alle 05:04 ora italiana (03:04 GMT)

BAGHDAD (CNN) -- Al suo arrivo, previsto per oggi, il presidente venezuelano
Hugo Chavez sarà il primo capo di stato a giungere a Baghdad per incontrare
Saddam Hussein dall'inizio della Guerra del Golfo.
L'iniziativa di Chavez è particolarmente apprezzata dal regime iracheno
e assai poco gradita agli Stati Uniti. Il portavoce del dipartimento di
Stato, Richard Boucher, ha definito "decisamente irritante" il fatto che
la prima visita in Iraq compiuta da una capo di stato estero sia fatta da
un presidente democraticamente eletto, com'è appunto Chavez, riconfermato
recentemente alla guida del Venezuela.
Un portavoce iracheno da parte sua ha invece descritto l'inziativa del
presidente
venezuelano come "un nuovo schiaffo sulla faccia dei governanti americani".

Chavez è impegnato in un tour di dieci giorni che lo porterà in tutti i
Paesi appartenenti all'Opec, l'organizzazione che riunisce alcuni degli
Stati esportatori di petrolio. Tra le ragioni del viaggio c'è quella di
invitare personalmente i vari leader al vertice previsto a Caracas il
prossimo
27 settembre. Nella capitale venezuelana verrà infatti celebrato il 40esimo
compleanno dell'Opec a cui però si pensa non sarà presente Saddam.
Chavez sostiene la necessità che l'Opec tagli la produzione giornaliera
di barili di petrolio per mantenere alti i prezzi del greggio. Finora Chavez
è stato in Arabia Saudita, il principale produttore di petrolio mondiale,
Emirati Arabi, Qatar e Kuwait.

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Fonte: http://www.tightrope.it/USER/CHEFARE/archivcf/cf53/chavez.htm

Venezuela
LA "RIVOLUZIONE PACIFICA" DI HUGO CHAVEZ

Mentre scriviamo il presidente venezuelano Chavez va ad incontrarsi con
Saddam, primo capo di stato straniero a visitare 1?Iraq dalla guerra del
Golfo del ?91. Quando, per tutta risposta, dal Pentagono qualche uomo
dell?imperatore
fa sapere che gli USA "stanno perdendo la pazienza", la risposta del
Caudillo
è a tono: "Io, se voglio, vado pure all?inferno". Di un altro imperdonabile
peccato si era già macchiato il suo governo: quello di aver rotto
dichiaratamente
l?isolamento di Cuba non nascondendo anzi la propria ammirazione per Fidel
e per l?esperienza rivoluzionaria cubana.


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Fonte:
http://www.cnnitalia.it/2000/MONDO/mediooriente/08/11/chavez/index.html

Chavez sfida gli Stati Uniti:
a passeggio con Saddam
11 agosto 2000
Articolo messo in Rete alle 08:27 ora italiana (06:27 GMT)


Il primo capo di Stato a Baghdad dopo la guerra


Gli Stati Uniti hanno accusato Chavez di fornire all'Iraq una splendida
carta propagandistica per uscire dall'isolamento politico nel quale è ancora
tenuto a nove anni dalla fine della guerra (nessun capo di Stato fino a
questo momento aveva visitato la capitale irachena, dove si era recato solo
il segretario generale dell'Onu Kofi Annan). "Che cosa ci possiamo fare
se gli americani si seccano? - ha ironizzato ieri il leader venezuelano
- Noi abbiamo una dignità, e il Venezuela è un Paese sovrano. Ha il diritto
di prendere le decisioni che ritiene nel proprio interesse".

I risvolti politici della vicenda sono stati evidenti nel fatto che, come
ha rivelato ai giornalisti il viceministro degli Esteri venezuelano Jorge
Valero, Chavez ha offerto a Hussein appoggio perché sia messo fine
all'embargo
che grava sul Paese dal 1990: "Il presidente Chavez ha sostenuto la
posizione
venezuelana a sostegno di ogni accordo contro qualsiasi tipo di boicottaggio
o sanzioni che siano applicate contro l'Iraq o contro qualsiasi altro Paese
del mondo".

Aperture sul petrolio
L'Iraq sembra aver risposto all'apertura venezuelana accettando
l'impostazione
di Caracas sulla politica petrolifera. In particolare il Venezuela propone
che si fissi un livello del prezzo del petrolio (Chavez pensa a 25 dollari
al barile) che farebbe scattare automaticamente un aumento della produzione
se le quotazioni salissero, o farebbe scattare una diminuzione della
produzione
se i prezzi scendessero sotto alla soglia prevista.

"Siamo d'accordo con ciò che va proponendo Chavez", ha dichiarato Abdulillah
al Tikriti, capo della sezione economica del ministero iracheno del
Petrolio.


Gli Stati Uniti sono il primo cliente dell'industria petrolifera venezuelana
e, fino a poco tempo fa, il Venezuela era noto all'interno dell'Opec per
la scarsa adesione alle restrizioni imposte dal cartello dei Paesi
produttori.


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Fonte: http://www.fuoriluogo.it/arretrati/2001/gen_8.html

I repubblicani sono intenzionati anche a cambiare atteggiamento verso la
politica di Hugo Chavez: il presidente del Venezuela è uno dei più fermi
oppositori al Plan Colombia, ha appena venduto petrolio a un prezzo ridicolo
a Cuba ed ha assunto una posizione intransigente sull?andamento del prezzo
del greggio all?interno dell?Opec. Dopo due anni di politica estremamente
cauta condotta dai democratici nei suoi confronti (proprio per l?importanza
del paese nel settore energetico), i repubblicani accusano Chavez di
appoggiare
i gruppi guerriglieri di tutta la zona andina (in particolare il gruppo
colombiano dell?Eln) e percepiscono la sua politica come ulteriore elemento
di instabilità.

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Fonte: http://www.equilibri.net/americhe/venezuelasciopero.htm

Le Riforme della discordia e la Ley Habilitante

Il 13 Novembre 2001 in diretta televisiva, Chavez ha annunciato il passaggio
di un vasto pacchetto di riforme economiche. Leggi frutto della politica
di decreti presidenziali, che includono ben 49 riforme che modificano, a
volte anche radicalmente, i più differenti settori dell'economia del paese:
i più controversi sono quelli relativi alla Legge sulla terra e a quella
sugli Idrocarburi.
La legge sulla Terra, permette al governo di confiscare e ridistribuire
terreni privati coltivati che eccedano una certa dimensione e che siano
giudicati improduttivi, la legge da' inoltre allo stato il potere di
controllare
l'utilizzo agricolo dei terreni. Inoltre gli agricoltori dovranno mostrare
i titoli di proprietà delle terre che utilizzano a iniziare dal 18 Dicembre
(8 giorni dopo l'entrata in vigore della legge) onde evitare
l'espropriazione.
Il Miami Herald riportando uno studio fatto dall'Istituto Nazionale Agricolo
del Venezuela stima che quasi il 95% dei proprietari terrieri nel paese
non possiede titoli legali delle proprie proprietà.
La legge sugli Idrocarburi capovolge 20 anni di liberalizzazione
nell'industria
del settore. Nella riforma è prevista la maggioranza del governo nella
proprietà
di tutte le nuove joint ventures legate al settore petrolifero, e viene
inoltre decretato l'innalzamento delle royalties che le compagnie straniere
devono allo stato, passando dall'attuale 16,6% al 30%, stabilendo un nuovo
record nel settore.Una manovra che va in piena controtendenza rispetto al
trend mondiale, negli ultimi anni infatti le potenti compagnie petrolifere
erano riuscite, in molti dei paesi produttori di petrolio, a far scendere
le royalties che andavano corrisposte ai governi. Una misura che stando
ad alcuni commenti riportati dal Financial Times inciderebbe sullo sviluppo
di molti progetti, rendendoli da un punto di vista economico poco attraenti.
Le riforme varate dal governo e di cui fino alla loro promulgazione si era
avuto poco o nessun sentore, hanno causato reazioni negative tanto in
Venezuela
come all'estero. La comunità economica venezuelana teme che la paura delle
nuove leggi porti alla fuga di molti capitali esteri e alla netta
diminuzione
di investimenti stranieri, soprattutto nel settore cruciale dell'industria
del petrolio, mentre la minaccia della confisca di proprietà private
potrebbe
gettare il settore agricolo nel caos.
Ma la manovra effettuata da Chavez è prevista dalla costituzione
.L'assemblea
nazionale nell'Ottobre del 2000 ha garantito a Chavez la possibilità di
legiferare dal 13 Novembre del 2000 al 13 Nov. Del 2001. Chavez ha fatto
ricorso alla cosiddetta "ley habilitante" e durante il suo mandato iniziato
nel 1998 è già la seconda volta che Chavez vi utilizza questa norma; la
prima gli ha permesso di legiferare in aree politiche ben definite
all'inizio
del 1999. L'utilizzo di questo strumento non è assolutamente inusuale in
Venezuela, ne hanno usufruito tutti i diretti predecessori di Chavez: Rafael
Caldera e Carlos Andrei Perez. Tuttavia la Ley Habilitante, prima di Chavez,
permetteva all'esecutivo di interessarsi ad una complessa ma strettamente
definita area della politica. I decreti legge venivano soprattutto
utilizzati
per velocizzare procedimenti legislativi su cui vi era un vasto consenso
politico, ad esempio la creazione del fondo per la stabilizzazione economica
nel 1998 sotto il governo Caldera. Il contrasto con i poteri concessi a
Chavez è completo. In questa occasione sono stati concessi poteri molto
estesi, che permettono all'esecutivo di legiferare attraverso decreti, su
un vastissimo spettro di aree - inclusi idrocarburi, imposte sul reddito,
pesca, e sicurezza personale-. La responsabilità di tale situazione è stata
determinata da due fattori:

L'assemblea Nazionale ha aggiornato la legislazione esistente seguendo le
linee della nuova costituzione approvata nel 1999, costituzione che aumenta
enormemente i poteri dell'esecutivo.
L'amministrazione Chavez si considera un governo radicale, con un mandato
popolare che legittima riforme di vasta portata.

I gruppi di opposizione sono determinati a portare le nuove leggi davanti
alla Corte Suprema del Venezuela, una manovra che servirà anche ad aumentare
la percezione del Venezuela come paese ad "alto rischio" sul mercato
internazionale,
dal momento che mancano regole precise per gli investitori.

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Fonte: http://www.iqsnet.it/quindicigiorni/marzo99/sinven.htm

Il sindaco di Molfetta, Guglielmo Minervini, è andato a far visita ai
molfettesi
emigrati in Venezuela. Gli abbiamo chiesto di raccontare a "Quindici" la
sua esperienza e le sue impressioni

"Il recente cambio di regime politico che ha condotto al governo il militare
Chavez sta suscitato diffuse speranze di moralizzazione della vita pubblica,
di giustizia sociale e di stabilità economica". Guglielmo Minervini

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fonte: http://www.larivistadelmanifesto.it/archivio/1/1A19991210.html

La Rivista del Manifesto - dicembre 1999

L'enigma Chávez

IL VENTO DI CARACAS
Maurizio Matteuzzi


Giusto un anno fa, la notte del 6 dicembre del '98, nell'immensa e
brulicante
avenida Bolivar di Caracas el huracán Hugo cominciò a soffiare sul
Venezuela.
L'ex colonello golpista del febbraio '92, e il suo "popolo bolivariano",
che col 57% dei voti l'aveva appena catapultato alla presidenza, si
sentivano
"il magnifico uragano della patria venezuelana". A notte alta, dal balcone
dell'università, Hugo Chávez, 45 anni, faccia criolla su un corpo massiccio,
si tolse giacca e cravatta - ma non il basco rosso da parà che indossava
la notte del 4 febbraio '92, quando tentò il golpe contro il presidente
Carlos Andrés Pérez - si arrotolò le maniche della camicia e cominciò a
parlare.
Da una parte lui, "il guerriero per la pace e la vera democrazia", "il
soldato
della patria, il soldato del popolo"; al suo fianco la giovane e bionda
moglie Marisabel Rodriguez - sposata dopo i due anni di carcere e l'indulto
concesso dal vecchio presidente democristiano Rafael Caldera -, che per
l'occasione si era sfilata i suoi anelli per regalarli a una popolana;
dietro
a lui, in seconda fila, i dirigenti della pletora di partiti e partitini
- prevalentemente nazionalisti e di sinistra - del "Polo Patriottico"; di
fronte a lui il suo popolo, centinaia di migliaia di descamisados in
rappresentanza
di quell'80% dei 23 milioni di venezuelani ridotti alla fame in uno dei
paesi più ricchi del mondo, che l'avevano appena eletto presidente della
repubblica "para limpiar toda esa mierda".
Dall'altra parte, fisicamente assenti ma presentissimi, gli sconfitti del
"Polo democratico" e "il putrido sacco di tutti i corrotti", con dentro
gli esponenti del "patto tacito" fra i poteri forti che dalla cacciata
dell'ultimo
dittatore militare, il generale Marcos Pérez Jiménez nel '58, aveva
governato
la democrazia venezuelana per 41 anni filati. L'oligarchia, gli imprenditori
pubblici e privati, la banca, la burocrazia, i sindacati, i giudici, i
militari,
la chiesa cattolica e i due grandi partiti tradizionali del duopolio di
governo - i social-democratici di Acción democratica e i social-cristiani
del Copei - che da allora si erano alternati ogni cinque anni al palazzo
stile rococò di Miraflores, e che nelle elezioni del 6 dicembre avevano
raccolto, insieme, la miseria di meno del 9% dei voti.
Dopo 40 anni erano stati spazzati via dalla mappa politica, anche se alla
Camera e al Senato avevano ancora la maggioranza. E spazzati via non da
un golpe militare ma da un indiscutibile "golpe democratico", come riconobbe
Jimmy Carter, l'ex presidente americano riciclato in osservatore di elezioni
a rischio.
E ancora di più sarebbero stati spazzati via qualche mese dopo, nel
referendum
del 25 aprile sull'Assemblea costituente, l'architrave della campagna di
Chavez, e nelle elezioni del 25 luglio, quando i chavisti ebbero 121
deputati
costituenti su 131.
Insediatasi il 3 agosto, l'Assemblea aveva avviato il calvario del vecchio
Venezuela istituzionale. Fregiandosi del titolo di Soberanissima aveva non
solo messo mano al futuro - sei mesi per scrivere la ventiseiesima
costituzione
nei 190 anni di indipendenza e la più lunga coi suoi quasi 400 articoli
- ma anche sul presente e sul passato. Proclamando l'"emergenza nazionale",
aveva in pratica chiuso il Congresso e la Corte suprema (i 1200 giudici
in attività erano stati passati al pettine e 200 licenziati o sospesi per
corruzione o incapacità).
La vecchia classe politica spodestata, i partiti tradizionali annichiliti
gridarono al "golpe bianco". Difficile da dimostrare: il referendum di
aprile
mandava a riscrivere la costituzione del '61 ma anche a "trasformare lo
stato e permettere l'effettivo funzionamento di una democrazia sociale e
partecipativa".
A giudizio del comandante Chávez e dell'80% di venezuelani poveri-da-sempre
o nuovi-poveri (come la piccola-media borghesia, il 20-25% della
popolazione,
risucchiata nel baratro), erano loro i responsabili del disastro di quello
che era stato considerato il mitico "Eldorado" o "il Venezuela saudita",
il paese dove "un gallone di benzina costava meno di una bottiglia di acqua
minerale" e il dollaro non si muoveva dalla soglia economica e psicologica
dei 4.30 bolivares. Ora non c'era più quel paese ma un altro. Dove per un
dollaro ci volevano 570 bolivares e ridotto all'orlo della bancarotta
economica
e della disintegrazione etica e politica, nonostante fosse la quarta
economia
dell'America latina e il secondo esportatore di greggio al mondo. Il paese
della corruzione e dell'impunità, come e peggio di tutti gli altri
convertiti
nell'ultimo decennio in laboratori del neo-liberalismo puro e duro, con
l'aggravante che in Venezuela la democrazia durava da 40 anni.
Dove sono finiti i 300 miliardi di dollari incassati dal petrolio negli
ultimi 25 anni? E dove finiscono i 25 miliardi che l'oro nero procura ogni
anno? Perché oggi il Pil procapite è minore che nel '78? Come mai negli
ultimi 20 anni i venezuelani hanno visto evaporare il 70% del potere
d'acquisto
dei loro redditi e ora sono costretti a vivere o nel limbo incerto dell'
economia informale (ormai il 50% del totale) o nella miseria insostenibile
dei 234 dollari al mese percepiti dal 96.4% di loro, quando ce ne vogliono
almeno 450 per soddisfare i bisogni primari di una famiglia? Perché nell'84
i poveri erano il 32% della popolazione e oggi sono l'80%? Perché la
disoccupazione
aperta o coperta è ormai al 40%? E il 45% dei bambini e adolescenti non
va a scuola o la lascia prima del tempo? Perché i tre quarti dei 23mila
reclusi non è mai stato processato, o, secondo la Banca mondiale, "solo
il 4% della popolazione ha accesso alla giustizia"? Come è possibile che
in un paese in cui il salario minimo equivale a 175 dollari al mese
(aumentato
da Chávez a 190, ma divorato all'istante dal 40% di inflazione) ci siano
dirigenti della Pdvsa, la compagnia petrolifera statale, con salari da
48mila
dollari al mese e pensionati d'oro da 24mila dollari? Che le frodi fiscali
e doganali facciano sparire nelle banche di Miami o Ginevra 6 miliardi di
dollari l'anno, l'equivalente dei due terzi del deficit fiscale del '98?
O che molti dei 2000 dirigenti sindacali della poderosa Ctv - la
Confederación
de trabajadores de Venezuela - e dei 1200 giudici, entrambi figli degeneri
ma legittimi del duopolio Ad-Copei e finiti sotto il torchio giustizialista
di Chávez, siano diventati milionari vendendo scioperi (mancati), contratti
(bidone) di lavoro, sentenze (addomesticate), archiviazioni (di favore)?
Numeri e dati che spiegano perché sul Venezuela si è abbattuto el huracán
Hugo. Perché l'oligarchia politico-economica, non più del 3.6% della
popolazione
ma finora detentrice di tutto il potere, teme per la prima volta la
"vendetta"
dei descamisados. Perché, dopo l'iniziale euforia, da un anno i capitali
stranieri siano entrati in sciopero e perché i padroni del vapore grandi
e piccoli - gli Stati Uniti di Clinton, di cui il Venezuela dal '96 è
diventato
il primo fornitore di petrolio davanti all'Arabia saudita; la Spagna di
Aznar, che sta pagandosi la sua Reconquista dell'America latina a suon di
investimenti - sono estremamente diffidenti e concedono un beneficio del
dubbio limitato nel tempo. E perché tanti pasdaran della democrazia
iper-formale
e del mercato ultra-liberista hanno già emesso la condanna definitiva e
inappellabile contro Chávez e le sue velleità anti-liberiste. Vargas Llosa
lamenta "el suicidio de una nación", affermando che i "deliri populisti
e autocratici di quel risibile personaggio che è il tenente colonnello Hugo
Chávez non fanno di lui un democratico" ma solo uno dei tanti "dittatori,
despoti e tirannelli" di cui "è piena la storia dell'America latina".
L'Economist
ammonisce Chávez e la sua Costituente che "i fallimenti del Venezuela sono
prima di tutto quelli dello Stato piuttosto che quelli del mercato". El
Pais sentenzia che "il Venezuela avanza come una locomotiva senza controllo
verso l'abolizione di tutti i controlli propri di uno stato di diritto"
e che la nuova costituzione "sarà la prova del fuoco per sapere se la
rottura
è con la corruzione o con la democrazia". Human Rights Watch teme per i
diritti umani, l'Internazionale socialista per la messa in mora di Ad e
l'Oit (Organizzazione internazionale del lavoro) per quella della Ctv.
Ognuna di queste prese di posizione critiche ha un suo fondamento. Perché
il Venezuela e i suoi due partiti da 40 anni sono sempre stati un'anomalia
democratica nel panorama dell' America latina. E perché Chávez è un
personaggio
inquietante, tuttora misterioso e certo - come scrive Newsweek - non potrà
essere mai confuso "con uno di quei pallidi tecnocrati" laureati nelle
prestigiose
università americane della Ivy League e "salutati un decennio orsono come
le facce nuove della Latin leadership". Ma è singolare come lorsignori non
si siano accorti di quel che stava da tempo accadendo in Venezuela (e non
solo là).
Quando il 13 ottobre del '97 il presidente Clinton arrivò a Caracas per
una visita "di alto valore simbolico" - con il paese già sul punto di
affondare
-, non lesinò lodi alla "silenziosa ma impressionante rivoluzione" in corso
in Venezuela. E nel giugno del '98 fu il presidente dell'FMI, Michel
Camdessus,
a sbarcare a Caracas e affermare che le riforme economiche intraprese da
Caldera - lo smantellamento dei controlli sui prezzi, la privatizzazione
delle industrie statali, i consistenti aumenti nel prezzo della benzina
- andavano "nella direzione giusta". Eppure a metà del '98, con il crollo
del prezzo del petrolio, le previsioni di crescita economica del 6% si erano
già ridotte a zero e per il '99 si attendeva una recessione intorno al 10%
nonostante il prezzo del petrolio sia più che raddoppiato.
Chávez ha passato un anno viaggiando per l'universo mondo a spiegare chi
è lui e cos'è la sua "rivoluzione pacifica e bolivariana", a rassicurare
investitori e politici, a ribattere alla "selvaggia" campagna di
disinformazione,
a ribadire la legittimità del "processo democratico", a confermare la sua
decisione di far nascere "il nuovo Venezuela", a ribadire che "il mercato
non è il Dio che si crede di essere", a denunciare "l' inferno del
neo-liberalismo"
che "ha devastato il Terzo mondo".
Ma chi è Hugo Chávez e perché si parla tanto male di lui? La costituzione,
scritta a spron battuto in tre mesi per potere essere posta a referendum
il 15 dicembre, è come lui, che la chiama affettuasamente "el muchachito":
non facile da decifrare, contraddittoria, complessa, ambigua, inquietante,
lirica.
Porta da 5 a 6 anni la durata del mandato presidenziale e consente la
rielezione
immediata, ma non più di una (come negli Usa): per cui Chávez potrebbe
restare
presidente per 12 anni (hanno fatto lo stesso l'argentino Menem, il
peruviano
Fujimori, il brasiliano Cardoso, ma in quei casi nessuna obiezione).
Abolisce
il Senato. Consente al presidente di sciogliere il Congresso. Istituisce
il referendum revocativo per tutte le cariche elettive. Dispone che i
giudici
siano elettivi e che il nuovo codice penale adotti il sistema accusatorio,
all'americana. Ridà il voto ai militari, come negli USA ma proibito in
Venezuela
dal '58. Revoca l'immunità a vita di politici e deputati accusati di
corruzione.
Riconosce garanzie costituzionali alla lingue e culture dei 500mila indios
superstiti. Proibisce la pena di morte, l'ergastolo, la tortura e "qualsiasi
pena infamante". Nega l'immunità e la prescrittibilità dei delitti di "lesa
umanità". Proibisce invece la privatizzazione del petrolio e della Pdvsa,
della previdenza sociale (disco rosso quindi ai fondi privati di pensione).
Riduce la settimana lavorativa da 48 a 44 ore. Garantisce la proprietà
privata
subordinandone tuttavia per legge l'uso "all'interesse sociale". Pone limiti
all'autonomia della Banca centrale. Ai tre poteri classici di Montesquieu
ne aggiunge un altro, il potere morale, definito da Chavez "la quarta gamba
della democrazia", preso dall'ideario del suo idolo Simon Bolívar, col
compito
di vegliare sui giudici e contro la corruzione. Riconosce l'ambiguo diritto
"all'informazione veritiera, opportuna e imparziale" e - cedendo alle
pressioni
della Chiesa cattoilca - nega il diritto all'aborto (se non quello
terapeutico)
previsto nella bozza preparatoria.
La nuova costituzione è stata salutata da Chávez come "una delle più
avanzate
del mondo". Quelli a cui piace mettono l'accento sui suoi aspetti
democratici
in campi come la rigenerazione morale dello Stato, i diritti civili e umani,
i diritti degli indiani, la protezione ambientale, le riforme giudiziarie,
la lotta alla corruzione e la fine dell'impunità, la "civilizzazione" dei
militari inseriti nella società civile, il mix fra Stato e mercato, il
rifiuto
dell'onnipotenza del neo-liberalismo e la salvaguardia della sovranità
statale
sulle ricchezze nazionali e sulle aree sociali più deboli.
Ma ancor prima di nascere ha già molti nemici dentro e fuori il Venezuela.
Il milieu politico tradizionale, ovviamente, che la bolla come "la nueva
moribunda" e "la peggiore della nostra storia". Il business locale e la
Pdvsa perché "ci riporta a un passato statalista che credevamo di esserci
lasciati alle spalle", dice Federcamaras, la Confindustria venezuelana.
L'Inter-American Free Press Association perché l'articolo sulla
"informazione
veritiera" prefigura la censura. Il business internazionale, perché, ha
scritto il Financial Times, - a parte qualche segnale positivo: lotta alla
corruzione e all'evasione fiscale, riduzione delle dimensioni del governo
e delle spese di bilancio, garanzie alla proprietà privata e agli
investimenti
stranieri - la sua "miscela di populismo e statalismo" non risolverà i
problemi
istituzionali e "per certi aspetti riporterà il Venezuela ancora più
indietro".
I depositari del marchio della democrazia, a Washington, a cui non piacciono
né Chávez né la sua costituzione perché entrambi mostrano inequivocabili
segni di populismo e autoritarismo, di anti-liberalismo e statalismo: il
Dipartimento di Stato segue la situazione in Venezuela "con crescente
preoccupazione".
Chávez va avanti per la sua strada, ma il terreno è minato e il tempo corre
contro di lui. All'interno minaccia "l'opposizione dell'oltretomba"
ricordando
che "la voce del popolo è la voce di Dio e la voce dell'oligarchia è la
voce del diavolo". Dice che appena approvata la costituzione "il Congresso
sarà sciolto automaticamente" e annuncia elezioni a inizio 2000 per la nuova
Camera, in cui, se si confermerà la Chávezmania che l'accredita di un indice
di gradimento dell'80%, l'opposizione sarà ridotta praticamente a zero.
All'esterno manda segnali rassicuranti. A Clinton è andato a dire che la
sua "rivoluzione pacifica" è "così democratica che più democratica non si
può"; ad Aznar che "in Venezuela non c'è nessun rischio di dittatura,
confische
della proprietà privata, di golpe o di esplosione sociale".
La notte di un anno fa lungo l'avenida Bolívar di Caracas richiamava
irresistibilmente
quella del dicembre '45, quando il colonnello Juan Domingo Perón, con la
bionda Evita al fianco, parlò in maniche di camicia ai descamisados
argentini
davanti all'obelisco dell'avenida 9 de Julio di Buenos Aires.
Chávez come Perón? È uno dei tanti accostamenti che durante il '99 hanno
accompagnato l'uragano Hugo. Ma "Chávez non è Perón", dice il politologo
messicano Jorge Castañeda, una delle teste pensanti della "nuova sinistra"
in America latina (né pienamente socialista né esageratamente liberista),
e spiega che le "semplificazioni" rischiano di oscurare "quella che può
costituire una novità nel panorama politico latino-americano". Pericoli
di autoritarismo? Di ritorno del populismo? Certo, ma "senza una presidenza
forte, che riesca a collocarsi sopra e al margine delle potenti élites
latino-americane
non sarà possibile rispondere alle grandi sfide della regione:
diseguaglianze,
debolezza fiscali e politiche degli Stati, incompiuta costruzione nazionale,
povertà e distruzione dell'ambiente". Se "tornare all'autoritarismo civile
o militare sarebbe nefasto, una presidenza debilitata e paralizzata non
lo sarebbe di meno".
Se Chávez non è Perón, chi è? Tranquilli, "noi non siamo golpisti né
gorilla",
ha detto una volta. Però rivendica il golpe del '92 - che definisce
"doloroso
ma necessario" quando parla con interlocutori stranieri o "quel glorioso
4 febbraio" quando si rivolge ai suoi descamisados - e riconosce (a El
Mundo)
che "se allora non avessi preso il fucile oggi non sarei presidente".
Un populista? Un dittatore in pectore? Un comunista camuffato, amico di
Castro e circondato da ministri che sono o sono stati di sinistra? Un
anti-capitalista
o un anti-liberista? Un sognatore bolivariano e un visionario terzomondista?
Un militaraccio della prima ora? Lui chiama il suo governo "un'alleanza
politica di centro-sinistra", dice (al New York Times) che destra e sinistra
sono concetti superati e che "se voi tentate di stabilire se sono di
sinistra,
di destra o di centro, se sono socialista, comunista o capitalista, bene,
io non sono niente di tutto questo ma ho un po' di tutto questo". All'accusa
di "militarizzare" la società civile replica con accenti riecheggianti la
breve stagione dell'unità Povo-MFA del 25 Aprile portoghese del '74 - che
"il popolo e le forze armate marciano nella stessa direzione".
La storia non ha ancora incasellato Chávez. Nel giro di un anno su di lui
se ne sono dette di tutti i colori. Hitler e Mussolini, per cominciare.
Ma era troppo. I più autoctoni Perón e Vargas. Il nuovo Castro. Nasser o
Gheddafi. Il semi-dittatore peruviano Fujimori. Il generale nazionalista
Velasco Alvarado, anche lui peruviano. Un altro peruviano, finito male,
il populista Alan García. Torrijos, "il generale della dignità" panamegno.
Un Tony Blair tropicale. Una qualche reminiscenza di De Gaulle.
"Chávez è un minestrone ideologico", disse l'ex presidente Pérez al
manifesto.
Forse. Tutto è possibile, i giochi sono aperti. Forse si può già dire che
Chávez non è uno dei tanti business-friendly presidents alla Menem, Salinas,
Cardoso, Fujimori. Ma ancora è presto per sapere cosa sarà e comunque, al
di là delle sue intenzioni, cosa riuscirà a fare di fronte al
condizionamento
interno e internazionale.
Per il momento il molto demonizzato Chávez sembra essere un effetto.
L'effetto
di una reazione di rigetto del neo-liberalismo su scala continentale, un
bisogno e una speranza di una gran massa di popolo. Anche se la reazione
di rigetto non è uguale ovunque e i generali golpisti come il paraguayano
Lino Oviedo e Hugo Bánzer, attuale presidente boliviano, non sono la stessa
cosa del radicale Fernando de la Rúa in Argentina o del socialista Tabaré
Vázquez, in Uruguay.
Per il resto Hugo Chávez Frías resta ancora un enigma. Come ha scritto
Gabriel
García Márquez, dopo un viaggio aereo con lui dall'Avana a Caracas, "quel
che mi colpì fu la sensazione di avere viaggiato e conversato piacevolmente
con due uomini opposti. Uno a cui la sorte implacabile offriva l'opportunità
di salvare il suo paese. L'altro un illusionista che poteva passare alla
storia come uno in più dei tanti despoti".


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Fonte:
http://www.axiaonline.it/promemoria/mercati_emergenti/report_Venezuela.htm

MERCATI EMERGENTI
Venezuela a rischio se il petrolio cala
24/1/02



La pesantissima crisi argentina coinvolge le sorti dei principali Paesi
Sudamericani. In gioco c?è la stabilità di un?area, quella dei Paesi
aderenti
al Mercosur e al Patto Andino, che potrebbe produrre gravi effetti sul
sistema
economico mondiale nel caso esistessero delle possibilità di contagio sia
economico che finanziario quell'area stessa e l?Argentina. Il Venezuela,
assieme a Brasile e Colombia, rappresenta uno degli snodi, sia per la
rilevanza
economica sia per le implicazioni di politica commerciale, attraverso i
quali si potrebbero innescare reazioni sul fronte mondiale.

Studiando il Venezuela si scopre che, indipendentemente dall?Argentina,
la temperatura a Caracas è già alta per motivi interni. A preoccupare è
soprattutto la fragilità politica e strutturale del Paese guidato da Hugo
Chavez. Il Presidente populista appare troppo isolato nelle sue decisioni.
Nelle scelte di politica economica rischia di indispettire sia il padronato
sia i sindacati. Due esempi: la legge che prevede l?esproprio delle terre
o quella sulla riforma della pesca che sembra penalizzare più che
incentivare
l?industria ittica.

Dopo la grande manifestazione antigovernativa del 10 Dicembre sono previste
nuove mobilitazioni di piazza a cui si sono aggiunte voci di golpe e le
minacce di provvedimenti protezionistici da parte di Chavez. Queste ultime
dichiarazioni sono legate principalmente al forte calo degli introiti del
petrolio, connessi al calo delle quotazioni del greggio, e al forte
apprezzamento
del Bolivar, la moneta locale, che ha portato a costi di produzione interni
nettamente più elevati di quelli all?importazione. Sebbene non si evidenzino
direttamente segnali di contagio con l?economia argentina, preoccupa la
situazione delle banche. Molti istituti a rischio a Buenos Aires sono
fortemente
presenti sul territorio venezuelano e questo potrebbe portare a effetti
diretti sul fronte del mercato del credito.

Non desta preoccupazione al momento il debito pubblico del Venezuela,
nettamente
inferiore rispetto a quello argentino. Tuttavia le condizioni di incertezza
interna potrebbero contrarre in modo significativo gli investimenti diretti
provenienti dall?estero. A fronte dei 4.110 milioni di dollari del 2000
nel 2001 e 2002 sono previsti investimenti in calo a 3.500 milioni di
dollari
nonostante il ruolo di piattaforma logistica che da sempre ha svolto il
Paese nei confronti del Nord America. I suoi porti, infatti, sono ad appena
cinque giorni di navigazione da Miami.

Questi dati, seppure concisi, dimostrano l?elevato rischio in cui versa
il Venezuela e l?attenzione che deve essergli riservata dagli osservatori
internazionali. A differenza dell?Argentina, infatti, sono moltissime le
imprese estere che operano nel Paese e dunque se la situazione precipitasse
i rischi di destabilizzazione sarebbero enormi. Appare chiaro che tra i
fattori critici è compreso il prezzo del petrolio. Qualora i prezzi dovesse
ulteriormente scendere, i rischi di crisi in Venezuela aumenterebbero in
modo quasi esponenziale.

Fabrizio Spagna

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Fonte: www.patchanka.it/_bakeka/0000013c.htm

Differenze tra capitalismo e comunismo
cronaca dal Venezuela
From: corsaro rosso
Remote Name: 212.210.131.158
Date: 10 feb 2002
Time: 09:23


Comments
6/2/02

qui le cose stanno volgendo al peggio. La contra, quei piccolo borghesi
che suonano le cacerolas nei loro quartieri perbene, si sono montati la
testa. Stanno cercando di provocare per indurre Chavez a reprimere, e
provocare
il casus belli. La settimana scorsa c'è stata una manifestazione d'appoggio
a Chavez di 400mila persone. Oggi non si sa bene che cosa sia successo,
però adesso sono in strada molti manifestanti intorno al palazzo
presidenziale,
e vi resteranno tutta la notte, per appoggiare il governo. Bush sembra che
ha fretta e vuole stringere i tempi, cercando di ripetere lo scenario cileno
in versione light: agitare la classe media, destabilizzare economicamente,
e poi il colpaccio...Per favore, fai circolare il più possibile questa
informazione.
Nel patio trasero ( cortile posteriore) sembra che non siano tollerati
neppure
tranquilli governi di sinistra demodé,

8/2/02

Ieri la contra, in concomitanza con un rappresentante dei diritti umani
della OEA, ha montato un show mediatico destinato a produrre sensazioni
forti. Ha esibito agli operatori TV e affini, un colonnello dell'aviazione
che ha dichiarato la sua ribellione al governo. In più asseriva di
rappresentare
il 70% degli ufficiali! Il tutto era stato montato con l'intenzione di
provocare
il governo, sperando che il tipo venisse arrestato, a dimostrazione -urbi
et orbi- del grado di decomposizione qui esistente e della deriva
autoritaria
in atto. Fortunatamente nessuno ha abboccato, e sono rimasti a becco
asciutto
i caceroleros presto sommersi dalla mobilitazione popolare in sostegno a
Chavez, che si manterrà vigilante per 3 notti! La cosa preoccupante non
sono i pupazzi ma il puparo. É evidente la mano del Dipartamento di Stato
e della CIA che vogliono rimettere ordine. Qui si aspettano un crescendo,
pensa che il lacchè Toledo, avrebbe organizzato una riunione di presidenti
latinoamerani in cui escludeva...Chavez (lo stronzo si atteggia a "indio",
ma è un funzionario del Banco Mondiale)! Insomma, è la mano di Bush a
rendere
esplosiva la situazione. A mio avviso va contrastata, perché se buttano
giù Chavez son cazzi più amari per tutti gli altri movimenti. Tieni presente
che a complicare le cose, ha contribuito una serie di ostinazioni e di
errori
del governo di qui, soprattutto di radicalismo e di estremismo iconografico.



9/2/02

L'idea che circola all'estero, è che il Venezuela sia alla vigilia di una
salto nel buio, per colpa di quel gorilla del suo presidente che soffrendo
di reminescenze tardo-castriste, sta lentamente strangolando la libertà
di comunicazione. Gli oracoli neoliberisti descrivono a tinte fosche
l'andamento
dell'economia e non esitano a vaticinare che tra poco seguirà nel baratro
l'Argentina. Questi sono i messaggi martellanti che la CNN fa continuamente
rimbalzare all'estero, facendo scempio della verità e mentendo
sfacciatamente.
Com'è possibile descrivere a questo modo l'economia di un paese che nel
2001 ha avuto il 2.7% di crescita? (il più alto dell'America Latina). Com'è
possibile azzardare il semplice paragone con l'infausta Argentina stritolata
dall'FMI? Perché occultano che il governo di Caracas è quello che più ha
speso per la salute e l'educazione? Sebbene la professione di Chavez, prima
di essere eletto e riconfermato in 5 elezioni, fosse quella di tenente
colonnello,
in Venezuela non ci sono prigionieri politici, non è stato censurato nessun
mezzo di comunicazione e non è stato arrestato nessun operatore
dell'informazione.
L'attuale governo venezuelano, con gli schemi europei degli anni 60, si
potrebbe tranquillamente definire di sinistra moderata. E' l'unico governo
che è fautore di una politica di contrasto al neoliberismo e ai diktat
dell'FMI,
ed ha potuto sovranamente disegnare la propria politica economica senza
dover far ricorso ai loro prestiti-capestro. É anche l'unico a poterselo
permettere in America Latina, grazie soprattutto al buon andamento dei
prezzi
del petrolio nell'ultimo biennio. La recente approvazione di una legge sui
terreni che sanziona con una tassa quei proprietari latifondisti che
mantengono
improduttive e oziose le loro proprietà, ha scatenato la reazione di questo
settore che accusa Chavez di essere un comunistoide. La finalità di quel
provvedimento è quella di fomentare la produzione agropecuaria, rimediando
ad una situazione insostenibile in cui in un paese con estesi territori
non coltivati, si finisce per importare alimenti. Qualche mese fa, Chomsky
mise in guardia, segnalando che sinora nessun governo latinoamericano è
sopravissuto ad una riforma agraria. Un'altra legge controversa approvata,
è quella che regolamenta gli investimenti stranieri nel settore del petrolio
e del gas, con società miste con lo Stato venezolano. Anche questo è
inaccettabile
per i settori che hanno perso il potere e che vorrebbero la privatizzazione
pura e semplice dell'industria pubblica degli energetici. Dopo l'11
settembre,
questo tema ha assunto una importanza vitale per gli Stati Uniti. Da quando
la sicurezza e la garanzia dei rifornimenti da parte della dinastia waabita
dell'Arabia Saudita non è più assoluta, Washington ha aumentato le pressioni
e le intromissioni in Venezuela, suo secondo fornitore di petrolio. L'accusa
di finanziare la guerriglia colombiana rivolta a Chavez dal capo della CIA,
è un fatto di indubbia gravità che mette allo scoperto la volontà di Bush
di destabilizzare la società venezuelana fino ad ottenere la caduta di un
governo per loro anomalo e scomodo. Chavez è un cattivo esempio, colpevole
di opporsi apertamente all'Area di Libero Commercio per le Americhe che
dovrebbe annettere all'Impero tutte le economie del continente, fino alla
terra del Fuoco. E non perdonano all'ex colonnello venezolano di aver fatto
visite di Stato in Libia e Irak, reclamando la fine degli embarghi e la
difesa della sovranit· nazionale. Il sindacato padronale venezuelano è
arrivato
a promuovere un paradossale sciopero in cui pagavano la giornata di lavoro
a chi manifestava in strada, ottenendo l'appoggio della residuale burocrazia
sindacale che si sente vedova del regime anteriore. I settori che dopo 40
anni furono estromessi dal potere, in combutta con l'alta gerarchia
ecclesiastica,
e con l'appoggio sempre più esplicito degli Stati Uniti, stanno cercando
di?togliere di mezzo un governo legittimo e scomodo, fino a provocare un
golpe costituzionale che, salvando le apparenze, rimetta ai posti di comando
gente più docile e affidabile. Coloro che sostennero i Somoza, i Pinochet,
gli Stroesner, i Batista, i generali argentini, quelli guatemaltechi etc
etc, oggi vogliono togliere di mezzo il governo di Chavez legittimamente
eletto, colpevole di populismo e di obsoleta difesa della sovranità
nazionale.


9/2/02

E' proprio vero che nel patio trasero non può esistere nemmeno un governo
di sinistra demodé, ma pur sempre di sinistra. Immaginati, quindi, quanto
spazio reale ci sia per chi sogna orizzonti più lirici! Se mettono in
ginocchio
questa esperienza -che è anche l'unica atipica del circondario e che, sia
pure con confusione, non si è allineata con il neoliberalismo si profilano
tempi duri per tutti. Mi riferisco ai movimenti sociali più radicali o non
istituzionali che stanno lievitando, e che non dispongono nemmeno dello
scudo formale della legalità, com'è la peculiarità venezuelana. Chavez ha
dalla sua parte tutti i settori popolari, più nelle campagne che nelle
metropoli,
e tutte quelle forze sociali che erano sempre rimaste escluse, o non erano
sufficientemente rappresentate dal vecchio regime che crollò sotto il peso
della corruzione, degli scandali e del Caracazo. Esattamente nel 1989, i
settori popolari di Caracas e delle altre città, risposero con saccheggi
e attaccando le banche, alla pretesa governativa di fare propri tutti i
diktat dell'FMI. E' stata la prima rivolta di massa,aperta, illegale che
bloccò repentinamente le fantasie fondomonetariste in questo paese, e non
solo. Il prezzo che si pagò fu molto caro: migliaia di morti. Qui si
incontrarono
le forze e la capacità per respingere quel che, disgraziatamente, in
Argentina
divenne politica di Stato. E' da qui che si originò e prese forma una
alleanza
civico-militare che venne incubata all'interno delle fila militari -tra
gli altri- da gente come Douglas Bravo. Da qui prende le mosse quella
ribellione
civico-militare, in cui confluivano praticamente tutte le sinistre, che
nel 1992 portò Chavez alle porte del potere, senza però trapassarle. Furono
necessari altri 6 anni, e la formazione di una grande alleanza politica,
perché Chavez diventasse Presidente vincendo le elezioni alla grande. Il
suo è un governo che ha rifiutato le privatizzazioni (in primis quella
dell'industria
petrolifera e del gas), che non favorisce affatto il capitale finanziario
volatile, che ha preso posizione contro l' ALCA, che dà la priorità al
pagamento
del debito sociale arretrato con i salariati piuttosto che al rimborso del
debito estero (comunque ancora non è stato insolvente). Chavez ha applicato
politiche ispirate a Keynes, finalizzate a una spesa pubblica orientata
a stimolare la domanda, e al potenziamento dell'istruzione pubblica e del
sistema sanitario. Ha respinto finora la privatizzazione del sistema
pensionistico.
Insomma, sono politiche di una tranquilla sinistra che, alla luce dei tempi
globalizzatori, viene dipinta come ingenua e demodé, però è temuta perché
è un ostacolo ai desiderata in voga. Le teorie economiche e le ideologie
consentite nello scenario contemporaneo non hanno mai digerito Chavez. Da
qui il ricorso ai facili stereotipi del gorilla e ad una propaganda
grossolana
che a volta lo dipinge come un aspirante dittatore castrista, e a volte
come un fascista irrispettoso delle libertà. I settori che sono stati
estromessi
al potere, quelli che vivevano delle importazioni dagli USA e che non
esportavano
nulla perché non producevano nulla, quel ceto che viveva della corruzione
e delle scremature ai 15 miliardi di dollari della rendita petrolifera,
quella trentina di elementi dell'alta gerarchia ecclesiastica che hanno
perso privilegi, beh...questa gente sta dando i numeri, e non si rassegna.
Costoro non mettono in discussione qualche legge approvata, non propongono
modifiche o nuove proposte. No, parlano apertamente di estromettere Chavez,
vogliono tornare semplicemente agli anni 80! Siccome sono forze socialmente
minoritarie, allora invocano un golpe che restituisca loro il maltolto,
o sognano con lo sbarco dei marines! La loro opposizione ha il suo punto
di maggior forza nel controllo di tutte le reti televisive (salvo un canale
statale) e tutti i quotidiani a tiratura nazionale, che conducono una
campagna
propagandistica che riecheggia i lontani tempi della guerra fredda. Ti dirò
di più, probabilmente Chavez non avrebbe retto il colpo senza l'appoggio
della Forza Armata che è organicamente parte del progetto di cambio! Suona
come un paradosso per molti schemi mentali, ma come ebbi a dirti in altra
occasione, non tutti i militari sono come quelli cileni o centroamericani.
A questa classe media nostalgica, non rimane che contare su Bush e sulla
sua necessità di rimettere ordine in Venezuela perché deve garantire la
massima sicurezza ai propri rifornimenti petroliferi. Soprattutto ora, alla
luce dei nuovi eventi bellici, e delle lotte intestine tra i 3mila membri
della monarchia saudita in vista della successione al vecchio re Fahd, e
con lo spettro del fondamentalismo che si proietta fino a questi
ambienti.Tutti
questi fattori sono molto inquietanti per gli USA. Quindi ha accelerato
l'intromissione e le pressioni perché non può assolutamente permettere che
ci siano incertezze sulla vitale questione energetica.Il Venezuela è il
secondo fornitore degli USA. Questo è il punto in cui si congiungono gli
interessi strategici dell'Impero con gli appetiti della classe media
autoctona.
E l'intromissione è in crescendo: invio di una commissione della OEA per
indagare sui diritti umani; commissione della Organizzazione Internazionale
del Lavoro (Oil) per indagare su violazioni dei diritti delle burocrazie
sindacali; dichiarazioni sfrontate dell'ambasciata USA di Caracas;
provocazioni
del rappresentante del vaticano ecc. Il tutto amplificato da un grande
sostegno
dei media, interno ed esterno, che mira alla destabilizzazione e a fomentare
la fuga di capitali e svalutazione. L'ultima accusa del capo della CIA che
chiama in causa Chavez come finanziatore della guerriglia colombiana è di
una gravità inaudita, e probabilmente segna il punto di non ritorno. É
evidente
che si vuole sloggiare un gruppo dirigente ostico per rimpiazzarlo con gente
più addomesticata e docile, che applichi diligentemente le politiche
disegnate
a Washington senza fiatare.

From: corsaro rosso
Remote Name: 212.210.131.81
Date: 07 feb 2002
Time: 23:11


Comments
FEUDALESIMO: Hai due mucche. Il tuo padrone si prende una parte del latte.
FASCISMO. Hai due mucche. Il governo se le prende entrambe, ti assume per
prendertene cura e poi ti vende il latte. COMUNISMO AUTENTICO. Hai due
mucche.
Il tuo vicino ti aiuta a prendertene cura. Tutti e due vi dividete il latte.

COMUNISMO APPLICATO. Hai due mucche. Devi prendertene cura, ma il governo
prende tutto il latte. TOTALITARISMO. Hai due mucche. Il governo se le
prende
entrambe e nega che siano mai esistite. Il latte è bandito. DEMOCRAZIA
SUDAMERICANA.
Hai due mucche. Il governo se le prende entrambe e ti arruola nell'esercito.
DEMOCRAZIA EUROPEA. Hai due mucche. La commissione europea decide quale
regolazione deve essere applicata per la mungitura e l' alimentazione. Se
non ce n'è neanche una, ne inventa qualcuna. Non ti paga per mungere le
mucche. Prende entrambe le mucche, ne fa fuori una, munge l' altra e versa
il latte nella fogna. Poi ti richiede di compilare il modulo per la mucca
smarrita. CAPITALISMO. Hai due mucche. Ne vendi una e compri un toro. La
tua mandria si moltiplica e l'economia prospera. Vendi la mandria e vivi
di rendita. CAPITALISMO D'AZZARDO TIPO ENRON. Hai due mucche. Ne vendi tre
alla tua società quotata in borsa, usando una lettera di credito aperta
da tuo cognato alla banca, quindi esegui uno swap dei debiti con un' offerta
pubblica d'acquisto così ti riprendi tutte e quattro le mucche, con
l'esenzione
tasse per cinque mucche. Esattamente Il latte di sei mucche è trasferito
attraverso un intermediario ad una compagnia delle Isole Cayman segretamente
posseduta dall'azionista di maggioranza che vende il diritto a tutte e sette
le mucche alla tua società quotata in borsa. Il bilancio annuale dice che
la società possiede otto mucche, con una opzione su una nona.


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Fonte: http://www.latinoamerica-online.it/archivio2001/sec44.html

25 - 31 ottobre 2001
Altro bersaglio degli strali di Washington il presidente venezuelano Chávez,
al quale non vengono perdonate le critiche all'intervento militare in
Afghanistan.


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Fonte:
http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Novembre-2000/0011lm18
.01.html

EGEMONIA POLITICA e RISPETTO DELLA DEMOCRAZIA
Per il Venezuela, «neobolivarismo» alla Chávez


In Venezuela, il periodo di transizione volge al termine. In due anni, Hugo
Chávez ha riportato uno dopo l'altro una serie di successi elettorali tali
da permettergli di spazzare via la vecchia classe politica. Ma le pretese
egemoniche del suo partito e le divisioni che provoca tra gli alleati e
nella società, gli procurano diffidenza e critiche. Una nuova Costituzione,
un ruolo di rilievo sulla scena internazionale, il prezzo del petrolio ai
massimi storici: ora è con il terreno economico e sociale che deve misurarsi
il carismatico presidente.

di PABLO AIQUEL *
In uniforme, in abiti civili, con sua moglie, in famiglia o ancora in tenuta
sportiva con tanto di mazza da baseball in mano, le foto del Presidente,
vendute a circa 3.000 bolivar (più o meno 9.000 lire), vanno a ruba a Plaza
Bolivar, nel centro di Caracas. Nei chioschi si moltiplicano ritratti,
berretti
rossi con la scritta «Con il comandante» e altri gadget. Malgrado siano
passati quasi due anni da quando, attraverso le elezioni, ha conquistato
il potere, Hugo Chávez si vende sempre molto bene.
Il 30 luglio, un'ulteriore vittoria elettorale gli ha confermato la fiducia
del popolo dopo una campagna contro Francisco Arias Cárdenas, uno dei suoi
ex compagni nel tentato colpo di stato del 1992, contrassegnata da violenze
verbali e dall'assenza di un dibattito di fondo. In queste «mega-elezioni»,
Chávez ha ottenuto più voti che nel 1998 e il suo partito, il Movimento
per la V Repubblica (Mvr), ha conquistato addirittura quattordici
governatorati,
molti comuni e la maggioranza semplice nella neonata Assemblea nazionale
(1).
Fra questi nuovi governatori e deputati solo pochi erano conosciuti dalla
popolazione. Per essere scelti è bastata un'unica carta vincente: la
benedizione
del Comandante.
«Come una squadra di baseball» Ogni domenica, centinaia di persone si
radunano
presso lo studio dove il presidente Chávez «anima» la sua trasmissione
radiofonica
settimanale «ÁAló, Presidente!». Alcuni ascoltatori - scelti con molta cura
- possono parlare direttamente con il capo dello stato, applaudire la sua
gestione e chiedere qualcosa per il loro quartiere, la scuola o l'ospedale.
Il tutto seguito da un quasi monologo di due ore. «Voglio essere pedagogo
e per questo ci vuole tempo», afferma Chávez durate i discorsi ufficiali,
spesso lunghi quanto le sue trasmissioni domenicali.
«A volte sono delusa da quello che succede, ma quando lo ascolto ritrovo
coraggio» dichiara Anuncia Perafán, assistente sociale in un barrio di
Caracas.
Dotato di grande carisma, il presidente esercita un fascino indiscutibile
sulla popolazione e la sua popolarità raggiunge livelli incredibili. «È
vero che in alcuni momenti ha subito un calo di consenso. Ma non è mai sceso
sotto la soglia del 60%, osserva il responsabile di un istituto di sondaggi.
Non si è mai vista una cosa simile. È un mostro politico, un fenomeno».
Tuttavia, anche se la maggioranza della popolazione sostiene Chávez, la
fiducia dei settori politici ed economici tradizionali, come quella della
maggior parte dei media, tarda ad arrivare. Tutti riconoscono che la
«rivoluzione
bolivariana» rappresenta la prima rottura politica della storia venezuelana
realizzata democraticamente e soprattutto senza violenze. Ma il modo
egemonico
con cui il Mvr gestisce il potere provoca diffidenze.
Il presidente stesso suscita reazioni estremamente contraddittorie (2).
«È un personaggio dall'animo scisso. È insieme la destra e la sinistra.
In lui coesistono in modo costante tensione idealistica e pragmatismo»,
spiega Teodoro Petkoff, ex guerrigliero, diventato ministro nel governo
di Rafael Caldera e oggi direttore di un giornale (3).
Da un lato impressiona l'evidente apertura mentale alla base della
Costituzione
«bolivariana» del dicembre 1999, decisamente all'avanguardia rispetto a
diritti umani e garanzie sociali: tra altre nuove istituzioni, si sancisce,
infatti, il potere elettorale e soprattutto quello dei cittadini (4). Ma,
da un altro lato, Chávez non ha mai smesso di fomentare divisioni tra i
suoi alleati. Francisco Arias, Yoel Acosta e Jesús Urdaneta, suoi alleati
durante il golpe del febbraio 1992, hanno ritenuto che il Mvr non lasciasse
loro alcuno spazio nel nuovo assetto politico. Così come, più tardi, durante
le campagne elettorali, il partito di sinistra Patria para todos (Ppt) è
stato implicitamente spinto a lasciare la coalizione del Polo patriottico.
Per marcare la differenza tra il «processo bolivariano», nelle mani di un
ristretto gruppo di fedelissimi a capo di un'organizzazione
politico-militare,
e l'opposizione, il presidente usa l'immagine del Libertador Simon Bolivar
e la sua teoria «dell'albero dalle tre radici» (5). I suoi pretoriani sono
infatti figure della sinistra degli anni '60: Luis Miquilena, capo
dell'Assemblea
nazionale costituente e del Congresso interinale, è un ex leader comunista,
come José Vicente Rangel, ministro degli esteri, o il ministro del petrolio
Ali Rodriguez.
Ex guerrigliero, quest'ultimo fu il braccio destro di Douglas Bravo e, con
lui, uno degli ultimi a lasciare la guerriglia, all'inizio degli anni '70.
D'altra parte, Luis Dávila, al ministero dell'interno, ha uno dei quattro
portafogli affidati ad ex militari; sono ex-guerriglieri, peraltro, anche
due terzi dei governatori del Mvr o altri responsabili d'istituti pubblici,
sociali o di regolamentazione, designati dal presidente.
A oggi, Chávez ha creato un'organizzazione centralizzata in cui tutte le
decisioni devono passare per Caracas. È alla Casona, la residenza
presidenziale,
che il capo dello stato ha spiegato ai «suoi» governatori e ai «suoi»
deputati
che «il governo è come una squadra di baseball.
Io sono l'allenatore. E i giocatori devono seguire le istruzioni, altrimenti
saranno espulsi dal campo di gioco». Questo modo di gestire il potere si
è manifestato in varie occasioni e con eccessi che non hanno niente da
invidiare
ai metodi clientelari ed elitari dei suoi predecessori, tanto denigrati
dai sostenitori del presidente.
Del resto, altre decisioni mirano apertamente a creare organismi fedeli
al «processo»: Chávez ha dichiarato di voler «demolire» l'ex Confederazione
dei lavoratori del Venezuela, tanto burocratica quanto corrotta, per creare
una centrale sindacale «bolivariana»; il governo ha poi deciso di
considerare
come rappresentanti della «società civile» solo le organizzazioni non
governative
(Ong) che non ricevono finanziamenti dall'estero. Infine, il 20 settembre
2000, il presidente ha annunciato che avrebbe chiesto al Congresso poteri
speciali per affrontare la crisi che scuote il paese, facendo riemergere
il fantasma dell'autoritarismo di cui spesso è accusato...
Tanto più che i partigiani di Chávez a volte prendono quasi alla lettera
la retorica guerriera del movimento e si spingono troppo lontano, come
quell'insegnante
che ha scritto un libro di istruzione «premilitare» per studenti liceali
dal contenuto xenofobo e ultranazionalista (6). Di fronte alle proteste,
il governo ha deciso di ritirare il libro dalle scuole e ne ha sospeso le
vendite.
Smarcarsi dagli Stati uniti Avvisaglie che non hanno oscurato l'immagine
di Chávez, almeno non ancora. Il presidente ha saputo spiegare che gli
serviva
tempo: un miglioramento del livello di vita, soprattutto delle classi
povere,
non dovrebbe tardare, benché sembrasse un obiettivo lontano ancora fino
a poco tempo fa. Chávez ha atteso di avere una maggiore stabilità e una
chiara superiorità politica prima di lanciare i suoi programmi sociali,
anche se poi, nel maggio 1999, in piena recessione economica, il governo
ha decretato un aumento salariale del 20% che ha provocato la rabbia del
padronato. Sul piano internazionale, il presidente porta avanti una politica
di tipo volontaristico, che incontra un indubbio successo. Si è chiaramente
pronunciato per un mondo multipolare e ha favorito gli incontri in due
direzioni:
da un lato tra partner «petroliferi», con conseguente rafforzamento
dell'Organizzazione
dei paesi produttori di petrolio (Opec), e dall'altro, in funzione
dell'integrazione
regionale, con la promozione di un legame tra la Comunità andina delle
nazioni
(Can) - Colombia, Perù, Ecuador, Bolivia e Venezuela - e il Mercato comune
del sud (Mercosur).
«È comprensibile che un paese così vicino agli Stati uniti, possa temere
di essere completamente assorbito nell'orbita di Washington, spiega un
diplomatico
europeo. Da questo punto di vista, Chávez è molto sensibile a tutto ciò
che può dare un po' di spazio al suo paese. È vero che qualche volta mostra
un'inclinazione un po' romantica verso coloro che hanno tenuto testa agli
Stati uniti. Ma nelle circostanze attuali, è difficile far evolvere il
sistema
politico, economico o culturale venezuelano verso un modello libico,
iracheno
o cubano...» Dai piani economici annunciati, questo non sembra affatto il
progetto del presidente: prima della fine dell'anno, apertura del mercato
delle telecomunicazioni - che dovrebbe garantire parecchie centinaia di
milioni di dollari - , creazione di fondi pensione...
Grande viaggiatore, Chávez si è permesso di essere il primo presidente
eletto
a recarsi in visita, il 10 agosto, da Saddam Hussein, provocando grande
irritazione a Washington. I prezzi superiori a venticinque dollari il
barile,
nonché gli aumenti di produzione per far fronte alla crisi energetica
europea,
faciliteranno i progetti messi a punto da Caracas per sanare l'economia:
riduzione della spesa pubblica, stabilità del corso del bolivar, controllo
dell'inflazione.
I consiglieri economici del governo sostengono che è arrivato il momento
di aprire i cordoni della borsa. Propongono un modello «umanista,
autogestito
e competitivo» nel quale «il principale investimento è l'istruzione, ossia
il capitale umano». E Chávez ha spiegato come vorrebbe spendere in
assistenza
sociale - scuole, ospedali, case, tecnologia e sicurezza - i circa 2,1
miliardi
di dollari che provengono dalle riserve di cambio della Banca centrale del
Venezuela (Bcv).
Ha assicurato che il 25 dicembre si dovrebbero già poter misurare i
progressi
dei suoi programmi sociali. Questi prevedono anche un piano specifico di
aiuti per lo stato di Vargas (vittima delle inondazioni del dicembre 1999),
e un aumento della partecipazione dell'esercito nell'economia.
Tuttavia due gravi problemi minacciano il cambiamento «bolivariano»: la
disoccupazione e la delinquenza. Più di ottanta persone vengono assassinate
ogni fine settimana in tutto il Venezuela, di cui cinquanta circa nella
capitale. Inoltre, il governo confessa che il tasso di disoccupazione si
avvicina al 15%, mentre il 54,3% dei lavoratori ristagna nella cosiddetta
economia «informale». Questa parte della popolazione giudicherà il
presidente
dalla sua capacità di lottare contro la corruzione, ridurre la delinquenza
e migliorare, oltre all'economia del paese, anche la «sua» economia.



note:

* Giornalista, Caracas
(1) Nell'Assemblea nazionale, Camera unica legislativa, il Mvr ha ottenuto
85 seggi su 165; ha una maggioranza semplice e può raggiungere la
maggioranza
qualificata con i suoi alleati del Movimento per il socialismo (Mas). Ma
anche uniti non raggiungono la maggioranza assoluta.
Per quanto riguarda i governatori, nove sono del Mvr - tra cui il padre
del presidente, Hugo de los Reyes Chávez - , e altri cinque dei suoi
alleati.

(2) Vedere Gabriel García Márquez, «I due volti del comandante Chávez»,
Le Monde diplomatique/il manifesto, settembre 2000.

(3) Teodoro Petkoff, Una segunda opinion, la Venezuela de Chávez, Edizioni
Grijalbo, Bogotá, 2000.

(4) Quest'ultimo è composto dal procuratore generale, dall'intendente
generale
delle finanze e dal difensore del popolo - figura del tutto nuova che ha
il compito di proteggere i diritti umani.

(5) «L'albero dalle tre radici»: le idee fondamentali del «neo-bolivarismo»
si basano sul pensiero di Simon Bolivar, Simon Rodriguez, educatore del
Libertador, e Ezequiel Zamora, caudillo federalista della fine del XIX
secolo.
Questa triade di riferimento si ritrova lungo tutta la preparazione
rivoluzionaria,
a partire dal 1979, cfr. Alberto Garrido, La historia secreta de la
revolución
bolivariana, Editorial Venezolana, Caracas, 2000.

(6) Il libro di Marjorie Vásquez, Instrucción «pre-militar» (Editorial
Biosfera,
Caracas), spiegava la differenza tra «gli stranieri desiderabili» (europei)
e gli «stranieri indesiderabili» (latino-americani) che «occupano posti
di lavoro e letti d'ospedale che spettano ai venezuelani» e le cui «donne
offrono il proprio corpo al miglior offerente per fare figli e procurarsi
documenti d'identità».
(Traduzione di G.P.)